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Autore: M e g a m i    07/11/2012    2 recensioni
« Come... come la vuoi chiamare?», chiese, e ancora faticò a riconoscere il tono disperato impresso nella sua voce. Aveva posto quella domanda nonostante conoscesse già la risposta. L’aveva saputa nello stesso momento in cui quella creatura indifesa era venuta al mondo. Julieth capì che il suo era solo un vano tentativo di rubare tempo che non gli era concesso, e sorrise ancora, guardando con amore sia lui che quella che era la sua unica e sola figlia.
« Lo sai... » sussurrò sfiorandogli una guancia, talmente delicatamente che quel tocco gli parve carezzevole e ormai immateriale come l’aria. « E fai in modo... che sia per sempre. So... che puoi farlo. È l’ultimo... è l’ultimo favore che ti chiedo ».
Un brivido gli percorse la schiena, a lui che non conosceva né il freddo né la paura. Per la prima volta in vita sua, si sentì smarrito. Piccolo, come quell’essere fragile e delicato che Julieth gli stava ponendo gentilmente tra le braccia. Il calore che emanava quell’esile corpo, era tipico degli umani. Qualcosa in grado di scaldare pure il più glaciale e immortale dei cuori.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NDA: Pardon per il ritardo! –come sempre, del resto. xD
Non ho niente da dire in particolare su questo capitolo, solo che spero vi piaccia anche se è molto descrittivo. Ma d’altronde mi tocca!
Se avete dubbi o perplessità mi raccomando, non esitate a chiedere nelle recensioni, che tra l’altro mi fanno immensamente piacere! >w<
Ordunque, buona lettura!



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CAPITOLO 2: Promessa
 
 
 
Gli ultimi bagliori del fuoco nel caminetto illuminavano la stanza. Con uno sbadiglio, l’anziana ancella ravvivò i tizzoni ardenti, per poi tornare a sedersi sullo sgabello di legno e riprendere in mano il suo lavoro a maglia.
Fin da giovane, Nania era sempre stata una donna mossa dalla frenesia. Quando ancora le rughe non le deformavano i lineamenti e il grigio non le striava i capelli, quella sua innata vivacità l’aveva sempre spinta a cercare qualche cosa in cui incanalare le proprie energie. Per forza di cose, la sua condizione sociale l’aveva portata a divenire niente di più che una domestica, nonostante i suoi giovanili e piuttosto vani sogni di gloria. Ma non per questo si era persa d’animo, l’ottimismo faceva parte della sua natura così come la facoltà di respirare. Era quindi diventata una domestica efficiente, che svolgeva sempre il doppio del lavoro delle altre sue compagne per il semplice motivo che non era in grado di starsene con le mani in mano. E aveva svolto talmente bene il suo lavoro, che questo l’aveva portata ad ascendere fino al livello di ancella personale della principessa secondogenita. Questo, ovviamente, per lei era motivo del più grande orgoglio. Aveva visto quella bambina crescere, l’aveva amata come se fosse sua. In mancanza di un'altra guida femminile nella sua vita, in un certo senso Nania aveva preso il posto della madre che la principessa aveva perso troppo presto.
Le sue mani ripresero a muoversi veloci ed esperte, nonostante un altro sbadiglio l’avesse nuovamente interrotta. Lavorare a maglia non era esattamente il suo passatempo preferito, eppure come il ceto basso l’aveva costretta a diventare una donna di servizio, ora il penetrante dolore alla schiena che ogni sera si faceva sentire in tutta la sua intensità, la costringeva a rimanere seduta a starsene tranquilla. Ma Nania odiava starsene tranquilla. Tanto quanto odiava quel dolore ai lombi, e l’età del suo corpo che non voleva più tenere il passo della sua mente ancora attiva e piena di forza di volontà. Odiava quella tranquillità così come non sopportava il silenzio che in quel momento rimbombava nella stanza, e il tiepido calore del fuoco che le carezzava il viso segnato dal tempo, avvolgendola di tepore e rendendo le sue palpebre pesanti, sempre più pesanti...
   « Nania! », un sibilo, niente di più, che però ebbe il potere di spezzare il silenzio e strapparla dalle grinfie suadenti del sonno. « Nania, presto! »
Scattando in piedi e lasciando perdere in fretta e furia lana e uncinetti, si diresse a veloci passi verso il pesante uscio di legno vecchio che separava dall’esterno quella piccola stanza nell’ala adibita alle cucine del castello.
Fuori sibilava un freddo vento di inizio primavera. Era notte inoltrata, l’unica fonte di luce proveniva dalla Stella di Ghiaccio che brillava alta nel cielo scuro e limpido, e dalle torce che balenavano in lontananza su tutto il perimetro delle mura fortificate del castello.
Rykfort sorgeva nell’esatto centro di Rykstad, strategicamente posta a nord ovest dell’Impero di cui era la capitale, in un’ampia valle circondata dall’impenetrabile catena montuosa delle Tre Vette. L’unica via di accesso all’interno di essa, era costituita dalle strade che fiancheggiavano il letto del fiume d’Ambra, che costeggiava le mura della capitale su tutto il perimetro orientale e poi sfociava fuori dalla valle, scavandosi il suo sentiero tra la roccia, fino a gettarsi nel mare.
Ma per Ryk Hegertal il Primo, l’Imperatore che dava il nome al regno e alla capitale nonché alla casata regnante, la protezione naturale non era stata sufficiente. Per questo aveva fatto costruire attorno alla sua fortezza e alla sua città uno spesso strato di mura doppie, a quanto si diceva, con un cuore del duro basalto importato direttamente dall’arcipelago delle isole Vulkaan, quando ancora erano inabitabili e i crateri delle loro montagne eruttavano lava.
Dalle alte e impenetrabili mura che proteggevano la capitale e Rykfort, perciò, era possibile avere una visuale quasi completa di tutto ciò che le circondava. Rykstad era praticamente inespugnabile, dall’esterno. Ma l’interno era la sua debolezza.
Era una città talmente grande che non era possibile sorvegliarla tutta. Episodi di violenza e moti insurrezionali si erano svolti periodicamente da un lato o dall’altro del suo perimetro, fin dalla sua fondazione, parecchi secoli prima.
Negli ultimi e pacifici anni del regno dell’Imperatore Raleigh Hegertal, però, nessuna scintilla di rivolta era riuscita a avvampare, repressa ancor prima di poter nascere. Il merito era dovuto al ripristino di un antico ordine di soldati devoti al culto di Vurige, il dio dell’Astro Infuocato, che costituivano il ferreo corpo di guardia cittadino, per cui anche i più fervidi rivoluzionari e sostenitori della repubblica provavano un timore quasi reverenziale.
Eppure, i soldati di Vurige non erano affatto temuti dall’ombra ammantata di nero che scivolò silenziosa al fianco di Nania, aiutandola poi a richiudere la porta, contro cui si abbandonò con un sospiro si sollievo.
   « Per poco non venivo beccata dalle guardie vicino alla Porta dei Mercanti. », mormorò cautamente la figura ancora nascosta nell’ombra. Non si poteva sapere quali e quante orecchie potessero essere in ascolto nelle cucine, anche a quella tarda ora della notte.
   « Se restaste nel vostro letto come dovreste fare, non correreste nessun rischio. », sibilò in risposta Nania, con una punta di stizza nella voce. Avvicinandosi alla figura cercando di fare meno rumore possibile, si alzò in punta di piedi e le slacciò il mantello freddo di umidità, rivelando un giovane corpo femminile le cui curve erano scarsamente celate da bendaggi sotto i vestiti neri come l’inchiostro. La ragazza inarcò la schiena stirandosi le braccia intirizzite sopra la testa, poi si passò una mano tra i capelli, liberando una folta chioma di ricci corvini dal nastro che li teneva bloccati sulla nuca. Infine, non prima di essersi gettata un’occhiata intorno, si abbassò la bandana nera che le celava metà del viso, fino al naso dal profilo affilato. Un sorriso furbo balenò sulle sue labbra carnose non appena i suoi occhi di un azzurro intenso incontrarono quelli castani e pesanti di sonno di Nania.
   « Diventa sempre più difficile muoversi in questa dannata città, con gli uomini di Vurige che spuntano come erbacce in ogni angolo. », si limitò ad ignorare il rimprovero, dirigendosi verso il calore del fuoco, davanti al quale si sedette, sfilandosi i guanti di pelle dalle mani che aprì e chiuse ripetutamente, cercando di riattivare la circolazione. « Perdono, “che ovunque si accendono come fiaccole che portano la luce nelle tenebre”. Tsk. », ripeté a memoria un passo del giuramento del rituale di investitura recitato nuovi adepti dell’Ordine, a cui aveva assistito decisamente troppe volte.
Nania la raggiunse, piegando come meglio poté il pesante mantello, fin troppo pesante per le sue braccia stanche e la sua schiena dolorante. Ma non un lamento uscì dalla sua bocca, mentre invece non riuscì a fare a meno di sussurrare un altro irato richiamo, dettato dalla preoccupazione.
   « Sono soldati valorosi, scelti e investiti da vostro padre, prin-... », si interruppe prima di tradirsi svelando il suo titolo nel silenzio. Si guardò intorno nervosamente prima di riprendere a parlare, chinandosi su di lei e abbassando ancor di più il tono di voce. « E la “dannata città” è la vostra città. Non dovreste parlare in questo modo. E non dovreste neanche mettervi contro di loro. »
   « Come dici tu, Nan. », la giovane ragazza si limitò a trattenere un sospiro. Ormai aveva perso il conto delle volte in cui era stata costretta a sorbirsi quelle ramanzine. « Vieni, Andiamo nelle mie stanze. », si spazzolò i vestiti dalla polvere e si rimise in piedi, una volta scaldatasi a sufficienza.
Lanciandosi un ultima occhiata intorno, spense le ultime braci ardenti con una manciata di sabbia umida, non prima di aver acceso una lanterna ad olio, alla cui flebile luce si fece strada tra i bui corridoi del castello. Nania arrancò frettolosamente dietro di lei tentando di tenere il ritmo del suo passo svelto, e cercando a sua volta di non fare rumore e non urtare niente per sbaglio. Ma ormai era diventata quasi una routine, e, nonostante il costante rischio di essere scoperte, erano mesi che si erano abituate a muoversi silenziosamente tra quelle mura, evitando gli avamposti notturni delle guardie reali. Così come erano mesi che il Figlio di Gevries dava filo da torcere ai soldati di Vurige e all’ordine di cattura emesso dall'Imperatore stesso.
    Sì, valorosi. Valorosi e inutili, contro di me, pensò la ragazza, la principessa, con una punta di orgoglio, mentre saliva a due a due i gradini di un passaggio elusivo che conduceva dritto nelle sue stanze, sempre seguita dalla sua fedele ancella che non avrebbe mai osato tradirla rivelando il suo segreto, nonostante avesse minacciato più e più volte di farlo.
Giunta alla fine della ripida scalinata, aprì una porta nascosta dietro un arazzo e finalmente raggiunse la camera da letto nei suoi alloggi, posti nella Torre dell’Alba, che si affacciava sull’omonimo picco delle Tre Vette. La mattina, quando il sole sorgeva dietro di esso, tingeva il fiume di un caldo color ambra, che si rifletteva contro le mura di pietra di Rykfort, creando un gioco di luci mozzafiato.
A quell’ora della notte, però, tutto era immerso nel buio più nero. La ragazza quindi non perse tempo ed accese il candelabro accanto al suo letto a baldacchino, su cui si sedette con poca grazia, calciando via gli stivali.
Nania invece si fermò al suo fianco asciugandosi il viso con un fazzoletto e poggiandosi una mano sul petto prominente, nel tentativo di riprendere fiato. La sua veneranda età si era fatta sentire ad ogni passo, ad ogni scalino saltato dalla sua giovane padrona. Non aveva neanche la forza per commentare il rozzo modo con cui la stessa si stava togliendo i vestiti, lasciandoli cadere a terra senza riguardo. Scuotendo la testa con forza, si impose di ricomporsi e di dedicarsi allo spazzolare e ripiegare camicia di lino, corsetto e pantaloni di cuoio che la ragazza stava sparpagliando in ogni dove, per poi nasconderli insieme al mantello nel doppio fondo dell’armadio in cui erano riposte le sue numerose paia di scarpe.
Nel frattempo, la giovane principessa si era infilata sotto le spesse coperte, vestita solo del pugnale dal quale non si separava mai. Anche d’inverno, odiava dormire con addosso camice da notte che le si sarebbero attorcigliate addosso durante il suo sonno inquieto. Preferiva il morbido e caldo abbraccio delle lenzuola di seta e delle pellicce.
Ma ormai, quello stesso inverno stava volgendo a termine, lasciando spazio ai boccioli della primavera. E con la primavera sarebbe venuta anche la celebrazione dell’Equinozio, di lì a una settimana. La ragazza sorrise, pensando quanto fosse ironico che una festa che odiava perché la costringeva ad indossare più merletti del solito, cadesse nello stesso momento in cui avrebbe compiuto la sua vendetta.
   Finalmente..., un brivido le percorse la schiena nuda e candida.
   « Nania, avvicinati. », fece un cenno verso la sua ancella, interrompendo il suo metodico rassettare. La donna non se lo fece ripetere due volte. In quanto a pazienza, la sua padrona aveva ereditato tutto dall’Imperatore suo padre. « Quanto durerà quest’anno la celebrazione l’Equinozio? »
   « Quattro giorni, mia signora. Uno in più dell’anno scorso, dedicato interamente all’investitura dei nuovi cavalieri di Vurige. »
La principessa si lasciò scappare una smorfia che venne intercettata dallo sguardo severo di Nania.
   « E le giostre si svolgeranno come sempre gli ultimi tre giorni? », la interruppe prima di sorbirsi l’ennesimo rimprovero.
   « Sì, dopo i riti agli dei. Come sempre. »
A quelle parole, si abbandonò a un sonoro sospiro, appoggiando la testa contro il morbido cuscino di piume.
   « Tutti i giorni dovrebbero essere dedicati alle giostre, non solo gli ultimi tre della settimana. »
   « Non dovreste dire così. Sarebbe un grave disonore verso gli dei che ci regalano la primavera, se ci limitassimo a festeggiare senza ringraziarli a dovere. »
La ragazza sbuffò ancora, roteando gli occhi, ma evitando di rispondere. Si ricordava fin troppo bene quando all’età di nove anni aveva osato esprimere la sua opinione riguardo alla noiosità dei riti agli dei degli Equinozi e dei Solstizi davanti al Sommo Sacerdote di Hemel, il Dio Padre del Cielo, ed era stata confinata nelle sue stanze per un intero pomeriggio a riflettere sulle sue turpi parole. Pomeriggio in cui, tra l’altro, si era persa lo svolgimento del torneo di spade.
Da quel momento, aveva imparato a mordersi la lingua e a tenersi le sue idee per sé, onde evitare altri periodi di reclusione. Non avrebbe sopportato di perdere neanche un secondo dei tornei a venire, e il suo venerabile padre le aveva promesso che quella sarebbe stata la punizione se avesse dissacrato ancora una volta gli dei. E il suo venerabile padre manteneva sempre le sue promesse.
Nania rimase a guardarla rimuginare per qualche istante, prima di avvicinarsi al letto e sedersi sul bordo, lisciandosi la gonna. Sapeva cosa le stesse passando per la testa, dopo tutti quegli anni passati al suo fianco la conosceva fin troppo bene. Così come sapeva che durante la cerimonia dell’Equinozio di Primavera si sarebbe comportata in modo esemplare, pregando e inginocchiandosi insieme a tutti gli altri fedeli nonostante la voglia di sbadigliare, e che sarebbe rimasta seduta composta sul suo trono di legno intagliato durante l’intero svolgimento delle giostre, senza mostrare l’esultanza che sicuramente avrebbe fatto battere il suo cuore più veloce. A volte, guardandola, le tornava in mente la giovane sé stessa piena di sogni ed energia, e le scappava un sorriso. Ma come lei, crescendo, la principessa aveva temprato a forza il suo carattere estremamente ardente, costringendosi a comportarsi come si confaceva al suo rango. Forse era proprio per tutte le limitazioni che la sua appartenenza alla casata regnante le aveva imposto, che ora era arrivata a fuggire quasi ogni sera e a travestirsi da uomo – nei cui panni si trovava sicuramente più a suo agio – per fare gli dei solo sapevano cosa.
Eppure non era di quello che avrebbe voluto parlarle, quella sera, come invece aveva fatto tante altre volte, cercando di farla desistere da quel suo comportamento non solo disdicevole, ma anche enormemente rischioso. Piuttosto, c’era qualcosa che le premeva sulla coscienza da ormai troppi giorni, e non ce la faceva più a mantenere il silenzio, tenendosi tutto dentro. Il suo affetto e il suo senso del dovere nei confronti della sua padrona la spingevano a esternare quello di cui era venuta a conoscenza.
Si schiarì quindi la voce, lisciandosi nuovamente la gonna, nervosamente.
   « Principessa, a proposito dell’Equinozio... »
   « Sì? », replicò lei, sistemandosi su un fianco per guardare meglio l’anziana donna, che le era parsa improvvisamente a disagio.
   « Parlando con la piccola Pamela, sapete, la figlia dell’armiere, sono venuta a conoscenza di certe voci... »
   « Che voci? »
   « Riguardanti Gellert Cattleback. Lord Cattleback, ormai. »
   « Il vecchio Cattle ha tirato le cuoia?», la ragazza si tirò su a sedere, aggrottando la fronte, senza preoccuparsi di coprire il suo corpo nudo; Nania l’aveva vista crescere e diventare una giovane donna dall’infante quale era stata. «Peccato, era un buon tiratore. Quando da bambina ho passato l’estate a Groenwoud, mi riservava sempre la freccia con cui abbatteva i suoi cervi. Un tiro pulito, proprio qui. », accennò a un sorriso, dando un colpetto al centro della fronte di Nania, che si ritrasse stizzita.
   « Walder Cattleback non è ancora spirato, principessa. Anche se allo stadio della sua malattia, si possono solo contare i giorni. »
Suo malgrado, anche se lo ricordava poco e niente, fu contenta di apprendere quella notizia. Alla mente le tornarono con affetto le parole gentili di quel signore stempiato e di bassa statura che non l’aveva giudicata per i suoi comportamenti poco femminili, che gli avevano certamente causato imbarazzo durante il suo soggiorno alla sua corte. Ancora meno poi, ricordava suo figlio Gellert. Tutto ciò che le tornava alla memoria, erano alcune immagini di lei stessa che cercava di convincere a giocare un ragazzino biondo più piccolo di lei di due anni, che sembrava una statua tanto era serio e composto. Le era stato subito antipatico. Eppure, negli ultimi anni si era sentito molto parlare di lui, quale impavido cavaliere e campione di numerose giostre, tutt’altro che compito. E quei pochi che l’avevano conosciuto di persona, l’avevano definito un giovane arrogante e fin troppo viziato, che usava il fascino dei soldi della sua casata per comprare amicizie, e il fascino del suo aspetto come strumento di vuoti e superficiali corteggiamenti. Tutto ciò non migliorava l’idea che la principessa si era fatta di lui.
   « E immagino che Gellert quale figlio devoto rimarrà al capezzale di suo padre al posto di presentarsi alla celebrazione dell’Equinozio di Primavera. », azzardò piuttosto scettica, corrugando nuovamente la fronte, pensierosa. Dubitava fortemente che un nobile del suo rango non si sarebbe presentato, anche perché tale atteggiamento sarebbe stato considerato come un’offesa verso gli dei e l’Imperatore. Eppure la fine sempre più vicina di suo padre sarebbe stato una giustificazione valida, che forse anche i Sommi Sacerdoti di tutti gli dei avrebbero perdonato...
   « ... Al contrario, sembra che voglia trattenersi anche oltre il rito d’inizio e partecipare al torneo. E si è portato dietro almeno la metà della corte di Groenwoud. », replicò invece Nania, abbassando gli occhi verso le proprie mani sulla gonna del suo vestito.
Questo però era decisamente troppo offensivo, nonché insensibile, nei confronti di Lord Walder e del resto della casata dei Cattleback.
   « Fin troppo spudorato anche da parte di un moccioso arrogante come Gellert. », commentò la principessa, assottigliando lo sguardo e cercando il quello della sua ancella, notando come si fosse irrigidita. Ma l’anziana donna continuò a fissarsi ostinatamente le mani.
   « E inoltre... Inoltre il vostro nobile padre... »
A sentirlo nominare senza preavviso in quella conversazione, fu la giovane ad irrigidirsi.
   « Mio padre...? », scandì lentamente.
L’anziana ancella prese fiato, chiudendo gli occhi. Dentro di lei sapeva che se avesse letto l’espressione in quelli della sua principessa mentre pronunciava quelle parole che non avrebbe voluto dire, il suo cuore avrebbe avuto un sussulto.
   « Vostro padre... vi ha chiesto udienza domani mattina, prima dell’inizio del rito. »
Improvvisamente, ogni cosa assunse di significato nella mente della ragazza dai capelli corvini. Le sue mani, prima abbandonate blandamente contro le coperte, ora si strinsero tenacemente in pugni. Ecco perché Gellert Cattleback aveva deciso contro ogni buon senso di ignorare i propri doveri di figlio. Ed ecco perché aveva deciso, o meglio, gli era stato chiesto di trattenersi più del dovuto a Rykstad, alla corte imperiale. E ancora, e soprattutto, ecco perché l’Imperatore suo padre aveva tanto insistito perché lei stessa passasse un’intera estate a Groenwoud, quando era solo una bambina. Ora il motivo per cui era stata costretta a visitare l’intero feudo e a fare la conoscenza di tutti i nobili vassalli maggiori e minori dei Cattleback le appariva chiaro come l’Astro. Come aveva potuto pensare che fosse normale, che fosse dovuto al suo rango di principessa? Era stata così stupida, ingenua. O forse aveva voluto semplicemente distogliere lo sguardo davanti ai numerosi colloqui che Raleigh Hegertal aveva avuto con Walder Cattleback, volendosi convincere che gli accordi che avevano preso fossero meramente fiscali. Anche l’immotivata gentilezza del Lord di Groenwoud in quel momento acquistò un diverso senso, davanti alla richiesta di incontrarla di suo padre, rara come la neve d’estate.
   « ... No. », fu tutto quello che riuscì a dire, serrando i denti, replicando in un sibilo, come a sottolineare il suo disprezzo. E Nania tornò ad alzare lo sguardo su di lei, non riuscendo a celare la compassione che sapeva bene l’avrebbe fatta solo infuriare maggiormente.
   « Principessa... »
   « No. No, nel modo più assoluto. », continuò lei, negando con orgogliosa veemenza il destino che le si stava prospettando davanti. « Non farò la fine di Annie. »
L’ancella sospirò, tendendosi verso di lei e cercando di prenderle tra le sue una mano stretta sulle lenzuola. La giovane la guardò con una fierezza che però non riuscì a celare i suoi occhi diventati gradualmente sempre più lucidi.
   « Ora calmatevi, e ascoltatemi. La principessa Annika è-... », ma a sentir pronunciare il nome della sua adorata sorella maggiore che idolatrava come se fosse una delle dee in cui avrebbe dovuto credere, la giovane scattò nuovamente, ritraendo immediatamente la mano, punta sul vivo.
   « Non provare a dirmi che è felicemente sposata, Nan. Non ci provare. Solo gli dei sanno come potrebbe essere felice con un uomo come... come quello. »
La sua voce era incrinata, spezzata dalle lacrime che cercava in tutti i modi di trattenere, troppo orgogliosa per lasciarle cadere. Nania si rendeva perfettamente conto di tutto questo, e avrebbe voluto piangere per lei, per quella che era la sua bambina tanto quanto la sua principessa. Ma non avrebbe mai osato compatirla in quel modo, se c’era qualcosa che quella ragazza incredibilmente fiera e testarda odiava, era proprio suscitare pena e derisione. Per questo si era impegnata tanto per essere all’altezza di tutte le aspettative che si erano accumulate su di lei nel corso degli anni. E forse, Nania sottilmente lo sperava, avrebbe acconsentito a fronteggiare a testa alta anche quest’ultima prova davanti alla quale si trovava disarmata...
   « Cosa diavolo passa per la testa di mio padre? », la sentì mormorare, quasi tra sé e sé, mentre si stringeva le gambe al petto.
   « È preoccupato per le sorti del regno, come qualunque buon Imperatore. E i Cattleback sono una famiglia potente, con cui gli Hegertal hanno stretto rapporti di alleanze per generazioni. », tentò di farla ragionare, invano.
   « E alle sue figlie non ci pensa, invece? », rispose lei con durezza.
   « Ci pensa, principessa, ne sono certa. », sospirò l’ancella, per poi tornare ad abbassare umilmente lo sguardo così come il tono di voce. « Così come... così come continua a pensare al suo amato figlio, vostro fratello, l’erede legittimo di Ryk... »
A quelle parole, la voce della giovane diventò tagliente come vetro.
   « Mark non tornerà mai, Nan. », replicò con freddezza, assottigliando il suo sguardo glaciale, mentre sulle sue labbra si dipingeva l’accenno di un sorriso amaro. « Continuare a cercarlo non cambierà il fatto che è morto e sepolto da strati e strati di oceano. E se invece per qualche... “miracolo divino” fosse ancora vivo, farebbe solamente bene a continuare a starsene alla larga da... da tutto questo. »
Il silenzio cadde tra di loro, a quel punto, Nania non se la sentì di aggiungere altro. Gli occhi azzurri come ghiaccio della sua padrona ardevano nel buio, segno che nella sua testa si stavano agitando furia e ragione, in una lotta continua. Eppure, quando nel suo sguardo brillava quella luce, c’erano pochi dubbi su quale delle due avrebbe infine prevalso.
   « Ho sentito abbastanza per questa sera. Ora voglio riposare. », disse quindi, anche se dalla sua espressione si poteva intuire benissimo che quella notte non avrebbe chiuso occhio. Nania avrebbe voluto essere capace di distrarla e di farle compagnia, magari raccontandole le favole con cui aveva riempito le sue notti insonni quando non era niente più che una bambina piena di speranze. Ma il tempo delle storie di cavalieri e principesse era ormai passato, e l’anziana ancella non avrebbe potuto fare altro che rimanere con lei, dormendo al suo fianco, e ignorare il dolore alla schiena che la stava implorando di stendersi e riposarsi nel suo letto.
   «  Volete che-... »
   « Lasciami. Sei congedata. », venne interrotta bruscamente, al che tacque di nuovo. Sapeva che il tono duro e la rabbia della giovane non erano rivolti a lei, e poteva comprendere il suo desiderio di stare da sola coi suoi pensieri.
   « Buonanotte, principessa. », si limitò quindi ad aggiungere, ingoiando il magone e spegnendo gli stoppini del candelabro, per poi appropriarsi della lanterna ad olio che le avrebbe fatto da guida nel buio del castello.
Sull’uscio, però, un sospiro sconsolato la fece voltare nuovamente, e si stupì di incontrare gli occhi della principessa che la cercavano, illuminati questa volta da un lieve sorriso sincero, quasi di scusa.
   « Nan, quante volte ti ho detto di chiamarmi solo Lily? »
Anche Nania le sorrise. Le avrebbe scusato qualsiasi parola, qualsiasi cosa. Il suo amore materno era incondizionato.
   « Buonanotte... principessa Lily. »
La lasciò mentre scuoteva divertita la testa, che poi appoggiò sulle braccia con le quali si stava cingendo le gambe. I suoi occhi, ora, erano persi nel vuoto e nell’ombra, così come le parole che rivolse a lei sola.
   « Io non sposerò Gellert Cattleback. Fosse l’ultima cosa che faccio. », la sentì promettere a sé stessa in un sussurro, prima di lasciare la sua camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle.
E così come suo padre, quando Lilyan Hegertal faceva una promessa, la manteneva a qualsiasi costo. Fosse l’ultima cosa che avesse fatto.
Mentre passava davanti a una finestra, Nania alzò gli occhi al cielo e pregò mentalmente la Stella e la sua dea Gevries, celebrata per la sua freddezza, di infonderle un po’ di buon senso e di non guidarla a compiere nessun gesto avventato.
  
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