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Autore: L_Fy    02/11/2012    13 recensioni
...Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: "Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto."
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
Quindi, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Veronica e Tebaldo, immobili come statue di marmo, si fissarono negli occhi con crescente consapevolezza e orrore. Il tempo sembrò rallentare a fissare affascinato i due giovani che, nel giro di un respiro, passarono dal più puro coinvolgimento sessuale a una sorta di parodia del fedifrago beccato in flagrante.
“Senorita? Puede aprire la puerta?”
La voce lineare di Inocencia ebbe il potere di sbloccare il momento catartico: in perfetto sincronismo i due si mossero, Tebaldo rotolò di lato fino a cadere dal letto e Veronica recuperò la crisalide tirandola fino al mento, avvolgendosi in un bozzolo confuso di pigiama strappati, piumino e lenzuola.
“No!” strillò a gran voce “Io… cof! Manda via Bianchi immediatamente!”
“Porque?”
Ma Inocencia doveva proprio fare domande scomode in quel dannato momento?
“Adesso non posso!” strillò Veronica in preda al panico “Io… cof! Devo… ehm, sto tossendo!”
“Non es un buon motivo” continuò la voce petulante di Inocencia: persino in quel momento di sublime imbarazzo Veronica riconobbe il più altero tono accusatorio/puritano della domestica. “El senor Bianchi è stato così gentile da venir a trovarve. Con un mazo de flores. Muy hermoso, lo siento. Yo crede che la senorita puede ricevere altre visite, oltre los parientes. Quindi yo credo che apro esta puerta, ahora mismo.”
Detto, fatto. Aprì la porta con decisione e Veronica tirò le lenzuola fin sopra il capo.
“Inocencia!” ruggì frustrata: se avesse avuto addosso qualcosa di più di un paio di mutande sarebbe sicuramente balzata dal letto per azzannare la domestica al polpaccio “Se ti pago uno stramaledetto stipendio mensile è perché tu faccia quello che dico io! Non che tu fai entrare e uscire chi ti pare e piace come se avessi quattro anni!”
“A quatro anos teneva più giudicio che ahora. De la cama, senorita, fuori dal letto. O vengo a sacarte.”
Capacissima di arrivare davvero a trascinarla fuori dal letto per i capelli: in pieno attacco di panico, Veronica fece sbucare la punta del naso dalle coperte e dalla millimetrica fessura creata dalla cortina di lenzuola e i capelli aggrovigliati vide Bianchi in piedi sulla porta che dondolava incerto sommerso da un completo, dilagante imbarazzo; davanti a lui la semisferica domestica colombiana la fissava a braccia conserte e labbra pressate, lo sguardo severamente aggrottato e accusatore.
“Oh, ah… ciao P-P-Paolo… “ gracidò Veronica senza fiato “Come, ehm!, va?”
“Ciao Veronica” sussurrò Bianchi con aria decisamente infelice: strisciò i piedi fissando terra così dolorosamente che sembrava sul punto di metterci un cerotto “Io sto bene, e tu?”
“Donde esta el senor Tebaldo?” intervenne Inocencia a muso duro.
Il panico raggiunse la gola di Veronica rendendo il passaggio dell’aria impervio e sibilante.
“Chi?”  
“El senor Tebaldo. El suo cugino. Pariente stretto.” Peccatore, lampeggiava al neon la vignetta sopra la sua testa “Entrado aqui come una furia hace tres horas. Dònde està?”
La temperatura sotto le coperte raggiunse quella della fusione del piombo.
“Ah, ehm, Tebaldo, certo… è… non è… è uscito.”
“Da dove?”
“Dalla porta.”
Le migliori bugie nascevano sempre da un fondo di plausibilità, dopotutto.
“No he visto.”
“Non è di sicuro colpa mia se sei cieca come una talpa.”
Per un attimo lo sguardo febbricitante di Veronica e quello ombroso di Inocencia si scontrarono, facendo quasi scintille: sudando, quasi sul punto di capitolare, Veronica tentò la carta della copertura di Grimilde, sapendo però che era la sua ultima chance.
“Magari è passato a salutare il suo puzzolente cane pederasta. Se hai tanta voglia di vedere Tebaldo, prova a fare un giro per il giardino. Senza dimenticare l’acqua santa e il rosario, naturalmente.”
La sua voce risultò fredda e decisa persino a lei stessa, ma la svuotò completamente: se Inocencia avesse tentato un passo verso di lei, si sarebbe messa a strillare come una maledetta sirena.
“Bueno.” borbottò invece la domestica  scrollando secca le spalle “Me voy.”
“Ecco, brava.”
“Ma no tiengo nessuna intention de cerrar la puerta. Claro?”
“E lasciala aperta, così oltre alla febbre mi viene anche la broncopleurite e tu finalmente potrai seppellirmi contenta.”
Inocencia uscì senza replicare e Veronica rimase sola, spossata e senza forze in compagnia di Bianchi. E di Tebaldo probabilmente nascosto sotto il letto… ma a quello non aveva il coraggio nemmeno di pensarci.
“Ariciao” gracidò sprofondando sul cuscino ma stando ben attenta che nemmeno un millimetro di sé uscisse dalle coperte “Che ci fai qui?”
Bianchi, con i fiori ancora in mano e l’aria più desolata che mai, strisciò di nuovo i piedi: se fosse stata un po’ più in sé, Veronica l’avrebbe trovato mortalmente tenero… o mortalmente patetico, se Grimilde fosse sopravvissuta.
“Ehm… io? Ehm… ciao, V-Veronica… cioè, so di non aver nessun diritto di essere qui, ma, ehm? Io ero… preoccupato…?”
Com’era dolce, in quell’impaccio così tipicamente Bianchesco: e com’erano biondi i suoi boccoli, rosee le sue guance imbarazzate. Veronica, debole e febbricitante, non poté fare a meno di commuoversi.
“Potevi telefonare.” berciò sottovoce, ammorbidita: non aveva nessuna voglia di trovarlo tenero… ma era più forte di lei.
“Lo so, ma ehm! Io… volevo… eh, uhm, cof! Vederti…?”
Il suo rossore raggiunse livelli quasi incendiari: povero, dolce Bianchi… chissà quanto gli stava costando quella confessione in piedi, coi fiori in mano, in pieno territorio nemico…
“Sei stato carino a venire.” si trovò a mormorare Veronica senza nemmeno volerlo: Bianchi sorrise illuminandosi come un albero di Natale, e Veronica lo ricambiò.
“Oh, no!” protestò la Veronica interiore virtualmente non influenzata “Fino a dieci secondi fa eri sul punto di copulare con Tebaldo, e sei ancora nuda come un pollo disossato con addosso il suo odore… non puoi fare la carina con Bianchi proprio adesso!!”
Vero; sacrosanto! Veronica smise subito di sorridere e tossicchiò per tornare seria.
“Senti, Bianchi, io devo dirti…”
Ma Bianchi la interruppe di colpo: come aspettando solo il via della sua voce per buttarsi da una scogliera, mollò i fiori per terra e quasi si tuffò a sedere sul letto, armeggiando tra le coperte per trovare la sua mano da stringere.
“Oh, Veronica” disse con voce rotta mentre lei ripiombava nel panico e si irrigidiva sotto le coperte “Per un attimo ho pensato… che stupido a dubitare di te! E mentre io pensavo male, tu eri qui ammalata… sono proprio uno stronzo! Mi perdoni?”
Che dire? Che fare? Veronica ansimava come un locomotiva, completamente nel pallone: la freddezza di Grimilde sarebbe stata benedetta in quel momento, ma si era evidentemente consumata tutta nel combattere quel maledetto virus influenzale.
“Io… certo che ti perdono… ma di che?”
“Di aver pensato che tu mi stessi prendendo in giro per l’ennesima volta. Non una parola, né a scuola né per telefono… sono impazzito dal sospetto. Ma mi sbagliavo. Cara!”
La sua voce era così sinceramente emozionata che Veronica ammutolì.
“Dovevo avere più fiducia nella Veronica che mi ha parlato in spagnolo e che mi ha baciato, qualche giorno fa…  tu sei stata onesta e sincera con me, e io ho dubitato della tua limpidezza. Mi sento malissimo… ma non succederà più, te lo prometto.”
Aveva trovato la sua mano, aggrappata alle lenzuola come un naufrago alla zattera.
“Veronica! Ma hai le mani ghiacciate…”
Dolcemente, le staccò dito per dito dalle lenzuola, prese la sua mano e se la portò alla bocca, lasciandole un piccolo bacio. I suoi occhi la fissarono, così puliti e grandi e azzurri…
“Paolo… per favore, ascoltami…”
Bianchi si sporse delicatamente verso di lei, che non potendo fuggire da nessuna parte lo attese come se fosse la scure del boia: le posò un delicato bacio con labbra fresche e morbide, dal sapore quasi di zucchero.
“Grazie, perché mi dai la possibilità di riscattarmi dagli errori che faccio e mi permetti così di essere migliore. Sei una grande, bellissima persona, Veronica Scarlini della Torre.”
La baciò di nuovo sulle labbra mute, gelide e dure come pietra: quando si scostò, Veronica non riuscì nemmeno ad aprire la bocca. I suoi occhi si riempirono di stelle lucenti, ma il suo viso rimase immobile, pallido, infinitamente bello e fragile.
“Ora vado via… non volevo disturbarti. O preferisci che rimanga qui?”
Veronica accennò appena un diniego con la testa: le tremava talmente il petto che non si azzardò a profferire un fiato per paura di scoppiare a piangere, ragliando come un asino da soma.
“Ok. Posso… posso tornare domani? Ti prego. Ho tanto bisogno… vorrei vederti, ehm. Posso?”
Come dire di no a quei laghetti celesti e accorati?
Un nuovo cenno affermativo, rigido come se l’avesse fatto un sasso, riuscì a far illuminare il viso di Bianchi con un altro sorriso.
“Bene! Allora a domani, Veronica…” si avvicinò di nuovo alle sue labbra, titubante “Cara Veronica.”
La baciò un po’ più a lungo, malinconico e struggente come un tramonto di fine estate.
Poi si alzò: imbarazzato raccolse i fiori e li sistemò sul tavolino. Le carezzò le dita timidamente e poi un po’ goffo, salutandola con la mano, uscì dalla stanza, chiudendosi educatamente la porta alle spalle.
*          *          *
Dopo alcuni secondi di assoluto silenzio, Veronica intuì un frusciare stizzito e la testa di Tebaldo emerse dal bordo del letto.
“Mi aspettavo quasi che iniziasse a suonare la cetra” bofonchiò sferzante “Non se ne andava più!”
Si alzò in piedi agilmente, si passò una mano tra e capelli e scrollò le spalle, di nuovo a suo agio e altero come se non fosse successo niente. Veronica, svuotata, era ancora immobile con le coperte tirate fino al mento e gli occhi socchiusi.
Tebaldo le lanciò un breve, insondabile sguardo.
“Guarda che adesso puoi respirare” le disse con voce piana “Il cherubino è uscito.”
“Mi sento una merda.” mormorò Veronica sovrappensiero: di sicuro, potendolo elaborare, non lo avrebbe detto così.
Tebaldo si mise ad armeggiare tra le coperte con aria indifferente.
“E perché? Sei stata ammirevole: hai detto il minimo indispensabile e sei rimasta fedele al tuo personaggio… molto algida, molto gran dame. La grande, bellissima persona che è Veronica Scarlini della Torre.”
Veronica girò lo sguardo appannato su di lui.
“L’hai sentito?”
“Ogni singolo punto interrogativo. Caro, dolce Bianchi. Veronica, che bella persona che sei, tu rifulgi di candida luce come una stella, t’amo pio bove… blah, mi sembrava di avere una palla di pelo di zucchero filato conficcata in gola, ancora un po’ e morivo soffocato. Hai visto la mia camicia?”
Veronica si mise a sedere, lentamente, laboriosamente: rovistò in mezzo alle coperte finché non emerse un indumento e glielo porse.
“Quello è tuo pigiama” le fece notare Tebaldo, sempre con quella voce impersonale e metallica “Mettitelo, se non vuoi prendere davvero la broncopleurite.”
Veronica obbedì diligente, come un automa: dalle manovre emerse anche la camicia di Tebaldo, tutta stazzonata e col colletto piegato. Lui se la mise con gesti rapidi e precisi, lisciandosela sul petto. Pochi minuti e sembrò di nuovo tutto normale: Tebaldo in piedi, vestito di tutto punto, e Veronica a letto, col viso pallido e così serio da sfiorare il triste.
“Beh, allora vado anche io” sbottò Tebaldo evitando di guardarla in faccia “Non temere, sguscerò da un anfratto buio all’altro, sfuggendo abilmente al radar del tuo dobermann colombiano. E ovviamente, mi guarderò bene dal tornare domani. Per quanto sia risultata esilarante tutta la faccenda, non vorrei dover visitare di nuovo il sottobosco del tuo talamo. Fammi sapere come procede la broncopleurite, ok? Ossequi.”
Si girò bruscamente e Veronica riprese di colpo la propria dispersa vitalità.
“Tebaldo!” gracidò: buttò le coperte di lato e fece per scendere dal letto.
Tebaldo le lanciò un breve sguardo da sopra la spalla.
“Stai ferma, che nemmeno ti reggi in piedi… Che vuoi?”
Veronica dovette deglutire un paio di volte: qualcosa le bloccava la voce in gola, qualcosa di atavico e dolente, intriso di orgoglio, di caparbietà e di pudore. Ma il male che sentiva al cuore risultò più forte e riuscì a sciogliere quel nodo almeno in parte.
“Non te ne andare Tebaldo.” disse quindi in un soffio.
“Perché? Il cherubino ti ha fatto una bella dichiarazione d’amore, mi sembra. Un po’ moscia per i miei gusti, così vittoriana e sdolcinata. Io non sarei mai in grado di partorire una cosa così diabetica, ma a voi femmine dovrebbe piacere una cosuccia Austeniana, quindi… che vuoi di più?”
Veronica boccheggiò: la schiena di Tebaldo era così slanciata e vicina e nello stesso tempo così rigida e lontana… se Veronica fosse stata coerente con sé stessa a quel punto avrebbe dovuto riprendere in mano le redini del suo status quo, avrebbe dato una risposta sferzante al caro cugino e l’avrebbe visto uscire dalla porta e dalla sua vita, forse per sempre. Ma quel pensiero era troppo dolorosamente inaccettabile per lasciarlo avverare.
“Tebaldo…”
Non voleva che lui uscisse dalla sua vita: non voleva, punto e basta.
“Stai qui con me, per… per favore.”
Le costò la forza di una vita intera dire quelle ultime due parole.
Tebaldo, dopo qualche attimo di annoiata immobilità, si girò lentamente. Finalmente, i suoi occhi incontrarono quelli di Veronica che poté vedere quanta immane fatica gli stesse costando fingersi così indifferente. Fu decisamente uno shock: per reazione gli tese una mano e lui, quasi sovrappensiero, quasi contro la sua volontà, la prese e la tenne stretta…e Veronica, nonostante la febbre e il rimorso e lo schifo che sentiva di essere, si sentì vergognosamente meglio.
“I tuoi ossicini sembrano dei maledetti ghiaccioli.” borbottò Tebaldo tra i denti.
Era arrabbiato perché non riusciva a lasciarla andare: anzi, era furioso. Anzi, era terrorizzato.
“Che devo fare?” pigolò Veronica con occhi supplichevoli “Ho provato a dire a Bianchi di starmi lontano… ma lui non me l’ha permesso… ed ora non so se essere arrabbiata con lui o continuare a sentirmi così sporca e… ecco, simile alle Marie… non so con che altro paragone insultarmi…”
Tebaldo scrollò le spalle stizzito.
“Puoi ancora scegliere di archiviare il nostro incontro come un imprevisto incidente pomeridiano dovuto ovviamente a virus influenzale, dimenticarlo e buttarti ancora virtualmente vergine fra le braccia del tuo biondo principe plebeo.”
Veronica sembrò quasi meditarci sopra seriamente: suo malgrado, il cuore di Tebaldo tremò. Il cuore o qualsiasi cosa risiedesse momentaneamente nella scatola toracica permettendosi di mandargli impulsi dolorosi lungo tutto il corpo.
“Non posso.” rispose alla fine Veronica, chiamando a raccolta tutto il suo coraggio per guardarlo negli occhi.
“Non puoi essere virtualmente vergine?”
“Non posso dimenticare. E tu piantala di volermi ferire a tutti i costi. E’ già abbastanza difficile parlare con te senza che ti metti a fare lo stronzo di turno.”
“Oltre che difficile, parlare di queste inutili fesserie  potrebbe essere anche sbagliato.” ringhiò Tebaldo gelido: ma non mollò la sua mano. 
“Lo è sicuramente” meditò Veronica cupa “E se avessi scelta, di sicuro non sarei qui in pigiama, coi capelli bisunti e la faccia struccata a supplicarti di restarmi vicino.”
“Ma tu ce l’hai una scelta” disse Tebaldo con voce metallica “Hai sentito quello che il cherubino ha detto di te: onesta, sincera, cristallina… Dove lo trovi un altro essere umano con una tale elevata opinione di te? Dopo tutto quello che hai combinato per accaparrarti Bambi, ovvero mettere al mondo e poi uccidere Gladi, i sotterfugi, le lezioni e le lasagne… che ci stai a fare qui con me. E’ ovvio che devi scegliere lui.”
“Dovrei. Cazzo, lo so che dovrei.”
“Non diventare volgare.”
Veronica lo guardava con occhi così grandi… maledizione!
“Dovrei e basta, senza nemmeno un perché.”
“E allora piantala di guardarmi così.” sbottò Tebaldo di punto in bianco con cattiveria.
“Non ci riesco!” rispose Veronica, con altrettanto livore “Credi che non sarebbe mille volte più facile mandarti fuori di qui a calci nel culo e sentirmi una persona migliore vicino a un ragazzo dolce, onesto, bravo… una persona che ho cercato e voluto fino a rendermi ridicola davanti a tutti, fino a giocarmi ogni singolo credito guadagnato in tutta la mia vita, pur di ottenere la sua attenzione… credi che vorrei davvero te se avessi scelta?”
 “Cosa vuoi che ti dica? Che anche io ti voglio? Che ti chiami anche io cara Veronica, ti porti i fiori e ti dia i bacini casti e puri sulle mani? Io non sono un maledetto biondo eunuco, Veronica.”
“Lo so.”
“A volte vorrei strozzarti e il più delle volte detesto la tua spocchia e la tua convinzione di poter girare la realtà a tuo schifo piacimento.”
“La cosa è assolutamente reciproca, Tebaldo.”
“Per me non sei né pura né santa come la Madonna reincarnata. Anzi. Sei subdola e calcolatrice e machiavellica… e a volte anche meschina.”
“Lo so. Lo so, uffa, lo so!”
“Se lo sai non guardarmi così!”
“Baciami, Tebaldo.”
Ecco, l’aveva detto. D’altronde, non voleva altro, in quel dannato momento. Rimase col fiato sospeso e gli occhi enormi, seduta sul letto col pigiama allacciato storto e la mano nella sua. Tebaldo le lanciò uno sguardo di puro furore.
“Tu sei una stronza integrale, Veronica. Lasciatelo dire.”
“Ok. Concordo e sottoscrivo. Sono una stronza, snob, senza cuore e senza cervello, morirò e brucerò tra le fiamme dell’Inferno in eterno. Ma adesso mi baci, porco cazzo?”
Tebaldo la tirò forte per la mano fino a farla alzare in piedi, la prese per la vita con rude impazienza e la strinse forte. Le sue labbra asciutte le baciarono l’orecchio, la guancia, il naso, la bocca, con una stizza che sembrava chiedere pietà. Veronica si lasciò andare contro di lui con un sospiro di resa.
Basta, Tebaldo aveva vinto. O forse Grimilde aveva vinto. O era stata Veronica? Forse non aveva vinto nessuno: eppure, mentre baciava Tebaldo stringendosi a lui, Veronica si sentiva decisamente sul gradino più alto del podio, senza assolutamente saperne la ragione.
“Ce ne pentiremo amaramente.” trovò il tempo di dirle Tebaldo, bocca contro bocca: prima che lei potesse rispondere, le mordicchiò il mento facendole quasi perdere il filo logico… posto che ci fosse mai stato.
“Si…” rispose poi, inebriata dal contatto ruvido della guancia di Tebaldo contro le labbra.
“Arriveremo a odiarci.” gorgogliò di nuovo roco, passandole la lingua sulla vena che pulsava impazzita sul collo. Le sue mani la percorrevano con impazienza, ma tremavano ed erano quasi gentili. A Veronica sembrò di avere il cuore enorme tanto batteva furioso nel petto.
“Noi ci odiamo, già, Tebaldo.” precisò azzeccando l’argomento per pura combinazione astrale.
“E allora, che stiamo facendo?”
Come poteva dirgli che non lo sapeva e che, nello stesso tempo, lo sapeva perfettamente? Non c’era una ragione precisa: Veronica sentiva che doveva essere così e basta. Le si spezzava il cuore a pensare al faccino dolce di Bianchi, ma non poteva farci niente… Era Tebaldo che le faceva scorrere il sangue nelle vene, Tebaldo che la chiamava a sé come un magnete, facendola sentire sicura e ferma al centro dell’universo solo se stretta fra le sue braccia.
“Finiremo in un mare di guai.” sussurrò Tebaldo togliendole la giacca del pigiama e carezzandole le braccia nude coi palmi aperti, ingordi di contatto di pelle.
“Adesso chiudi quel maledetto becco.” ordinò Veronica trascinandolo con sé sul letto.
A onor del vero, Tebaldo non chiuse del tutto il suo maledetto becco, ma Veronica per le ore successive non ebbe più di che lamentarsi.
*          *          *
Prima di aprire gli occhi, la mattina successiva, Veronica visse un’esperienza così anomala che aveva dell’extrasensoriale. Per qualche minuto intessuto di silenzio, si sentì come mai si era sentita in vita sua, ovvero completamente e definitivamente rilassata e in sintonia con l’universo. Nemmeno il più invasivo massaggio ayurvedico di Padavandra era mai riuscito il quell’intento: c’erano sempre cose da fare, amenità a cui pensare… Certo, quelle cose c’erano ancora: ma in quel momento di perfetta armonia, ancora non avevano trapassato le soglie della percezione e l’unica cosa che rimaneva a permearle i sensi era la pace. Pigramente, Veronica pensò che era così che la gente comune doveva sentirsi dopo aver passato una notte di (amore…?) buon sesso, coadiuvato da una probabile overdose di aspirine. Pensare a quanto aveva snobbato i plebei… e loro che avevano sempre avuto tanto di più. Alla faccia del suo tanto palese snobismo.
Veronica sorrise mentalmente, ma in realtà non osò muoversi: aveva la testa posata sul petto di Tebaldo e ancora non si capacitava di quanto il suo respiro tranquillo contribuisse al senso di pace assoluta che la pervadeva.
Era stata una notte fuori dal tempo, quella appena passata: aveva perso il conto di quante volte si era persa in un onirico mondo fatto di pura essenza di piacere.
Fortuna che aveva porte insonorizzate in tutta la casa: non osava ancora immaginare a cosa avesse pensato Inocencia della sua porta chiusa, del vassoio della cena ancora sul carrello davanti alla suddetta porta, del suo ostinato mutismo. In realtà al pensiero della faccia dubbiosa della domestica lei e Tebaldo si erano fatti delle sghignazzate assurde sotto le coperte, come due bambini colpevoli di qualche marachella.
Lei e Tebaldo.
Solo a pensare al suo nome, il cuore prese a batterle più velocemente nel petto.
Quella notte il perfido cugino era stato qualcuno di completamente nuovo e allo stesso tempo la presenza consolatoria di sempre. Era stato dolce e ruvido, esigente e generoso, silenzioso e ciarliero. Era stato… presente. Accessibile. Era stato così vicino che Veronica aveva potuto toccarlo dentro. E la stessa cosa era successa a lei: mai in tutta la vita si era concessa di lasciarsi andare così completamente, sia fisicamente che emotivamente. Nonostante fossero già stati a letto insieme, in precedenza, era stato come fare l’amore per la prima volta. Per lei sicuramente... ma anche per lui, Veronica ne era certa.
Già il fatto che fosse rimasto con lei tutta la notte, era un evento che non aveva precedenti: a un certo punto erano rimasti abbracciati per un tempo lunghissimo e Veronica si era quasi convinta che Tebaldo si fosse addormentato o caduto in coma (non poteva rimanere in quella posizione così palesemente anti-tebaldiana di sponte propria, continuava a sottolineare incredulo il suo pensiero) quando la sua voce sorniona l’aveva sorpresa, bassa e morbida e ridanciana:
“Ti avviso che se vuoi amputarmi il braccio il momento migliore è adesso: sono tre ore che ho perso i contatti con quella mia appendice.”
Veronica aveva sogghignato, ma non si era spostata: e nemmeno lui si era mosso, benché avesse brontolato e bofonchiato tutto il tempo.
Ah, era stato davvero… bellissimo. Non c’erano altre parole.
Veronica sospirò, completamente appagata. Poi recepì qualcosa di anomalo.
(No, non ancora, per favore! Realtà, stai fuori dalle balle…)
Un odore. Anzi, un profumo sottile e persistente di fiori. I fiori che aveva portato Bianchi.
(No, no, no, niente fiori, niente pensieri! Niente di niente, per favore…)
Veronica strinse gli occhi e trattenne il fiato.
“Stai facendo le prove di apnea o ti sta venendo una disfunzione all’apparato respiratorio?” domandò sorniona la voce ben sveglia di Tebaldo.
“Chiudi il becco e dormi” ruggì Veronica strizzando gli occhi ben decisa a non aprirli “E mettiti comodo, perché questo momento non deve finire per i prossimi cento anni, cazzo.”
Tebaldo ridacchio sottovoce.
“Credo abbia detto più o meno la stessa cosa Giulietta la mattina dopo il matrimonio con Romeo, anche se lei vaneggiava di allodole e usignoli mentre tu, cuore mio, sei stata un filino più prosaica.”
“Shakespeare non fa testo. Anzi, lo fa… Ora che ci penso, anche secondo lui Tebaldo è il nome del cugino cattivo e stronzo.”
“E persino la balia si chiamava davvero Innocenzia. Da brivido la precisione di certe coincidenze.”
Veronica spalancò gli occhi e alzò la testa bruscamente.
“Dai, non è vero.” minacciò sospettosa.
“Infatti, non lo è. Però ho ottenuto lo scopo, ti sei spostata e adesso posso finalmente riprendere a respirare. Sei del tutto sveglia, adesso?”
A malincuore, Veronica annuì. Spaziando con l’occhio pigro intorno alla stanza, identificò il mazzo di fiori di Bianchi dove lo aveva lasciato. Aveva un’aria depressa e appassita: il soffuso senso di benessere sparì bruscamente sostituito da un progressivo senso di disagio che dovette trasparirle dal viso perché anche Tebaldo, con un mezzo sospiro, si rizzò a sedere immediatamente.
Si guardarono per un attimo, incerti: Veronica dovette ammettere che in vita sua non aveva mai visto niente di più mortalmente sexy di Tebaldo a torso nudo, con i capelli spettinati e l’aria languida del risveglio. In compenso, lei si sentiva vergognosamente antiestetica e arruffata: raccolse le lenzuola e se le arrotolò intorno alle spalle, scatenando il ritorno del sopracciglio altezzoso di Tebaldo.
“Non insistere col seppellirti in quella specie di burqa” le suggerì allegro “Ormai ti ho vista.”
“Sono orribile.” si difese Veronica burbera.
“Si, e tale visione mi rimarrà impressa nelle retine per secoli a venire, ma ormai è appurato che posso sopravvivere anche così.”
“Sei proprio uno stronzo.”
“Va là, che sei bellissima.”
Lo disse in maniera quasi schiva, sfuggendo al suo sguardo: Veronica non poté fare a meno di sentirsi emozionata come una bimba il giorno del suo compleanno, ma poi lo sguardo le cadde di nuovo sul mazzo di fiori appassito e il sorriso si spense prima ancora di nascere.
“Merda” mormorò affranta “Oggi è un altro giorno.”
“Da Giulietta a Rossella O’Hara nel giro di un minuto: la professoressa di letteratura sarebbe fiera di te!”
“Sai cosa voglio dire.” ribatté Veronica stizzita: le era un po’ passato il buonumore e la realtà le premeva addosso con una pressione di cento atmosfere.
“Certo che lo so.” disse Tebaldo: la sua voce era sempre sorniona, ma si sentiva che il suo sorriso era sparito.
Con molta grazia, si alzò dal letto e cominciò a rivestirsi, finché non intercettò lo sguardo cupo di Veronica su di sé.
“Che c’è?”
“C’è che mi sento una merda completa e vorrei poter chiedere scusa al mondo per la mia stronzaggine espiando la mia vergogna con 50 colpi di scudiscio uncinato… e nello stesso tempo vorrei che tu tornassi qui sotto le coperte con me.”
Le ultime parole le disse con una voce scorbutica e piccina, vergognandosi a morte. Tebaldo continuò a vestirsi come se niente fosse, ma il sorriso tornò magicamente nella sua voce.
“L’idea dello scudiscio uncinato non è male: se lo abbini a un body in latex e la mascherina da cat woman dimmi qualcosa che ti vengo a riprendere con la telecamera.”
“Ho paura, Tebaldo.”
Veronica lo disse in un soffio, e non era mai stata più sincera. Tebaldo armeggiò concentrato con la cintura dei pantaloni.
“Che vuoi fare, adesso?” le chiese poi molto formale.
“Non lo so. Dovrei dire a Bianchi che non è più il mio pseudo fidanzato, o qualsiasi cosa pensasse di essere. Ma come faccio…? Io… io non posso farlo.”
“A no?”
La voce di Tebaldo era glaciale, la raffreddò fin dentro l’anima.
“Cerca di capire, Tebaldo. Lui è… così dolce. Non voglio comportarmi da Grimilde per l’ennesima volta: almeno per lui voglio essere migliore. Ho bisogno che qualcuno come Bianchi mi consideri una brava persona.”
Le intenzioni di Veronica erano davvero buone, per una volta: sapeva di aver agito ancora una volta da Grimilde, ghermendo l’innocente Bianchi con i suoi artigli e voleva lasciarlo andare dolcemente, in modo da non ferirlo più del dovuto. Ma qualcosa le diceva che Tebaldo non stava affatto recependo la faccenda  in quella maniera.
“Capisco. Vuoi dire che non te ne frega niente di apparire come perfetta stronza con persone che non meritano la tua stima, come la tua pseudo madre Inocencia, la tua pseudo coscienza Oleana o il tuo pseudo sex toy il caro cugino Tebaldo… ma te ne frega di rimanere la “cara Veronica” per un eunuco biondo che a malapena sa di essere al mondo. Interessante.”
Lo sguardo di Veronica si fece duro: passata la febbre, rispuntò ostinata la base adamantina del suo orgoglio, cosa che la rese immediatamente distante e fredda.
“A quanto pare, la stima di suddette persone non riuscirò mai ad averla, qualsiasi cosa faccia. Quindi si, a costo di ferire il mio sex toy sono convinta che sia opportuno con Bianchi muovermi secondo i tempi che riterrò più giusti.”
Tebaldo si alzò in piedi agilmente: il suo viso era di nuovo apparentemente altero e disinteressato.
“Capisco. Quindi lascerai che Bianchi ti consideri la sua, come dire… fidanzata.”
“Per il momento.” rispose Veronica lentamente: era per il loro stesso bene… come poteva non capirlo?
“Lui oggi verrà qui e penserà di poterti legittimamente stare vicino. Toccarti. Metterti la lingua in bocca, magari. E tu, immagino, glielo lascerai fare. Sarà solo il tuo modo di immolarti per la causa, si capisce.”
“Tebaldo, non fare lo stronzo.”
“Io? Quando mai. Mi limito a prendere atto. A me sta più che bene. Povera Gladi, si rivolterà nella tomba.”
“Stai dicendo delle pericolose vaccate.” lo ammonì Veronica sottovoce.
“Ah, io sto dicendo delle vaccate!”
Le lanciò uno sguardo lungo, durissimo: ferì Veronica più delle parole, più che se le avesse mollato uno schiaffo. Lo vide andare verso la porta con passo fluido ed elastico e sostare lì elegantemente, sfidandola con lo sguardo.
“Tebaldo, non lo fare.” sfiatò Veronica stringendo le lenzuola al petto.
“Che cosa?” tubò lui sorridendo.
“Qualsiasi cosa tu stia per fare. Ti conosco… conosco quello sguardo da bimbo cattivo. Non rovinare tutto, ti prego. Vieni qui e parliamo.”
Tebaldo buttò indietro al testa e rise.
“Parlare io e te! Ma dai, Grimilde… torna sulla Terra. Io e te non riusciamo a parlare. Al massimo possiamo scopare, ma immagino che oggi sia il turno di Bianchi di ripassarti a dovere.”
Veronica impallidì.
“Per favore, Tebaldo.”
Per tutta risposta, lui aprì la porta e si affacciò con decisione.
“Inocencia!” chiamò a gran voce con feroce allegria “Ehi, piccolo mastino colombiano, dove sei? Diamine, mi aspettavo che fosse qui a origliare da ieri sera…”
Inocencia arrivò trafelata correndo su dalle scale.
“Senor… senor Tebaldo? Da dove es entrado? Non hai visto passarla…”
“Infatti” rispose Tebaldo: la sua voce scricchiolava di cattiveria mentre si girava verso Veronica che lo guardava muta e immobile come se fosse di  pietra “Diletta cugina, ora tolgo le tende, ma da parte mia devo dire che stanotte la parte del sex toy si è dimostrata essere piuttosto piacevole, quindi se volessi trastullarti ancora con me non aspettare la prossima influenza per chiamarmi… mi metto a tua completa disposizione. Solo un consiglio, cambia le lenzuola prima di far passare da lì anche il povero Bianchi… non è igienico.”
Inocencia trattenne il fiato: guardò Tebaldo, poi Veronica, a lungo e intensamente. Lentamente, poi, abbassò gli occhi e con voce molto contrita sussurrò:
“Vado a prendere lenzuola pulite.”
Se ne andò silenziosa e con la schiena incurvata. Veronica sentì il petto farsi incandescente, come se ci avessero buttato dentro una colata di piombo.
“Questo non lo dovevi fare.” mormorò Veronica con la voce rotta.
“Che ti importa? E’ solo una domestica no?”
“Ti odio.” disse Veronica, e lo sentiva davvero, in ogni sua fibra.
“Anche io” sorrise Tebaldo “A presto Grimilde.”
Se ne andò via lasciando la porta aperta.
Veronica attese il silenzio, e quando arrivò lo trovò pesante come un macigno. Solo allora chiuse gli occhi e senza emettere un suono, pianse.
  
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