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Autore: Echo90    07/11/2012    5 recensioni
Non esiste paradiso, per chi è morto scontando la sua pena sulla terra. Ma. Ma adesso avrebbero avuto l’eternità per loro e avrebbero dimorato in ogni pianta, in ogni foglia, in ogni goccia fresca di rugiada, in ogni rivolo d’acqua che veniva giù dai monti scoscesi. Ora sino alla fine del tempo e dello spazio. Cenere alla cenere. E quella foto mezza ricoperta di terra sarebbe diventata polvere ma il luccichio dei loro occhi innamorati sarebbe rimasto per sempre. Nell’aria satura dell’odore di pioggia, nell’alba che più d’una volta guardarono assieme dopo aver fatto l’amore, nella fiamma di ogni candela che avevano acceso in quel luogo le notti in cui avevano paura.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Quinn/Rachel
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Avrebbe tanto voluto giungere da lei prima. Affinchè non soffrisse, affinchè non avesse dovuto patire quello che aveva patito, affinchè nessuno avesse potuto toccarla –che non fosse lei. Ma la promessa era stata infranta, e non per suo volere.

Pensava ciò e anche di più mentre guidava, e intanto Santana dormiva, e non si svegliava.
“Meglio così” si disse e, potendo avrebbe –ancora una volta- preso la sua sofferenza per portarla con sé, quasi fosse una valigia ingombrante piena di vecchi cimeli, di cui è troppo doloroso disfarsi.
Pensava e intanto Santana dormiva. Bellissima, con le labbra schiuse, le ciglia lunghissime. E nonostante gli abiti sporchi di sangue, quando dormiva, sembrava una bambina.
Come una cometa le passò innanzi il ritratto di una Santana piccola piccola, con tanti capelli, lucidi e neri –oh Lucy, dove sei?-. Pensò e realizzò che il tempo aveva strappato loro ogni cosa, lasciando sulle braccia scie di sangue, e sui polsi l’impronta delle catene.
“Mmmm...” si mosse nel dormiveglia, aggrottando le sopracciglia e Brittany potè sentire il suo dolore –così accostò, e si fermò a guardarla: le tolse il fiato. E quando quella ragazzina ferita aprì gli occhi fu certa di voler soffrire al posto suo, per vedere il suo viso distendersi –e sorridere un po’.
“Santana...”
Spalancò gli occhi come se avesse dimenticato chi fosse e dove si trovasse. Eppure la voce di Brittany la trascinò sulla terra, su quel sedile reclinato, in quella macchina, dove la sua bionda la guardava preoccupata. E quando si accorse che il suo primo pensiero era stato “posso ancora considerarla la mia bionda?”, seppe con assoluta certezza di aver trovato ciò che non sapeva nemmeno stesse cercando, vagando alla cieca in ogni dannato giorno. Alla cieca.
“Brittany.”
“Stai bene?” chiese e fu sicura della risposta perché gli occhi di lei si velarono. Ricordò quanto odiasse il sapore delle sue lacrime –e in realtà anche delle proprie.
Rimase sorpresa quando Santana sorrise e rispose “sì”.
Slacciò la cintura di sicurezza e si avventò su di lei, stringendola, dimenticando per un attimo quanto lei fosse fragile. Ricordando quando dolce fosse il suo odore e quanto calda fosse la sua pelle.
“Mi fai male, Britt!” Rideva. Era felice. Ed era così bella.
“Scusa! Scusami, piccola”
Scosse la testa, “non fa niente. È bello averti qui.”
“Davvero?”
“Davvero.”
Si guardarono. I suoi occhi sembrarono più azzurri, le sue lentiggini più adorabili. Da baciare, ad una ad una.
“Andiamo a casa Britt, sono tanto stanca.”
La bionda annuì. “Ancora poche miglia... siamo quasi arrivate.” Disse. “Scommetto che muori di fame!”
“Scommetti bene! Ma prima voglio che mi levi di dosso questi vestiti sporchi di sangue... perché, davvero, non credo che riuscirò più a muovermi e... che c’è?”
“Niente.”
“Sei... arrossita?”
“Pensavo.”
“A cosa...?”
La guardò e non ci furono bisogno di parole. Brittany sorrise e lei capì, chiedendosi come avesse fatto a vivere venti e più anni senza di lei. E stupidamente, lasciandosi prendere dal panico come una ragazzina innamorata, si sporse per osservarsi nello specchietto dell’auto. Fra le macchie di pioggia, i lividi sembravano sporcarla, come impronte di fango sulla sua pelle scura.
La bionda la vide sbuffare e mettere il broncio. Poi quando lei sussurrò a se stessa “sono orribile...” non resistette. Prese il suo viso fra le mani, sfiorò con le labbra ogni ferita, ogni graffio e, nonostante pensasse che il senso di colpa per quello che aveva permesso loro di fare non l’avrebbe abbandonata mai, e anzi, sarebbe venuto a bussare in  tutte le sue notti –si sentì felice.
Rimise in moto l’auto, tirando il sospiro di sollievo di chi è scampato alla morte con perdite laceranti, ma che, sopravvivendo, si è guadagnato un posto al mondo.
Pretendo, pensò, pretendo di essere felice con lei e che lei lo sia con me. Almeno questa volta, almeno in questa vita.
Santana stava per addormentarsi ma quando la sua bionda si fermò, la stanchezza fu spazzata via dalla prospettiva di trovarsi circondata da lei, dal suo odore. Di fermarsi nel suo letto, fra le sue coperte. E respirarla tutta la notte. Di nuovo. Come un tempo. Dimenticandosi di dormire, o anche solo di riposare. Dimenticando tutto quello che non fosse lei.
Erano passati trecento anni dall’ultima volta in cui si erano incontrate, guardate, toccate. Eppure sapeva che l’avrebbe amata ancora e ancora, irrimediabilmente.
 
***
 
Sbarcò e subito si sentì tirare per i polsi stretti nelle catene. L’aria era terribilmente fredda, ma la sua pelle era calda e il suo corpo avrebbe voluto stringersi attorno alle sue stesse braccia per ritrovare il calore del suo paese.
“Santana...” si voltò a guardare la donna che l’aveva chiamata. E, osservandola, realizzò che nonostante la sua voce fosse tutto ciò di cui potesse ancora disporre, anch’essa l’avrebbe presto abbandonata. Avrebbe tolto l’acqua dalle proprie labbra per darla a lei.
“Rachel...” avrebbe tanto voluto togliere quelle catene e, sì, sarebbe venuta a patti con il diavolo affinchè permettesse a quella ragazzina di bere dalle sue mani –per poi lasciarsi legare di nuovo.
Si accorse di volerle bene, e tanto, quando incontrò i suoi occhi e chiese perdono a Dio per non aver avuto il coraggio di abbracciarla quando avrebbe potuto, nella stiva di quella nave.
“Dove ci hanno portate?”
Tremava. E ora Santana avrebbe tanto voluto rassicurarla, stringerla, dirle che sarebbe andato tutto bene, ovunque le avessero portate. Ma non sarebbe andato tutto bene e non ebbe il coraggio di dire nulla.
“Non lo so” disse soltanto ma a Rachel parve bastare vederla fare un passo solo per avvicinarsi a lei.
Poi la mora si sentì strattonare. Cadde a terra e fu certa che la carne dei suoi polsi si fosse squarciata e che il sangue avesse preso a scorrerle lungo le braccia.
“NON parlate.”
Rachel dietro di lei trattenne un gemito e un urlo le si incastrò in gola, quando gli scarponi pesanti di quell’uomo colpirono Santana e si sporcarono del suo sangue.
“La. Merce. Non. Parla.” Ringhiò e ad ogni calcio seguiva una parola.
Poi le voltò le spalle e se ne andò, dimenticandola al suolo, mentre lei cercava di ritrovare il respiro che aveva perduto e con gli occhi ancora serrati provava –a tentoni- a rialzarsi.
“San, stai bene?” Silenzio. “San?”
Aveva molte volte sentito la voce di Rachel cantare. Molte volte. Cantava e Santana aveva pensato che forse cantasse per impedirsi di pensare, perché si trovava lontana da casa, perché in cuor suo sapeva che non avrebbe potuto più farvi ritorno. Rachel aveva lo sguardo di chi ha vissuto poco e sofferto troppo.
Quando aprì gli occhi, si voltò a guardarla e la vide. La vide piangere, la vide adagiarsi su di lei e in quell’attimo le volle bene come mai prima d’ora.

“Sto bene, Rachel, n-non preoccuparti. Ora mi... alzo. Un... istante... a-ancora.”

Sentì la giovane gridare, cadere in ginocchio, strattonare le catene. Poi sentì il silenzio. Un silenzio che non aveva udito mai, nemmeno la notte, sulla spiaggia, mentre le luci della sua casa si spegnevano. E tutti dormivano.

Ora era giunto il momento che anche lei dormisse. E, se solo fosse stata più coraggiosa, avrebbe pregato Dio affinchè nessuno la svegliasse.

 

Era stato così per tutta la vita e, nemmeno stavolta, qualcuno si sarebbe curato di lei o di Santana, che giaceva a terra e non si muoveva. Ne ebbe l’assoluta certezza quando tutti si allontanarono, come se quella donna che giaceva a terra fosse roba di nessuno.

Poteva sentire il rumore del mare distintamente, quasi volesse rassicurarla. Poi d’un tratto lui –il mare?- le disse che avrebbe fatto meglio a stare tranquilla, a non gridare, a non piangere. il mare ha la voce dolce di un ragazzo, pensò.

Ma quando vide qualcuno inginocchiarsi accanto a lei e prendere Santana fra le braccia, le onde parlarono di nuovo, confidandole che era approdata su quella terra sotto una buona stella e che essa avrebbe brillato su lei e Santana per qualche notte ancora.

“Chi s-sei tu?”

“Sono Blaine. E credo la tua amica si sveglierà con qualche livido domattina.”

 

***

 

“San, forse dovresti chiamare la tua famiglia, saranno preoccupati.” Sussurrò e quando sentì la ragazza irrigidirsi fra le sue braccia fu certa che non stesse dormendo.

Sebbene fosse stremata, sebbene il suo sangue scorresse lento nelle vene, ebbe paura di addormentarsi e Brittany capì e non disse nulla.

“Sono scappata.” Disse, ma non aprì gli occhi come se provasse vergogna di se stessa.

Si chiese per quale motivo Brittany avrebbe dovuto scegliere lei. Lei che non sarebbe stata in grado di proteggerla se non fuggendo.

“Da chi, piccola?”

“Da... da Lui.” E fu subito chiaro, per la bionda, che per il momento lei non ne avrebbe parlato –la voce le moriva in gola.

“Devo chiamare Kurt.” Disse invece scattando a sedere, e fu come se una lama l’avesse attraversata da parte a parte ma fu un attimo e poi non sentì più dolore. Forse svenne, forse semplicemente si addormentò. E una volta sveglia –pregò nei suoi sogni- ci sarà la mia Brittany a tenermi compagnia.

 

***

 

Non sapeva nemmeno perché eppure procedeva lentamente e i suoi passi non facevano rumore. Ancora pochi istanti, ancora pochi istanti, e avrebbe varcato la soglia oltre la quale non avrebbe più potuto tornare indietro. Manco di un passo. Eppure, per Rachel, si disse, per Rachel non mi volterei mai nemmeno se ne andasse della mia stessa vita e la difenderei sino a soccombere.

Era così forte l’odore di lei che, per un momento, pensò che avrebbe potuto chiudere a chiave le porte e sprangare tutte le finestre e vivere con lei fra quelle mura, dimenticando di cibarsi e di sopravvivere. Sarebbe vissuta per lei e di lei si sarebbe nutrita e ancora, se solo lei avesse voluto, avrebbero fatto l’amore ogni notte, dimenticando di accendere le luci, lasciando che le candele si consumassero lentamente, scintillando come piccole lucciole.

Ma come i sogni più belli che si frantumano al mattino, i suoi pensieri si scontrarono con la realtà rompendosi in mille pezzi. Poi le luci si accesero con un click. Osservò le proprie mani, abbandonate lungo i fianchi. Poi alzò lo sguardo.

E Finn era lì.

 

 

 

Capitolo difficile e strano, ma mi serviva per introdurre alcuni nuovi protagonisti. Ringrazio tutti, ragazzi, dal profondo del mio cuore, perché sono consapevole di quanto possa essere difficile cavare qualcosa da tutto questo casino. Ma, ve lo prometto, le cose, piano piano, si faranno sempre più chiare. Riguardo la mia lentezza, a mia discolpa, posso dire di aver molto altro materiale per le mani oltre le lezioni e lo sport. Eppure ci sarebbe un modo per provocarmi, lo sapete meglio di me, no? Basta un commentino in cui mi dite se vi siete persi o se avete capito. Quindi... fatevi sentire. Anche su Twitter se vi va... a presto!

   
 
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