Capitolo 8
Drizzt rimase
seduto nell’oscurità, infreddolito, ferito e solo, per innumerevoli ore. Nella sua mente si affollavano
pensieri, paure e preoccupazioni. Pensò e ripensò a tutto quello che era
successo, tutto quello che aveva fatto, che lo aveva portato a questo punto. Aveva
salvato la vita a Inriole portandola via dal villaggio degli elfi. Aveva
soltanto cercato di aiutarla, ma alla fine, l’aveva tradita più di tutti. Tutto
quello che le aveva raccontato era, in sostanza, una bugia. Lasciandole credere
di essere un elfo di superficie, Drizzt aveva fatto a pezzi la fiducia che la
bambina aveva posto in lui. Drizzt sapeva che
sarebbe stato già tanto, se Inriole fosse mai riuscita a fidarsi di nuovo completamente
di qualcuno.
Drizzt aveva paura di quello che gli
sarebbe accaduto. Tuttavia, per quanto fosse raggelante la consapevolezza della
morte imminente, Drizzt aveva più paura per Inriole. La
bambina non aveva fatto nulla di male, mai in vita sua. Era stata vittima di
circostanze imprevedibili, e Drizzt si preoccupava di cosa ne sarebbe stato di
lei. Le restavano ancora più di otto secoli di vita, e non avrebbe mai riacquistato
Anche se nella sua mente turbinavano
questi pensieri, Drizzt rimase esteriormente calmo. Nella sua breve vita, era
giunto a capire che la morte non era la cosa da temere di più; la cosa da
temere era ciò che veniva prima, cioè
Ore dopo, Drizzt si era addormentato sul
duro inesorabile pavimento della cella. Venne svegliato dallo schianto della porta della
prigione quando sbatté contro il muro. Sbatté le
palpebre un paio di volte, e mise a fuoco l’immagine delle due guardie che
stavano entrando. Una delle due aveva con sé una piccola ascia a mano, che
brandì contro l’elfo scuro. “In piedi, drow” ringhiò l’uomo, sottolineando il
concetto con un calcio alla gamba di Drizzt. Mentre si alzava lentamente in
piedi, Drizzt si accorse che la sua spalla ferita gli pulsava, ma non gli
arrecava più il dolore tagliente di prima. Inoltre, notò, la medicazione con
cui Orwen aveva avvolto la sua spalla gli limitava molto i movimenti del braccio. Questa restrizione ai movimenti impedì a Drizzt di
alzarsi velocemente quanto le guardie avrebbero voluto.
Borbottarono e distolsero lo sguardo, anziché
tendere una mano per aiutare il drow ferito a tirarsi in piedi. Anche senza il loro aiuto, alla fine Drizzt si levò
in piedi dritto davanti ai due uomini. Anche se
era più di mezzo piede più basso di entrambi, inconsciamente indietreggiarono sotto il suo sguardo penetrante.
Il più massiccio dei due, quello disarmato, subito si scrollò di dosso lo
sguardo dell’elfo.
“Le mani, drow!” intimò rudemente.
Quando Drizzt obbedì, vincendo il dolore alla spalla, l’uomo tirò fuori un
paio di manette, che chiuse intorno ai polsi di
Drizzt. Tenendo con una mano la catena fissata alle manette, diede un doloroso
e brusco strappo.
“Vieni, drow. C’è qualcuno che vuole
vederti.” Strattonando Drizzt e facendolo quasi
cadere, l’uomo uscì dalla cella. Il suo compagno aspettò che Drizzt fosse
uscito, poi lo seguì a poca distanza.
Drizzt venne condotto dalle guardie lungo
un interminabile corridoio. Lungo la strada passarono davanti ad altre celle, ma
soltanto alcune erano occupate. Alla fine del corridoio, sulla sinistra c’era una porta. La guardia davanti a Drizzt
notò che lui e gli uomini non erano le uniche persone nella stanza. Sedute ad
un piccolo tavolo dall’altra parte del locale c’erano Inriole e Orwen. Inriole era
seduta in grembo all’anziana donna. Guardò verso Drizzt, o dove pensava che fosse.
“Inriole!” boccheggiò Drizzt. Fece subito
un passo avanti, ma si fermò quando la guardia lo strattonò indietro con la catena fissata
ai suoi polsi.
“Drizzt?” sobbalzò Inriole. “Perchè sei
qui?”
“Dovevo vederti,” rispose l’elfo drow. “Dovevo
sapere se stavi bene.” Girandosi verso le guardie, Drizzt disse, “Per favore, lasciatemi
andare da lei.”
Le guardie parvero
sorprese, ma poi il primo uomo rispose, “D’accordo, drow, ma non tentare niente
di strano.” L’uomo rafforzò l’osservazione tirando con forza le catene di Drizzt,
e facendo quasi perdere l’equilibrio al drow.
Drizzt raddrizzò la schiena e cominciò a
camminare lentamente verso Inriole ed Orwen. Gli occhi diffidenti della guaritrice lo seguirono per tutto il tempo. Quando Drizzt fu a
meno di dieci piedi da loro, la guardia che teneva la
catena tirò all’improvviso. Questa volta Drizzt cadde a terra. Le guardie risero. Drizzt
si alzò in ginocchio. Guardò Inriole. La piccola non aveva alzato lo sguardo da
quando lui era entrato dalla porta. “Inriole,”
“Non posso guardarti, Drizzt. Non potrò
mai. Grazie a te.” Si girò di nuovo.
Drizzt sospirò e guardò per terra. “Non ho
mai voluto farti del male. Ho combattuto per te contro i drow nel tuo villaggio…”
Drizzt smise di parlare quando sentì lo sguardo cieco della bambina di nuovo su
di sé.
“Vuoi dire gli altri drow,” specificò,
in tono accusatorio.
Drizzt alzò gli occhi su di lei. “Si. Gli
altri drow. Ma io non sono come loro. Non sono malvagio. Non ho mai voluto farti
del male,” ripeté.
“Mi hai mentito,” disse Inriole. “Hai
detto di essere un elfo. Non un drow.”
“Non ho mai detto di non essere un drow,
Inriole. E poi sono un elfo. Orecchie a punta, ricordi?”
Per un breve momento, Inriole sorrise,
ma poi quel sorriso svanì e la ragazzina tornò ad essere solenne. “Perchè hai mentito, Drizzt?”
L’elfo scuro prese un profondo respiro cercando
di pensare a una risposta. “Io ti ho mentito perchè… perchè sei stata la prima
persona dopo Mooshie a non correre via alla vista della mia pelle. Perchè avevo
bisogno di un amico, e… e anche tu ne avevi bisogno.”
Inriole annuì. “Sono
ancora arrabbiata con te,” disse. “Ma va bene. Grazie.” Lei gli sorrise, con la
grazia e l’indulgenza dei bambini.
Quando Inriole finì di parlare, Drizzt si
girò verso Orwen, che, si accorse, lo osservava con una strana espressione. La
vecchia ripeté, “Mooshie? Conosci il guardaboschi?”
Drizzt annuì. “Lo conoscevo. Mi ha
insegnato tutto quello che so sulla Superficie.”
Orwen ripeté lentamente: “Lo conoscevi?”
Drizzt abbassò gli occhi. “E’ morto. Giusto
qualche mese fa. Perché, tu lo conoscevi?”
“Oh, si. Lo conoscevo molto bene.” Orwen rimase
zitta per qualche momento, persa nelle sue riflessioni. Poi guardò Drizzt e
sorrise. “Non immaginavo che tu fossi quel drow,
ragazzo. Grido mi ha detto tutto di te.” A Drizzt sfuggì un sorriso alla menzione dell’
“occhio vedente” di Montolio, il suo gufo. Orwen spostò il suo sguardo
penetrante sulle guardie, una delle quali stava ancora in piedi davanti alla
porta, e l’altra dietro a Drizzt. “Beh?” li incalzò, piuttosto seccata. “Lasciatelo
andare!”
Le guardie si scambiarono uno sguardo
confuso. “Che cosa intendi, Orwen, Signora?” azzardò uno degli uomini.
“Intendo, lasciatelo libero. Questo drow non
ha fatto nulla di male! Conosceva il guardaboschi Montolio. Lasciatelo andare, io
dico!” Mentre parlava, fece scendere Inriole dalle sue ginocchia e avanzò lentamente
verso le guardie.
“No, Signora. Non possiamo farlo,” disse
la guardia che teneva l’altra estremità della catena di Drizzt. “Il drow è
stato condannato a morte per ordine del Primo Cittadino. Sarà impiccato domani,
per tutte le sue azioni malvagie.” La guardia tirò Drizzt in piedi.
Il viso di Orwen si fece paonazzo. “Questo è da vedere!” Prese
su Inriole e uscì come una furia dalla porta.
Mentre se ne andavano, Drizzt sentì
Inriole chiedere, “Cosa significa, condannato a morte?”