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Autore: Guardian1    02/11/2012    2 recensioni
“C’era una volta una ragazza di nome Yuffie, ma questa storia fa schifo, perché lo sanno tutti che le principesse delle fiabe sono bellissime, hanno gli occhi dolci e splendidi nomi fiabeschi come Aeris.”
Non funziona. Io non sono una principessa.
Sono solo una viaggiatrice.
… Sì, così può andare.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: FFVII
Capitoli:
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Nota della traduttrice: nell’originale i tempi verbali in questo capitolo si comportano in modo un po’ bizzarro, ma non completamente insensato. Non è la prima volta che mi capita con quest’autrice, in realtà, e anche stavolta ho provato a rimediare integrandoli e facendo il cambio solo nei punti in cui risultasse più coerente. La scelta del passato prossimo è stata fatta soprattutto in vista di questo capitolo, per rendere meno brusca la transizione. Spero di non aver fatto troppi casini.
Ci sono inoltre (forse più del solito) giochi di parole assolutamente intraducibili, che ho dovuto cambiare anche radicalmente, ma il significato è quello. Eeeeeeh.

Nota dell’autrice: a Tochira, che ha fatto asserire alla Yuffie che è in me che Vincent stava scompaginando la sua routine; a Demeter, che mi ha ricordato una cosa che avevo completamente dimentic- uh, cioè, messo da parte; e a tutti i miei calorosi, incoraggianti e incredibili recensori, cui voglio dire che non è finita finché non è finita davvero e che prima o poi vi ringrazierò tutti per la vostra eterna, entusiasta gentilezza e per la vostra pazienza divina. ^.~




Sunshine in Winter


capitolo tre






Ho sempre adorato sgattaiolare via nel cuore della notte.

Non c’è nulla che possa reggere il confronto. C’è quel senso di attesa quando la sera ti sdrai nel letto senza dormire e sai, tu sai che ehi, stai per partire e domani mattina tutti avranno un gattino tra i piedi. Ti vesti di nero da capo a piedi. Cammini in punta di piedi sulle assi del pavimento senza un perché, visto che tuo padre non vive nemmeno più in casa con te. Corri sui tetti degli altri, solo perché puoi farlo…

… quando sarebbe stato molto più pratico uscire dalla porta sul retro di casa tua e oltrepassare a piedi la foresta, come era intenzione di Vincent Valentine.

« Senti, è una questione di stile » gli ho fatto notare, tremante di eccitazione e tanto speranzosa da avere il mal di pancia. « Cioè, a te va bene, tanto tu ti saresti vestito comunque di nero, caro il mio Mono-Valentine, ma io, io me ne vado con… con… con i vestiti sbagliati. Non è lo stile giusto. »

« Yuffie, lo stile giusto sarà portarti nella foresta e sperare che non incontriamo nulla di più feroce di me. Cid ci aspetta dall’altra parte di modo che Godo non senta l’Highwind e mangi la foglia. Francamente, la mangerà domattina e dubito che mi perdonerà mai per quello che sto facendo. »

« Vincent, tesoro, non esiste nulla più feroce di te – e guardala così: se non dovesse perdonarti, non dovrai mai regnare su Wutai. »

« Non che io lo voglia. »

« Dai, Vinnie. » Mi sono tirata a sedere; era tardo pomeriggio. Guardavo Vincent preparare le valigie, col sole d’autunno che gli convertiva i capelli in pece liquida mentre piegava con tutte le premure i miei vestiti invernali. Stavamo bevendo il tè; mi sono allungata a fatica verso il comodino per posare la tazza vuota. « Non sarà poi tanto maaaaaargh! »

Vincent mi ha impedito giusto in tempo di rovesciarmi completamente dalla poltrona imbottita e siamo finiti tutti e due per terra in un doloroso gomitolo starnazzante, con lui schiacciato di schiena da me, premuta sul suo petto. Non ho sentito un gran male – la mia gamba malandata non era stata nemmeno sfiorata – perciò sono scoppiata a ridere e ho ignorato il fatto che ero appena caduta da una sedia perché il mio corpo non funzionava. Con un sospiro sofferto, lui si è messo a sedere portandomi con sé, tenendomi sulle gambe mentre infilava una bustina di pillole in un giubbotto.

Io gli ho appoggiato la testa sulla spalla, spingendomi dentro di lui e sentendo i muscoli flettersi sotto la sua pelle a ogni movimento. Odiosamente scomodo. Era bellissimo. « Che facciamo se guarisco? » ho chiesto per la milionesima volta. C’è gente che chiede cosa potrebbe fare in caso di vincita della lotteria; io chiedo della mia salute.

La sua guancia mi ha sfiorato i capelli quando lui si è abbassato un po’, attento a non spostare me e quindi il mio disgustoso arto gonfio mentre aggiungeva l’indumento a uno zaino. « Molte cose, suppongo, Yuffie. »

« Io mi comprerò dei vestiti nuovi. Che mi mettano in mostra le gambe. Hai presente, tipo minigonne e pantaloncini corti e, sai che ti dico, perché tanto disturbo, andrò in giro nuda per una settimana. »

Un rossore gli ha macchiato le guance, e come cosa era un po’ stupida dal momento che mi aveva visto nuda ventimila volte. Non era esattamente la vista più erotica del mondo, se non si era necrofili e appassionati di cadaveri molto freschi. D’altra parte, però, lui aveva dormito per trent’anni in una bara…  « Ne sono convinto. »

« Tu che farai? Usciamo fuori a festeggiare, giusto? »

« Naturalmente. »

« Come? »

Lui ha soppesato la risposta per un po’. « … Ti porterei a fare un’escursione alla cascata che nasce dal Li Xue » ha iniziato, nominando le colline brulle un po’ a sud di Wutai. « Potremmo sederci in cima, accanto alle rocce, a guardare l’acqua scrosciare giù. »

« E potremmo mangiare il gelato. »

« … Sì, potremmo mangiare il gelato. »

« Che gusto? »

« Variegato al fudge » ha replicato prontamente. Dio, quest’uomo ha così tante sfaccettature che toccandolo potrei tagliarmi. È un ex-Turk, ha sangue di demone, è un pluri-pluri-omicida, un amante respinto e un peccatore paranoico devoto all’auto-flaggelazione, ma riesce ancora a trovare l’umanità necessaria per apprezzare il variegato al fudge.

Cioè, da cotanto angst ci si aspetterebbe una preferenza per menta e scaglie di cioccolato.

« Lo mangeremmo con i cucchiaini? »

Lui ha increspato le sopracciglia, voltando la testa verso di me e passandomi distrattamente un dito sull’osso sporgente dello zigomo. La mia carne è talmente tirata sulle ossa che sono come un aquilone sul telaio. La mia anima inizia a desiderare di scappare dalle catene imperfette che la legano alla terra. C’è un pericoloso pezzo di me che vorrebbe soltanto dormire. « Come altrimenti vorresti mangiarlo, il gelato? »

« Con le dita. Lo scavi con le dita e lo mangi con le mani che ti si fanno tutte appiccicose, ti si sporca metà faccia e passi la mezz’ora successiva a succhiartelo dalle l-la-labbra- » Sono esplosa di nuovo in accessi di tosse e ho voltato la faccia per sfogarli sul cotone celeste della maglia abbottonata. Si è screziata di rosso. Mi ero rotta ancora una volta la gola; o forse era il sangue delle piaghe nello stomaco, dimentico sempre.

Le dita di Vincent mi hanno pulito il liquido rosso dalle labbra, quasi senza accorgersene. Siamo così impregnati di morte che ormai non è più una gran cosa. « Cosa faremmo dopo aver mangiato il gelato, Yuffie? » ha incalzato gentilmente.

« N-nuoteremmo nel f-fiume. » I miei attacchi di tosse possono durare ore. « E-e-e-e ci asicug-gheremmo sulle rocce. E… »

Mi ha pulito la bocca, ripetutamente. Le convulsioni snervanti si sono smorzate. « E? »

« E poi… » Mi sono spremuta le meningi per visualizzare la zona. Non ci vado da anni. « E poi andiamo a mangiare i mirtilli dai cespugli, se sono maturi, e li mangiamo anche se non lo sono, e poi ci sediamo lì vicino con i crampi allo stomaco che durano ore e probabilmente vomitiamo tra i cespugli. Almeno, io lo farei, e tu diresti: “… Non avresti dovuto mangiarli, Yuffie, ti avevo detto di non farlo” e mi massaggeresti la schiena. »

Inconsciamente, lui ha cominciato davvero a massaggiarmi la schiena, poi ha smesso non appena resosi conto di ciò che stava facendo. Io ho mosso la schiena con impazienza perché ricominciasse, e lui ha eseguito, benché più lentamente. « Prometto di non lasciarti mangiare i mirtilli acerbi. »

« Non saranno acerbi. Questa è la mia fantasia futura, capito? Saranno perfetti. Avrò la bocca coperta di macchie viola. Non avranno nemmeno insetti. Poi ci spogliamo e rimaniamo in mutande – beh, almeno io, e nella mia fantasia futura, ti prenderò a calci con tutte e due le gambe per far spogliare anche te – e poi andiamo a nuotare nell’acqua e lì proverò a catturare i pesci senza mai riuscirci. Poi torniamo a casa, giusto? »

« Giusto. » Le sue dita mi hanno strofinato la parte superiore della schiena; quella inferiore non le sentiva. « E guarderemmo il tramonto. »

« Rosso, oro, viola, e arancione. »

« Certo. »

« Vinnie, se guarisco- »

« Quando, Yuffie. »

« Okay, okay, pedante – quando guarisco, posso farti mettere un completino sexy e portanti a un ristorante di Junon? »

I suoi occhi rossi erano così confusi. Ha delle ciglia notevolmente lunghe. « Lo troveresti divertente? »

« Già! E poi farei il trucco della mousse al cioccolato. »

« … Ho paura di chiedere… »

« … È quando ti sfido a una gara a chi mangia più scodelle di mousse al cioccolato, poi io ne mangio troppe e vomito. Ovunque. »

« … Yuffie, per quale motivo tutti i tuoi sogni includono il vomito? »

Io ci ho pensato su. « Boh. È che è questo che succede nella vita reale. Okay, niente vomito. Io vinco la gara e tu mi devi portare a casa in braccio perché sono talmente piena di mousse al cioccolato da non riuscire a muovermi. Così va bene? »

I suoi occhi brillavano, come una notte stellata d’estate. « Va benissimo. » Ha chiuso la zip dello zaino ormai pieno, e dentro vi ho intravisto il bagliore di uno dei suoi revolver. Un paio di giorni fa mi ha insegnato a sparare. Il rinculo mi ha praticamente fatto esplodere la faccia.

« … Vincent. »

« Yuffie. »

« Tu non torni a Gongaga se guarisco, vero? »

Lui ha battuto lentamente le palpebre. « Io… no, Yuffie, ci sarò, voglio essere partecipe. »

« Ma prima o poi? »

« Yuffie » ha detto sardonicamente il mio tiratore scelto, « stai vendendo la pelle dell’orso talmente prima di averlo ucciso che adesso vuole una percentuale. »

« Però? » ho insistito.

« … Però… sì. Se tu lo volessi. Potresti non volerlo dopo… dopo che sarai guarita. »

« Io ti vorrò sempre. »

« Allora anch’io ti vorrò sempre, se lo desideri. »

Non sapevo cosa ci fossimo appena detti, ma avevo la sensazione che se avessi starnutito il mondo avrebbe potuto sgretolarsi. Per tutti gli Dei, perché tutto quello che dice Vincent dev’essere per forza una specie di metafora. Se gli chiedi se preferisce tè o caffè lui attacca con i deliri sul sole che sfavilla sulla neve delle montagne. Ma suppongo sia meglio di un “…”, che è quanto avrei ricevuto in risposta un anno fa o giù di lì. O di una lugubre associazione tra il peccato e la caffeina.

« Sempre è un sacco di tempo. Hai messo pure il mio chocobo di lana? »

« Non dimenticherei mai Chocobo di Lana. »

« Allora è tutto pronto, vero? » Mi sono ributtata tra le sue braccia, sentendomi di colpo intontita e pronta a rannicchiarmi contro di lui prima di addormentarmi. « Non so come farò a dormire stanotte, Vince. »

« Io sì » ha mormorato, alzandosi e avanzando di qualche passo per adagiarmi sul letto. « Ti ho ho corretto il tè con dei sonniferi. »

« Stronzo » sono riuscita a biascicare, e credo di essermi addormentata ancora prima che tutto diventasse nero.




Ci sono innumerevoli tipi di amore. Quello tra me e Vincent non saprei neanche classificarlo.

Quando ero bambina leggevo le fiabe e pensavo che l’amore sarebbe stato il Principe Azzurro. Il mio amore sarebbe stato un pezzo di figo. Il mio amore avrebbe litigato con me incessantemente, e avremmo avuto passione, e sesso e tutta quella roba lì, con un pizzico di infuocata lussuria e forse un po’ di angst a condire il tutto. Dunque il Lieto Fine, forse un paio di figli che sarebbero stati le fotocopie mie e di Principe Pezzodifigo. Poi…

Poi cosa? Yuffie Kisaragi, Extraordinaire Ladra Di Materia e… Casalinga Madre di Due. Qualcosa dentro di me avrebbe gridato per sempre di andare nella giungla senza Pezzodifigo per tornare a viaggiare.

O forse no? Non so più cosa voglia la mia anima. Mettere su casa? Riportare la mia vita a ciò che era stata, un vagabondare inconcludente? Sbarazzarsi del mio corpo e unirsi al Verde? Dei, avrei avuto la possibilità di scegliere? Avrei avuto una fine? Sapevo che il Lifestream esisteva, ma mi sarebbe piaciuto? Credevo di no – non senza Vincent.

Vincent…

Il mio amore per lui è incontrollabile, perché non posso impedirgli di gonfiarsi dentro di me come il nettare in un fiore, e perché non mi importa più se lui mi corrisponde nel modo sbagliato, finché rimarrà mio per sempre. Mio. Dentro di me. Uno, solo, tutto. Non so bene se mi importa di qualcosa o se c’è un modo giusto e un modo sbagliato di amare qualcuno; lui si è radicato in me a tal punto. È… non so come descriverlo, non pienamente, non nel modo in cui andrebbe descritto. È come se la tua ombra si mettesse d’improvviso a parlare… è come se un albero prendesse radice attorno al tuo cuore e germinasse. È… è come se Vincent fosse il Lifestream, per me. Non credo che il paradiso possa essere meglio di questo. Sono vicina alle lacrime e vorrei poterlo esprimere nel modo giusto, perché non so cosa voglio. Sono davvero innamorata di Vincent? Voglio fare l’amore con Vincent? Essendo vergine, non saprei spiegare benissimo la mia passione, o anche solo se è quel tipo giusto di passione che ti lascia senza fiato. Quando qualcuno ti tocca nuda giorno dopo giorno, quel tipo di lussuria immediata non è facilmente traducibile. Il pensiero… il pensiero di essere nuda nel modo giusto, però (giusto?), tra le sue braccia, tra le sue braccia anch’esse nude, beh… Brividi freddi. Ah. Sono ancora un’adolescente. Mi piace.

Non significherebbe nulla, però. Sarebbe soltanto l’ennesima nota nella nostra sinfonia a cento corde. L’amore è sempre così? Lui amava così? Riuscivo a capire ciò che Vincent provava quasi sempre, ma non nei miei confronti. Tremendamente disorientante.

Non voglio andarmene senza baciarlo.

Lo bacerò come una ragazza bacia il ragazzo per cui ha una cotta. Lo bacerò come una donna bacia un uomo, un uomo che ama. Lo bacerò come un soldato bacia un altro soldato quando sono nelle trincee e uno di loro sta per esplodere per un incantesimo di fuoco di alto livello. Lo bacerò come si baciano due amici, dolcemente e sulla bocca, i corpi così in sintonia da trasmettere un simbolismo diverso. Lo bacerò come un credente potrebbe baciare la sua divinità, e come un bambino potrebbe baciare il suo tutore.

Lo bacerò come Yuffie Kisaragi vuole baciare Vincent Valentine quando a guardare c’è soltanto lui. Almeno questo glielo devo.

… Ti prego, Altissimo, mio Dio. Se devi prendermi, non farmene andare senza prima aver detto ciò che voglio dire.

Perché mi adeguo?




Per le overdose, affidatevi pure a Vincent. Mi sono svegliata solo al mattino mentre lui mi trasportava nella foresta, il cielo notturno ancora intatto tra le cime degli alberi mentre mi accoccolavo meglio nel tepore delle sue braccia. Poteva portare me e due zaini pesanti e avere comunque un volto sereno e praticamente celestiale. Sentendomi muovere, Vincent mi ha stretto più al sicuro contro il suo petto.

« Fai schifo » ho esordito risentita. « Volevo essere sveglia per la nostra fuga. »

« Lo so. »

« E mi hai drogato lo stesso. »

« Adesso stiamo scappando, no? »

« Sì, ma questa è la parte migliore. Hai incontrato mostri? »

« Mi sarei dovuto mettere davvero d’impegno per trovarne. »

« E non ci hai nemmeno provato? »

Il tragitto fino all’Highwind è stato così breve da non sembrare neanche un viaggio; Cid ci aspettava sulla sommità della collina, una piccola stella arancione nel buio a segnalare il punto in cui fumava. C’era qualcosa nel suo viso – non so cosa fosse, ma anche Vincent l’ha notato – che lo ha immobilizzato quando ha raggiunto la plancia. Non ha fatto domande; si è soltanto voltato verso di noi.

Ha spostato il peso da un piede all’altro, e alla fine ha preso una sigaretta e ha sputato nell’erba. « … Sei un gioiellino » si è complimentato con me.

« Sì, di bigiotteria. »

La battuta è morta nell’aria e dopo un po’ si è ficcato la sigaretta dietro l’orecchio, puntando gli occhi azzurri su Vincent. « Ho provato a dirglielo, Valentine, diamine. »

« … Che cosa? » Lui mi ha rigirato tra le braccia come una neonata.

« È che Strife e quella stramaledetta di Tifa, le anime belle, non hanno voluto sentire ragioni, si sono lasciati trascinare- »

« … Avevamo deciso che- »

La sigaretta gli è schizzata via dalle dita. « Lo so che avevamo deciso che non l’avrei detto, che cazzo! Ma stanno lì a parlarmene ogni santo giorno e una volta Shera si è fatta scappare una parolina e poi il segreto è così poco segreto che non posso farci più niente. »

Io ho cambiato posizione, a disagio, guardando di viso in viso e reprimendo un altro colpo di tosse sconquassante. Da quando le notti erano diventate così fredde? « Vinnie? Cid? Qualcuno potrebbe gentilmente darmi una tazza di che-diamine-sta-succedendo? »

Cid ha scosso la testa, disgustato, infilandosi le mani nelle tasche e dirigendosi con passo pesante verso la prua dell’aeronave. « Andate dentro » ci ha gracchiato, la voce che tagliava l’aria agitata sommessamente dal vento notturno. « Ricordate – adesso fate bei sorrisoni da ebeti. »

Io mi sono tirata su con difficoltà tra le braccia di Vincent, avvolgendo i bastoncini sottili di ossa e pelle attorno al suo collo per arrampicarmi meglio e fissare tra le sulfuree luci abbaglianti dell’interno della nave. La luce mi ha accecato, per un attimo, avendo gli occhi troppo sensibili, ma non appena si sono abituati ho sbattuto le palpebre.

« Oh mio Dio! E voi che ci fate qui? »

Erano tutti lì. Dal primo all’ultimo. Tifa, un po’ tanto compiaciuta di sé, la felicità che trasudava da ogni poro della sua pelle, e Cloud seduto sullo sfondo ad arrotare la Buster Sword; Barret, del colore del caffè, che mi sorrideva stupidamente come se fossi la barzelletta più bella del mondo mentre armeggiava con qualcosa nella schiena di un ghignante Cait; e Red, sulle zampe posteriori e dignitoso. Dolore dolore dolore oh il mio cuore si stava per spezzare dalla confusione e dalla gratitudine. I loro occhi si sono posati tutti su di me come se fossi una cosa orrenda per la vista, una carcassa, straziata e lacera – poi quello sguardo è sparito come se non fosse mai esistito e sono rispuntati i sorrisi.

Stupidi cretini. Chi poteva non adorarli?

« Abbiamo saputo che avevi bisogno di fare una gita tra le montagne » ha spiegato Cloud, mite e mellifluo. « Siamo venuti ad accompagnarti. »

« Insomma, solo per l’aspetto scenico » è intervenuta Tifa. Degli stramaledetti pupazzi gemelli, quei due.

Vincent si era congelato alle mie spalle. Sentivo la tensione nel suo torace e non capivo perché; ho cercato di ignorarla. Magari la sua era solo sorpresa e stava cercando di esprimerla attraverso ampi periodi di “…”.

« Red. Ragazzi. Oh… »

A dispetto della reazione del mio vampirico compagno, avevo comunque voglia di piangere; Tifa mi si è avvicinata e le ho sorriso come meglio ho potuto. « Oh, perché diavolo l’avete fatto? »

« Come se avremmo mai potuto perderci questo momento, Yuffie? » La voce di Red era ancora tanto dolce.

« È un’avventura, no? » ha fatto Barret. « L’AVALANCHE ti rivolterà come un calzino! Mica possiamo permetterti di farti precipitare a te e al tuo puzzoso culo wutaiano quando non puoi fare una benemerita min- »

« No. »

Tutte le teste sono scattate verso Vincent, lasciando me. Probabilmente è stato un sollievo.

« Eh? » è stata la domanda intelligente di Cloud.

« Questo non è il momento di discuterne. » La sua voce era tagliente come una frusta. Che accidenti gli era preso? Cid nel frattempo è risalito dalla rampa, si è posizionato un po’ dietro l’ex-Turk. « … Highwind. Porto Yuffie sul davanti per anestetizzarla. Se per favore- »

C’è stato un immediato brusio di protesta, l’unica cosa a fermare Vincent era la mia mano che era corsa a tirargli la coda di cavallo più forte che potevo. « Vinnie, no! Voglio parlare con loro durante il viaggio! Oh, eddai! »

« Valentine, non potete farcela senza di noi » ha sottolineato Cloud, avendo finalmente afferrato il senso delle parole di Vincent. « Senti, siamo messi meglio, va bene? Sarà una passeggiata, sappiamo come muoverci. Sarà- »

Vincent mi ha depositato tra le braccia di Cid come un mucchio di vestiti. « No. Dobbiamo consultarci. Porta Yuffie davanti, per favore, non c’è bisogno che partecipi- »

È stato solo allora che la mia ansia si è trasformata in orrore vero e proprio. « Che cosa?! » ho tuonato, colta da un attacco di tosse per lo stupore. « Vincent! Voglio che restino! Non farli andare via! Vincent! » Cid aveva già cominciato a portarmi con aria grave verso il ponte, allontanandosi dagli altri. Io mi sono dimenata come un gatto. « Fermo! Fermati, maledizione! Vincent! »

Lui mi ha gettato un’occhiata, gli occhi di sangue che bruciavano. Io piangevo come una tredicenne. Cloud stava già urlando contro Vincent, con la sua voce da Grande Capo Cattivo, e non potevo sovrastarlo. Il mio cuore batteva con incontenibile disperazione, impotente e genuinamente spaventato. Ho provato ad alzare il volume della voce per ripristinare in parte il mio vecchio strillo normale, la gola che graffiava in protesta.

« Basta! Vi – vi – vi- »

L’attacco di tosse ha la meglio. La forza che mi rastrella il petto è come un terremoto, le mie placche tettoniche che cozzano, il mio corpo che cerca di squarciarsi. Cid emette una lunga litania di parolacce mentre mi abbraccia forte e sento l’odore e il sapore del fumo delle sue sigarette; sto morendo, morendo, sto tentando di liberarmi. Lui cade in ginocchio per stringermi e mi tuffo all’indietro, la parte inferiore del mio corpo inerme e senza vita ma la gamba e le braccia si contorcono e gli occhi roteano nella mia testa e vedo cose bianche. Volto la testa di lato e sputo fuori rumorosamente, vergognosamente, ignobilmente, fottutamente vomito, solo che il fluido che esce è troppo sottile e viscoso e liquido per essere null’altro che una lunga, scivolosa bava di sangue. È quello che faccio sempre, no? Tutto è diventato un vuoto e nero nulla e le mani di Vincent, sono sulle mie, sono leggera come le fate, Vinnie-




« Ti ho pottato delle rose. Dal giaddino. »

Sono i fiori del primo inverno, di un rosa appena accennato, ricoperte di spine che pungono le mani più piccole. Le stringono mani forti e indurite, che non si pongono il problema delle spine, ma fanno attenzione alle morbide mani bianche che accettano da loro le rose con tanta serietà. Quelle non hanno più sangue da dare.

« Grazie. » La voce è pura, dolce e esile, come lei. « Fiori dal mio fiorellino. Me lo vai a prendere un vaso? Butta le calendole di quello là, stanno appassendo ed è perfetto. Grazie, piccola mia. »

« Fuori fa feddo. » Prova a fare conversazione. « Mamma, devo mettello propio il cappotto di Nami? È tutto vecchio e grigio e 'chifoso. »

« Sì, amore. Mi spiace tanto; le mie dita non hanno potuto fartene uno nuovo, quest’anno. » Sembra tanto dispiaciuta da essere perdonata per sempre. « Te ne farò comprare uno da tuo padre durante uno dei suoi viaggi commerciali. »

« Può essere rosso? » Adora il rosso.

« Sarà rosso come le fragole e i tramonti, fiorellino, più rosso di quanto mai potrai desiderare. »

Le mani si torcono in grembo. « I tuoi polmoni stanno meglio? »

La verità. « Non lo so. »

« Miglioreranno, sì? »

Una bugia. « Sì, tesoro. »

« Pecché devi stare meglio per il Festival. I budini come li fai tu non li fa nessuno. »

« Mi fai troppi complimenti, fiorellino mio. Gli Dei si arrabbieranno. » Ha un sorriso incredibile. « E così pure nonna Asako, che è una cuoca assai più brava. »

« Non è vero » la difende lealmente. « Tu sei molto più brava. Devo andare, mamma, ho lezione. Con Shake. »

« Dopo verrai a trovarmi? »

« Okay. » Il bacio sulla guancia, la corsetta veloce. « Ti voglio tanto bene, mamma. »

« Ti voglio bene, Yuffie. »





Sono rinvenuta e al mio risveglio stavo fissando due occhi azzurri spalancati come il cielo, e ho sbattuto le ciglia, completamente spaesata. Cid si è spostato la sigaretta all’altro angolo della bocca con impazienza; non era accesa.

« Dio, ragazzina » ha borbottato. « Ho pensato che mi fossi crepata addosso. »

« P-pure io. » È riaffiorato il ricordo dell’accaduto. « Cid, che cazzo succede? A che gioco sta giocando Vincent? Lo spirito sarà molto più facile da trovare se siamo in tanti, è pazzo se rifiuta la loro offerta, io- »

Avrei dovuto capire allora. Credo che avrei dovuto saperlo sin dal primo momento.

« Shhh, piccola, è solo un malinteso » mi ha tranquillizzato Cid. «Sai com’è Valentine, ha già un asso nella manica. Quel coglione di Cloud dovrebbe solo- »

« Nessuno mi dice niente. » Il dolore mi ha inondato il viso, abbruttendo i miei tratti. « Mi tratta ancora come se avessi dodici anni. »

« Perché ti comporti ancora come se li avessi » ha commentato acidamente. « Che Dio mi assista se avrò figlie come te. »

« Come sta il tuo piccoletto? »

« Kain? » I suoi lineamenti si sono addolciti, lievemente. « Ieri è rimasto con la testa incastrata in un barattolo. Abbiamo dovuto imburrargli tutta la testa per farla uscire fuori. »

Il che, ovviamente, mi ha fatto ridere tanto forte da farmi male alla schiena. « Segue già le orme del padre, eh? »

« Oh, ma chiudi quel cesso. »

« Con quella bocca mica ci baci Shera, vecchio s-stronzo dai capelli di petrolio? Oddio! Tu ti rendi conto che tuo figlio inizierà a dire parolacce prima dei dieci anni? »

Cid è parso virtuosamente imbarazzato. « Non posso dire parolacce » ha confessato. « Devo sganciare cinque gil come multa nella Giara delle Parolacce. »

Incapace di trattenermi, ho riso ancora più forte.

« Piccola Yuffie? Posso parlarti? »

Ho smesso bruscamente di ridere. « Sono tutta orecchi, Highwind. Quelle funzionano. »

« No, cioè- » Sembrava frustrato. « Oh, merda, io… »

« Non sai che vuoi dire? »

« Già. »

« Succede sempre anche a me. »

A quel punto mi ha guardato, calmo e tranquillo, e l’ho visto come il pilota che era il padre di un bambino e l’uomo dai molti sogni, di cui alcuni pure avverati. Si era lamentato aspramente di me, parlava in modo spicciolo, mi aveva buttato con la faccia nella sabbia e mi aveva rialzato ogni volta che ero caduta. Volevo bene a Cid, ho realizzato di colpo. Gli volevo un bene dell’anima. Se solo fossi stata in grado di-

Ehi, perché cazzo non avrei dovuto? Nessuno dovrebbe mai trattenere la lingua quando c’è qualcosa che va detto.

« Ti voglio bene. » Gli ho sorriso, e ho avuto il privilegio di vedergli cadere la sigaretta dalle labbra precipitosamente dischiuse.

« Colpo basso. » La sua voce era un bisbiglio duro, e il cielo si è riempito all’improvviso di gocce di pioggia. « Gli uomini vanno preparati per certe cose. »

« Tu mi vuoi bene, vero? » La mia voce era una cosa tenue, minuscola, da gattina. Ho capito che l’unica cosa che io abbia mai voluto dalla mia vita è essere amata.

« Secondo te? » ha chiesto. Io l’ho esaminato un po’, la barbetta ruvida che gli accarezzava le guance, i capelli biondi che stanno già assumendo il grigio dell’Highwind. « Oh, che Dio mi assista sul serio se mai avrò delle figlie irritanti, maleducate, cocciute e idiote come te, Kisaragi! »

« Spero che prendano da me e siano belle quanto scurrili » ho mormorato. « Spero che i maschi vengano a dirti che vogliono fare i ballerini in bar rozzi, e che le ragazze vadano in giro in tuta e siano convinte che i jeans siano un’espressione di stile. »

« Ti voglio bene » ha borbottato, in un basso così grave da andare quasi perduto, e ho capito che per tutta la mia vita lo sono stata.

Un altro viso è entrato nel mio campo visivo, un viso troppo familiare per i pensieri. Il volto di Vincent era teso come una corda di violino, e in mano aveva una siringa piena di tranquillante. Sapendo esattamente cosa significasse, mi sono rannicchiata.

« Ma che- » ha iniziato Cid.

« Lascia perdere. » Oddio, non vedevo quella furia da, penso, anni- « Yuffie, il braccio- »

Io l’ho guardato in maniera significativa e basta.

« Per favore, Yuffie, dopo capirai » ha detto laconicamente. « Dopo. Per favore. Cid? Siamo in ritardo. »

Non so perché mi sentissi tanto tradita in tutto e per tutto. Non sapevo cosa stava succedendo. Mi sentivo un po’ come se il nucleo del mio mondo si stesse disgregando e spappolando, e il mio cervello, mi rendeva così difficile pensare, non potevo far altro che guardarlo. Lui mi ha sollevato personalmente il braccio, controllando la siringa, e io ho distolto gli occhi.

« 'Notte, piccola » Cid si è rimesso la sigaretta in bocca e ha grugnito, tornando al ponte.

« 'Notte » ho brontolato in risposta, e l’ago è scivolato nella vena del braccio sinistro perché il destro aveva vene minuscole e chiuse e mi sono addormentata, desiderando di poter avere con me Cloud, perché anche se lui mi aveva portato da Sephiroth sapendo che probabilmente saremmo morti tutti, almeno ce lo aveva detto.




Mi sono risvegliata in molti posti.

Una volta ho dormito su un albero e sono caduta durante la notte, devo aver preso una bella botta alla testa, ma quando mi sono svegliata avevo un sacco di stupide rane mutanti della morte sulla pancia. Era stato abbastanza divertente, dopo che avevo smesso di urlare e mi ero pulita le interiora di rana dalle mani nude. In realtà non penso che quella storia faccia ridere. Dovevate esserci.

Sono una viaggiatrice. Credo che parte della ragione per cui sono rimasta a girare il mondo per tanti anni è che amavo essere tanto indipendente. Ho imparato prima a gattonare che a parlare. È tutta una questione di indipendenza. D’altra parte, ho imparato a lanciare delle scintille contro i gatti con la Lightning materia di mio padre prima di imparare a formulare delle frasi di senso compiuto o a non infilarmi il cibo nel naso, ma è il pensiero che conta, giusto?

Ma quando mi sveglio stavolta sono in una piccola tenda buia e fuori soffia il vento, imponente, freddo e pungente. Sono al riparo e penso che il mio corpo sia caldo, profondamente annidato in un cumulo di coperte, ma dentro sono gelida come il ghiaccio. Vedo Vincent, che accudisce un piccolo sistema di riscaldamento meccanico e biascica imprecazioni vecchio stampo a bassa voce. Si volta e si accorge che sono sveglia, poi torna al suo marchingegno, le dita spaccate e sanguinanti e i capelli ancora pieni di neve.

Lo fisso a lungo. Merda. « Siamo… dove? » domando stupidamente.

« Siamo arrivati. »

« Ma cosa- »

« Hai dormito durante il viaggio. »

« E- »

« Ti manda i suoi migliori auguri. »

« Io- » Ricomincio a tossire violentemente, torturando il mio corpo, gli occhi che roteano nella testa mentre aspettiamo entrambi pazientemente che finisca. Mi ci vuole un po’ per riprendermi, e percuoto molto flebilmente le coperte, desiderando che non fossero così pesanti, o doppie, o qui ad avvilupparmi. « Vincent, io- »

« Medicina » mi interrompe, lapidario. La medicina è diversa dal solito, l’usuale assortimento di aghi conficcati nelle braccia, ma niente compresse. C’è tè caldo, però, acquoso, dolce, con il retrogusto intenso della menta peperita. Il mio respiro si placa, da rumoroso e affannato com’era prima, nel glaciale stridore di denti del vento ululante. Mi ribolle nei polmoni.

Piego la testa all’indietro sui cuscini ammucchiati, con una bella sensazione di calore indotta dai farmaci che si propaga per il mio corpo, e apro gli occhi quando noto qualcosa. Il mio battito sembra strano; troppo veloce, un ritmo diverso, che danza al tempo dei tamburi di guerra.

« Vincent » lo chiamo infine, lenta, pronta e misurata. « Come cercheremo Aesculapius in questa tormenta? Sai, sulla mappa, avevo localizzato delle caverne, avremmo dovuto nasconderci lì- »

« Bloccate » ribatte, in tono piatto e lento.

« Bl- ma che significa? Vincent, io non ci capisco più un cazzo di quello che fai! Hai mandato via tutti i miei amici – che sono pure amici tuoi, brutto, brutto stronzo ingrato – e un’Earth materia può superare qualunque tipo di ostruzione, lo sai pure tu, avevi paura delle valanghe? Ah, per forza, altrimenti non avresti scacciato la nostra personale AVALANCHE! »

Cade un momento di silenzio. Per chi?

« Vincent? »

La sua voce è pesante e tenue come la neve fuori. Posso scorgere il suo viso illuminato dall’altalenante luce elettrica, e lo studio per un attimo. Le doppie sopracciglia scure come il carbone, capelli d’ebano tirati via dal viso dal sudore. Un viso pallido un po’ screpolato dal freddo; il naso forte, dritto, elegante. Gli zigomi alti e la mascella a forma di diamante, netta, delicata e bella. Gli occhi rossi come il sangue sulle rose e le pupille nere come il peccato. « Sì? »

« Che sta succedendo? »

Anche lui mi osserva a lungo, e si rizza a sedere. Ha una maglia a maniche lunghe rimboccate fino ai gomiti, e si intravede la sottile canottiera termica nella zona vicino al collo e agli avambracci. Le mani, forti, segnate e capaci, sbucciano gli strati di coperte – c’è un foglio di stagnola che usavo quando andavo in campeggio sui monti, ci saltavo sopra perché faceva dei rumori troppo belli – e con le dita fa scivolare il tessuto sottile del mio top di cotone madido di sudore giù per le spalle, fermandosi all’altezza delle costole. Oddio, ew, mi si sono ristrette le tette, vero? Non lo so, non mi guardo sotto quest’ottica né ci penso da un’eternità. Sono malata da… quello che sembra tutta la vita.

Sono ammaliata. Le piccole linee curve del veleno sono salite, sopra le protuberanze dure del mio torace, e se sollevo il mento, arrivavano anche più su. Sulla schiena e sulla spina dorsale, penso. Si riuniscono tutte sulla destra, al centro, una piccola massa irrequieta e spasmodica. Il mio cuore mormora ancora un battito. Sono arrivate lì. Il drago è nel mio cuore.

Questo pensiero mi scatena un altro attacco di tosse. La mano di Vincent si posa sulla mia bocca, quando mi sdraio ne viene fuori sporca di muco insanguinato. « Quanto ancora? »

« Qualche giorno. » La voce gli esce a forza, e guardare i suoi occhi è un’agonia. Tutto è un’agonia, mi rendo conto; è come se ci fossero due me stessa, il mio corpo e ciò che fa di me me. La me è separata dal corpo da qualche filo, e a volte ricordo che i fili esistono, e quella taglia il corpo e lo pugnala dall’interno.

« Aesculapius? »

« La caverna è bloccata. » È afflitto.

« Ti arrendi tanto facilmente? » All’improvviso sono furiosa. Questo è l’uomo che mi ha cullato fra le braccia e mi ha detto che avremmo vinto. Questa è la ragione per cui ho tenuto duro tanto a lungo. Lui e la sua speranza. « Figlio di puttana, la caverna- »

« L’ho bloccata io stesso » L’afflizione si tramuta in piombo. « Ho accompagnato qui gli scienziati della spedizione Aesculapius. Abbiamo bloccato la caverna. Dentro non c’era niente, solo un altare, nessuno spirito. Il vero luogo di culto era al di sotto della montagna e non l’abbiamo mai trovato. Allora l’abbiamo bloccata e l’abbiamo lasciata così. Ordini Shinra. »

Il Pianeta fa una rotazione su se stesso. « Hai mentito. Non c’è mai stato niente lì, vero? I libri avevano ragione. Tu mi hai mentito. »

« Ti prego. » Ha i lineamenti accartocciati, straziati. « Yuffie, non costringermi a- »

« Dire bugie? Bugie bugie bugie? Bu, gi, e. Che ne dici di una bella dose di bugie? Se non vuoi, puoi sempre mentire. Ti sei impigliato nella tua stessa ragnatela di bugie, eh? » Vedo tutto con perfetta chiarezza e il mio stesso veleno mi sgorga fuori dalla bocca. « Non volevi nessun altro in questo viaggetto perché loro avrebbero capito subito che non era vero. E quindi Aesculapius era una bugia e adesso morirò qui. Erano tutte bugie, Vinnie? Hai semplicemente continuato a raccontarmi stronzate per non farmi andare a dormire e farla finita prima, vero? » Il cuore mi rotola nel petto come un uccello morente che sbatte le ali. Imito il suo tono incolore e basso. « “Non ti lascerò morire, Yuffie.” Bugia. “Andrà tutto bene, Yuffie.” Bugia. “Ti voglio bene, Yu-” »

Mi dà una botta.

Non è uno schiaffo, è un colpo forte, mi arriva duro sulla bocca, per arrestare il flusso di vile, sudicio dolore, e rimango immobile con lo sguardo vitreo. Lui ansima, brutale come un animale, gli occhi fuori di sé.

« Come puoi dirmi questo? » riesce a dire, con voce bassa e grave. « Come, quando sai che la tua vita mi è più cara della mia, di… di ogni altra cosa, e come puoi dirmelo mentre sta succedendo questo – mentre sai cosa sta succedendo? Ti credevo più- » Non riesce più a parlare né io posso ascoltarlo, perché tremo senza aver freddo. Prendo dei profondi respiri singhiozzanti e tossisco, il mio cuore palpita e capisco che sta per cominciare un altro attacco e lui va a rovistare negli zaini e mi apre a forza la bocca, riponendo una minuscola pillola sotto la mia lingua che fa scoppiare tutto in uno strano delirio senza braccia e gambe.




Sua madre – seduta lì a fare il bucato, mentre lei si raddrizza sul bancone e guarda le bolle. La scena è sbagliata; dovrebbe avere sei anni, e invece ne ha diciannove, è gonfia e magra. Le mani di sua madre sono immerse nella schiuma fino ai polsi, l’acqua è imbrunata dal sangue.

« Mamma » chiede, sognante, notando che il sangue viene tutto dai polsi di sua madre, e che cola dolce e appiccicoso. « Com’è la morte? »

« È come chiedere come cantano le stelle, mio bene. » Sua madre continua a strizzare pazientemente i vestiti.

« Fa male? »

« Fa sempre male. »

« Mi sento come un uccello in un sacco buttato a fiume, mamma. »

Si volta a guardarla, divertita. « Allora becca il sacco e vola via, fiorellino. Se puoi scegliere tra affogare e volare, vola. »





Passano ore prima che riacquisti lucidità, nonostante a me siano sembrati cinque secondi. Lo guardo, sbatto le palpebre, sentendomi lenta, intontita e pesante, la lingua rigonfia e troppo grossa. Mi è bastato uno sguardo a lui per capire che tra noi c’è ancora rabbia, acuminata, asciutta e disperata.

La neve fuori infuria ancora, e non riesco a capire se è notte o giorno. Morire su una montagna nella neve. Non male, in realtà. Morire su una montagna durante una violenta tormenta non ha niente da invidiare a “morire nella pioggia” e a “colpo di pistola nel bel mezzo di una parata.” Sono sempre stata un po’ attratta da “in battaglia” o “per esplosione causa incidente con le materia,” o “per asfissia causata dai gil durante una tempesta anomala in cui sono piovuti soldi,” ma me lo farò bastare.

« Cosa mi hai dato? »

« … Un farmaco per il cervello » risponde. « Mahocine cetrinide. Calentura. »

Lo fisso. Grazie che non sento dolore, ma solo un vago pizzicore agli arti, un confortante tepore. « Quella roba sputtana il tronco cerebrale. Sai, ho sentito di più gente morta per quello che per- » Lui mi trucida con uno sguardo significativo, ma io lo ignoro. « E poi dove diamine l’hai trovata? »

« Bannon. Ha detto che ti sarebbe servita prima di morire. » La sua voce è di plastica. Senza emozioni.

Ormai sono un caso perso. Se questa roba gliel’ha passata Bannon, significa che progettava questa cosa da mesi. « Che stronzo. Sai sempre cos’è meglio per me, vero? Mi hai riportato a Wutai, hai deciso le cure che dovevo ricevere, hai fatto protrarre questa cazzo di malattia per mesi e mesi e- » Lui serra le mani, ma io sbuffo, la voce debole, la bocca che perde sangue. « Vuoi picchiarmi di nuovo? »

Vincent fa di peggio. Qualcosa gli gocciola sulle guance e atterra sulle sue mani. Sta piangendo.

« Ti ho guardato » dice furiosamente, « per mesi. Ti ho guardato morire. Ti ho guardato appassire e sparire. Ogni notte ti ho guardato dormire e ti ho guardato sanguinare. Ti basta questo? … Non toccavo qualcuno da anni e tocco te, e qualunque cosa faccia, non funziona nulla. Troppe volte ti ho salvato da una febbre che ti faceva impazzire e non sentivi neanche, e sarebbe stata una morte indolore, e dovrò espiare questa colpa per tutta la mia vita. Non so cosa fare. Io. Non. So. Cosa. Fare. »

« Perché? Perché mi hai portato qui se sapevi che comunque non c’era speranza? »

« Perché non sapevo cos’altro fare. Quando l’hai scoperto – di Aesculapius – avevi questa luce negli occhi che si era estinta mesi fa, Yuffie… Io… E quando è arrivato Strife, lui avrebbe rovinato tutto. In cerca di un miracolo che non è mai esistito. Come me. » Vincent scuote la testa, rannicchiandosi su se stesso, stringendosi le braccia al corpo slanciato e sputando, i denti digrignati con forza. Oh, madre mia, mai un demone, solo un essere umano. « E fa un cazzo di male, in ogni cellula, in ogni parte di me. »

Adesso sto singhiozzando anch’io, con lui, con ogni parte di me. Come se potessi biasimare lui o lo sguardo perso nei suoi occhi quando per tutto questo tempo è stato solo confuso quanto me, con la differenza che lui ha eretto una facciata di coraggio e uno strato di ghiaccio. « Oh, Dio » piagnucolo. « Ho tanta paura, Vinnie. Ho tanta paura. Per favore, non arrabbiarti con me, non sono arrabbiata con te, sto male- »

Lui si scioglie tra le mie braccia e ci abbracciamo, un gomitolo fitto di lacrime, le sue che ricadono sulle mie spalle mentre lo stringo a me più forte che posso. Almeno adesso posso morire con lui, da sola, il mio ultimo respiro sarà con quest’uomo. Profuma di metallo incandescente e sudore e sta tremando. L’amore che ho dentro di me è come una supernova, una stella dentro una gabbia, viva, che brucia fino a farmi esplodere.

« Non lasciarmi » prega in un bisbiglio, con voce rotta.

« Non voglio, non ho mai voluto, Dio, Vincent- » Chino la testa per poter spingere la fronte contro la sua, le lacrime che scivolano calde e pesanti sulle nostre guance, si mischiano. « Non voglio morire, Vincent. Non voglio, ma sta succedendo, lo sento che sta succedendo e, e, non c’è abbastanza tempo- »

« Mai abbastanza- »

« Volevo solo dirti- »

« Tanto da dirti- »

« Ma sono stata così cogliona- »

Lui ritira un po’ la testa da me. È così giovane. Il mio killer professionista, il mio Turk, nel corpo a stento un uomo, in realtà, ma invecchiato dalle lacrime. La cosa migliore della mia vita. « Ne è valsa la pena. Ne è valsa la pena perché c’eri tu. »

« Yuffie. » Vincent rabbrividisce, gli occhi si socchiudono, e riesco praticamente a sentire il suono del suo cuore. La tempesta fuori ha smesso. Oh, fantastico. Arriva il momento della mia morte e il tempo deve per forza sbolognarmi l’anticlimax del cazzo. Fortuna che non arriverò mai al matrimonio. Probabilmente ci sarebbe stato un terremoto. « Tu… mi hai fatto sentire come se… valessi più di quello che sono. »

« Tu vali più di quello che sei » bisbiglio, ancora piangendo, affettuosa. « E sai una cosa, non so che diamine sto dicendo, e mi è uscita parecchio stupida, ma tu sai che cosa intendo, vero? »

Lui annuisce, deglutendo.

« Vieni… vieni qui, Vincent. Stringimi. »

Ci incastriamo come i pezzi di un puzzle, le sue lunghe gambe distese sulle coperte, abbracciati nell’aria fresca della tenda. La sua faccia si insinua sotto la mia, sui cuscini, la sua mano sul mio collo, due dita sul battito cardiaco. Danza, corre e salta, ma c’è ancora, e so quanto lui ne ha bisogno. Oh, Altissimo, oh, mamma, oh, Aeris, sto morendo, morendo, vi prego, solo un altro po’, datemi tutto il tempo del mondo per questa cosa e poi me ne andrò. Stronzi. Non so come funzioni il Lifestream, ma qualcuno mi sentirà quando lo raggiungerò. « Vinnie? Mi ascolti? »

« … Con tutto il mio cuore. »

Mi sposto un po’, goffamente, il corpo in confusione. « … C’era una ragazza di nome Yuffie. Era stupida. La sua mente era così concentrata su un solo binario che non avrebbe neanche dovuto permetterselo, quel binario. Avrebbe dovuto avere un sentiero fangoso e stretto, ricoperto di rane. Era molto rumorosa e fastidiosa, benché incantevole e sexy allo stesso tempo, e ha avuto l’onore di contribuire alla salvezza del mondo. Perché, ovviamente, è questo che fanno le Yuffie. Ha incontrato un uomo di nome Vincent, che provava a fare il possibile per non essere visto come un uomo, perché dentro non si sentiva tale, poiché molto tempo prima gli erano successe delle cose che l’avevano fatto sentire un demone. Un po’ come Yuffie dentro non si sentiva una guerriera, o furba, o mai abbastanza. Vincent per reazione si fingeva il demone che credeva di essere, diciamo, non un uomo, e Yuffie per reazione si fingeva furba e una specie di guerriera e meglio di quello che era, che non era molto, ma almeno si salvavano le apparenze. »

La mia voce tentenna. « Non parlavano mai molto. Sapevano solo l’uno dell’esistenza dell’altro. E poi un giorno, dopo la salvezza del mondo e quando tutto avrebbe dovuto avere un lieto fine, Yuffie si ammala e questo Vincent la protegge perché è questo che fanno i Vincent, presumo. Proteggono le Yuffie. E lui si comporta da uomo, anche se lei diventa più stupida ogni ora che passa perché ha tanta paura di essersi molto ammalata e di morire, ma lui la aiuta. E lei si rende conto che lui non è un demone, e non fa paura, è la cosa più meravigliosa al mondo, ed è felice. »

Ancora silenzio, gentile, quieto silenzio, appena una pausa per rimettere in ordine i nostri pensieri.

« E poi vissero per sempre felici e contenti » conclude Vincent dolcemente.

« Il lieto fine è per gli orsi e le principesse. »

« E allora qual è il nostro finale? »

« Un po’ tragico, dalla piega che hanno preso le cose. »

Le sue dita mi accarezzano il collo, calde, tenere, agili. Nella sua voce ci sono lacrime, mesi e mesi di lacrime. « Vincent ha fallito. E quando lei morirà, lui passerà il resto dei suoi giorni a svegliarsi ogni mattina e a chiedersi perché lui non possa seguirla. »

« No » nego con decisione. « Non esiste, Kisaragi Vincent. Vincent si sveglierà ogni mattina chiedendosi cosa mangiare a colazione, o magari se il marrone è il nuovo nero, o se i mantelli sono davvero passati di moda. »

Lui scuote la testa.

« Allora abbiamo una fine di merda, sai. » Avvito le dita nei suoi capelli, bellissimi, neri come la notte e lucenti come scarabei e la pelle. « Vincent? »

« Sì? »

« Com’è l’amore? »

Lui si lascia scappare un sospiro, e io ho difficoltà a inspirare aria. So che dovrei sentirmi il corpo caldo, sentirmi avvampare, e che adesso dovrei perdere i sensi, ma così non è. I centri del mio dolore sono stati disinnescati. « È come… sentire un calore dentro. Che nulla può portarti via. Che ti porti nel cuore, e per cui faresti qualunque cosa. Uccidere, combattere, morire. È intensamente bello e porta sempre anche tanto dolore, perché si prende il tuo sangue. Ma è come… i proiettili, e i fiori, e i raggi di sole d’inverno. »

Le mie mani si serrano tra i suoi capelli. « Portami fuori » lo prego.

Lui non controbatte che congelerò, o che è sciocco, nemmeno chiede il perché. Mi infagotta, apre tutti i legacci e mi porta fuori nella neve pulita e bianca, tra le sue braccia.

È giorno. Mattina, credo. Mattina appena nata dalla notte, tanto che in alto il cielo è di un profondo velluto blu con qualche stella, ma il sole è chiaro e la luce fioca e splendida. Lui cammina fin sul ciglio del dirupo e si siede bruscamente nella neve, incurante del freddo, per permettermi di vedere il cielo e guardare lo strapiombo a picco in cui si riversa l’abisso nuvoloso sotto di noi. Il mondo è troppo bello per gli occhi umani. Sempre stato.

Ecco, adesso sì che ci siamo.

Mi spingo indietro, leggermente, accucciata tra le sue braccia, per stare guancia a guancia con Vincent. Lui è più bello del paesaggio che non degna nemmeno di uno sguardo, gli occhi fissi su di me, che divorano famelicamente ogni linea del mio viso come per stamparlo nella memoria.

« Ti amo, Vincent. Sempre. »

Altre lacrime, che quasi si ghiacciano sulle sue guance, il vento che gli arruffa i capelli. « Ti amo, Yuffie. Sempre. »

Mi ha amato da sempre, vero? Il suo amore ha gridato la propria esistenza ogni giorno, in ogni azione, ogni volta che mi ha preso in braccio o mi ha accarezzato i capelli e mi ha dato le mie medicine e mi ha regalato quei piccoli, minuscoli sorrisi che scottavano. « Preferiresti non amarmi? Fa male, un male cane. »

« Ne vale la pena, mia Yuffie Kisaragi. Ne è sempre valsa la pena. Ogni istante, ogni giorno. »

« Dopo un discorso come quello, spero tu sia preparato a baciarmi. Non si dicono frasi del genere senza prendersi la briga di limonare la persona in questione, Vincent Valentine. »

« Kisaragi » corregge, e io sono fiera e sofferente e lui mi bacia. Le nostre labbra si sfiorano come farfalle, delicate, e io sono goffa, non so che sto facendo, ma di colpo tutto viene da sé. Le sue labbra sono gelide ma la sua bocca è la cosa più calda che mi sia mai appartenuta, il mio cuore grida il suo nome quando il bacio diventa duro, appassionato, bisognoso, mentre sentiamo l’uno il sapore dell’altro, l’ultimo e il più solitario. Mi bacia tanto da lasciarmi senza fiato, muoio dentro di lui, cerco di rubargli l’aria dalla bocca con gli occhi chiusi più che posso, e so che presto svenirò per una febbre che non posso sentire. Non importa. Mi sta baciando come se fosse l’unica cosa che conta. Riconosco il sapore del mio sangue sulla sua lingua.

Quando si discosta, sono passati mille anni e qualche battito irregolare. Gli sorrido, un sorriso pieno e radioso, e lui ne abbozza uno in cambio. È solo per far vedere, mio stupido, nobile Vincent, perché nei suoi occhi ci sono lacrime e le sue mani mi hanno stretto i polsi tanto forte che penso si siano incrinati.

« Di’ a mio padre che gli voglio bene. » Le mie dita si arricciano attorno alle sue, flosce, deboli. « E pure ad Asako. E agli altri. A tutti gli altri. Credo di voler bene a tutti. Tranne a Cid. » Oh, Cid, tu lo sapresti cosa sto per fare. « A lui di’ che può andare all’inferno, okay? »

Lui annuisce, un cenno rigido, trattenuto e secco.

« Adesso lasciami. »

« Che cosa? » Gli occhi cremisi si sbarrano immediatamente, nervosi, no. Non vuole lasciarmi andare. Ti amo ti amo ti amo. « Yuffie- »

Comincio a divincolarmi dalle sue braccia, il vento che mi sferza gioiosamente il viso, strattonandomi i capelli filiformi e lunghetti. « Lasciami, Vince. Per favore. Ultimi desideri, okay? Voglio che tu vada al Li Xue e mangi i mirtilli per me, e ti faccia venire il mal di pancia, e spiaccichi il fango tra le dita dei piedi, e ascolti le noiose storie di guerra di mio madre, e voglio che mi lasci le braccia. »

« Che stai- » Già lo sa.

Sta diventando arduo parlare, o anche solo concentrarmi. Vertigini. « Volare, Vincent. Sono una ninja. I cadaveri sono troppo pacchiani. »

Ha il cuore negli occhi. Sa che sono terrorizzata. Malvolentieri, allenta le dita dai miei polsi, le lacrime che cadono come pioggia. « … Buonanotte, ninja. »

« 'Notte, vampy. » Gli faccio un ghigno, arrogante e caloroso, e cado all’indietro. « Whoo-hoo, si parte! »

È come volare, le braccia e le gambe che si allargano, abbracciare le stelle e il cielo blu e tutto quello che contiene, precipitare senza ali in un baratro. Lui mi lascia, io lo lascio e mi inarco, sono stata addestrata a cadere e atterrerò a quattro zampe. L’ultima cosa che vedo sono ali di Chaos, l’aria grida.

E Vinnie, è come i proiettili-
   
 
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