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Autore: Valine    04/11/2012    3 recensioni
Da un cuore spezzato dal dolore nascono l'odio e l'accanimento contro il mondo. Regina lo sa fin troppo bene, ogni volta che vede suo figlio Henry tenere la mano ad Emma, ogni volta che Mary Margaret spasima per David. E il passato ogni notte ritorna, un incubo che si rivolta come un mare in burrasca e purtroppo dannatamente vero...
Poi, un giorno come tanti a Storybrooke, una ragazza in sella a una mountain bike schizza davanti alla sua Mercedes, mancandola di un soffio. Due paia di occhi scuri si incrociano e sembra che si conoscano...
Siamo più o meno alla seconda metà della prima serie. Emma è lo sceriffo della città, August è arrivato da appena qualche giorno e la ruota del tempo ha ricominciato a girare, cambiando direzione...
Avvertenza: tra i vari pairings ci sarà sarà anche lo Swan Queen, ma non subito.
Genere: Drammatico, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 Eccoci arrivati al secondo capitolo! Un nuovo personaggio cambierà il corso della storia di Storybrooke!
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra quelle seguite, spero che continui a piacervi!



Capitolo II


Una mattina come tante a Storybrooke, o forse no?



Regina si svegliò di soprassalto sotto lo strato delle sue lenzuola di seta. Aveva avuto di nuovo quell’incubo, anzi, più precisamente, la sua mente aveva rivissuto lo stesso tremendo ricordo. Accadeva sempre quando fuori imperversava un temporale, da tempo immemorabile ormai. Purtroppo per lei, la costa del Maine di temporali e piogge intense ne subiva spesso e non riusciva ancora ad abituarsi.
Guardò la sveglia poggiata sul comodino. Le lancette segnavano appena le cinque del mattino, troppo presto per svegliare Henry, suo figlio adottivo.
Si premette le tempie tra le dita, la testa le doleva. Era completamente sola nel buio della sua camera da letto senza nemmeno un’ombra a farle compagnia.
Qualche tempo prima c’era stato Graham, il precedente sceriffo della cittadina di Storybrooke, a deliziarle le notti, quando il bisogno di scatenarsi si faceva pressante. Ora però non poteva contare neppure più su quell’uomo perché lei stessa lo aveva eliminato nel modo che più avrebbe dovuto odiare, proprio come sua madre Cora aveva ucciso il suo amato Daniel.
Regina contrasse le labbra. Per quanto i ricordi fossero come delle lame piantate nel cuore, si era resa conto già da molto tempo che le servivano per alimentare tutti i poteri che aveva ottenuto a un prezzo enorme, per ultimo quello che aveva trasportato tutti gli abitanti delle terre incantate in quel mondo senza magia.
Pianeta Terra, era lo strano nome di quel globo rotondo. Lì erano diventati tutti dei comuni terrestri che non ricordavano nulla del proprio passato, eccetto lei e Tremotino. Adesso si faceva chiamare Gold, e Regina sapeva bene che era un mago troppo potente per essere sottomesso, per di più da un incantesimo che aveva creato lui personalmente.
Per ventotto anni nessuno aveva turbato ciò che aveva realizzato, era il sindaco di una città praticamente ferma, sempre uguale a se stessa, questo almeno fino a quando non era giunta Emma Swan, la madre naturale di Henry. Era riuscita a farsi eleggere nuovo sceriffo della cittadina e Regina era più che certa che stesse tramando per strapparle suo figlio, quel bambino che aveva accolto in casa sua e aveva cresciuto come sua unica ancora di salvezza.
Regina strinse con rabbia un pezzo del lenzuolo nel pugno, stringendolo talmente tanto da farsi male. Quella bionda slavata non si stancava di sfidarla, era sicura che ci provasse gusto. Prima o poi avrebbe trovato il modo di liberarsi anche di lei.


Una radiosveglia segnò le sei e trenta del mattino e si accese automaticamente sul notiziario di una radio locale.
«Buongiorno Storybrooke!» esclamò un’allegra voce maschile. «Un’altra bella giornata sta per iniziare! Il forte temporale di questa notte ci ha fatto un po’ spaventare, ma per fortuna la perturbazione si sta allontanando…»
Una mano si protese verso il comodino e la spense. Lo sceriffo Emma Swan mugugnò e riaffondò la sua chioma dorata sul cuscino. Non aveva voglia di alzarsi, quelle erano proprio le tipiche mattinate da passare a letto, preparandosi magari poi una tazza di cioccolata calda con panna e cannella…
Qualcuno bussò insistentemente alla porta della sua camera. Mary Margaret, l’amica con cui divideva l’appartamento da quando era arrivata in quella città, entrò trafelata, già vestita di cappotto, sciarpa e cappello di lana, pronta per uscire.
«Emma!» esclamò la ragazza più stupita che mai. «Sei ancora a letto!»
Emma bofonchiò qualcosa tipo «Cinque minuti… Dammi altri cinque minuti...» e Mary Margaret rispose piccata «Oh, che dormigliona che sei! Se ti aspettassi arriverei sempre in ritardo a scuola! Comunque i pancake e il caffè sono sul tavolo… Io vado!»
La porta si chiuse ed Emma finalmente si decise a iniziare la sua giornata.
“Sì… Proprio la scuola!” pensò sarcasticamente mentre infilava il maglione. Emma non aveva nemmeno bisogno di usare la sua particolare capacità di individuare le menzogne soltanto guardando in faccia una persona.
Era chiaro dove la sua amica stesse andando con così tanta fretta: alla tavola calda di Granny, dove tutti i giorni alle 7:15 in punto il bel David Nolan passava a prendere la colazione.
Mary Margaret provava una forte attrazione per quel ragazzo e insisteva a incontrarlo nonostante lei le avesse consigliato più volte di stargli lontano, perché David era un uomo sposato.   
Emma aprì la finestra per fare cambiare aria alla sua stanza. Respirò profondamente, il temporale era passato e aveva lasciato un’atmosfera fredda ma per lei piacevole.
Guardò fuori e osservò la città che lentamente cominciava a muoversi. Sospirò dispiaciuta. Perché l’amore doveva essere così imprevedibile e disturbante?
Mary Margaret aveva assistito David in ospedale mentre era in coma ed era passata dalla gioia immensa di averlo visto risvegliarsi alla tristezza più profonda quando sua moglie Katherine era venuta a prenderlo, e ciò mentre Regina si era gustata la scena manco fosse stato un piatto di caviale e champagne.
Emma contorse le labbra, quella brunetta sociopatica godeva delle disgrazie altrui, in particolare delle sue e di quelle di Mary Margaret. Avrebbe voluto strangolarla, ma spesso doveva subire le sue frecciate, per il bene di Henry. Il bambino aveva chiesto il suo aiuto e lei aveva scelto di non mancare, anche se dieci anni prima aveva rinunciato a lui credendo di metterlo al sicuro.
Emma scosse la testa. Spesso si perdeva nei suoi stessi pensieri tanto era cambiata la sua vita negli ultimi mesi. Mise in ordine la sua camera più velocemente che poté e passò a fare colazione. Doveva sbrigarsi se voleva incontrare Henry prima dell’entrata a scuola, cercando, possibilmente, di non incrociare Regina.
Addentò con nervosismo un pancake. Dio! Perché non passava un solo giorno a Storybrooke senza doversi preoccupare di quella donna?


Le sette in punto scattarono su di un navigatore GPS all’interno di un fuoristrada, quando improvvisamente questo si spense.
«No! Merda!» esclamò la ragazza che era alla guida. Sarah Chesterton, questo il suo nome, batté due volte il palmo della mano sull’oggetto elettronico illudendosi che desse segni di vita, poi si impose di calmarsi. Dopo tutto stava per avvicinarsi al luogo che stava cercando da tempo e sul quale aveva calcolato delle eventuali anomalie.
Intorno a lei c’era un bosco che si estendeva alla sua destra e alla sua sinistra già da parecchie miglia, e solo grazie al navigatore satellitare non aveva perso ancora l’orientamento. Proseguì ancora per mezzo miglio lungo quella strada che serpeggiava tra gli alberi, poi frenò di colpo. I suoi occhi castani brillavano di meraviglia, al bordo della strada c’era un cartello con scritto a caratteri grandi “Benvenuti a Storybrooke”.
Non le sembrava che in quella zona sperduta dovesse esserci una città, ma, con tutto quello che aveva imparato durante gli anni, riconobbe che le sorprese non avevano mai fine.
Rimise in moto e sorrise, forse la sua ricerca questa volta non sarebbe finita in un buco nell’acqua.
Storybrooke non aveva niente di diverso rispetto alle altre cittadine costiere del Maine che aveva percorso prima di arrivare fin laggiù. Strade pulite e ordinate, piccole case, tanti negozi  caratteristici e infine il porto.
Proprio nei pressi dello scalo parcheggiò la sua auto. Per fortuna aveva smesso di piovere e le nuvole scure si stavano diradando, solo un tuono molto lontano e il garrire di alcuni gabbiani rompevano il silenzio di quel luogo.
Sarah respirò l’aria intorno a lei, aveva viaggiato di notte, per ore, all’interno di quella scatola di metallo, concedendosi poche soste e prendendosi anche qualche rischio di troppo a causa del cattivo tempo.
Si guardò intorno e annuì. Non l’avrebbe mai detto, ma doveva fermarsi proprio lì, a Storybrooke.
Uno strano e potentissimo entusiasmo si impossessò di lei, in più aveva una voglia matta di sgranchirsi le gambe. Inoltre doveva cercare assolutamente il municipio per chiedere le informazioni di cui aveva bisogno.
Indossò il berretto di lana per coprirsi la testa dal freddo sistemando alla meglio i suoi lunghi capelli color mogano, quindi aprì il bagagliaio tirando fuori una mountain bike dal colore rosso sgargiante. Prese in fretta il suo zaino, controllando che all’interno non mancasse niente.
«Bene, almeno il cellulare funziona» si disse meditabonda sfiorando con i polpastrelli il suo smart-phone, salvo poi accorgersi che anche il piccolo GPS agganciato al manubrio della bicicletta si accendeva normalmente. Tirò un sospiro di sollievo, un problema in meno su cui concentrarsi.


«Henry, sbrigati!»
Regina, dopo essersi adeguatamente preparata, chiamò suo figlio. Ci teneva che lui fosse sempre puntuale alle lezioni scolastiche e, soprattutto, non voleva fare tardi al municipio. Anche se Storybrooke non era una metropoli, amministrarla era tutt’altro che semplice, per questo s’era sempre imposta rigore e precisione.
Il ragazzino scese di corsa nella cucina. «Hai ragione, mamma, scusami!» disse, ma non aveva l’aria dispiaciuta, anzi sorrideva.
Regina diede a Henry il suo sacchetto con il pranzo. Non era contento di andare a scuola prima che arrivasse Emma e ciò la innervosiva. Che suo figlio le preferisse una donna che non si era mai interessata a lui era inaudito.
«Mamma, adesso lo dico io che è tardi!» protestò Henry già sulla soglia della porta.
Era a conoscenza del fatto che Henry utilizzava gli ultimi cinque minuti prima del suono della campanella per salutare Emma, che, guarda caso, passava di lì proprio in quel momento per dirigersi alla stazione di polizia. Regina aveva occhi e orecchie dappertutto e le avevano riferito che l’incontro si ripeteva tutti i giorni.
Alquanto inviperita, la donna attese che Henry occupasse il posto del passeggero e inserisse la cintura di sicurezza, poi mise in moto la sua Mercedes.


Sarah era scattata sulla sua mountain bike. Percorreva a passo calmo e costante il lungomare; nonostante la strada fosse ancora bagnata, le ruote della sua bicicletta aderivano bene all’asfalto. Metro dopo metro rifletteva sul da farsi, ne ponderava le conseguenze e lanciava sguardi agli abitanti della città che qui e là camminavano sui marciapiedi, parlavano tra loro oppure andavano al lavoro nelle loro automobili. Si chiese se mai immaginavano che il territorio dove abitavano fosse differente da tutti quanti gli altri e se per caso qualcuno dall’altra parte fosse giunto lì. Scoprirlo era uno dei suoi obiettivi.
La ragazza svoltò a sinistra e, dopo aver percorso un breve viale alberato, si ritrovò su quella che era probabilmente la strada principale della città. Guardò a destra e a sinistra, e, quando ebbe via libera, si spinse in un nuovo scatto di gambe. Sarah aumentò l’andatura, la città le piaceva molto e la faceva sentire a suo agio. Il suo cuore era tranquillo e aperto.


Regina salutò Henry davanti all’ingresso della scuola e ripartì, o meglio, cercò di ripartire per poi fermarsi di nuovo poco più avanti, in prossimità dell’incrocio che intersecava la strada principale. Il semaforo era appena diventato rosso.
Nei pochi minuti che seguirono si trovò a subire i quadretti mattutini che meno desiderava vedere. Attraverso lo specchietto retrovisore vide Emma sopraggiungere, abbracciare Henry e poi accarezzargli i capelli affettuosamente. Cercò di distogliere lo sguardo e di rivolgersi in avanti, ma fu peggio.
All’angolo opposto dell’incrocio Mary Margaret, cioè l’odiata Biancaneve, si stava intrattenendo con David Nolan, anche lei in atteggiamento civettuolo. David altri non era che James Charming, il principe amato e sposato da Biancaneve dopo che lui l’ebbe riportata alla vita dalla maledizione della mela avvelenata. Era inevitabile che i due ragazzi fossero attratti l’uno dall’altra data la loro vera natura ed evidentemente far credere a lui di essere sposato con un’altra donna non era sufficiente.
Distruggere Biancaneve, l’unica rimasta in vita di coloro che avevano cancellato la sua famiglia, era la sua principale ossessione.
Mary Margaret salutò David tenendogli una mano. Regina, con la pazienza ridotta ai minimi termini, fece una smorfia di disgusto e premette il piede sull’acceleratore senza accorgersi che il verde per lei non era ancora scattato.


Sarah, approfittando del fatto che la strada fosse in leggera discesa, accelerò ancora di più. Trovava divertente che il vento le muovesse i capelli all’indietro, era una delle ragioni per cui preferiva andare in bicicletta, se le era possibile. In sella provava una sensazione di libertà sconfinata che non percepiva in altre circostanze.
Davanti a lei il semaforo le indicava via libera; chiuse gli occhi appena per un paio di secondi tanto si sentiva sicura di sé. Troppo sicura.
Riaprì gli occhi; proprio mentre stava per imboccare l’incrocio vide spuntare un’auto scura dalla destra.
«Cavolo! No!» esclamò mentre la sua prontezza di riflessi
in un istante la portò a premere il freno della bici.
La strada era ancora bagnata. Sarah piantò la ruota anteriore proprio dove si era formata una sottile pozzanghera, quindi perse contatto con il suolo scivolando proprio davanti al cofano dell’auto scura.
La mountain bike, con la ragazza ancora in sella, attraversò come un razzo l’incrocio andando a sbattere contro un idrante.


Un fulmine rosso, soltanto questo era riuscita a cogliere Regina della bicicletta che le era letteralmente volata davanti agli occhi. Aveva fatto appena in tempo a bloccarsi, altrimenti avrebbe senz’altro investito in pieno quella persona. Scese subito dalla Mercedes per verificare cosa fosse accaduto.
Tutte le persone che erano lì si fermarono spaventate e attonite di fronte a quell’insolita scena. Emma disse a Henry di entrare subito nella scuola e corse dalla vittima dell’incidente.
Sarah si accorse di essere fortunatamente meno ammaccata del previsto, le doleva soltanto un ginocchio e aveva dei graffi su di un sopracciglio, quindi riuscì ad alzarsi anche se lentamente. Guardò Emma avvicinarsi velocemente a lei, ma stava dando le spalle a Regina.
«È questo il modo di guidare una bicicletta in città?!» esclamò il sindaco con i nervi tesi come corde di violino.
«Mi perdoni… Non mi sono accorta che ero troppo veloce…» rispose Sarah, che a quel punto si voltò. I suoi occhi castani incrociarono quelli di Regina e la ragazza rimase senza parole.
Aveva viaggiato in lungo e in largo per scoprire un modo per saltare dall’altra parte e ora quel viso era proprio di fronte a lei. Il cuore le balzò in gola, aveva trovato quella donna così improvvisamente ed era così vicina…
«Signorina! Come sta?» le chiese Emma che la osservava in apprensione.
«Bene, grazie» le rispose con calma Sarah che intanto non riusciva a staccare gli occhi da Regina. «Nulla di grave, credo.»
«Insomma» la interruppe il sindaco in tono aggressivo. «Lei chi è? Non credo di averla mai vista qui in città!»
«Oh… Io sono…» balbettò Sarah. «Mi chiamo… Mi chiamo Sarah Chesterton. Sono arrivata in città stamane.»
Regina rimase interdetta. Nessuno arrivava a Storybrooke e nessuno se ne andava, questa era la regola fondamentale, anche se tre persone l’avevano comunque infranta: Emma, Henry e un tizio in motocicletta di nome August. Ora ce n’era anche una quarta, ma non aveva tempo di occuparsi anche di lei, non nell'immediato almeno.
Sarah tacque. Era dura recuperare la lucidità dopo quell'incontro, ma non era il caso di dire nient’altro. Innanzitutto non poteva essere certa di chi fosse realmente quella donna bruna che aveva davanti, poi l’avrebbero presa per pazza. Già con quell’incidente riteneva di aver iniziato la sua permanenza a Storybrooke nel peggiore dei modi.
«Beh, immagino saprà che dovrà pagare i danni alla mia auto!» riprese Regina aspramente. Sarah si concentrò sull’auto, effettivamente con il suo “passaggio” inatteso le aveva graffiato la parte anteriore del cofano. Era normale che fosse arrabbiata, ma qualcosa nell’espressione della donna le suggerì che non aveva comunque a che fare con una persona gioviale.
«Non credo, Regina» intervenne Emma con severità e un pizzico di sfrontatezza. «È lei a dover pagare i danni alla ragazza. È passata col rosso e mi sa che dovrò farle anche una multa salata!»
La bionda, più che mai soddisfatta, aveva avuto il suo contrasto quotidiano con il sindaco e aveva smaccatamente ragione. Nessuna delle persone intorno la contraddisse nonostante la controparte fosse la temutissima Regina Mills.
Il sindaco tirò il respiro e annuì, ammettendo di fatto la temporanea sconfitta.
«D’accordo, sceriffo Swan. La porti in ospedale… Poi ne parleremo!»
Salì sulla Mercedes e se ne andò.
Mary Margaret attraversò la strada e corse verso Emma e Sarah. «Tutto bene?» chiese. «Regina era furiosa. Come al solito, del resto.»
«No, non è niente…» si affrettò a dire Sarah che aveva
ancora lo sguardo  stralunato.
«A me non sembra, forse è in stato di confusione» replicò Emma osservandola. «Sarah… Devo accompagnarla in ospedale. Come avrà sentito, sono lo sceriffo di Storybrooke» e a quel punto le mostrò anche il distintivo. «Non può rifiutarsi di seguirmi.»
«Certo» rispose la ragazza. «La seguirò ovunque riterrà più opportuno.»
«Se avete bisogno di una mano…» si offrì Mary Margaret e a quel punto si presentò anche a Sarah. «Sono un’insegnante della scuola elementare qui vicino e amica dello sceriffo.»
«Piacere, mi dispiace solo di esserci conosciute in circostanze così… tumultuose» rispose Sarah rammaricata. «Mi perdonerà se non le do la mano… Le ho entrambe sporche. Mi spiace davvero.»
«Mary, vai a scuola» le raccomandò Emma. «Forse i bambini si sono spaventati, alcuni erano ancora qui fuori al momento dell’incidente. E poi questo è il mio lavoro.»
Mary Margaret le diede ascolto e le chiese di tenerla aggiornata prima di allontanarsi.
«Non ci faccia caso» riprese Emma. «È solo molto premurosa. Quando qualcuno ha un problema deve aiutarlo, anche se non lo conosce. È più forte di lei.»
«È molto gentile. Non si trovano molte persone così al giorno d’oggi» commentò Sarah.
Emma assentì. «Venga con me adesso, per favore.»


Henry era ancora sulla soglia del cancello della scuola. Non era stato in grado di sentire tutto ciò che avevano detto perché era piuttosto lontano, ma aveva visto il volto di Sarah e aveva capito che non era di Storybrooke. Anche lui sapeva che nessuno poteva entrare o uscire dalla città liberamente, a meno che non fosse una persona speciale. E quella ragazza, Sarah, doveva necessariamente esserlo.
  
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