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Autore: Donixmadness    03/11/2012    4 recensioni
Ciao a tutti! Questa è la mia prima fic su Death Note, anime stupendo!! E dato che sono un'appassionata sostenitrice di L (Ryuzaki, appunto) ho voluto dedicare una storia riguardo al suo passato.
La storia di una ragazzina che intreccia i destini di L e Watari .... e che in un certo senso darà un'importante lezione di vita all'impassibile e freddo L. Anche se con ad un prezzo molto alto ...
Perciò recensite, e siate clementi per questa povera pazza!!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un ticchettio disconnesso perdura frenetico sulla tastiera. L non cessa un attimo di scrivere imperterrito la sua relazione sul caso Kira.
Le dita sottili si muovono agili a comporre ogni parola, come un pianista che dà vita ad un’armonia di suoni.
Il detective, dopo un punto fermo, prende una pausa dall’incessante scrivere e beve un sorso di caffè zuccherato. Rimira e osserva con i suoi opali
inchiostro la sua opera: sta scrivendo il resoconto delle indagini sul caso Kira archiviandoli in un programma speciale che si attiva a tempo, da lui stesso
ideato.                                                  
“Le lascio qui come prova tangibile dei risultati da me ottenuti …” completa così, non una parola di più.
Stavolta morte grava su di lui, si fa sentire macabra ed inquietante, e presto sa che dovrà seguirla. Anche lui è un essere umano e in quanto tale deve
sottostare a determinate leggi: nulla è eterno.
Ma probabilmente dovrà piegarsi alle leggi profane del Death Note. L’indice e il medio sfiorano la porcellana della tazzina per afferrarla, ma si bloccano
indecisi sul da farsi. Gli insondabili pozzi bui di L si soffermano pacati sui biscotti, adagiati da Watari poco prima. Ne è rimasto uno alla mandorla.
Lentamente lo afferra con la punta delle dita sottili. Lo studia: rotondo, rassomiglia alla luna piena, la quale presenta due facce.
Una è liscia e vellutata, pare che non conosca increspature. L’altra invece è raggrinzita, presenta  una superficie ruvida al tatto e poi c’è quel seme, quel frutto il quale funge da rigonfiamento sulla terra pastosa. Rassomiglia al taglio di una ferita molto profonda, la quale cerca di cicatrizzarsi disperata, facendo coagulare il sangue al di sotto della patina che la riveste.
Come ha fatto? – si chiede il detective- Come ha fatto ad andare avanti così, per tutti quegli anni e poi morire lì, davanti a lui, come nulla fosse?                                                                                                                                          
-Non avevi paura della morte, Shiro?- mormora il corvino, fissando ancora il biscotto tra le dita: lo trattiene tra l’indice e il pollice, lo fa scorrere tra essi, quasi con ritmo.                                                            
–Non hai mai percepito l’alito gelido della morte sul collo?                                                                                                                   
 

Tutti i giornali lo pubblicarono come il caso del secolo: L’esordio del detective “senza volto”. Così fu intitolato un articolo di cronaca nera, di un rinomato quotidiano inglese.                    
Il grande caso del crollo di potere delle organizzazioni criminali londinesi, anno 1997. Nessuno poteva immaginare che ci fosse stato qualcuno, prima di me, il quale avesse fatto il lavoro sporco e avesse indagato e raccolto tutte le informazioni fondamentali per la risoluzione del caso.                                                                                                                                            
Di certo non poteva trattarsi di una pura coincidenza il fatto che una grande corporazione di ricercatori e il covo di un temuto clan mafioso, fossero esplosi a distanza di due giorni l’uno dall’altro.
Gli sconvolgenti avvenimenti misero  in allarme la polizia inglese e lo stesso governo. Impellenti furono i quesiti dell’opinione pubblica, la quale insisteva nel conoscere i fatti: probabilmente presa da un moto di panico. Per quanto l’immaginazione della gente fosse illimitata, sono più che sicuro che nessuno avrebbe potuto immaginare che la vicenda gravasse sulle esili spalle di una ragazzina di quindici anni.                                                                                                                                                            
L’anno precedente, quando prese la sua decisione, la cosa  non mi convinse affatto.                      
Quel suo improvviso desiderio di andar via dall’orfanotrofio era così innaturale per lei: nonostante le fatiche degli studi, lei amava la House .
Era la sua casa, il suo punto di riferimento.
Perché andarsene? Certo, anche lei era conscia che prima o poi avrebbe dovuto lasciare il nido, ma non così presto. Supponevo che alcuni avessero gli occhi puntati su di lei, per via della sua onorevole nomina di “ricercatore di stato”: era praticamente allo stesso livello di Watari. Ma non mi persuadeva la sua impellente fretta  nel buttarsi a capofitto sulla prima proposta ricevuta.                                                                                                                                
“Carpe diem, L!!” mi  canzonò quella volta, dopo aver parlato con un certo Kindom e accettato la sua offerta. Io non replicai: non avevo diritto alcuno di intromettermi nelle sue decisioni, la vita era la sua e di conseguenza doveva scegliere autonomamente.                  
Tuttavia percepivo , seppur impercettibilmente, una punta di dissimulazione nelle sue parole. Passò quasi un anno dalla sua partenza: alcune volte telefonava a Quillish, ma con una frequenza sempre minore con lo scorrere  del tempo. Tutto avrei immaginato, fuorché fosse implicata in vero e proprio colpo di stato: il secondo tentato bombardamento di Winchester, l’ennesima minaccia di una terza guerra mondiale. Dalle indagini emerse che la STERGON in particolare , era a conoscenza della Wammy’s House e della mia esistenza. Stavano raccogliendo informazioni sugli orfani, informazioni su di me e furono subdoli e discreti nel farlo, poiché decisero di usare una persona che non avrebbe dato nell’occhio: Shiro. Lei non  tradì mai la Wammy’s House, tuttavia solo a distanza di anni mi resi conto di quello che deve aver passato: il ruolo della doppio giochista deve essere stato un incubo per lei. Non so con quale pretesto la condussero via, però lei scelse spontaneamente di affrontare quel supplizio, l’ultimo ad incorniciare macabro il quadro della sua breve esistenza.                                                                                                                                                         
Tutto cominciò da quel lontano gennaio 1997, prima sciagura: l’esplosione della STERGON.                                                                                                                                                       
–L!! Hai letto il giornale!?!- Wammy proruppe affannato, fiondandosi nella mia stanza.                   
Io ero placidamente seduto sulla mia apposita sedia trapuntata. Le dita sottili trattenevano per i lembi i fogli di giornale, completamente immerso nell’articolo in prima pagina.                                                 
Quando sapemmo dell’esplosione, Watari si precipitò immediatamente a Londra, sul luogo dell’incidente.  Del centro di ricerca era rimasto solo un edificio diroccato: le finestre erano ridotte a pozzanghere di vetro infranto, cumuli di mattoni erano abbandonati al suolo, le pareti annerite.
La mano di un terrorista, si mormorava. Vittime ce n’erano, ma nessuna che corrispondesse alla descrizione di Shiro: furono trovati corpi carbonizzati, però nessuna quindicenne fu identificata tra questi. E’ da lì che cominciò a nascere un sospetto, forse il più inquietante che avessi mai avuto:
che fosse stata opera sua?  Ma non avevo prove per accettarlo, così mi concentrai sui contatti della STERGON poco tempo prima della strage.
Però, c’era un neo che affaticava le mie ricerche: l’esplosione aveva cancellato tutti i dati archiviati dal centro di ricerca. Indubbiamente quei primordiali archivi digitali erano assolutamente impraticabili. Forse fu da qui, che mi resi conto che far saltare un generatore elettrico fosse una maniera tanto rude quanto astuta per cancellare informazioni.                              
Ad esempio, una persona con un quoziente intellettivo superiore alla norma e una spiccata propensione per tecnologia, avrebbe potuto facilmente camuffare il suo operato facendolo passare per l’azione di una grande organizzazione estremista. Ciò nonostante, detti a quella possibilità solo il 5%: non tutti i cadaveri erano stati recuperati da sotto le macerie e in cuor loro, Roger e Watari ,pregavano affinché non fosse ritrovato l’esile corpo di quella ragazzina  schiacciato da un pilastro di cemento armato. Per quanto la situazione fosse spinosa, sin dall’inizio, non cedetti mai alla malaugurata ipotesi che fosse morta. Era tutto troppo strano, tanto che nel vorticare frenetico dei miei pensieri si delinearono tre ipotesi:                                                                                                                                   
1) Shiro era riuscita a scappare appena in tempo prima che saltasse tutto in aria. Considerando le sue doti atletiche e il suo istinto di sopravvivenza, non esclusi di certo una simile eventualità.                                                                                                                                                                                                           
2) Aveva provocato lei l’esplosione ed era fuggita.                                                                                                     
3) Entrambe queste ipotesi non si erano verificate: ergo Shiro era morta.                                                                                                              
Nel primo caso, senza dubbio, mi risultò strano che non fosse riuscita a mettersi in contatto con la House, a meno che non si fosse ritrovata in circostanze particolari.                                         
Nella seconda eventualità, era possibile che avesse captato qualcosa all’interno della STERGON. Una situazione che l’avesse spinta ad agire di conseguenza. Questo significava che se aveva scoperto qualcosa riguardo al centro di ricerca, si trattava senza dubbio di qualcosa di grosso.
Tanto da non permetterle la comunicazione con noi. Sin dal principio ebbi una specie di intuito riguardo a quell’improvvisa ed inaspettata proposta, la quale le fecero.
L’ultima eventualità era quella con la maggiore probabilità all’apparenza, eppure era contemporaneamente quella a cui credevo meno.
Subito mi misi a lavoro, cercando di reperire il maggior numero di informazioni possibili sul caso. Se ci fossero stati testimoni dell’accaduto, se quest’ultimi avessero visto qualcuno di sospetto aggirarsi nei pressi del centro di ricerca la sera dell’ 11 gennaio. Così mi presentai, per la prima volta, alla polizia londinese, palesandomi dietro quella L gotica impressa sullo schermo bianco di un computer. Cominciai così a servirmi delle forze dell’ordine, nonostante la diffidenza di queste, per effettuare le indagini. Erano appena passati due giorni da quando mi misi in contatto con le autorità inglesi, ed ecco che sui giornali fu pubblicata la notizia della seconda esplosione: “Esplode covo di un famigerato clan mafioso”.                                                                                     
Allora tutti i miei sospetti non poterono che trovare fondamento: c’era qualcuno che stava facendo strage di organizzazioni per uno scopo ben preciso.
Non poteva trattarsi di una coincidenza, no: il tempismo con cui erano avvenute era impeccabile. Che tutte queste “società “fossero collegate tra loro? Tuttavia,che il colpevole fosse una singola persona o un’organizzazione rivale, era molto probabile che avesse avuto dei contatti sia con la STERGON sia con il clan mafioso. In tal caso, la mia ipotesi sulla presunta morte di Shiro veniva meno: considerando anche che la polizia aveva ispezionato l’intero edificio centimetro per centimetro, senza aver rilevato altri corpi sepolti sotto le macerie.                           
Shiro era viva, ne ero sicuro.                                                                                                     
Supponendo lei  come l’artefice di tutto, era chiaro che volesse nascondere qualcosa a me, alla House , oppure allo stesso governo.
Solo in seguito scoprii che la cosa si estendeva al mondo intero.                                                                                                                                                                  
E se invece avesse voluto comunicarmi qualcosa? Sia che fosse entrata nelle schiere di qualche organizzazione sia che agisse sola, tutto ciò affermava che era ancora in vita.
Partendo da questo presupposto, cominciai a sospettare  un possibile collegamento con colui il quale , l’anno precedente, si presentò alla Wammy’s House con la superficiale intenzione di conoscere il rinomato “genio della meccanica”.                                                                                         
-Wammy  devi dirmi tutto quello che sai su Frederich Kindom , e fai delle ricerche sul suo conto, partendo dalla Commissione Scientifica Inglese .- fu il primo ordine che impartii a Quillsh, in veste di detective. Quando udì il nome di Kindom e dell’ente governativo che l’aveva riconosciuto come inventore di stato, sussultò sorpreso. Ma quando i miei occhi si inchiodarono su di lui, l’incertezza iniziale svanì e rispose fermo e risoluto:                                                          
-Va bene.- nient’altro. Solo la conferma che aveva recepito il messaggio. Da quel momento in poi le stesse parole verranno pronunciate dal fidato collaboratore di L: “Watari”.                                        
Riguardo a Kindom, scoprii del suo rapporto controverso con la Commissione Scientifica: anch’egli era stato un inventore e aveva tentato di essere riconosciuto come tale, ma i suoi studi furono bollati come qualitativamente scarni ed insufficienti a soddisfare i requisiti richiesti. In tal senso, avrebbe dovuto serbare rancore nei confronti della commissione, e invece proprio lui aveva chiesto a Shiro la sua collaborazione al centro di studi londinese, per conto della stessa Commissione. Così nei due giorni successivi utilizzai tutti i mezzi possibili per rintracciare Kindom, ma pareva sparito dalla circolazione. Che qualcuno l’avesse aiutato a fuggire? Quindi non ebbi altra scelta che puntare il mirino su Taylor West presidente della commissione scientifica … tuttavia fu troppo tardi …                                                                                                                                                                                              
 

16 gennaio 1997, Wammy’s House [ Winchester, 21:35]                                                                                                                                  


La luna piena era alta nel cielo e i suoi  raggi filtravano debolmente, attraverso le lastre trasparenti e spesse dei vetri. Carte e documenti erano abbandonati sul pavimento come foglie morte, consunte di inchiostro.                                                                                                                                    
Il vento all’esterno sibilava imperioso, smuovendo alcuni rami spogli nel cortile. La struttura longilinea del campanile della chiesa accanto svettava imponente verso l’alto, come se volesse elevarsi al cielo. Il medaglione lunare ne illuminava i contorni, creando uno scenario suggestivo e affascinate. Quello era il panorama che si scorgeva dalla finestra della mia camera, ma in quel momento ero troppo occupato per ammirare il paesaggio. Stavo continuando le miei ricerche su Frederich Kindom e sulla Commissione Scientifica . Indagando su queste entità venni a conoscenza dei contatti di Kindom con la stessa Commissione, quindi mi risultò facile pensare che uno dei due avesse certamente intercettato Shiro. Ma a che cosa miravano?
Io, allora quindicenne, non disponevo di mezzi veloci per raggiungere i miei scopi, e ciò comportava una lenta progressione delle mie indagini.
Come sempre la mia camera era un labirinto in districabile di fili e processori collegati al mio computer. Accanto a me  vi era collegato un telefono a prova di intercettazioni, con cui mi mettevo in contatto con l’unico uomo di mia fiducia il quale aveva acquisito il nome di Watari. Dato che stavamo indagando su questo caso, era chiaro che Quillsh avesse bisogno di uno pseudonimo che proteggesse la sua vera identità.           
Fu solo grazie a lui se mi avvicinai alla polizia inglese. Volevo avere conferma del coinvolgimento di Frederich Kindom sulla questione, così mobilitai la polizia londinese affinché fosse scovato, ma erano passati due giorni e di lui nessuna traccia. Ne disegnai persino il profilo psicologico e dalle ricerche da me effettuate, risultò essere un uomo estremamente irrequieto e facilmente suscettibile. Paradossale, considerata la sua intelligenza poco superiore alla norma. C’era qualcosa che mi sfuggiva, poiché non era un uomo capace di prendere l’iniziativa.
Che qualcuno l’avesse aiutato a scappare? Possibile.            
E se fosse stata Shiro? Ma a quale scopo? A che cosa mirava? Erano interrogativi a cui ancora non riuscivo a dare una risposta.
La luce bianca dello schermo inondava il mio viso: come sovente ero appollaiato a terra, la mano poggiata sul mento nell’atto di riflettere.
All’improvviso avvertii il suono acuto di un bip. Girai il capo rivolgendo i miei pozzi di petrolio sulla macchina dei fax , procuratami da Watari.
La spia verde si illuminò e un rumore metallico graffiò le acque stagnati del silenzio. Watari mi stava inviando i tabulati telefonici di Kindom e altre informazioni inerenti al caso.
Come era prevedibile il telefono squillò: mossi repentinamente il braccio per afferrare la cornetta con due dita. Sapevo già chi fosse:                                                                                                                                                   
-L .– la voce di Watari rimbombò nelle mie orecchie. Con la scomparsa di Shiro e la rapida successione degli eventi, il suo tono aveva assunto una  conformazione alquanto distaccata e professionale. Non si trattava più del suono cordiale e gentile a cui gli orfani erano abituati.                                                                     
–Ti ho inviato i tabulati e le informazioni che mi avevi chiesto.- proferì risoluto.                                      
–Sì, grazie le sto ricevendo in questo momento.                                                                                                                   
–Adesso sto rientrando in orfanotrofio con alcuni documenti che devi assolutamente visionare. Sarò lì tra quindici minuti circa.                                                                                                                                                                                                          
–D’accordo, grazie. – chiusi la chiamata lasciando cadere con precisione la cornetta sull’apparecchio. Mi alzai dalla mia posizione accovacciata e mi avvicinai pacato verso la macchina dei fax, abbandonata all’angolo della stanza. Un plico di fogli era adagiato sul parquet ed aumentava di volume ad ogni strato sottile che fuoriusciva dalla bocca di quel marchingegno elettronico. La stampa terminò e presi in mano la pila di fogli, c’era tutto : dai tabulati telefonici di Kindom, alle informazioni su di lui ed il suo rapporto con la Commissione. Scostando alcuni fogli notai anche i dati personali di Taylor West , il presidente della C.S.I* . Watari era persino riuscito ad ottenere il suo numero telefonico.         
Non avrebbe avuto senso contattarlo tramite la polizia, altrimenti avrebbe avuto il tempo di nascondere informazioni quindi decisi di prendere l’iniziativa chiamando personalmente West.
Non c’era altra soluzione per estorcere qualche informazione su Kindom e inoltre avrei subito compreso dalle sue parole se fosse implicato o meno nel caso. La probabilità che lo fosse era del 15%, ma sicuramente valeva la pena tentare. Con un balzo leggero evitai il labirinto di fili sugli assi di legno, insidiosi come serpenti, e avvicinai il telefono in quella porzione di pavimento illuminata dalla luce filtrante della finestra.
Buttai malamente i fogli accanto a me e cominciai a comporre il numero telefonico.                                                       
Erano le  21: 41, un’ora che non dimenticherò mai. Mai …


[ 21:41 ]


Il telefono squillava laconico, placido come i rintocchi delle campane della chiesa accanto. Non avrei mai potuto immaginare che proprio lì, protetto dalle mura della mia stanza avrei visto qualcuno morire. Un corpo accasciarsi al suolo inerme, privo di vita. Di anima.                    
Solo una bambola vuota dagli occhi vitrei che osservano un punto imprecisato del soffitto.  La linea era libera, ma udii dei tonfi lontani sovrapporsi a quella litania insinuatasi nelle mie orecchie.
Si facevano sempre più forti e vicini. Scostai la mia attenzione sulla porta che immediatamente fu spalancata con impeto. Tutto accadde velocemente, in un nano secondo.
Dei passi batterono sulle assi di legno ed  in un fugace momento incontrai di nuovo quegli occhi verdi … i suoi occhi verdi …                                                                                                                                 
-L!!!! – un urlo angoscioso inondò le mie orecchie. Non feci in tempo a realizzare di chi fosse, quando vidi un’ombra sovrastarmi. Una mano mi spinse via e il mio corpo si scontrò contro la parete retrostante. Nello stesso istante un sibilo mi perforò i timpani in maniera assordante. Poi un tonfo più fragoroso. Qualcosa aveva penetrato la finestra. In battito di ciglia vidi frammenti di vetro rilucente galleggiare in aria. Diamanti si infransero al suolo. Sollevai lo sguardo e per la prima volta in vita mia sgranai gli occhi dallo sconcerto. Il corpo di Shiro, ancora innaturalmente in piedi, pareva sollevato da mani invisibili. Nella penombra riuscii a scorgere le sue pupille restringersi improvvisamente e le iridi divennero opache, vitree. Vacue come quelle di una bambola. Io avevo i palmi delle mani appoggiati al muro in cerca di equilibrio, ero rimasto raggranchiato contro il muro in stato confusionario. Come un burattino manovrato da fili invisibili, la ragazza mosse qualche passo incerto in avanti. Aveva il capo chino, e nell’oscurità pareva miracolosamente inerme, ma sapevo che non era così. Dalle sue labbra sfuggì un singulto strozzato. Gocce dense, scure come un mantello di velluto caddero sul pavimento. Scrutai meglio la sua figura e realizzai cosa fosse successo.                          
Lo stomaco. Per quanto si potesse vedere, tutta la parte addominale era intrisa di sangue. Quel tonfo seguito dal sibilo era il rumore di uno sparo, e Shiro fu colpita in pieno. Un rivolo scarlatto scivolò a un angolo della bocca, seguito da un altro gemito soffocato. Aveva il capo rigorosamente chino ed io ero ancora paralizzato , spiaccicato contro il muro.                           
Mossi a tentoni le mani sulla superficie fredda e dura, elevandomi appena.                                                                                               
– Shiro … - sibilai a fior di labbra. Non era possibile per me nascondere stupore in quel momento.                                                                                                                                                                
Lei ghignò appena. Scorsi una fila di denti rilucere nella penombra.                                                                                                          
–Stavolta c’è mancato poco … vero bastardino? – puntò gli occhi verdi su di me. Le parole mi morirono in gola. Mi sentii incapace di replicare o spiccicare domanda alcuna.                     
I suoi occhi erano lucidi, limpidi, ma allo stesso tempo straziati e sofferenti. Pareva colta da un senso di gratitudine mentre mi guardava.                                                                                   
–Certo che quel cecchino ha una pessima mira … avrebbe potuto anche sparare alla testa, così si sarebbe conclusa in fretta questa storia -.
Con la coda dell’occhio guardò la finestra dietro di lei ed anch’io allora compresi: il campanile. Il tiratore era sul campanile.                                    
Prima che potessi aprire bocca l’eco di una voce risuonò nella stanza. La voce proveniva dalla cornetta: cadavere di plastica segregato sul pavimento. Anche se tremante, Shiro era ancora miracolosamente in piedi. Girò il capo verso l’apparecchio che suonava persistente:                        
-Pronto? Pronto??! Chi parla?- era la voce di West che reclamava risposta ai piedi della ragazza. Lei osservò l’oggetto e con sforzo si piegò a raccoglierlo: inutile dire che rigettò altro sangue  e tossì sommessa, però riuscì comunque ad afferrare quella cornetta. La mia mente era martellata da incessanti “perché”, i quali rimbombavano sempre più forti e mi impedivano di ragionare lucido. Shiro perse l’equilibrio e si gettò addosso a me appoggiando una mano sul muro, in tempo per non schiacciarmi. Io trasalii a quel contatto. Potevo percepire distintamente il suo addome contro il mio, il quale era zuppo di sangue. Distinguevo con chiarezza quella sostanza scarlatta scivolarmi lungo la stoffa della maglia bianca, macchiandola irrimediabilmente. Con forza spaventosamente innaturale, la ragazza riuscì ad alzare il capo e avvicinò la cornetta all’orecchio. Io avevo le sopracciglia aggrottate dalla tensione: lei respirava affannata, in cerca di ossigeno, ma pareva quasi divertita e compiaciuta. Sorrise beffarda, quando rispose alla persona all’altro capo del filo:                                                                                                                                                    
- Checkmate.- una sola lapidaria parola, mi fece comprendere il fondamento delle miei supposizioni e delle miei indagini. << Allora avevo ragione! >> pensai, intanto Shiro lasciò cadere la cornetta, la quale rantolò al suolo.                                                                                                                                                                                                    
– Shiro … perché … - cercai di domandare, ma fui interrotto da un suo gesto. Mi diede un colpetto sulla fronte con due dita insanguinate. Rammentai quella volta che giocammo a scacchi, lei fece lo stesso gesto. Probabilmente in quel momento le mie pupille tremarono di sgomento, tuttavia il suo viso mi mozzò ancora il fiato. Sorrideva, stava sorridendo. Lo stesso sorriso che mi aveva rivolto molte volte: caldo, deciso e rassicurante. Ma stavolta pareva quasi stentato, come se stesse cacciando indietro le lacrime le quali, notai, erano rimaste impigliate nelle ciglia lunghe.                                                                                                                                                                             
Boccheggiante mi guardò negli occhi:  dopo un po’i suoi cominciarono a saturarsi di speranza e sollievo, sentimenti che scacciarono la malinconia letta poco prima. La luce nella mia camera si fece improvvisamente più intensa, il vento era riuscito a spazzare via quella nuvola che occultava la luna.                                                                                                                                                                                                     
Mi dispiace L, ma stavolta è la fine … Non credo che ci sarà più occasione per una partita a scacchi...  q- questa è già conclusa p-per … m-me…                                                                                         
La sua forza di volontà non resse a lungo e le gambe tremanti cedettero. Istintivamente riuscii ad afferrarla in tempo e scivolai lungo la parete.                                                                                                                            
– Shiro resisti! – le intimai, alzando la voce per la prima volta.                                                                             
Lei continuava a respirare irregolarmente, in preda a tremiti incontrollati delle braccia e spasmi che le strozzavano il respiro tra una boccata e l’altra. Dei passi giunsero frettolosi, inchiodando all’istante una volta raggiunta la soglia della stanza. Watari non fece in tempo ad entrare e già le parole gli morirono in gola:                                                                                                                                       
-L! Cos…. Shiro??!!?- urlò infine stuccato alla visione della ragazzina sanguinante. Accorse fulmineo in preda alla disperazione, portando in grembo Shiro e sollevandole il capo. La ragazzina tossì sommessamente ed abbozzò un sorriso nel rivedere di nuovo il vecchio inglese. Watari immediatamente le aprì la giacca, scoprendo la ferita copiosa di sangue, per darle maggiore libertà. L’inglese si tolse la giacca formando una specie di cuscino sotto sua testa. L’uomo aveva una sciarpa di stoffa con cui cercò di tamponare la ferita. Era una grave emorragia quella che le stava corrodendo il fisico.                                                                                                                                                              
–Shiro!! Resisti!!- le urlò Wammy disperato. All’istante prese in mano il suo vecchio cellulare chiamando l’ambulanza. Ma fu tutto inutile …                                                                                                                                      
Tutto l’orfanotrofio quella notte si svegliò di soprassalto: le collaboratrici cercavano di rassicurare i bambini invitandoli a ripiegare nelle loro stanze. Roger
fu avvisato immediatamente ed accorse nella stanza, dove vide sconcertato la ragazza in fin di vita.                                                                               
Watari strinse ancora di più quella garza provvisoria, per fermare il sangue.                                                                 
–Sta tranquilla! Adesso l’ambulanza arriverà subito … Resisti figliola!!- la voce di Watari era scossa da fremiti incontrollabili. L’uomo strinse la mano sanguinate della ragazzina.                                      
–E’…è  inut-tile Wammy… ho..ho f-freddo… non mi sento più… le gamb-be. Sai che significa… ver-ro? – balbettò convulsamente rafforzando la stretta di mano.                                                                                         
Io non volevo che morisse, non potevo accettare che morisse.                                                                                                                                                                                                                         
–Non dire così! Non è da te arrenderti in questo modo!!- Watari era disperato.                                                                                                        
– Wammy … g-grazie di t-tutto. Mi h-hai rid-ato la fam … famiglia che av-vevo p-perso per sempre. Gr-grazie mil-le…                                                                                                                             
Istitutrici correvano da una parte all’altra del corridoio con pile di asciugamani, i quali si inzuppavano copiosi di scarlatto. A quel punto la mia mano andò a premere sul cumulo di stoffa sopra l’addome di Shiro. Lei voltò debolmente il capo verso di me, quasi stupita dal mio gesto ma poi sorrise nuovamente.                                                                                                                                            
–Cerca di non parlare. Se ti sforzi il sangue aumenterà- la esortai io concentrato sulla ferita.                  
Le sue labbra si incresparono nella dolce curva di un sorriso. Pareva divertita, credo che se ne avesse avuto la forza avrebbe riso come di suo solito.                                                                                                                                                       
–L … - mi chiamò flebilmente ed io voltai il capo. Il suo viso era illuminato dal chiarore lunare e quelle iridi verdi rilucevano come non mai. Il chiarore lunare occultava quel pallore malaticcio che stava a poco a poco assumendo. Tentai di ribadirle di tacere, ma fui interrotto:                                                                                                                                                                                                                   
-Forse ne-lla tua giustizia … n-non c’è posto per una com-e me … però nella mi-mia è sempre e-sistito un p-posto per te …                                                                                                                                             
Sgranai gli occhi : il suo volto era rigato di lacrime e continuava a sorridere. Era il più bello che ci avesse mai rivolto. Non era triste, era felice.
Di questo fui certo in quel momento.                                     
–Shiro…- mormorai infine.                                                                                                                                                    
L, Wammy … GRAZIE!- disse ad alta voce. Poco a poco la sua espressione cominciò di distendersi serena. Le palpebre schermarono gli occhi smeraldo. Reclinò il capo in abbandono. Spirò.                                                                                                                                                                                                    
Wammy cominciò a scuoterla imperterrito. I suoi richiami continui furono totalmente inutili: Shiro era morta.  Alle 22:o1, Sarah Meynell lasciò questo mondo.                                                                                                                                                                                                                         
Non riuscii più a sentire le urla disperate di Watari che continuava a ripetere il suo nome, poiché nelle mie orecchie rimbombavano i rintocchi delle campane. Assordanti, fragorosi stordivano il mio udito. Dopo tanto tempo le campane ripresero a suonare nella mia testa.       
                                                    
 

18 gennaio 1997, 9:05 [ Cimitero di Winchester ]                                                                                                                              


Tutto l’orfanotrofio pianse amaramente la scomparsa di Shiro. I bambini più piccoli riuscivano a stento a trattenere le lacrime. Fu un susseguirsi di pianti sommessi e sguardi bassi e addolorati. La bara laccata di bianco si adagiò nella fossa, fiori furono posati su di essa assieme a cumuli di terra, i quali ricoprirono il suo corpo come una coperta.                         
Watari si portò il cappello al petto stringendolo con la mano. Un monito a trattenersi.                           
Io ero accanto a lui, in piedi, con i pollici ai lembi delle tasche.                                                                                                         
La cerimonia giunse al termine. Le istitutrici portarono di nuovo i bambini in orfanotrofio. Chi non conosceva Shiro alla Wammy’s House?  Sempre allegra e confusionaria.                                                                   
La sua compagna di stanza, Emily, si trattenne per un ultimo istante davanti alla sua tomba posando un mazzo di fiori bianchi. Singhiozzò un’ultima volta, ma poi su consiglio di Watari si allontanò per rientrare in istituto. Alla fine rimanemmo solo io e Watari.                                                                                               
–Risolverò questo caso. Il suo sacrifico non andrà sprecato. - gli dissi con voce ferma fissando il cumulo di terra. Watari con un cenno del capo poggiò una mano sulla mia spalla.                                                                                                                                                                                                                                                                                                   
–Vuoi rientrare? – mi domandò cortese, con un timbro di mestizia.                                                                                                    
–No. Voglio restare ancora per un po’.                                                                                                                                                                              
–D’accordo- rispose il vecchio inglese  dando un ultimo amaro sguardo alla tomba di Shiro. Così Watari si allontanò lasciandomi solo, nelle mie riflessioni. Me ne accorsi troppo tardi che ero di nuovo solo. Le campane avevano ripreso di nuovo ad assordare nella mia testa. Per un lungo periodo tempo i loro rintocchi si arrestarono: nei sei anni trascorsi dall’arrivo della ragazza, le campane smisero di suonare.                                                                                                                                                
Il mio volto riprese l’ espressione enigmatica di sempre al pensiero delle sue parole:                    
” C’è sempre stato posto per te”.                                                                                                                                                     
Strinsi amaro un pugno: - Non ti ho mai sopportata Shiro.- proferii con durezza, puntando i miei onici sulla sua figura sepolta a più di un metro da terra. Sospirai impercettibilmente rassegnato infilando le mani in tasca. Non appena lo feci, qualcosa mi ridesto completamente.
Preso alla sprovvista estrassi repentinamente dalla tasca sinistra un oggetto a me estraneo. Portai davanti agli occhi l’oggetto in questione: lo tenevo per l’estremo di una catenella, e alla base di questa c’era un pesante disco rotondo. Quello era l’orologio di Shiro, lo stesso che le fu consegnato alla sua premiazione. Cosa ci faceva nella mia tasca? Quando l’aveva messo? La risposta mi fu chiara subito dopo.
Le immagini di quella notte mi folgorarono all’istante: fu in quel frangente, quando si avvicinò a me poggiandosi alla parete, che deve avermelo infilato in tasca. Questo significava che non era ancora finita. Osservai l’orologio d’argento oscillare ipnotico davanti ai miei occhi. Lo aprii: numeri erano incisi sul fondo del coperchio. Un enigma? Probabile visto che lo ritrovai proprio nella mia tasca.                               
–Shiro … riesci sempre a sorprendere anche quando non ci sei … - mormorai abbozzando un sorriso, anche se percepii distintamente amarezza. Il suo ultimo messaggio lo aveva lasciato a me.

 


Simile ad un medaglione, quel disco d’argento oscillava silenzioso dinnanzi agli occhi di Ryuzaki. I contorni metallici rilucevano bianchi dalla luce artificiale dello schermo.                 
L abbassa un attimo lo sguardo sulla mezza ciambella deposta sul piattino. Alla fine ripone l’orologio in tasca e si alza per dirigersi alla porta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 







Mamma mia!! Ce ne voluto di tempo ma alla fine sono riuscita a postare!!! Alla fine il fatidico capitolo strappalacrime è giunto.
Sì è proprio così che è morta Shiro. Tuttavia vi avverto che questo è il penultimo capitolo! Attention please.
Spero di aver reso bene il racconto di L e i suoi pensieri!!
Sono l’una e mezza di notte e i pensieri con un po’ fiacchi, quindi mi auguro di non aver pastrocchiato la parte finale. Bene!
Adesso tocca a voi recensire!!
  
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