The only thing I ask of you is to hold his when
I'm not around.
Never happened.
Non
riuscivo a capacitarmi di quello che era accaduto, non
mi sembrava possibile.
Mi sentivo completamente scombussolato, il cuore batteva talmente forte che minacciava da
uscirmi dal petto
ogni volta che ci ripensavo. Non lo avevo capito, e tutt’ora
non capivo. Come
poteva essere cambiato tutto così rapidamente nel giro di
così poco tempo? Che
quella notte passata a casa sua, standogli accanto, gli avesse fatto
capire
quello che effettivamente potevo essere? Ovvero un grande amico?
Mi passai una mano tra i capelli spettinati, mentre osservavo le
persone che
passeggiavano per la strada da camera mia. Il pigiama che indossavo era
una
manna dal cielo, stavo così bene che probabilmente non sarei
nemmeno uscito di
casa se non fossi dovuto andare a chiarirmi con lui su quello che era
accaduto
due sere precedenti. Bevvi una lunga sorsata dalla tazza di
caffè che tenevo
stretta tra le mani e sospirai, dovevo decisamente andare da lui quel
pomeriggio. Aprii
la porta verniciata di
bianco della mia camera e scesi al piano di sotto, mia madre stava
cucinando
qualcosa per il pranzo e mia sorella era sul divano a guardare la
televisione.
«Ehi
scricciolo» dissi,
sedendomi accanto a
lei, alla
televisione davano i cartoni di McDonald’s, osservai
leggermente disgustato la TV,
per poi voltarmi nuovamente verso la piccola McKenna «Non
sarebbe meglio
guardare qualcosa di più divertente?» proposi,
afferrando il telecomando, quel
clown era davvero inquietante, non capivo come potesse piacere a dei
bambini.
«Ma io voglio guardare questo» incrociò
le braccia al petto, corrugando le
sopracciglia esattamente come me, eravamo decisamente fratelli.
«Come vuoi» scossi la testa, lasciandola ai suoi
cartoni, mentre mi alzavo e
rubavo qualche pretzel dal tavolo della cucina. Mia madre mi diede una
forte
mestolata sulla mano «Dopo pranzo Elwin, quante volte devo
dirtelo?»
Il
pomeriggio arrivò
rapidamente, tra una suonata di chitarra e qualche telefilm in
streaming.
Allacciai le converse e uscii di casa inspirando l’odore
dell’oceano
che
avevo davanti a me. Un gruppo di ragazzini mi passò accanto
rincorrendo un
pallone da basket. Li invidiavo, non avevano ancora nessun tipo di
problema. Le
scarpe scricchiolavano a contatto della superficie del marciapiede,
tenevo le
mani nelle tasche dei jeans e le cuffie nelle orecchie. La musica
tranquilla e
pacata di Bryan Adams mi invadeva le orecchie, lasciandomi vagare con
la
fantasia. Mi fermai, sedendomi su una panchina nel parco che stavo
attraversando, mettendomi le mani tra i capelli. Lo dovevo davvero
fare? Ne ero
veramente sicuro? Sbuffai, sollevando il viso verso il cielo coperto da
qualche
nuvola grigia. Sentii fastidio alla nuca, proprio alla base del collo.
Scossi
la testa, voltandomi, incontrando i suoi occhi verde acqua una ventina
di metri
dietro di me. Augustine, l'alana grigia, stava giocando con un bastone
di legno
e lui mi osservava , in maniera piuttosto strana dovevo ammettere.
Volevo alzarmi e andare da lui, ma sentivo le gambe decisamente
pesanti, da
quando ero diventato così rammollito. Feci un cenno con la
mano, lui sbuffò
sorridendo, per voltarsi a osservare il suo cane. Mi stava prendendo in
giro?
Rimasi a guardare la scena per un pò, soffermandomi sulla
sua figura magra ed
esile. Indossava dei jeans chiari, una felpa nera troppo grande per lui
e le
converse scure. Sorrideva, lo vedevo da li.
Notai, con la coda dell'occhio, il suo leggero movimento della mano,
mentre
rilanciava il ramoscello ad Augustine. Passò poco meno di
qualche minuto, ma mi
alzai e lo raggiunsi. Mi sentivo osservato, nonostante non mi stesse
guardando,
e anche piuttosto in imbarazzo, non sapevo davvero come intavolare il
discorso.
«Zachary»
cominciai, ma venni
interrotto dalla sua mano. Era davanti alla mia faccia e mi faceva
segno di
bloccare il discorso.
«Credo che questo tuo dialogo non debba nemmeno
cominciare» disse, senza
guardarmi. Era nuovamente tornado freddo e distaccato e, davvero, non
riuscivo
più a capirlo.
«Non ti capisco» mi lasciai scivolare sull'erba,
incrociando le gambe e
chiudendo gli occhi.
«Cosa non capiresti?»
«Perchè prima mi tratti come se fossi la
più grande merda su questa Terra e poi
fai... quello che hai fatto» deglutii, sentivo il suo sguardo
addosso e questo
mi imbarazzava da morire. Augustine si accoccolò sotto un
albero davanti a noi,
mentre Zachary si sedette di fianco a me.
«Non lo so» iniziò a torturare l'erba,
strappandone piccoli fili per poi
ridurli in ancora più microscopici pezzettini
«Davvero ti odio, ma non riesco a
fare a meno di starti vicino, in un certo senso» si
schiarì la gola «Dopo
l'altra sera, quando mi sei rimasto accanto per tutta la notte, mi sono
reso
conto che non hai mai fatto nulla di sbagliato, e che la tua vicinanza
poteva
farmi bene in un certo senso.. ma poi ho visto che ci tenevamo per
mano, come
mi guardavi e.. ho preso paura di quello che mi stava passando per la
testa»
sospirò, appoggiando la testa sulla mia spalla.
«Avevi paura di me?» lo chiesi con talmente tanto
stupore da farlo sorridere.
«Non proprio, ma di quello che mi stavi dando. L'altra sera,
al bar, ero
ubriaco e ho fatto quello che ho fatto, ma ripensandoci ora non me ne
pento
minimamente. E' quello che sento, non vedo perchè
negarlo»
Mi voltai a guardarlo, mi persi in quegli occhi così chiari
da sembrare
l'infinito. Eravamo davvero vicini, sentivo il suo respiro irregolare
sul mio
volto e il mio cuore battere troppo velocemente.
«Sai.. non avrei mai pensato di arrivare a questo»
mi disse, avvicinandosi
ancora un pò al mio volto. Mi portò una mano al
viso, accarezzandomi poi i
capelli. Si avvicinò ancora e premette le sue labbra sulle
mie.
Rimasi immobile, senza sapere cosa fare, quando mi aggrappai ai lembi
della sua
felpa con un impeto assurdo. Sentivo le sue mani tra i miei capelli, il
suo
respiro addosso, le sue labbra morbide sulle mie. Schiusi la bocca,
lasciandolo
entrare, facendo iniziare un gioco di lingue decisamente proibito e
poco
consono in un parco pubblico come quello. Le sue labbra erano morbide e
mi
ricordavano il gusto delle pesche appena raccolte. Lo strinsi
più forte addosso
a me, per poi lasciarlo andare. Ci guardammo, senza parlare.
«Non ci credo» e scoppiò a ridere,
nascondendo il volto nella felpa. Ne
riemerse dopo poco, con le guance colorate di rosso e i capelli
spettinati. Si
alzò, ripulendosi i pantaloni dall'erba.
«Augustine, andiamo» disse, incamminandosi verso
casa. Si voltò verso di me,
che me ne stavo ancora seduto per terra intento a guardarlo
«Questa cosa non è
mai accaduta» e sorrise.
«Certo, non è mai accaduta» e mi lasciai
cadere sull'erba, sorridendo come un
bambino di cinque anni.
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Ok, lo ammetto. Questo capitolo fa davvero pena :(
Speravo ne uscisse qualcosa di meglio ma non mi sembra, se vi ho deluso
mi
spiace davvero, mi rifarò con il prossimo, promesso!! Come
sempre ringrazio chi
recensisce e chi l'ha aggiunta tra le seguite e le preferite. Un bacio!
OldMilk.