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Autore: weitwegvonhier    02/11/2012    2 recensioni
Continuava a sfoggiare quel sorrisino a mezze labbra che, per qualche strano, stupido, irragionevole motivo, mi faceva andare fuori di testa, guardandomi divertito, in attesa della mia prossima stupida, imbarazzante mossa.
- In un caldo giorno d'agosto del 1998 una normale ragazza si scontra con uno sconosciuto per strada e....
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: David Desrosiers, Nuovo personaggio, Pierre Bouvier
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A.s. Vi prego, non odiatemi per quest'assenza un po'...lunga. Chiedo scusa a tutti ma è un periodo un po' 'strano' e mi sto tipo allontanando dal mondo, e non riuscivo più neanche a scrivere. Quindi...spero nel vostro perdono.
Tornando a noi, però, ve la ricordate questa storia? Hahah Perchè in effetti è passato un po'. Oddio. Allora, innanzi tutto, questo capitolo può darsi che faccia schifo, ve lo anticipo, ma ci serve per andare avanti.
Oddio, non so che dire, fatemi sapere, se lo leggete, che ne pensate e...niente. Haha Oggi sono di poche parole. Ringrazio tutti quelli che avranno voglia di leggerlo, nonostante tutto e chiedo scusa in anticipo per l'eventuale delusione. 
Mi raccomando, fatemi sapere!
Un bacio a tutti :*

"Una parte di me che sa benissimo cosa è successo, l’altra fa finta di niente per poter vivere lo stesso."
-99 posse

Montreal, February 18th, 1999
19.46

 
Guardavo la mia pancia piatta allo specchio di una vetrina, sentendomi improvvisamente vuota e spenta.
Camminavo per le strade del centro guardando le persone che camminavano veloci, altre che correvano disperate sperando di non perdere l’ultimo autobus della giornata, altre ancora che passeggiavano mano nella mano con i loro compagni. Ogni persona che mi passava accanto, pensavo, ogni persona a cui per sbaglio pestavo un piede o che, vinta dalla fretta, non mi vedeva e sfiorava la mia spalla, ogni persona in quella strada, aveva una storia dietro di se, che comprendeva a sua volta la storia di altre centinaia di persone.
Una donna inciampò nel mio piede. –Scusi!- mi urlò mentre se ne andava. Non risposi.
Se mi fossi fermata per cinque secondi a legarmi la stringa in un angolino, probabilmente non avrei mai incontrato quella donna. Andava di fretta, magari doveva andare a preparare la cena alla famiglia, oppure era il compleanno di suo figlio, e lei stava correndo a casa da lui dopo il lavoro.
Un signore con un cagnolino mi passò accanto e io mi fermai ad accarezzarlo. Il cane mi faceva le feste. Chissà dove stava andando.
Ogni persona porta dentro di se la propria storia, il signore con il cane, la donna che correva, quella bambina che stava rincorrendo il suo palloncino azzurro portato via dal vento…persino io, avevo la mia storia.
La mia storia però, non faceva altro che contorcersi su se stessa, arrotolandosi, annodandosi, uccidendomi. Quando finalmente avevo sperato di aver trovato la felicità ecco che arriva il diavolo in camice bianco, a riferirmi che purtroppo avevo subito un’interruzione di gravidanza.
Erano le 3 e mezzo di notte quando iniziai a sentirmi strana. All’ospedale mi dissero soltanto ‘ci dispiace signorina, sono purtroppo cose che possono capitare in una gravidanza.’
Calciai un sassolino che si trovava sulla mia strada.
Fanculo, fanculo a tutto, fanculo alla vita.

Montreal, February 19th, 1999
8.13

Ero in ritardo per la lezione di psicologia di Roy, non mi era mai successo.
Da quel giorno in ospedale avevo paura di guardare Pierre, avevo paura di guardare David, avevo paura persino di guardarmi allo specchio.

Era il nostro bambino e adesso che non esisteva più lui, che non esistevo più io, che non esisteva più neanche Pierre, mi chiedevo come mai sarebbe potuto esistere un ‘noi’.
Bussai alla porta dell’aula ed entrai.
Gli occhi puntati addosso mi bruciavano come scintille che cadevano dal cielo, per posarsi sulla mia pelle. L’unica cosa che mi consolava era che di lì ad una settimana me ne sarei andata da quella scuola e da quella città. Incrociai lo sguardo di Pierre, e mi sentii morire. Come potevo lasciarlo qui?

13.15

Decisa a voler stare un po’ tranquilla, senza pensare a niente o essere disturbata da stupidi sguardi di stupide persone, mi avviai verso gli spalti del campetto da calcio che durante l’inverno era sempre deserto dato che, con il freddo, preferivano allenarsi dentro la palestra.
Stavo cercando il libro nella borsa quando sentii una voce che mi fece fermare, alzare lo sguardo e correre dietro le scale per non essere vista. Un comportamento tipicamente infantile, dettato dal mio stupido istinto.
Era Pierre, la sua voce. Stava…cantando. E aveva la chitarra.

Now you're gone,
I wonder why
You left me here,
I think about it on, and on, 
and on, and on, and on, again.

La sua voce era rotta, spezzata. Mi affacciai per cercare di vederlo e…
 

I know you're never coming back,
I hope that you can hear me,
I'm waiting to hear from you..

Stava piangendo, stringendo la sua chitarra e cullandola come fosse un bambino. Cantava e il suo corpo andava avanti e indietro, mentre le sue guancie venivano bagnate dalle lacrime che scendevano giù, inesorabili.
Avrei dato qualsiasi cosa per avere la forza di fare un passo e poi un altro e raggiungerlo lassù e abbracciarlo, nel modo in cui lui abbraccia quella chitarra, come se fosse l’unica cosa rimasta, come se fosse l’ultima speranza.

 
You're gone away,
I'm left alone,
A part of me is gone,
And I'm not moving on…

Il cuore intanto stava protestando, legato e incatenato in questa gabbia nel petto. Urlava, gridava, bruciava, batteva sempre più forte, bussava, cercava di sfondare tutte le barriere che lo trattenevano. Ad un certo punto ho creduto di sentirlo scoppiare.
 

I'll meet you there,
No matter where life takes me to,
I'll meet you there,
And even if I need you here,
I'll meet you there.

Una lacrima bastarda fuggì dal mio occhio, sentii le gambe cedere, stanche di sostenere tutto questo peso, il cuore scoppiare, le mani portarsi al viso, gli occhi e le guance bagnarsi. In un secondo la sua voce era dentro di me, quelle parole mi scorrevano nelle vene mentre, ormai con i pantaloni stracciati e le ginocchia sanguinanti continuavo ad ascoltarlo.
 

So many things remind me of you,
I hope that you can hear me,
I miss you,
This is goodbye,
One last time..

Alla parola ‘goodbye’ un lampo illuminò il cielo, io ero stanca, tanto stanca. Continuavo ad ascoltarlo, e anche se poteva sembrare un atto masochistico, la sua voce, il suono della sua voce mi faceva sentire meno sola. Ma la sua voce era spezzata dai singhiozzi e le sue mani, infreddolite dall’aria gelida e dalla pioggia che aveva iniziato a scendere, non riuscivano più a tenere il tempo. One last time…

And where I go you'll be there with me,
Forever you'll be right here with me..

In un lampo mi passarono davanti tutti i momenti che avevamo passato insieme, la prima volta che ci scontrammo, a scuola, a casa mia, a casa sua, in albergo quel giorno dopo il concerto…
Chiudevo gli occhi e sentivo il suo odore, il suo sapore sulle labbra, le sue braccia intorno a me.
Dal giorno dell’ospedale ognuno di noi si era nascosto nella propria solitudine, nel proprio dolore e nel proprio odio.
Avrei dato il mondo per andare lì ad abbracciarlo, se fossi stata certa che quel gesto non gli avrebbe fatto male, ancora di più.
Avrei dato qualsiasi cosa per prendermi anche il suo dolore, e farlo sorridere, almeno per un secondo.
Aveva posato la chitarra, e la giornata si era fatta buia, con il sole coperto dalle nuvole.
Io sotto la pioggia, completamente bagnata e infreddolita, guardavo Pierre, dall’altra parte degli spalti.
In quel momento si girò e ancorò il suo sguardo al mio.
In quel momento il mio cuore smise di battere.
In quel momento caddi con le ginocchia per terra per la seconda volta. Era come se sentissi improvvisamente tutto il peso della Terra sulle mie spalle.
I nostri sguardi non si mossero di un millimetro. Restammo a guardarci così per minuti interi, mentre entrambi morivamo di freddo, e dalla voglia di alzarci, correre e stringerci l’un l’altra finché la pioggia non avesse smesso.
Ma restammo immobili, più vicini e lontani che mai, a sussurrarci con il pensiero, a mancarci ancora.
I suoi occhi, bagnati dalle lacrime che la pioggia non poteva nascondere, brillavano.
Le mie ginocchia sull’asfalto sanguinavano.
Mai come in quel momento, quella distanza mi sembrò insormontabile e mai come in quel momento lo sentii vicino a me.
Ci stavamo dicendo una marea di cose, in quei secondi.
Io, per canto mio, gli stavo dicendo non me ne voglio andare, mentre lui, una lacrima dopo l’altra, sembrava dirmi non mi lasciare.
Se quel giorno non fossi stata tanto distratta da finire addosso ad un perfetto sconosciuto, se quel giorno fossi uscita di casa cinque minuti dopo, o se quel giorno avessi trovato un semaforo rosso…saremmo qui adesso, noi due? A cercare di costruire un puzzle con pezzi invisibili, cercando di aggrapparci allo stesso filo di speranza che non ce la fa a sostenerci entrambi. Se quel giorno fossi stata sul marciapiede opposto, saremmo qui, noi due, adesso?

   
 
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