Love save the
pain
A
family situation
Bella’s
Pov.
20
marzo 2008
Los Angeles.
Cazzo.
E’ tardissimo. Sono le otto del mattino e mi sono
appena svegliata. Alle otto e mezza spaccate dovrei essere dal mio capo.
Faccio velocemente la doccia, ma non mi soffermo come tutte
le mattine a pensare sotto la doccia, oggi non ho tempo di fare niente.
Mi metto di fronte al mio armadio pensando a quello che
potrei mettermi.
Non sono una bella ragazza.
Non sono alla moda, né mi importa esserlo.
I miei vestiti sono semplici ma mi piacciono. E le mie tute
sono davvero comode. Peccato che per lavorare mi hanno dato un tailleur
blu
scuro con una camicetta bianca. I capelli devono essere sempre ordinati
e raccolti
in uno chignon. Mi è sempre piaciuto tenere i miei capelli
sciolti, che col
vento accarezzano la mia faccia, che nascondono anche il mio viso.
Sono estroversa come ragazza, ma le mie pene e i miei dolori
non sono leggibili se non dal mio viso, nemmeno dai miei occhi
è mai trasparito
niente. Ma le mie espressioni sono sempre quelle che mi tradiscono.
Prendo un jeans blu scuro e una canotta bianca. Appunto i
miei capelli come meglio riesco. Non
riesco a capire perché quell’avvocato
così dolce ma molto rigoroso
riguardo al suo lavoro, non vuole che indossi direttamente il tailleur
e lo
devo indossare nel mio camerino all’interno del suo studio.
Avevo chiesto a mia madre se magari lei potesse sapere il
motivo e mi ha risposto: Amore, magari
è
necessario prova a chiederglielo.
Ma in una settimana di lavoro non gli avevo chiesto niente.
Oggi inizio la mia seconda settimana, oggi è un giorno
importante per l’avvocato,
suo figlio da oggi comincerà a lavorare con lui.
Questa sono io Isabella Swan, preferisco
Bella. Sono una ragazza normale
con un lavoro normale. Mi piace parlare con le persone che conosco ma
non
rivelo mai tutto. Odio le persone che provano pena per gli altri, e di
conseguenza non racconto mai delle cose brutte che mi capitano per
evitare che
la gente abbia pena di me e quindi arrivare al punto di odiarle. Mia
madre
Reenè è una donna speciale, premurosa
è tutto l’amore che il suo animo produce
lo dona a tutti. Non porta rancore ed è troppo buona.
E’ la mia vita. Mia madre è tutto quello che ho.
Mia madre è
tutto ciò di cui io ho sempre avuto bisogno fino ad oggi.
Angela, la mia migliore amica dai tempi dell’asilo, adesso
si trova a New York frequenta l’università di
Harvard, quando riesce a venire
dai suoi, passa sempre a trovarmi, ogni giorno ci sentiamo e oggi
doveva uscire
con un ragazzo del campus, stasera mi chiamerà per farmi
sapere. Mi manca, lei
colorava le mie giornate. Lei è l’unica persona
dopo mia madre che sa tutto di
me. Mi conosce meglio di chiunque altro e soprattutto mi capisce meglio
di
chiunque altro. Appena finirà gli studi tornerà
qui e io conto i giorni, segno
perfino le crocette nel calendario.
Do un’occhiata all’orologio e cazzo è
tardissimo. Scendo le
scale di fretta sperando di non inciampare.
“Buongiorno Mamma” do un bacio nella guancia a mia
mamma che
è intenta a leggere un libro di make up alternativo.
“Ehi tesoro. C’è la torta al
cioccolato”.
“Mh no è tardissimo c’è il
caffè?” annuisce e mi passa una
fumante tazza di caffè. Lo ingoio velocemente anche se
scotta, è tardissimo.
Bell’inizio della seconda settimana di lavoro.
Prendo il mio pacchetto di sigarette, l’accendino e il mio
cellulare.
“Ciao mamma” urlo più per la fretta che
per altro. Lei
ricambia il saluto ed esco. Fortunatamente non ho bisogno di prendere
mezzi
pubblici tanto è vicino. Accendo la mia sigaretta, non
guardando la spiaggia di
fronte casa nostra, a quel punto me ne infischierei del ritardo e
passerei
tutta la mattinata seduta a riva.
Mia madre finalmente dopo anni di lavori alla giornata, come
colf, badante, baby sitter oppure lavare le scale dei grandi palazzi,
dove
guadagnava una miseria. Qualche anno fa’ finalmente ha
trovato lavoro come
visagista in un salone di bellezza, fa anche la parrucchiera e i
massaggi se è
il caso. La pagano davvero bene, finalmente non abbiamo più
quella
preoccupazione di contare i soldi giornalmente e farci il conto se
bastavano
fini ad arrivare a fine mese.
Arrivo nel grande grattacielo familiare già da una
settimana,
entro pensando al giorno in cui mi ha assunta.
La
tranquillità che trasmettono le onde del mare nel silenzio
più assoluto viene
interrotta dal trillo del mio cellulare.
“Pronto?”
“Isabella
Swan?”
“Si?”
“Ecco
sono l’avvocato Cullen, mi è arrivato il suo
curriculum ieri mattina. Vorrei
fissare un appuntamento quando lei è disponibile”
“Oh si
certamente, io sono libera tutti i giorni”
“Tra
mezz’ora?”
“Tra
mezz’ora è perfetto”.
Quando
attaccò il telefono io ero straordinariamente
euforica. Non ci speravo nemmeno che mi chiamasse. Quel pomeriggio mi
aveva
comunicato che avrei lavorato per lui e suo figlio. Avrei dovuto
rispondere al
telefono, fissare gli appuntamenti e dividere le carte. Ero diplomata
in
ingegneria, ma mi andava abbastanza bene. Ero felice, e la paga per
come mi
aveva detto era abbastanza generosa.
Mi cambio velocemente, e fortunatamente non sono in ritardo.
Prendo posto nella mia scrivania e accendo il computer, lo studio
è vuoto. La
mia scrivania è dentro lo studio. E’ strano molte
volte le segretarie stavano
fuori dallo studio. Ma non importa,
l’importante
è che io faccia bene il mio lavoro.
“Buongiorno Bella” mi saluta Carlisle. Quando mi ha
assunta
mi ha detto: Dimmi sempre se c’è qualcosa che ti
mette a disagio. Io ho
cominciato col dirgli di chiamarmi Bella.
“Buon giorno avvocato” mi sorride e prende posto
anche lui.
“Appuntamenti per oggi?”
“Solo uno. Gli altri li ho cancellati sabato, sotto sua
richiesta, per l’arrivo di suo figlio in ufficio”.
Annuisce e prende il suo
Blackberry. Ed ecco che inizia la mia giornata lavorativa. Adesso
sicuramente
passerà circa due ore al cellulare.
Un’ora dopo. Attacco il telefono segnando l’ultimo
appuntamento libero che c’era per domani. Appunto tutto sul
pc e lo stampo. Una
volta stampato il foglio lo ripongo nella cartella della scrivania
dell’avvocato
Cullen.
Sistemo velocemente la scrivania, solitamente lo faccio a
fine giornata lavorativa.
La porta si apre e spunta Carlisle, con un ragazzo che oh.
Non trasmette certo pensieri puri. Ha i capelli
scompigliati, color rame biondiccio, il suo corpo è
muscoloso, ma non come
quello dei westler o dei palestrati. Avrà si e no
venticinque anni. E’
bellissimo. Indossa uno spezzato blu scuro, una camicia azzurrina e la
cravatta
nera che scompare dentro la giacca abbottonata. I suoi occhi sono
verdi. Il
verde solitamente è un colore acceso, pieno di vita, ma no.
Il suo colore è più
un ceruleo spento che un verde gemma scintillante. Il suo sguardo
intimidisce,
ma la sua espressione è tranquilla, forse non si rende conto
dell’effetto che
il suo sguardo ha sulla gente. Non provo pena per quegli occhi spenti,
ma un
senso di tristezza familiare, come se il suo sguardo fosse il mio. Come
se
dentro quel dolore ci fossi io, come una sensazione familiare come se
io
conoscessi cosa influenza quel colore così spento dei suoi
occhi.
“Buongiorno, io sono Isabella” dico al figlio di
Carlisle
che mi guarda, forse pensando a quello che ho pensato io di lui fino ad
un
minuto fa.
“Ciao, Io sono Edward”. La sua mano raggiunge la
mia e la
mia spina dorsale diventa molle, le mie gambe hanno un impercettibile
tremore,
e le mie guance si surriscaldano automaticamente.
Strano.
Non mi era mai successa una cosa del genere, con il mio
carattere è sempre stato difficile. Forse per quel senso di
tristezza
familiare.
“Bene. Edward quella è la tua scrivania”
gli comunica
Carlisle indicandogli la scrivania accanto alla sua, al lato della mia.
Io
prendo il mio posto e inizio a segnare dei giorni dove ci saranno delle
cause.
“Isabella-”
“Bella. Preferisce Bella” interviene Carlisle.
Edward
sorride mostrando una schiera perfetta di denti bianchi e dritti. Mi
incanto un
attimo a guardarlo, ma poi la mia mente decide che il momento di essere
ridicola è finito.
“Bella. Potresti copiare questi bigliettini da visita e
stamparli” mi porge il suo biglietto da visita e lo guardo.
“Si certo. Quante copie?” chiedo iniziando ad
aprire il
programma sul computer.
“Ne fai cinquanta per adesso, poi se ne avrò
bisogno te lo
dirò” annuisco e inizio a copiare il biglietto da
visita.
Edaward Anthony Cullen.
Avvocato
penitenziario.
Contatti:
213 8239581.
Orari:
Lunedì,
Mercoledì e venerdì dalle 09:00 am alle 01:00 pm.
Martedì,
giovedì e sabato dalle 03:00 pm alle 07:00 pm.
Street
Farrok Bulsara 12/a. LA.
Lavorerò
sempre con lui. Ecco perché Carlisle mi aveva
avvertita che avrei dovuto lavorare anche al pomeriggio. Lui
è in studio tutte
le mattine, mentre il figlio a salti farà mattino e
pomeriggio.
Un sorriso mi nasce
sulle labbra, e resto per minuti interi a chiedermi il motivo.
Verso le undici del mattino, Carlisle mi dice che se voglio
prendermi una pausa devo approfittarne. Così decido prima di
andare in bagno.
Prendo il mio caffè e mi dirigo sulla terrazza per fumare.
Sono tre ore che non fumo, questo lavoro fa’ anche bene alla
mia salute. Quando
esco nella terrazza noto che c’è Edward che mi da
le spalle, la testa all’indietro
come se stesse guardando il cielo. Decido di non pensarci e accendo la
mia
sigaretta.
“Fumi?” alzo la testa, che poco prima era rivolta
al
pavimento. Annuisco e sorrido.
“Anch’io fumo. Ho iniziato tanti anni fa”
ammette.
“Anch’io, avevo solamente tredici anni”
mi fissa come se
avessi detto una cosa molto interessante.
“So che è maleducazione, ma sono davvero troppo
curioso. Quanti
anni hai?” mi chiede.
“Ah no, tranquillo. Non sono una tipa che si offende
perché
le chiedono l’età. Ne ho ventidue. Tu?”
mi sorride. Teneramente, come se davvero
gli interessa sapere qualcosa di me. Tante persone nel momento in cui
le
conosci, ti chiedono, l’età, i gusti sul gelato,
sulla musica, sui film, su tutto.
Ma lo fanno per fare conversazione e poi dimenticare tutto
nell’esatto momento
in cui glielo dici, perché lo fanno senza interesse. Ma lui
no, ha quell’espressione
che urla ‘ davvero m’importa di te ’ o
forse sto solo fantasticando
inutilmente.
“Io ventotto” risponde. Finiamo la nostra sigaretta
e
torniamo nello studio.
La mattinata passa tranquilla, ma la mia salute mentale ha
davvero bisogno di riposo, avrò risposto a circa duecento
telefonate.
E’ mezzogiorno, scendo e mi dirigo al take- away qui vicino.
Ogni mattina Carlisle mi da un foglio dove c’è
scritto
quello che prenderà per pranzo, oggi ovviamente ha ordinato
per due.
Due bistecche al sangue con contorno di patate al forno. Da
bere una bottiglia di acqua naturale e una frizzante. Io
pranzerò a casa.
Sicuramente con la torta che mia mamma mi ha fatto per colazione. Non
sono né magra
né grassa, ma mangio poco perché sono fatta
così. Mia madre quante volte si è
disperata per cercare di farmi mangiare almeno un piatto di pasta una
volta a
settimana, ma niente. A parte il fatto che io odio la pasta.
Solitamente a
colazione mangio qualche biscotto con il caffè, oppure
qualche fetta di torta che
prepara mia madre. A pranzo un toast, un frutto o un frullato. A cena
mi
preparo una tazza di latte con i cereali al cioccolato. Questo non
è un modo di
alimentarsi nel modo giusto, ma semplicemente lo faccio.
L’importante poi è
stare bene di salute. La mia salute è apposto.
“Ecco qui” porgo a Edward il suo piatto, lui mi
guarda e mi
sorride. Oh ma oggi è tutto un sorriso o è sempre
così. Mi farà morire questo
ragazzo bellissimo quanto impossibile per la sottoscritta.
“Grazie Bella”. Gli sorrido di rimando e faccio lo
stesso
con Carlisle.
Mi dirigo nel camerino e mi cambio. Saluto entrambi e mi
dirigo a casa mia.
**
“
Here i am, will you
send me an angel. Here i am, in the land of the
morning start”
canticchio un brano degli Scorpions con il vento che fa volare i miei
capelli e
con la tranquillità dello scroscio delle onde che arrivano a
riva e si
dissolvono nel mare immenso.
Il
mare.
Amavo
il mare da bambina, e anche se è difficile ammetterlo lo amo
anche adesso.
Anni
fa’ credevo che il mare fosse la causa del mio dolore.
In parte è così, ma non è tutta colpa
del mare. Dicono che
il mare è bello, ed è così. Ma dicono
anche che è traditore. E con me lo ha
fatto, mi ha tradita.
Ha portato con sé il mio passato, la mia infanzia, gran
parte della mia vita.
Ma il destino aveva deciso così. Poteva essere un treno,
poteva essere un aereo, poteva essere una malattia. Invece è
stato il mare.
Sono i casi della vita, dopo anni di odio verso il mare, ho
capito che se anche io provassi rancore verso di lui non avrei concluso
niente.
Se odiavo il mare non potevo più guardarlo, ammirarlo e
approfittare della
tranquillità che emana.
Più lo guardo però, più mi aspetto di
vedere qualcosa
spuntare dall’orizzonte. Ma sono anni ormai che ci spero e
non è mai successo
niente. Ogni giorno vengo qui. Concentro il mio dolore, piango, mi
dispero,
spero, prego. Sarò masochista ma lo faccio,
perché è l’unica cosa che mi fa
pensare che lui è esistito davvero, e che non è
frutto dei miei sogni, che non
è soltanto un ricordo sbiadito col tempo.
Guardo il mare.
Come quando una persona a cui tieni è morta, quando sei
scoraggiata, triste o anche felice vai al cimitero e ci vai a parlare.
Io non
ho nessuna tomba su cui sfogarmi, ho solo il mare dove posso essere
certa che
lui possa sentirmi, che possa sapere che io lo penso ogni giorno. Che
la mia
vita è in bianco e nero, opaca, senza sfumature. Che
l’unico modo per
sopravvivere è sapere di riuscire a comunicare con lui,
anche se è doloroso è
necessario.
Le lacrime scendono copiose sul mio viso e piango,
singhiozzo. Perché qui è deserto da quel giorno.
Perché qui non c’è mia madre e
non devo trattenermi, perché qui posso essere me stessa e
sfogarmi per cercare
di far uscire anche una minima parte del mio dolore.
“Loney wolfe torna da me” ripeto questa frase come
ogni
giorno e solo quando le lacrime mi sfiniscono
all’inverosimile mi accascio su
me stessa e mi distendo guardando il cielo.
Edward’s
Pov.
“Oh
Edward, come stai?” Sto parlando al telefono con mia
sorella da circa mezz’ora ed è un quarto
d’ora che mi chiede come sto.
“Alice per la centesima volta sto bene. Tu piuttosto come va
al campus?”
“Mh abbastanza bene sai-” Ed eccola che inizia a
parlare,
adesso chi la ferma più? Sorrido e mi butto sul divano.
Alice. Una forza della
natura in tutti i sensi possibili. Ha ventitré anni. Non so
cosa avrei fatto
senza di lei negli ultimi anni. Adesso sta frequentando il penultimo
anno di
Università a Seattle. La sua mancanza si sente giornalmente
in famiglia. E’
estroversa, solare, completamente fissata con la moda. Quando eravamo
piccoli,
litigavamo sempre, come tutti i fratelli del mondo
d’altronde. Abbiamo un
legame strabiliante. Forse è stato il dolore a farci unire
in maniera così
forte, forse è stato lo stesso senso di perdita che ci ha
fatto unire
soffrendo. O semplicemente è stato il nostro volerci bene
che ci ha fatto capire
quanto siamo importanti l’una per l’altro. Mio
fratello Emmet, alto un metro e
novanta per novantaquattro Kg, fa’ paura a chiunque non lo
conosca, ma è un
tenerone, lui ha trent’anni, il prossimo mese di sposa con la
sua fidanzata
Rosalie. Infatti mia madre – Esme- è molto
indaffarata con l’organizzazione del
matrimonio.
La mia è una famiglia molto unita, semplice e complessa allo
stesso tempo.
E’ come la famiglia delle pubblicità. La colazione
tutti
quanti assieme, almeno quando abitavamo tutti a villa Cullen. Adesso
ogni
domenica è sacra per riunire la famiglia. E sono contento di
questo, ma è anche
bello vivere da solo. Se ho fame mangio, se ho sonno dormo. Se voglio
suonare
la mia chitarra posso farlo quando voglio. Se voglio deprimermi posso
farlo
senza avere il timore di trasmettere il mio dolore alla mia famiglia.
Quando ho finito di parlare con Alice sono le otto di sera.
Preparo un toast, mi siedo sul divano e accendo la tv. Faccio un
po’ di zapping
fin quando non trovo il live del concerto a Budapest dei Queen. Lo
guardo.
Piango pensando quanto queste canzoni, mi facciano pensare a lui.
Quante cose
condividevamo, come l’amore per i Queen. Come prenderci in
giro quando le
ragazze ci mandavano a quel paese. Le persone più buone sono
quelle che vivono
meno. Tante volte mi sono chiesto cosa ho fatto di male nella mia vita
per
subire un dolore come questo. Non so dove ho sbagliato, o in cosa.
Riesco a
sapere solamente che il destino ha voluto portarmi via gran parte della
mia
felicità. Tante volte ho tentato il suicidio, ma tentativo
vano, non ho il
coraggio per farlo. Sperare che qualcuno mi ammazzi è
sbagliato ed egoistico. Perché
dopo aver ragionato un po’ di più sulla mia
situazione ho capito che, la mia
famiglia ne morirebbe se io non ci fossi più,
perché far provare agli altri già
il dolore che provo io? Un membro della famiglia già basta e
avanza.
Mi sono laureato in giurisprudenza con la specializzazione
in giustizia penale.
Ho iniziato a lavorare oggi con mio padre.
Quando ero ancora un’adolescente volevo diventare un medico,
volevo salvare le vite delle persone. Ma dopo quell0 che mi
è successo, ho
cambiato totalmente idea. Perché se sei un medico, puoi
salvare innumerevoli
vite, ma ci sono anche quei casi in cui potresti fallire, il senso di
colpa ti
mangerà l’anima e dopo la prima esperienza, non
riuscirai mai a lavorare come
prima, ogni persona in fin di vita, ti farà pensare a quella
che non hai potuto salvare.
Ho deciso di specializzarmi in diritto penale per dare un
senso alla giustizia.
Tutti i giorni, nel mondo muoiono parecchie persone, che sia
una malattia o la vecchiaia, ma se invece fosse per i pirati della
strada? Se fosse
perché un folle ti incontra per strada e ti spara
semplicemente perché aveva
voglia di farlo?. Purtroppo ogni giorno ci sono molte persone che
muoiono a
causa di un’ingiustizia. Ed io ho voluto prendere questa
strada per farla
pagare a tutti quelli che fanno del male a delle persone innocenti. Che
siano
buone o cattive non importa sono sempre persone che sono state create
per
vivere. Ci sono casi irrisolti da tantissimi anni, buttati nel
dimenticatoio, e
questa è un’ingiustizia.
Arrestare degli assassini non riporta di certo in vita la
persona che è morta, ma il prossimo che pensa di fare una
cosa del genere, se
la giustizia interviene giustamente senza tralasciare nulla, ci ripensa
miliardi
di volte prima di agire.
**
Raccolgo le
carte da portare in ufficio e le impilo per bene
prima di infilarle nella mia valigetta. Oggi lavoro di pomeriggio.
Arrivo nel corridoio dell’ufficio e l’odore
inconfondibile
di fragola e frutti di bosco penetra il mio naso. Bella è
già in ufficio.
Bella. Mi ha dato molto da pensare questa mattina.
E’ una ragazza molto simpatica, ed è davvero
bella. I suoi
capelli sono castani, la lunghezza non è visibile
perché c’è li ha sempre
raccolti in uno chignon. La gonna e la giacca – che le fanno
da seconda pelle-
fasciano il suo corpo snello, ma non troppo minuto. I suoi occhi, dove
mi
immergerei per giornate intere, tanta è la
profondità, la sincerità e purtroppo
il dolore. Ho notato che molte volte si ferma a pensare e i suoi occhi
color
cioccolato si imporporano di uno strato lucido, che però
riesce a trattenere.
Forse il suo cuore è stato spezzato, forse anche lei ha
perso una persona
fondamentale nella sua vita.
“Ciao Bella” sussurro entrando nello studio, lei
intanto
mastica la penna con i denti e fissa dei foglio di fronte a
sé.
“Ciao Edward” mormora sorridendomi. Il suo sorriso
è così
dolce che rimarrei ore ed ore a guardarlo.
Mi accomodo nella mia scrivania, ed entusiasta guardo i
fogli sistemati per bene, con tutti gli orari, gli appuntamenti e tutto
quello
che mi occorre per lavorare. Oggi devo vedere solamente due persone.
Dopo due ore. Sono spaparanzato nella sedia-poltrona che
leggo attentamente degli appunti presi per la prossima causa. Bella
è stata in
silenzio tutto il tempo, non mi ha mai interrotto mentre parlavo con i
miei
clienti anzi è come se volesse essere invisibile per
lasciarmi la privacy con i
clienti. Mio padre è stato davvero fenomenale ad assumerla.
Il pomeriggio passa tra un appunto e un altro. Quando ad un
tratto il suo cellulare squilla.
“Here we are, born to
be kings we’re the princes of the universe” e i miei pensieri si fanno
ancora una volta
vividi nella mia mente. Una nuvola di dolore si espande nella mia
mente. Tante
lacrime vorrebbero uscire dai miei occhi, ma mi trattengo anche se
difficilmente.
Lei torna in studio imbarazzata e si scusa.
“No tranquilla, anzi ottimi gusti musicali”
ammetto. Lei annuisce.
“Ascolti i Queen?” mi chiede.
“Si. Gli dei della musica come potrei non
ascoltarli?”
E da lì parte una conversazione su tutta la discografia dei
Queen. Dai live più belli, alle esibizioni più
stravaganti e affascinanti del
grande Freddie Mercury.
E rimango interdetto di una cosa. Tutti i giorni io ascolto
i Queen, in quasi tutta la settimana, guardo i live e dentro di me
quell’aria
malinconica quanto familiare si prende la mia mente, ma adesso
parlandone con
Bella. Mi sento spensierato, come se mi fossi tolto un peso dallo
stomaco.
Forse perché la sua naturalezza, il suo modo affascinante di
esprimersi mi
emana tranquillità.
O forse perché sono alquanto consapevole che lei ha provato
e sta provando lo stesso dolore che provo io.
_______
Salve!
Primo capitolo ufficiale della storia.
Allora come vi è sembrato l’incontro tra Edward e
Bella?.
Avete almeno un pochino capito chi hanno perso di così
importante nella loro vita?
Spero che vi sia piaciuto, e spero ardentemente ricevere un
parere su questo capitolo.
Ps: non sapendo cosa scrivere ho inventato l’indirizzo dello
studio, mettendo il vero nome di Freddie Mercury.
Buonanotte.
Alla prossima. Rò