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Autore: BlueSkied    04/11/2012    2 recensioni
Emily Rochester, giovane addestratrice di cavalli dal passato difficile, è assunta nelle prestigiose scuderie LaMosse, dove, tra adolescenti teneri e stravaganti e padroni senz'anima, il suo cuore si dividerà tra due modi diversi, ma complementari, di amare qualcosa e qualcuno.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Vincitori e vinti


Non riesco a capire bene se sto meglio o no.
Anche se sono passate settimane dal crollo e dalla visita a sorpresa di Celia, non so se ho ancora realizzato tutto quello che è successo. La busta che la mia sorellastra mi ha lasciato è lì, sul mio comodino, intatta. I cavalli di cui devo occuparmi ora sono solo nove. Sembra quasi che la mia mente lavori a fatica e anche chi è intorno a me se ne accorge.
Abrahms, il fantino che prima montava Astrabee, mi sventola una mano davanti agli occhi: - Emily, sei ancora tra noi?- dice, sarcastico, richiamando la mia attenzione.
Siamo nel campo coperto adiacente alla stalla numero uno, dove sono stati trasferiti i miei cavalli mentre la tre è in riparazione, e io mi sono bloccata, con la spazzola nella criniera di Princess Anne. Mi riscuoto, districando gli ultimi nodi, e gli passo le redini: - Sì, scusa. Ero sovrappensiero – mi scuso, ma lui scuote la testa: - Non preoccuparti. Siamo tutti un po’ distratti a ridosso della gara – commenta.
Monta in sella alla cavalla e va a prepararsi per gli ultimi allenamenti, mentre Sasha mi si avvicina: - Juno mi ha detto che dormi male. Stai bene?  – mi chiede, mordendosi un labbro con aria apprensiva. Annuisco, senza pensare a una vera risposta: - Stai tranquillo, è come ha detto Abrahms, sono solo nervosa per l’inizio delle gare – lo rassicuro, in realtà non convinta.
Lui alza un sopracciglio, subodorando la frottola, ma non commenta.
- Princess Anne è la migliore, dopo Astrabee. Io penso che possa vincere la gara di cross-country – dice, invece, cambiando argomento.
– Sì, lo credo anche io, e Wood è d’accordo con me – replico, lieta del fatto che Sasha capisca sempre al volo le situazioni spinose.
Rimaniamo un po’ a guardare gli allenamenti, poi parla di nuovo: - Ho sentito dire che Hades è imbattibile – mi racconta. Non mi stupisce affatto.
– Dovremmo vederlo all’opera – ribatto, osservando uno degli Inglesi della stalla due eseguire una serie di perfetti oxer.
Sasha mi dà di gomito: - Sembra che potremo farlo proprio ora – dice, indicando l’ingresso del campo.
Marine sta entrando con il suo istruttore personale, conducendo il Frisone per la lunghina. L’attività si ferma per qualche istante, fra calorosi saluti da parte dei leccapiedi e occhiate in tralice dagli invidiosi. Inutile dire, che la signorina LaMosse monopolizza rapidamente il recinto e che, ovviamente, tutti s’interrompono immediatamente per guardarla.
Impossibile credere che quello sia lo stesso cavallo che ha perso la testa nelle stalle e che mi ha sgroppato.
Il dressage è una disciplina che richiede la massima sintonia tra cavaliere e cavallo e Marine e Hades sembrano parte l’una dell’altro, come me e Hawkeye. L’animale esegue ogni esercizio al millimetro, e lei non mostra la minima incertezza.
Ma se il rapporto tra me e Hawk è profondo e simbiotico, tra loro io recepisco chiaramente una fredda sottomissione del cavallo al volere dell’umana. È domato, ma non sopito, controllato, ma sconosciuto.
Un drago divoratore di vergini tenuto a bada con ossicini di pecora. Molto più obbediente, ma non meno pericoloso.
Tra la gente intervenuta ad assistere, scorgo anche Art e Ashton LaMosse. Se il primo esprime un’intensa disapprovazione mista a rassegnazione, il secondo è gonfio d’orgoglio e indifferenza. Davvero, pensavo fosse una persona migliore.
– Non gli importa nulla di sua nipote o del cavallo – dico a Sasha, con disprezzo – Vuole che vincano, fine della storia –
Il ragazzo annuisce: - Capisco perché Marine è così stronza – commenta.
Siamo obbligati ad assistere all’intera simulazione di prova, tranne quella di cross- country che è stata fatta ieri, e alla fine, la ragazza si prende anche un bello scroscio di applausi decisamente ipocriti, ma meritati. Non so che cavalli abbiano le altre scuderie, ma Hades è veramente imbattibile.
Mentre io e Sasha stiamo per tornare al lavoro, una voce nota mi richiama: - Rochester, venga qui, per favore – Marine mi aspetta, già scesa di sella: - Vorrei che strigliasse Hades. Mi piacerebbe parlarle, se non ha nulla in contrario – dice, accogliendomi con uno dei suoi sorrisi assassini. Naturalmente, non posso avere nulla in contrario.


Il box di Hades è il più comodo e grande della stalla. Mentre lo porto dentro per strigliarlo, non posso evitare di essere nervosa. I lividi ormai sono spariti, ma l’umidità occasionale e i movimenti bruschi mi portano ancora fitte al gomito. Sono stata molto fortunata.
Inizio a lavorare, con calma, fingendo che questo sia un cavallo qualunque, ma la sua cattiva indole emerge in piccolissimi segnali, come il tendersi nervoso dei muscoli e le froge dilatate. Di nuovo, capisco come sia stato costretto a imparare a stare fermo e a farsi toccare, ma dentro freme, represso. Mi muovo più lentamente del solito, per non dargli spunti per sfogarsi proprio con me, e ci sto mettendo un sacco di tempo a fare le cose più elementari.
Sono concentrata, ma tendo l’orecchio per sentire l’avvicinarsi di passi che aspettavo.
Marine si avvicina al box e mi studia per pochi attimi, prima di entrare accanto a me e di mettersi ad accarezzare la criniera dell’animale: - Non è bellissimo?- dice, la voce in reale venerazione.
Nulla da dire, probabilmente Hades è il cavallo più bello che abbia mai visto, però mi dà la sensazione di ammirare la lama che mi trapasserà. Mi limito ad annuire, in attesa che lei prosegua. Qualunque cosa abbia in mente, di certo non può farmi piacere.
Si volta a guardarmi, in silenzio, poi afferra una ciocca dei miei capelli e se la rigira fra le dita, apparentemente, incantata dai riflessi.
Non reagisco affatto, e lei la lascia andare: – Anche tu sei bella, lo dicono tutti – continua, abbassando la voce, in un modo che fa venire i brividi.
Mi ostino a non reagire, chiedendomi cosa diavolo dovrà ancora succedere, e Marine mi prende la mano che tengo posata sul collo di Hades e mi apre le dita, sfiorando il palmo come se la volesse leggere. Mi fermo e la guardo, perplessa, e lei mi restituisce uno sguardo curioso: - Sono così ruvide. Penso che strigliare cavalli tutto il giorno le faccia diventare così – nota.
Fa una piccola pausa, poi si punta il mento con un dito, in un gesto di perplessità simulata: - Davvero a Liza piace farsi toccare da mani così?- chiede, in tono cantilenante.
La temperatura si abbassa all’istante di almeno venti gradi. Lei sa.
Il cuore m’ inizia a rombare, impazzito, ma io non muovo un muscolo.
La guardo dritta negli occhi e Marine sorride, nauseante e trionfante: - Non hai nemmeno intenzione di negarlo. Beh, sei un tipo intelligente, di questo te ne devo dare atto. Sì, io ho occhi e orecchie dappertutto. Non ci credevo, all’inizio, ma poi, sai, l’evidenza è una prova schiacciante – spiega, in tono melenso.
Reprimo il conato di vomito che mi assale, la voglia di strangolarla, e sospiro profondamente: - Cos’è che vuoi da me?- le chiedo, atona, gettando alle ortiche ogni formalità.
Se possibile, il suo sorriso si fa più largo: - Da te niente e nemmeno dalla mia cara zia. Ho solo voluto informarti che il tuo delizioso e illecito idillio sta per finire – dice, stringendosi nelle spalle.
Mi sembra di avere le viscere di piombo, ma non le darò ulteriori soddisfazioni: - Lo hai già detto a tuo zio?- chiedo, piatta. Marine scuote la testa, noncurante: - Oh, no, sarà la ciliegina sulla torta della mia vittoria, domani – dice.
Mi viene quasi da ridere: - Tu non perdi mai, vero, Marine LaMosse?- osservo.
Adesso, la sua espressione è satanica: -Esatto, io non perdo mai – conferma, poi si avvicina al mio orecchio: - Ti consiglio di divertirti finché puoi, troia lesbica – sussurra, poi si volta ed esce, sulle ceneri della sua distruzione.
 

Ora che non ho più tempo, ho capito cosa fare. Ho firmato i documenti, e ho scritto a Celia e nostra madre, la lettera più difficile che abbia scritto finora.
È una splendida sera di fine primavera, calda e dorata e sono seduta sul letto, in attesa.
Sono pronta al dolore che proverò, ma ho bisogno di prepararmi al distacco.
Ho con me qualcosa che mi ricorda tutte le persone e le cose importanti della mia vita. La foto di Eagle, le lettere della mia amica di penna, un nastro per capelli di Alison, uno dei braccialetti colorati di Juno e Sasha, una carta truccata di Wood. Mancano le più importanti, e devo averle ora.
Elizabeth arriva, col suo passo silenzioso, sorpresa che le abbia chiesto di vederci così all’improvviso. Si toglie le scarpe in fretta e mi abbraccia, ma io la freno.
Non ho, ovviamente, intenzione di dirle nulla, ma so che questa sarà l’ultima volta in cui staremo insieme.
La faccio sedere davanti a me, sul materasso, e la guardo a lungo, chiedendole di non dire niente.
Inizio a spogliarmi, lentamente, imprimendo dentro di me la consapevolezza dei suoi occhi sul mio corpo. L’aiuto a svestirsi, fissando nella memoria ogni sensazione, e moltiplicando ogni bacio per cento.
Le mie mani e le mie labbra registrano tutti i dettagli di lei, lo spazio fra le sue scapole dove mi piace appoggiare la fronte, la pelle serica del suo collo, i seni su cui ho dormito, i recessi ben noti del suo sesso, la bocca morbida e tremante, la cascata di capelli soffici e corvini. Metto in ogni carezza e sospiro una promessa d’amore muta e un addio taciuto.
Quando l’affanno si placa e lei scivola nel sonno, io resto sveglia, l’anima marchiata della sua ombra.
Ora posso affrontare i colpi.           
  
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