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Autore: HippyQueen    01/11/2012    0 recensioni
Meredith è una donna matura, abbandona la sua terapia psicologica prima che questa sia conclusa: non vuole sentirsi bene, non vuole dimenticare ciò che le è successo. La sua esistenza è stata profondamente segnata da due amori, nati e cresciuti allo stesso tempo, molto diversi ma sempre molto forti.
"Sono innamorata di quel ragazzo, lo so, me lo sento. Eppure l'amore che provo nei confronti di quella ragazza supera ogni confine, ogni limite mi sia mai stato imposto. Posso amarla come mai amerò nessuno."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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“Insomma, tu non fai mai niente, no?”
“Liz, seriamente. Vattene.”
“Ma se devo proporti una cosa!”
“No, non devi. Non devi davvero.”
“Ho bisogno di una copertura.”
“Immaginavo.”
“Voglio andare ad un concerto, questa sera, ma sono sicura che non mi lasceranno.”
“Scappa; lo fai sempre!”
“Mi beccheranno. Quindi, ho bisogno di te. Dico che ti accompagno da qualche parte, in un locale. E ti porto davvero dove vuoi. Ti faccio entrare in quella discoteca dove vanno sempre quelli della tua scuola.”
“Non ci voglio andare.”
“Ti porto con me!”
Guardai storto mia sorella maggiore. Aveva solo diciassette anni, allora, aveva la patente da un anno e poteva tranquillamente portarmi in giro. Nonostante tutto, doveva provare sempre il brivido della ribellione adolescenziale, e spesso mi coinvolgeva, come quello specifico finesettimana. 
“Ma perché?”
“Perché sei la mia sorella preferita, naturalmente.”, sorrise lei. “Ti falsifico le firme dei permessi per un mese.”
Cedetti. Sapevo che non potevo spillarle di meglio, quindi sorrisi e acconsentii. Dopotutto, io adoravo passare del tempo con mia sorella. Io e lei eravamo come pepe e sale, assieme, un mix incredibile. I nostri tre anni di differenza non si notavano affatto, anzi, delle volte la gente credeva che fossimo gemelle (una volta un tipo ubriaco ci ha chiesto di fare ‘una cosa a tre’ con le due gemelline, osceno, si, lo so) e, anche se a volte non ci sopportavamo a vicenda, eravamo sempre disponibili l’una con l’altra. 
Liz mi abbracciò da dietro e mi baciò l’incavo della spalla. 
“Ti voglio davvero troppo bene”, sussurrò. Sorrisi. “Non vestirti troppo provocante. Lasciami ora le tue cose, le tengo io nello zaino.”
Aprimmo il mio armadio, demmo una scorsa ai miei abiti, senza trovare, apparentemente, qualcosa di adatto al concerto della boy band del fidanzato di mia sorella. Liz e Taylor non avevano mai davvero avuto una storia seria, ma lei amava dire in giro che si frequentavano, mentre lui cercava sempre una scusa per andare a letto con la prima troietta che capitava a tiro. Per ripicca, mia sorella ci provava col suo migliore amico, litigavano, si “rimettevano” assieme e il gioco ricominciava daccapo. Ora erano per la terza volta nella fase del ‘corteggiamento sfrenato’, quel periodo rose e fiori che sarebbe durato si e no due settimane, per poi dare spazio alla fatidica settimana del ‘sesso prolungato’, in cui Liz avrebbe fatto manca alla scuola per andare a casa di lui; seguita poi, ovviamente, dal mese di ‘ti odio ma ti amo’ per poi conseguire col tradimento reciproco. 
Sia io che Liz ci giocavamo sopra, ma lei prendeva questa relazione molto seriamente. Taylor era il suo primo vero ragazzo: si conoscevano da due anni, ma intraprendevano questo giochetto da circa uno. Lui l’aveva trasformata da brava ragazza a piccola ribelle. 
Liz prese dal mio armadio un paio di calze leopardate che non avrei mai indossato in altra occasione, un paio di shorts neri di eco pelle e una t-shirt larga con strass e paillettes. 
“Dici che è troppo?” mi guardò. “Per te, dico.”
“Solo perché ho quattordici anni? Uhm, no.”
“Magari per uscire mettiti una felpa larga e un paio di jeans.”
Architettammo la nostra copertura in circa un quarto d’ora, e all’arrivo di nostra madre eravamo ognuna nella propria stanza, impegnate a studiare per il giorno dopo. Sapevo benissimo che Liz non stava studiando, bensì smaltendo gli effetti di una canna costruendo un castello incantato con delle bottiglie di plastica colorate, ma quando mia madre entrò in casa urlando, come al solito:
“Dove sono le mie figlie?!”
Uscii dalla mia stanzetta e la raggiunsi in entrata.
“Liz sta studiando inglese, mamma. È da un’ora che è chiusa in camera e non vuole vedere nessuno. Sai com’è, no?”
“Tua sorella è sempre che studia.”
“Già.”, e me ne tornai in camera.
 
Alle nove di sera uscimmo, ridendo come delle deficienti, entrammo nell’auto di mia sorella e percorremmo la via intera. Quando raggiungemmo uno spazio, lei accostò e prese la sua borsa dal sedile posteriore. Ridendo, alzò il volume della radio, davano uno degli ultimi successi di P!nk, cantavo la canzone senza prestare attenzione alle parole. Finché mia sorella non le pronunciò. Canticchiò, ridendo, mentre si toglieva la felpa e si liberava del reggiseno; entrò in un top striminzito nero, levò i jeans larghi per restare in leggins argentati. Si rifece il trucco nello specchietto, allungando le code con l’eyeliner dorato e la matita nera. Prese i tacchi da sotto il sedile e li indossò, poi venne il mio turno. Tentai di destreggiarmi almeno tanto velocemente quanto lei, ma sono sempre stata molto imbranata. Quando fui pronta, lasciai che mi truccasse pesantemente gli occhi, bistrandoli. Per ultima cosa, rollò una canna e l’accese. 
Non ho mai avuto problemi con mia sorella e la sua droga. Non ho ricordi di grandi rivelazioni; più o meno da sempre la vedo con la sigaretta in bocca. Ci sono foto che ho visto, tramite internet, il suo cellulare o anche ricordi che lei stessa mi ha rivelato, che testimoniano la sua iniziazione al fumo a dodici anni. Io, allora, ne avevo nove e non vedevo oltre al mio naso. A nove anni ero in quarta elementare ed ero la bambina più ‘colta’ della classe. Possiamo immaginare di cosa parlasse la mia generazione a nove anni – sì, insomma, concetti che ora si affrontano a sette – e avere una sorella dodicenne sicuramente aiutava. Sapevo tutto sul sesso e su quello che girava attorno. Forse il ricordo più ‘scioccante’ riguardo mia sorella l’ho avuto proprio a nove anni, avendola beccata davanti a un film porno gay. 
“Che cosa è?” le avevo chiesto, comparendo da dietro di lei di soppiatto, dando un’occhiata furtiva al computer. 
“Be’,” aveva risposto lei. “È un film.”
“Perché sono due uomini?”
“Perché due uomini si possono amare.”
“Si possono amare anche due donne?”
“Certo. Vuoi vedere come?”
Ed è così che la mia povera mente innocente di bambina di nove anni è cambiata. La nostra affinità, pure, è cresciuta. Nostra madre era una gran conservatrice. Non voleva che frequentassimo gente diversa. Se avesse solo immaginato quello che io e mia sorella eravamo o facevamo, credo sarebbe uscita di testa. Non dico che non sospettasse, o addirittura sapesse; qualora fosse stato così, be’, sicuramente faceva finta di niente. E noi non ce ne preoccupavamo. Dopotutto, mia sorella era la mia migliore amica al mondo. Certo, non l’avrei mai ammesso con lei, proprio perché eravamo sorelle. 
Oltre a liberarmi la mente dai pregiudizi, Liz mi aveva insegnato quasi tutto.
Comunque, la questione del fumo per me non è mai stata un problema. La stanza di mia sorella non aveva una terrazza, solo un balcone. Si da il caso che la nostra famiglia conoscesse l’intero condominio, e che ci fossero elementi un po’, be’ diciamolo, pettegoli. Allora Liz, a dodici anni, chiedeva asilo politico a me. Passava nella mia stanza, che dava sul cortile e poteva sentire – e vedere – l’auto dei nostri genitori arrivare senza essere notata, si sedeva per essere coperta dalla ringhiera spessa e accendeva una delle sue preziose sigarette. Uno dei primi giorni, lo ricordo, la mia mente di bambina dovette esprimere i suoi dubbi.
“Ma non dicono sempre che le sigarette uccidono?”, avevo chiesto. 
“Lo dicono solo per non fartele comprare. È tutta una gabbia di matti, tutta competizione.”, aveva detto mentre aspirava. “Per ora io sono viva.”
“Dicono che fanno venire il cancro.”
“Dove hai sentito parlare del cancro?”
“Pensavo centrasse con l’oroscopo, però poi ne hanno parlato alla tv. Lo ripetevano troppe volte per parlare dei segni zodiacali.”
Allora Liz aveva alzato le spalle e mi aveva fatta sedere accanto a sé. Non mi ha mai chiesto di fumare, ed io non sono mai stata interessata fino ai dodici anni. Liz non si nascondeva più alla mia finestra, lei usciva e tornava sul tardi, mi raccontava di limonate assurde con i suoi amici e le sue amiche, e per la prima volta nella mia vita, in prima media, ebbi un sogno erotico. Tutti i ricordi di mia sorella si intrecciavano ai miei pensieri, e crescevo in fretta quanto lei, stando al suo passo e trasmettendo tutte le sue conoscenze alle mie amiche, rendendole automaticamente mie. Se mia sorella descriveva la lingua del suo ragazzo mentre si infilava tra le sue labbra, la sensazione si impadroniva di me. Senza aver ancora provato una sigaretta, sapevo rievocare il bruciore al principio della gola. Vivevo in secondo piano, come se avessi due personalità, due vite differenti; ero una bambina undicenne che frequentava il primo anno di scuole medie e componeva brevi temi su come fosse strano il distacco dalle elementari, ma allo stesso tempo ero in prima liceo e volevo disperatamente entrare nelle mutande di una ragazza molto bella ed ambigua.
Non era strano, infatti, che fossi piuttosto solitaria fin dalle medie. Le mie amiche più care erano le amiche di mia sorella, nella mia classe legavo molto con una ragazza che, a quanto pareva, aveva già baciato con la lingua il suo fidanzatino. Io e lei andavamo di pari passo, e da subito conoscemmo tutti i ragazzi di seconda che potrebbero essere stati interessati a noi. Oltretutto, non può sembrare strano che a neanche un mese di scuola avevo cambiato due ragazzi, e stavo facendo un pensierino su questa mia amica. Ricordo, a dodici anni, di averne parlato con una Liz quasi quindicenne.
“Liz,” le avevo chiesto un pomeriggio, esitando sulla sua porta. “Come si fa con una ragazza?”
“Vuoi farti una ragazza?!” aveva sussurrato lei, sbarrando gli occhi e guardandosi in giro, come se ci fosse stato qualcun altro. “Meredith, hai solo dodici anni.”
“Non voglio farmi una ragazza. Voglio solo sapere.”
“Cosa vuoi sapere, esattamente?”
Così Liz mi aveva spiegato che, quando era interessata ad una ragazza, cercava di capire se era etero oppure no e, se non lo era, se almeno era interessata nel fare giochi con lei.
“Che genere di giochi?”, avevo domandato. 
“Diciamo che ai ragazzi le lesbicacce piacciono un sacco. E una volta tanto bisogna sfruttarli, i maschi.”
E mi aveva lasciato così, ancora più confusa di prima.
Io e la mia amichetta aspettammo prima di darci un bacio. E poi capitò, così, che, come aveva prediletto mia sorella, un gruppo di ragazzi molto più grandi ci chiedesse di scambiarci un bacio e noi non rifiutassimo l’offerta. Cominciammo con un bacio a stampo durato dieci secondi, e poi, uscita dopo uscita, cominciammo a baciarci senza che nessuno lo chiedesse. Sedevo in braccio suo, o lei in braccio mio, ogni effusione portava al bacio. Dallo stampo, lei cercò di intrufolarsi dentro la mia bocca e la lasciai fare; quando capì che i miei sentimenti andavano oltre la semplice amicizia, mi lasciò, con una tremenda litigata che portò solo a una mia piccola disperazione, chiudendo i battenti ad ogni mia richiesta di pace. 
Ma nel mio periodo di transizione da ‘bambina dodicenne che ha delle crisi d’intentità’ a ‘ragazza con una cotta per la sua migliore amica’, fumai la mia prima sigaretta in compagnia di mia sorella. Lei, quasi quindicenne, usciva e tornava tardi la sera; un giorno la raggiunsi fuori e mezza disperata le chiesi di accendermi una cicca, di lasciarmi provare perché, come lei stessa diceva, fumare blocca l’ansia. Spiegai in pochi secondi, facendo molte allusioni alla mia amica, il mio problema e Liz fu ben felice di condividere qualche vizio con la sua sorellina.
  
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