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Autore: grace88    05/11/2012    5 recensioni
Fersen e Marie Antoinette sono diventati amanti e si incontrano clandestinamente. Oscar, anche se è a sua volta innamorata di Fersen, è costretta a fare da messaggera tra i due... Oh, ma questo è solo l'inizio della storia, una storia un po' antica e un po' nuova, che vi racconto, così come l'ho pensata io, attraverso tre balli (Trois bals). Grazie a chi mi leggerà.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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TROIS BALS
 
II- Le bal près du feu.
 
Sono passati mesi, sono passati anni, e avere danzato una notte intera con la regina di Francia non è servito a granché: la regina è ancora una puttana, e anzi ora addirittura per strada la chiamano anche ladra e flagello, a voce alta, quando passa la guardia; nessuno ormai ha più paura di odiare. L’amante della regina è partito, se ne è andato a combattere in America, fuggendo lo scandalo, fuggendo i mormorii della corte imperiosa. La donna soldato, che lo ama senza fortuna, non ha potuto fermarlo, anzi la sua morale algida di soldato l’ha forse incoraggiato a essere anche lui migliore di se stesso; ha voluto anche lui diventare soldato, come per seguire un buon esempio. La donna soldato si è sentita sola, ancora si sente sola, anche se un po’ si abitua; l’amico d’infanzia, quello che la ama, quasi non lo vede.
“Oscar”.
“Sì…”.
Camminano lungo il canale, la sera si insinua tra i canneti in forma di vapore, portano i cavalli dietro di loro, le briglie dondolano appena. Anatre selvatiche passano in stormo e chiamano il ritorno nella luce calante e viva.
“Ti è sempre piaciuto fare questo tratto a piedi, ti ricordi?”.
La donna soldato sorride poco convinta e non risponde. L’amico d’infanzia non cede, continua con voce un po’ alta.
“Guarda, anatre selvatiche!”.
La donna soldato alza il viso. Gli sembra stanca e sente di amarla di più.
Il canale si discosta dalla strada che sale, e lascia spazio più in basso a un prato ingiallito dalla stagione.
“Manca poco ormai. …E qua, ti ricordi? È dove venivamo d’estate a giocare. Ricordi?”.
L’amico s’infanzia di ferma, si aggrappa al tempo. La donna soldato si ferma anche lei, lo guarda e sorride più intenta. Poi guarda in basso quel prato, un po’ nascosto alla strada da rovi.
“È vero, ci siamo venuti… Così tante volte”.
La sua voce di donna accorda un giro di danza all’amico bambino.
“Sai, spesso mi viene voglia che ci torniamo. Una volta, d’estate. Ci saranno le lucciole… Quante volte siamo a rimasti a guardarle”.
“Venivano a cercarci da casa, era già l’ora di cenare. Ci sgridavano, ma ne valeva la pena”.
Nella sera d’autunno ricordano le lucciole della infanzia comune.
“Ci torniamo una sera, la prossima estate?”.
Con le parole la invita nel tempo. Lei lascia la briglia del suo cavallo, continua a guardare quel prato. Indugia, ma senza inquietarsi, sulla soglia del tempo, tanto abituata a seguire l’amico.
“E perché no?”.
Si gira a guardarlo, e gli lancia un sorriso piccolo e più lieve, di scusa. Rumori vaghi arrivano da lontano: le anatre ancora, dei tonfi nell’acqua, ruote e zoccoli in corsa sulla strada.
“Potremmo portarci del cognac… Passare la sera a guardare le lucciole…”.
“A raccontarci dolori… Come due vecchi ubriaconi!”.
La donna soldato l’ha detto ridendo. Gli ha dato un piccolo colpo col gomito.
L’amico d’infanzia lascia cadere la briglia e le prende il braccio giocoso, in cuore sollevato di vederla più gaia.
“Ancora dolori!... Magari invece ci racconteremo storielle d’alcova!”.
Ridono e non lascia il suo braccio. Ancora il rumore di un carro che si avvicina.
“Tanto a te basta un bicchiere per non capire più niente!”.
Lei divincola il braccio per scherzo, poi basta.
Lui non risponde: ghigna e guarda di nuovo il prato: ma di colpo è commosso di quel tempo possibile immaginato là sotto sull’erba.
La donna soldato abbandona la prossima frase che stava per dire. Una parola le sfugge, non sa bene quale. Lei guarda il vapore serale planare sul prato, respira.
I rumori si fanno vicini, una carrozza si indovina nel buio che inizia. Arriva da dove arrivano loro, che stavano tornando a casa.
Si girano a guardare ancora un po’ incantati. I cavalli si agitano per il rumore. L’amico d’infanzia lascia il braccio della donna che ama, riprende le briglie di entrambi.
La carrozza arriva su di loro, carica di bauli; ferma con violenza la sua corsa. Riconoscono le insegne straniere.
È tornato.
“Hans!”.
Nel petto della donna soldato un grido si strozza: di sorpresa, di tutta una nuova speranza, di tutta una nuova paura.
Lo sportello si apre. È tornato, è là, l’amante della regina, lo Svedese partito a combattere in America, per dare anche lui buon esempio.
“Amici!”.
“Hans! Voi!...”.
“Venivo a trovarvi!”.
La donna soldato gli corre incontro, lo abbraccia, urla di nuovo parole.
E lascia l’amico là dietro, a rigirare le briglie e l’infanzia comune tra le sue mani grandi, a guardarsi nell’ombra la punta degli stivali, solo sulla soglia del tempo, tristissimo.
 
Seguono giorni in apparenza sereni, invero tortuosi.
L’amante della regina argomenta per varie ore che la guerra l’ha guarito dal tormento d’amore. Poi, dopo aver dispiegato con sussiego proverbi e buone intenzioni per un po’, capitola: vuole tornare a corte e rivedere l’amata.
La donna soldato lo intrattiene a colazioni e pranzi con virili domande sull’altro continente. Poi, strattonata dalla gelosia, diventa ardente e furiosa, e decide di sfidare il destino al prossimo ballo di corte. Ci vuole andare vestita da donna e non più da soldato, e non l’ha mai fatto. E in questo si vede che è rimasta soldato: ha paura, alza la posta, compensa il terrore con il coraggio.
L’amico d’infanzia fatica qua e là tra cavalli e bottiglie da cercare in cantina. Ma gli toccherà guardare la donna soldato andare al ballo, vestita come una sposa, e gli toccherà vederla tornare con i segni delle speranze graffiati sulle guance.
 
Se l’avesse riconosciuta, forse tutto sarebbe stato diverso. Non ha fatto che ripeterselo, la donna soldato, rannicchiata tra i sedili della carrozza che la riportava a casa, avvitata tra le balze dell’abito che parevano ormai scaglie pesanti di corazza. Lei non ha potuto impedirsi di sperare, nonostante tutto, per giorni: che lui l’avrebbe riconosciuta, scorta da subito nello splendore della donna, tenuta contro di sé per non lasciarla tornare alla vita di soldato. Invece no.
In realtà, non l’ha riconosciuta proprio nessuno. Quando è apparsa sulla soglia della sala immensa, nella luce delle mille candele che profumano di mirra, quando si è inoltrata in quella folla che lei conosce a memoria, senza fiato per la emozione e per le stecche del busto che le storpiavano il petto, poi dopo, quando ha mosso esitante e tenace come una scolara i primi passi di un ballo tra le braccia dell’uomo che ama: hanno tutti visto, tutto il tempo, una magica sconosciuta. E questo vuol dire che per tutti, tutto il tempo, in quella corte che lei invece conosce a memoria, lei non è che un soldato, e che lei non è là, non è bella, non è donna. Nessuno l’ha riconosciuta, né mai conosciuta.
“Ha detto che ero bella… Anzi, ha detto… Ha detto che ero bellissima… E che… Che gli ricordavo una persona cara, una sua amica…”.
Piange e si morde la bocca la donna soldato in piedi vicino al fuoco. L’amico fa come sempre ha fatto dall’infanzia: ha rianimato le braci, l’ha aspettata, ora l’ascolta, avvinto a quel dolore che conosce in lei da anni.
È quasi l’alba, hanno bevuto vino. La donna soldato ha bevuto avidamente; si è tolta i guanti; si è un poco abituata allo strappo del busto sul costato, al calore del suo petto rialzato e schiacciato, al peso delle stecche sulle anche e le ginocchia. Ha macchiato col vino bevuto con concitazione la seta chiarissima dell’abito da ballo. Ora si aggrappa alle pietre del camino.
“Non ti ha riconosciuta”.
Lei lo guarda come scoprendo di nuovo, ma per la millesima volta, il cardine scabro della serata.
“No…”.
La sua voce è un soffio.
L’amico di tanti anni sente il cuore stringersi di compassione e di sdegno. Ma l’uomo avido di tempo guarda il candore rivelato della pelle della donna vestita da donna. Muove in avanti un gesto che neanche lui può davvero capire: impresso di rabbia e di desiderio, di commozione e di appello.
“Vieni”.
La prende le braccia, ma senza stringerla. La guarda da vicino, ubriaca e straniata: con i nastri tra i capelli e il belletto, con la collana di pietre verdi e i pizzi color avorio. Con le righe delle lacrime e le macchie di vino sul vestito. E per lui è tutto insieme sempre là, sempre rivelato e costante, sempre sussulto istantaneo e quotidiana litania: l’amore di lei donna e soldato, l’amore che scorre e si rapprende. E in quel momento deborda e tuttavia si concentra.
“Vieni”.
Lo ripete e la lascia appoggiarsi sulla sua spalla, lei che mormora il lamento disordinato dell’amore non corrisposto.
“Vieni. Non ti ho mai vista vestita così, sai?”.
Nascosta contro la sua giacca la donna soldato ridacchia di quella frase. Ha troppo pianto, ha troppo invocato, ha troppo bevuto: adesso vilmente lei immagina le braccia di un altro.
“Vieni. Balla con me piuttosto”.
L’amico d’infanzia la muove leggermente verso di sé, solo qualche passo di quei passi che tutti sanno a memoria, e che fanno appena increspare gli abiti delle donne.

(à suivre - grace88)

  
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