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Autore: M e g a m i    28/10/2012    1 recensioni
« Come... come la vuoi chiamare?», chiese, e ancora faticò a riconoscere il tono disperato impresso nella sua voce. Aveva posto quella domanda nonostante conoscesse già la risposta. L’aveva saputa nello stesso momento in cui quella creatura indifesa era venuta al mondo. Julieth capì che il suo era solo un vano tentativo di rubare tempo che non gli era concesso, e sorrise ancora, guardando con amore sia lui che quella che era la sua unica e sola figlia.
« Lo sai... » sussurrò sfiorandogli una guancia, talmente delicatamente che quel tocco gli parve carezzevole e ormai immateriale come l’aria. « E fai in modo... che sia per sempre. So... che puoi farlo. È l’ultimo... è l’ultimo favore che ti chiedo ».
Un brivido gli percorse la schiena, a lui che non conosceva né il freddo né la paura. Per la prima volta in vita sua, si sentì smarrito. Piccolo, come quell’essere fragile e delicato che Julieth gli stava ponendo gentilmente tra le braccia. Il calore che emanava quell’esile corpo, era tipico degli umani. Qualcosa in grado di scaldare pure il più glaciale e immortale dei cuori.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NDA: Ma quanto mi piacciono tutti questi nomi strani che derivano dall’afrikaans...! *-*
Forse all’inizio voi farete un po’ di confusione, ma vedrete che col tempo vi abituerete –spero. Magari quando ne avrò raccolti un po’, posterò una specie di glossario!
 
 
 
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CAPITOLO 1: Il figlio di Gevries


 

Vurige, l’Astro Infuocato, stava tramontando dietro le mura fortificate di Rykstad, la capitale dell’Impero, lasciando il posto alla sua consorte Gevries, la Stella di Ghiaccio. Il cielo era tinto di mille colori, il quadro più bello della natura. La ragazza si fermò incantata ad ammirare quell’incredibile spettacolo, nascosta sul tetto, dietro il camino del panificio del villaggio. In diciassette anni di vita, non si era mai stancata di stare ferma a contemplare quella magnificenza; Nania, la sua ancella, quando era piccola la prendeva in giro, dicendo che l’alba e tramonto dell’Astro erano gli unici momenti in cui riusciva a stare calma e immobile senza strillare e fare capricci. Ma, anche se ora era cresciuta, e di capricci non ne faceva più, quell’armonia di colori aveva ancora la capacità di stregarla.
Lentamente scese il crepuscolo, e la Stella iniziò il suo dominio del cielo, circondata dalle costellazioni sue cortigiane. Appiattita contro il camino, la ragazza si sistemò la bandana nera in modo da coprire bocca e naso, si tirò su il cappuccio del mantello, e usando le rientranze del muro di mattoni come appiglio, silenziosamente scese in strada. Confondendosi tra le ombre, scivolò tra una via e l’altra, fino ad arrivare all’osteria.
Come stabilito, il grasso barista la stava aspettando sul retro dell’edificio, appoggiato al muro, che si stava tormentando nervosamente le tozze mani. La ragazza estrasse il coltello dal fodero, legato attorno alla gamba e ben nascosto sotto il mantello, e si fece avanti, rigirandoselo tra le dita, mostrando tutta la sua sicurezza. Immediatamente, l’espressione dell’uomo si trasformò da ansiosa a terrorizzata, e si schiacciò contro il muro, quasi volesse fondersi con esso per nascondersi. Lei si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. La sua reputazione ormai era piuttosto temuta da tutti, nella Capitale. Ma sarebbe stato ugualmente così se avessero saputo che sotto mantello nero e fazzoletto si celava niente di meno che una donna?
« Figlio di Gevries... », mormorò l’uomo in saluto, deglutendo rumorosamente. Altra smorfia, celata dalla stoffa che nascondeva metà del viso della ragazza, dai lineamenti indiscutibilmente femminili e anche piuttosto avvenenti. Insieme alla brutta reputazione, ora le avevano affibbiato pure quel ridicolo soprannome. Ma in fondo, si disse, il tutto andava a suo favore.
Ignorando i convenevoli, avanzò verso l’uomo: era il suo informatore più fidato, o almeno, quello che le dava sempre le informazioni più attendibili e che non si sarebbe mai sognato di tradirla. Era troppo codardo per farlo. Ma non era ancora riuscita ad abituarsi al suo aspetto ripugnante, agli occhi piccoli e storti, al naso troppo all’insù, simile a quello di un maiale, ai denti rovinati dal tartaro e dalle carie, al puzzo di sudore che gli aleggiava attorno. Ringraziando di avere la bandana a coprirle il naso, si abbassò e lo fissò, inchiodandolo con i suoi occhi di ghiaccio, che tanto incutevano terrore perché ricordavano quelli nelle raffigurazioni della dea Gevries, fredda e glaciale come la notte eterna, la morte. Ormai quella del Figlio era diventata quasi una figura leggendaria.
« Dove? », sibilò a denti stretti per mascherare la voce femminile.
« Io... io non lo so. », farfugliò lui, sputacchiando. Lei rimase interdetta. Lui sapeva sempre tutto, non le aveva mai risposto così. Era o no il barista dell’osteria? Non lo aveva scelto proprio perché la sua sudicia bettola era il luogo dove ogni giorno i sostenitori umani della Resistenza si riunivano per discutere i loro piani? Come era possibile che non avesse informazioni?
« Mi stai prendendo in giro? », ringhiò la ragazza, tornando a trafiggerlo con lo sguardo.
« No, no, n-non oserei mai... », balbettò impaurito. Lei si chinò ancora di più su di lui arrivando quasi a sfiorarlo, e in risposta lui si rannicchiò ancora di più contro il muro.
« Dimmi tutto quello che sai, ora, se non vuoi che ponga subito fine alla tua miserabile vita », lo minacciò gelida, puntandogli il coltello alla gola. Quante minacce come quelle aveva fatto? Ormai ne aveva perso il conto, erano talmente tante che non si notava nemmeno che stesse mentendo. Non aveva ma ucciso e sapeva che non ne avrebbe mai avuto il coraggio, ma questo nessuno poteva sospettarlo: per tutti lei era solo il Figlio di Gevries, perciò un glaciale assassino che portava il sonno eterno in nome della madre. Infatti, l’uomo guaì come un cucciolo spaventato, e cominciò a tremare.
« Mio signore... vi prego... non posso... ». Gli occhi gli si riempirono di lacrime e abbassò lo sguardo.
« Cosa vuol dire non puoi? Non mi sei più fedele? » lo accusò lei impassibile, sollevandogli il mento con la lama affilata.
« No, no, io sono fedele solo a voi... ma... ma vi prego... n-non posso! Ne và della mia vita! », la implorò lui, singhiozzando in modo patetico. Se credeva di farle compassione, si sbagliava di grosso.
« Idiota, anche adesso ne va della tua vita », sibilò lei infuriata. Stava davvero per perdere la pazienza. « Parla ».
« M-Mio signore... »
« Ho detto parla! », esclamò, afferrandolo per la maglia e sbattendolo contro il muro. Gli puntò il coltello alla gola, mentre gli occhi di lui si dilatavano all’inverosimile. « Parla o sei morto ».
« V-Va bene, certo, certo... ma v-vi prego, abbassate il c-coltel-... ». La ragazza non gli permise neanche di finire la frase, si limitò a spingere la fredda lama d’acciaio contro sua pelle, fino a fargli uscire una goccia di sangue. L’uomo guaì ancora, più per lo spavento che per il dolore, e deglutì di nuovo, facendo un profondo respiro.
« Questa sera sono venuti i soliti due uomini della Resistenza... », bisbigliò talmente a bassa voce che la ragazza dovette abbassarsi ancora di più per sentire quello che stava dicendo. « Erano allegri come non ce li avevo mai visti, e hanno subito ordinato la mia birra più buona e l’hanno offerta a tutti... certo, ero un poco preoccupato perché avevo paura che non riuscivano mica a pagar-... ». Lei lo strattonò, interrompendolo ancora.
« Non sono venuto qui per sentire le tue lamentele, uomo », la ragazza serrò i denti, per trattenersi dall’urlargli contro. « Dimmi quello che voglio sapere »
« Certo, certo, mio signore, stavo solo... », cominciò ma l’occhiata di lei lo fece ammutolire all’istante. « Comunque, hanno fatto fuori gran parte della mia scorta, e alla fine erano tutti quanti brilli e non ci capivano più niente. E allora a quel punto uno dei due uomini, quello che aveva bevuto più di tutti, si è lasciato scappare qualcosa nell’allegria del momento, qualcosa che gli altri non hanno mica sentito, ma io ho ascoltato, oh, sì che ho ascoltato, per riferircelo a voi come sempre... »
Senza dire niente, si limitò a strattonarlo, per incitarlo a continuare. L’impazienza trapelava dagli occhi della ragazza ogni secondo di più. Che cosa aveva sentito di così importante? L’uomo deglutì per l’ennesima volta, distogliendo lo sguardo mentre un rivolo di sudore freddo scendeva a tracciargli il profilo di una tempia.
« Ha detto una cosa un po’ senza senso, che tre... com’è che aveva detto, tre... tre Oëlig sarebbero arrivati tra una settimana a prendere la merce. M-Ma quando l’ha detto, il suo compagno, quello che aveva bevuto di meno, ci si è accorto che lo avevo sentito, e allora si è subito alzato e mi ha... mi ha minacciato, mio signore, ha... ha detto che... »
Ma ormai la giovane non lo stava più ascoltando, l’attenzione rubata da una sola parola che aveva avuto il potere di far perdere d’importanza a tutto il resto.
Oëlig.
La sorpresa era stata talmente grande che si dimenticò di mantenere la presa sui vestiti dell’uomo, che cadde all’indietro pesantemente sbattendo le grasse natiche a terra e la schiena contro muro. Ma la ragazza non sentì minimamente il gemito di dolore affiorato dalle sue labbra. Non sentiva più niente.
Si portò una mano al petto quasi cercasse di contenere il suo cuore improvvisamente imbizzarrito e fece un passo indietro, la mente in subbuglio.
Oëlig. Nell’antico linguaggio, Occhi Lucenti.
Per tutta la sua giovane vita, non era riuscita a smettere di pensare a quel nome, a dimenticare. Non avrebbe mai scordato quando e soprattutto perché lo aveva sentito per la prima volta, tanti anni fa, quando non era niente di più che una bambina che aveva ingenuamente chiesto cosa significasse il suo nome, dal suono così strano, così inusuale per un’abitante dell’Impero di Ryk.
L’adrenalina cominciò a scorrere più veloce nelle sue vene, e un sorriso diabolico le si dipinse sul viso coperto. Strinse il coltello più forte nella mano sinistra, la mano portante, fino a farsi male alle dita coperte da guanti di pelle, e alzò gli occhi al cielo, alla Stella, ringraziando la dea Gevries per quella notizia.
Finalmente. Da quanto ormai aspettava? Erano anni che attendeva quel momento. Ma ne era valsa la pena. Sì, tutti i suoi sforzi, la sua pazienza, alla fine, erano stati ricompensati. Finalmente si sarebbe trovata faccia a faccia con gli assassini di sua madre.
Oëlig, Occhi Lucenti, o più comunemente conosciuti come Elfi.
Finalmente.
Finalmente avrebbe avuto la sua vendetta.
  
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