Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: AnnabelleTheGhost    05/11/2012    3 recensioni
In una pianura isolata del Nord California si trova il collegio della Luna Nuova, visto come riformatorio dai genitori dei "ragazzi cattivi" o come scuola d'élite per i ricconi.
In realtà la scuola nasconde nel lato Ovest una cinquantina di ragazzi fuori dal comune, dai poteri demoniaci, e l'unico scopo per gli umani sarà essere lo spuntino dei demoni.
Dal capitolo 6:
"Tutto nella sua vita era cambiato, capovolto irreversibilmente. Niente era stato prima approvato da Albert: al destino non era mai importata la sua opinione. Aveva sempre cercato di stare in piedi in qualsiasi situazione ma poi era crollato e non era più riuscito ad alzarsi.
Albert aveva perso la speranza."
Genere: Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
4. Un passeggero inaspettato
 
È impossibile riuscire a dimenticare da dove provieni e la meta dove sei diretto, ma spesso la vita ti pone davanti a bivi e l’indecisione sbiadisce le certezze che possedevi. Tutto si confonde, e desideresti scordare perfino il tuo nome.
Questo stato di limbo tra realtà e sogni era dove era bloccato Albert in quel momento sul posto F20 per il volo diretto all’aeroporto di Charles M. Schulz, California. Aveva passato metà del volo con gli occhi chiusi, entrando nell’incoscienza, e credendo che quella che stava vivendo non fosse la realtà, bensì un sogno malefico. Quando, però, la sua mente si schiarì, era su un aereo e questa era un’innegabile verità.
Il fatto positivo era che i due posti accanto a lui erano vuoti, perciò poteva rimuginare quanto voleva e guardare i paesaggi che si succedevano per il finestrino con nostalgia. La sua casa natale accogliente era troppo lontana e si avvicinava ogni minuto sempre di più a quel luogo sconosciuto che nel suo immaginario era il luogo più inospitale della Terra.
Prese una matita colorata dal sedile di fianco, dimenticata dal bambino che si era seduto in quel posto nel volo precedente al suo. Dispiegò il tovagliolo che gli avevano dato delle hostess, insieme a un pacco di biscotti intoccati, e iniziò a scarabocchiare. Non era mai stato bravo a disegnare e, anche se lo desiderava, non si era mai sforzato di imparare, perché sapeva che sarebbe stato tutto inutile. Tracciò un cerchio, poi un filo verticale e quattro diagonali: un omino stilizzato perfetto. Intorno al capo disegnò delle linee disparate da una parte e dall’altra per formare una chioma stravagante. Non era in grado di disegnare occhi manga, perciò fece pressione sul tovagliolo così da formare due piccoli cerchi.
Faceva schifo. Confermava soltanto la sua ovvia incapacità.
Sbuffò e lasciò stare.
«Ehi, scusa, questo posto è libero?»
Albert voltò pigramente la testa e osservò la ragazza che gli aveva posto la domanda. Capelli corti, biondi e tendenti al riccio. Viso rotondo e allegro. Un lungo collo coperto da un pullover extralarge e pantaloni a zampa d’elefante.
«Sì, non c’è nessuno» rispose controvoglia. Ecco che la sua quiete sarebbe stata rovinata!
«Grazie al cielo! Ho fatto il giro dell’aereo e non c’erano posti liberi! Ti dispiace se mi siedo qua? Il posto che mi era stato assegnato era vicino al finestrino e mi viene la nausea a sedermi lì. E alla partenza ho mangiato un tacos abbondante – pessima scelta – e non è proprio il caso che lo vomiti, non credi?»
Il fiume di parole di quella ragazza aveva travolto Albert. Aveva solo capito che c’era un tacos che poteva essere potenzialmente rigettato. Bastarono, però, pochi secondi perché il suo cervello rielaborasse il tutto e comprendesse quel discorso.
«Non c’è problema: siediti».
Con un sorriso enorme stampato sulle labbra, la ragazza si appiattì e, dopo aver superato il posto più esterno, si accasciò con troppa foga in quello centrale, non prima di aver gettato un enorme borsone nero nel posto accanto.
«Graziegraziegrazie! Avevo ormai perso ogni speranza e temevo che avrei dovuto sedermi accanto al ciccione del posto A14 e c’era un motivo per cui non c’era nessuno vicino a lui!»
«Sono contento per te» ribattè in modo atono Albert.
«Eh, già, infatti». La ragazza era rimasta con lo sguardo fisso verso l’alto, come per studiare i pulsanti e l’aria condizionata. Allungò un braccio per sfiorarli, poi l’abbassò. Sospirò e portò la testa in posizione normale. Il suo sguardo venne catturato dallo scarabocchio di Albert. «Tu disegni, eh?»
«Non disegno. Passavo solo il tempo» disse e accartocciò il tovagliolo.
«Che peccato. Era così carino!» replicò con fare distratto.
«Dici? Chiunque avrebbe saputo fare di meglio!»
«Da’ qua!» lo spronò lei, tendendo il palmo aperto verso di lui. Albert posò la pallina di carta sulla mano e lei lo aprì. «Ecco, che ti dicevo? Non è poi tanto male! I disegni più belli iniziano da manichini semplici come questi e poi ci aggiungi la carne. È come se fossero degli scheltri. Capito, no?»
Albert annuì.
«Mi puoi dare la matita, per favore?» Lui gliela cedette e lei abbassò il tavolinetto del suo sedile e vi poggiò il pezzo di carta. «Vedi, se aggiungi questa linea qua, modifichi quest’altra, allunghi qualcos’altro… TA-DAN! Che te ne pare?» urlò dopo aver lavorato freneticamente.
«Sei molto brava a disegnare…»
«E te ne accorgi solo adesso? Credevo fosse chiaro dal primo momento» commentò, imbronciata.
«Non lo potevo sapere. Scusami».
Ora, il Sora che teneva tra le mani aveva molto più senso e assomigliava in modo maggiore a ciò che voleva disegnare in realtà.
«Vuoi che ti aiuti a finirlo?»
E perché no?, pensò Albert. Quando mai gli sarebbe capitata nuovamente un’occasione del genere?
La ragazza guidò la sua mano nel tracciare gli abiti, gli accessori e lo aiutò nei diversi particolari dopo che lui le ebbe descritto cos’aveva in mente. Era evidente che lei non avesse mai giocato a Kingdom Hearts.
A disegno ultimato, lei sorrise da una parte all'altra. «Visto? Ora è decisamente migliore!» Gli diede una seconda occhiata. «Dovresti essere tu vestito da Carnevale?»
Albert non seppe se ridere o sentirsi offeso. «No. È il personaggio di un videogioco».
«Ah, un videogioco! Sembra figo...» disse, inclinando leggermente la testa di lato.
Albert annuì. «È il migliore che abbia mai provato!» Voleva mostrarglielo e si inclinò per prendere lo zaino sotto il sedile. Quando però la sua mano toccò il tessuto si ricordò di aver messo la PSP nella valigia. «Mi dispiace, ma non ho la Play Station con me...»
Lo sguardo di lei divenne interrogativo. «E a che serve?»
«Non sai cos'è una Play Station?» Era sorpreso e incerto: esisteva davvero qualcuno che non conosceva quella piattaforma di gioco in tutto il mondo?
Lei scosse la testa. «Mio cugino ne capisce di queste cose, ma io mi sono rifiutata di farmele spiegare: non ci capisco niente e toglie spazio nel mio cervello a cose più importanti!»
«Tipo?» Cosa c'era di più importante della Play Station?
«Be', tutte le nuove tecniche di disegno che ho imparato, i libri che ho letto... Se poi finisco la memoria con quelle sciocchezze, dove metto le cose che mi interessano di più?»
Albert chinò la testa, cercando di mettere sui due piatti della bilancia le questioni da lei avanzate. «Non hai poi tutti i torti...»
«Visto?» Il sorriso di lei era ampissimo e radioso.
«Ma se tu mi insegnassi come si disegna, sarei io a non aver spazio per i nuovi giochi della Square Enix o della EA» le fece notare lui.
«Hai ragione!» rimuginò lei, grattandosi il mento. Poi alzò gli occhi e lo studiò con attenzione. «Naah, tu non avresti di questi problemi. Sembri troppo intelligente!»
Albert rise e scosse la testa. «Come fai a dirlo?»
«Non lo so. Ma sono certa che tu avresti tutto lo spazio che vuoi lì dentro!»
«Grazie» disse, e lei riprese a sorridergli per tutta risposta.
«Non c'è di che. È solo quello che penso ed io non ho peli sulla lingua!» Il busto della ragazza tornò sullo schienale e il suo sguardo vagava tra i pulsanti per chiamare assistenza e quello per accendere la luce.
Albert si trattenne dal dire che questa sua caratteristica l'aveva notata fin dal primo momento: non c'era cosa che lei non dicesse, frenata dalla buona educazione. Ma quella buffa ragazza, intenta a togliere la polvere da una bocchetta per l'aria, non gli pareva antipatica, solo un tantino troppo estroversa...
«Allora, tu dove sei diretta?» le chiese per rompere il silenzio che si era creato.
Smise di interessarsi all'aria condizionata e fece andare lo sguardo su di lui. «Molto molto lontano da qui. Troppo...»
Dal tono con cui aveva pronunciato queste parole, Albert si rese conto di non essere l'unico a viaggiare controvoglia su quell'aereo.
«Vai in un altro Paese?» Al di là della California non gli venivano in mente altri Stati americani più lontani, procedendo in linea d'aria. Ma se poi avesse fatto scalo e fosse andata in Canada o... in Brasile?
«No, ma sarò molto lontana da casa...» Non trattenne quel senso di nostalgia tra le sue parole e le ciglia divennero umide.
Albert si sentì a disagio: con Ketty bastava abbracciarla e dirle una battuta per farla sentire meglio, ma lui era un perfetto sconosciuto per quella ragazza e non poteva toccarla a suo piacimento. Fece ciò che gli venne più naturale: porgerle il primo pezzo di carta che trovò in giro.
Lei lo guardò sbattendo gli occhi. «Che fai? Questo è il tuo disegno!»
Solo in quel momento lui si rese conto che il tovagliolo in questione era quello dove si trovava la sua presunta opera d'arte, ma era l'unica carta utilizzabile in quel momento.
«Fa niente». Si strinse nelle spalle.
«Fa niente un corno». L'espressione triste divenne imbronciata, e molto seccata. «Questo è tuo e te lo tieni. Non essere scemo!» Gli mise il disegno sulle ginocchie con un colpo secco, che arrossò la carne sotto i pantaloni.
Fu Albert stavolta a sbattere gli occhi, ma per lo shock. Lui si era comportato nel modo più distaccato possibile, dato che i due non si conoscevano, e già lei lo insultava.
«Hai... hai ragione» si ricompose per non rimanere imbambolato come un cretino.
«Ecco. Bravo». Si passò le maniche del pullover sugli occhi. Il tessuto rimase pulito perché non c'era alcun trucco da poter essere sbavato.
Albert capì che era meglio cambiare discorso. «È un peccato che tu non possa vedere il panorama. È davvero stupendo!»
Lei inclinò leggermente il busto in avanti per sbirciare dal finestrino. «Bah, credo che il cielo sia uguale ovunque!»
«Non è vero, e se anche fosse, rimane pur sempre spettacolare! Sembra quasi uscito da un quadro. Non sai che ti perdi!»
Lei storse la bocca e scosse la testa. «So già quello che mi perdo e mi sono convinta che non c’è niente di spettacolare da vedere che mi costi una nausea con la n maiuscola!»
Albert alzò le mani, in segno di resa. «Okay. Come vuoi!»
Qualsiasi tentativo di un pacifico discorso era inutile con lei, dato che aveva sempre da contestare, così si lasciò andare sul sedile e pensò ad altro. Mancava come minimo un’ora all’atterraggio e l’unica cosa di cui aveva più voglia in quel momento era posare di nuovo i piedi sulla terra solida, senza essere tormentato da quel senso di perdita. Quando sarebbe atterrato avrebbe saputo la sua esatta collocazione sul globo terrestre... ma adesso? Viaggiava sul nulla; le terre che passavano sotto di lui potevano essere qualsiasi luogo: Colorado, Arizona...
Scivolò sul sedile e mise le mani sullo stomaco. I pollici andavano su e giù, come se avesse avuto in mano della carta d’imballaggio da scoppiettare, ma era in realtà un comportamento che non riusciva a togliersi neanche quando non aveva la PSP tra le mani. Se almeno avesse potuto distrarsi con un videogioco, avrebbe smesso di piangersi addosso e quel volo interminabile sarebbe stato decisamente più piacevole.
Si rese conto di essere rimasto incosciente per un po’ di tempo quando si ritrovò al buio completo, con gli occhi serrati. A riportarlo su quell’aereo era stato uno sgranocchiare fastidioso accanto al suo orecchio. Socchiuse gli occhi e girò la testa verso il passeggero seduto accanto a sè.
«Ehi, bentornato nel mondo dei mortali!» esclamò la ragazza tra un morso e l’altro.
Albert si stropicciò il viso e si rimise seduto dritto. «Quanto ho dormito?»
Lei alzò un attimo gli occhi, assumendo un atteggiamento pensieroso, poi rispose: «Credo un quarto d’ora... o forse era una mezz’ora?»
«Così tanto?» domandò, stiracchiando per bene ogni muscolo.
Annuì. «Non sai quaaaanto mi sono annoiata. Non c’è un tubo da fare su questo aereo!»
«Non lo dire a me...» sospirò a voce bassa.
La ragazza mise un biscotto in bocca, masticandolo rumorosamente. Albert abbassò lo sguardo sulla bustina che teneva in mano. Lei se ne rese conto e quasi si ingozzò con quello che aveva in bocca.
«Scusami tanto! Non avevo pensato che erano i tuoi! Cioè, mi immaginavo che lo erano, ma li avevi lasciati là e credevo non li volessi; e ho pensato “che spreco!” e me li sono mangiati. Mi era venuta una fame... e io adoro questi biscottini!»
«No, tranquilla. Puoi mangiarteli tutti» la rassicurò, e rifiutando la bustina che lei gli aveva messo praticamente in faccia, nel tentativo di riparare al suo errore. Ripensandoci, Albert aggiunse: «Ma non avevi detto di aver mangiato così tanto che ti veniva da vomitare?»
La ragazza arrossì e sorrise con imbarazzo. «Sì, lo so. Ma questi biscottini al limone sono il mio debole e, dato che li danno gratis, perché non approfittare?»
Albert non ebbe neanche il tempo di pensare a una risposta sensata che lei continuò a sbafarsi il contenuto della bustina.
«Se ti piacciono tanto posso chiedere all’hostess di portarcene un altro pacchetto».
Lei sembrava smaniosa di urlargli di sì, ma si diede un contegno, e scosse la testa con tanta forza che i capelli andarono da una parte all’altra, sbattendo contro il sedile davanti, di dietro e il naso di Albert.
«Nononono! Non posso mangiare tanto!»
Albert si strinse nelle spalle. «Come vuoi».
Le donne erano troppo complicate per lui, soprattutto quella...
Lei parve esaminarlo con attenzione, il che lo mise a disagio, poi girò la testa e si sbracciò verso uno stewart. «Ehi, mi scusi!»
«Che stai facendo?» le bisbigliò.
Lei lo ignorò e, non appena arrivò l’assistente di volo, gli chiese: «Ci sono altri biscotti? Il mio amico non mangia da stamattina!»
Lo stewart guardo l’altro passeggero e rispose garbatamente: «Vedo cosa posso fare».
Non appena questi si allontanò, Albert la sgridò: «Ma cosa dici? Io non ho fame!»
«Shhh!» disse lei, mettendosi un dito sulle labbra. «Questi serviranno per dopo. Me li metto nello zaino, altrimenti poi morirò di fame. E non ho intenzione di sprecare i miei soldi agli autogrill se posso non spendere un centesimo!»
Albert rinunciò a trovare una logica nelle sue parole: era un’impresa impossibile!
Lo stewart tornò con due pacchetti in mano. «Ho un salatino e un dolce, va bene comunque?»
Lei annuì con forza e per poco non gli strappò di mano i pacchetti dall’impazienza. «Hai visto che carino? Ha portato qualcosa pure per me!» trillò dopo che lo stewart fu richiamato da un passeggero tra le prime file.
«Bene. Così hai due spuntini...» commentò lui di malavoglia.
«Oh, non fare il musone! Ce n’è uno anche per te!» esclamò con allegria e sventolandogli il pacchetto dei salatini in faccia.
«Ti dico che non ne voglio!»
«Cambierai idea prima o poi. Ne sono convinta!» ribatté, posando i sacchetti nel suo borsone extra large nel sedile accanto.
La ragazza si poggiò sul fianco per dedicarsi completamente ad Albert. «Perché sei su un aereo se non ne hai completamente voglia?»
«Non mi sembra che la mia situazione sia diversa dalla tua...»
Sbuffò. «Okay, hai ragione. Non dovrei essere io a parlare. Non sarò di certo il toro che dà del cornuto all’asino ma, insomma... ti hanno costretto i tuoi?»
Albert annuì.
Lei ne sembrò felicissima. «Oh, anche i miei! Abbiamo un’altra cosa in comune!»
Un’altra?, pensò Albert. E qual era la prima, che evidentemente si era perso?
«Ma io non sono diretto dove sei tu, molto probabilmente. Devo allontanarmi molto dall’aeroporto» le fece notare.
«Guarda che coincidenza! Anch’io! Mi sa che entrambi i nostri genitori ci hanno voluto spedire dall’altra parte del mondo!» Stavolta affrontava l’argomento con un sorriso. Doveva essere successo qualcosa mentre lui dormiva per averle fatto cambiare idea...
«Mi sa di sì...»
«Tu di dove sei?» riprese l’interrogatorio. Questo gioco le piaceva molto.
«Illinois».
«Non sono mai stata nell’Illinois. Ho sentito che è molto bello!»
Albert si strinse nelle spalle. «Non saprei. È un posto come un altro...»
«Io sono del Maine e per prendere questo stupido aereo ne ho dovuti prendere prima altri due. Non ne posso più!» Strinse le braccia e il frequente broncio tornò sulle sue labbra.
Questo discorso, stranamente, aveva preso una piega più interessante. «E perché lo stai facendo, allora? Non è uno stress inutile».
«Credevo te l’avessi detto cinque secondi fa. I – MIEI – MI – HANNO – COSTRETTA» sillabò ogni parola come se stesse parlando con uno tardo di comprendomio.
«Ah, giusto».
Il discorso venne interrotto da una voce uscente dagli altoparlanti. «SIGNORE E SIGNORI PASSEGGERI, STIAMO PER EFFETTUARE LA MANOVRA DI ATTERRAGGIO. SI PREGA DI ALLACCIARE LE CINTURE E RICHIUDERE I TAVOLINI. I DISPOSITIVI ELETTRONICI DEVONO ESSERE SPENTI. GRAZIE».
La ragazza emise un grosso sbuffo e chiuse il tavolinetto davanti a sè. Si sedette per bene e allacciò la cintura. «Che palle, odio l’atterraggio!»
«Guarda il lato positivo: stiamo per arrivare, no?»
«Sì, va be’, col cavolo! La “manovra d’atterraggio”», mimò le virgolette con le dita e lo disse con voce cantilenante, con un tono da presa in giro, «durerà secoli. E mi si tapperanno le orecchie. E mi risalirà tutto dallo stomaco!»
Albert rabbrividì dentro di sè all’idea di essere cosparso da una poltiglia puzzolente fatta da biscottini al limone e tacos piccanti. «Non farla tanto tragica. Pensa ad altro!»
L’atterraggio non durò poi così tanto e Albert riuscì a parlarle d’altro per far passare il tempo più rapidamente. Il velivolo venne collegato all’aeroporto abbastanza in fretta, considerando i tempi standard, e i passeggeri poterono uscire con i propri bagagli.
«Allora, mi sa che le nostre strade si separano, eh?» disse lei, trasportando il borsone a tracolla.
Albert si infilò lo zaino sulle spalle. «Non è detto. Può darsi che ci incontreremo nel viaggio di ritorno».
Lei rise. «Ritorno? Temo che non tornerò mai a casa!»
Ad Albert sembrò una visione della realtà troppo tragica ma, ripensandoci, neanche lui conosceva la data del suo ritorno  nell’Illinois. «Ci troviamo sulla stessa barca...»
Lei sorrise. «Be’ possiamo farci compagnia finché non ritiriamo le valigie, no?»
Lui annuì. Anche se la ragazza in questione era ben più che strana, la presenza di un conoscente in quel momento gli avrebbe reso solo tutto più facile.
Arrivati al rullo trasportatore, la ragazza si sedette su una panchina lì a fianco. «Con la solita fortuna che ho, la mia valigia arriverà stanotte».
Ad Albert venne da ridere. «È il destino di tutti i viaggiatori. Che ci vuoi fare?»
Contro ogni previsione, però, la valigia di lei fu una delle prime mentre quella di Albert fra le ultime. Lei non sembrò aver alcuna fretta di andarsene e gli fece comunque compagnia nell’attesa.
Considerando la grandezza del borsone, Albert si sarebbe aspettato di vedere una valigia più minuta per lei, ma anche quella non scherzava in dimensioni.
«Come mai viaggi così pesante?» non riuscì a trattenersi dal domandare.
«Non si sa mai...» rispose. «E poi, anche se non sembra, non c’è così tanto nella tracolla. Ti ricordo che non può superare un certo peso!»
«Hai ragione...»
Lei sorrise da una parte all’altre. «Mi piace quando dici che ho ragione!»
«Dove devi andare?» le domandò. «Ti posso accompagnare al terminal, così non ti perdi».
La ragazza scosse la testa. «No, devo uscire dall’aeroporto...»
«Chi ti aspetta? Zii, cugini... nonni?»
«Nessuno che conosco abita in California. Viaggio da sola...»
Almeno avevano ancora un po’ del tragitto insieme, ma Albert non voleva separarsi da lei, perché sapeva che, non appena lei se ne fosse andata, la realtà sarebbe tornata al suo posto e quell’orribile collegio sarebbe stato più vicino di quanto potesse sopportare.
L’aria all’estreno dell’aeroporto era gelida e Albert rimpianse di essersi messo i jeans leggeri. Le nuvole facevano passare il sole a sprazzi, dando solo l’illusione di calore.
Lei si guardava intorno con la bocca aperta e analizzando tutto ciò che la circondava.
«Ehi, senti!» le disse. Lei si girò, parendo di tornare alla realtà. «Hai un’e-mail?»
Lei lo guardò storcendo le labbra. «Dammi il tuo numero di telefono».
«Cosa?» chiese Albert, decisamente stranito. Quello aveva tutta l’aria di un ordine.
«Per tenerci in contatto, no? Le e-mail non servono a niente».
«Ehm... okay». Come poteva dirle di no? Non osava pensare alla sua reazione nel sentire una risposta negativa. Lei prese il cellulare e digitò il numero che le venne dettato.
«Okay, con che nome lo devo salvare?»
Che stupidi. Si conoscevano già da diverse ore e non si erano nemmeno presentati!
«Albert».
«No, sul serio. Come ti chiami?» domandò sollevando gli occhi dallo schermo, con aria scettica.
«Il mio nome è Albert» ripetè, leggermente infastidito.
«Che nome da idiota» borbottò scrivendolo nella rubrica.
«Ehi! Non mi sembra che io abbia criticato il tuo nome...» Mise una pausa alla fine della frase per farle rivelare il suo nome.
«Claire».
«Ecco, Claire. Io non insulto il tuo nome. E tu non lo fai col mio. Grazie».
«Come sei permaloso... Ci credo che non hai la ragazza!»
«Ma chi ti ha detto che non ho la ragazza?» Si sentì punto nel vivo.
«Perché, ce l’hai?» Alzò un sopracciglio.
«No, ma questo non significa che...»
«Sei permaloso. Punto».
«E tu sei infantile e logorroica!» Oddio, si stava comportando come un bambino. Si stava abbassando al suo livello! Ma Albert non era proprio riuscito a trattenersi. Gli aveva davvero fatto perdere le staffe.
Claire alzò gli occhi con aria da cucciolo. «Non me l’aveva mai detto nessuno!»
Albert guardò da un’altra parte. Perché aveva dato il suo numero a una perfetta sconosciuta, dato che ora avrebbero troncato subito i loro rapporti?
Ma, stranamente, l’espressione di stupore di lei si trasformò in un sorriso. «Grazie. Adoro la sincerità».
Albert venne colto in contropiede. «Pr... prego».
Un autobus si fermò davanti a loro. Sul davanti passava la scritta recante il nome di una località del Nord della California.
«Questo è il mio autobus» sospirò Albert. Ecco che il suo interminabile viaggio sarebbe iniziato. Avrebbe dovuto prendere un pullman, e un altro, e un altro ancora, avrebbe dovuto fare una lunga strada a piedi... L’inferno ormai era dietro l’angolo.
Claire saltellò come un coniglio pasquale. «Guarda che coincidenza: è anche il mio!»


Nota dell’autrice:ecco un nuovo capitolo fresco fresco! È un tantino più lungo degli altri: prima di tutto perché avevo più ispirazione (e avevo anche qualche idea per renderlo più lungo, ma probabilmente l’altra parte sarà nel sesto capitolo...) e poi perché ci stiamo addentrando di più nella storia! A parte pochi altri capitoli “iniziali” e “soft”, sto finendo di presentare alcuni dei protagonisti di questa storia e si procederà al cuore di essa! Qualche piccola anticipazione che posso darvi fin da adesso è che nel sesto si inizierà a parlare della scuola dal punto di vista degli umani, mentre nel settimo vi farò conoscere molto dei cosiddetti “figli della terra rossa”.
Tornando a questo capitolo, mi scuso per aver di nuovo accennato a Kingdom Hearts ma è stato più forte di me!
Claire doveva essere un personaggio abbastanza marginale, ma mi è diventata così simpatica che non credo che la abbandonerò facilmente. È il personaggio più originale che abbia mai creato, dato che è l’esatto opposto di me (in genere i miei personaggi – credo proprio sia un vizio degli scrittori – assumono qualche mia caratteristica...). E poi che dirvi? Ho cercato di documentarmi per rendere i luoghi più realistici ma c’è sempre qualche dettaglio illogico, ovviamente... La scuola è localizzata in un certo punto e spero che, col passare della storia, guardando
Google Maps, capirete anche voi, all’incirca, la sua posizione. (No, non ve lo dirà come risposta alle recensioni).
Vedo tanti lettori che hanno messo la storia tra seguite/preferite/ricordate. Ne sono contenta, ma lo sarei ancora di più se potessi leggere qualche vostra recensione. Non sapete quanto fate felice uno scrittore quando ne riceve una! Aggiungo che non pubblicherò il prossimo capitolo se questo non avrà almeno due recensioni (se no, sapete, passa la voglia...)
Alla prossima!
 
ATG
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: AnnabelleTheGhost