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Autore: Jadis96    07/11/2012    4 recensioni
La mattina del 20 novembre, in un modesto appartamento di Londra, un uomo muore. Unico sospettato dell'omicidio: il suo migliore amico.
Sherlock e John si occupano del caso.
La mattina del 21 novembre, un misterioso scambio di corpi sconvolge le loro vite.
Come se la caveranno l'unico Consulente Investigativo al mondo e il suo inseparabile blogger l'uno nei panni dell'altro?
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Lestrade , Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiedo umilmente perdono per l’enorme ritardo. I miei professori si sono coalizzati per caricarmi di compiti in modo da non farmi finire di scrivere il capitolo (sospetto che ci sia lo zampino di Moriarty). Poi sono partita per il Lucca Comics (dove ho visto tanti Sherlock) e al mio ritorno mi sono messa d’impegno per concludere questo infinito capitolo 11.
Siamo tornati al punto di vista di John.
p.s. dopo questo capitolo ne restano ancora uno o due ;)
 
 
Caldo.
Faceva troppo caldo. C’era qualcosa che non andava.
Buio.
Perché non potevo aprire gli occhi? Non riuscivo neanche a raggiungerli.
Umido.
C’era qualcosa di tiepido e bagnato sulla parte sinistra del mio viso, dalla tempia al mento. Sangue, forse?
Dolore.
Era come se qualcuno stesse premendo un ferro rovente contro la mia gamba.
Aria.
Solo all’ultimo momento mi accorsi che mancava la cosa più essenziale. L’aria.
Allora finalmente aprii gli occhi e trassi un respiro profondo. Un attimo dopo mi sentivo come se avessi la gola in fiamme. Non riuscivo a smettere di tossire.
Quando alzai lo sguardo, non riuscivo a credere a quello che vedevo.
Ero in una stanza piuttosto ampia. Un tavolo di legno, un tappeto e la carta da parati che ricopriva il muro erano completamente avvolti dal fuoco.
Io ero dalla parte opposta della stanza, seduto sul pavimento con la schiena appoggiata alla parete. Le fiamme erano lontane da me e sapevo bene che, nel momento in cui mi avessero raggiunto, sarei stato già morto per il fumo. Iniziavo a considerarlo confortante…
 
Più la mia mente si schiariva, più aumentava l’agitazione.
Quello che un tempo era stato il mio cappotto, ora era intriso di sangue e legato stretto attorno alla mia gamba, che iniziava a perdere sensibilità. Quel dolore insopportabile che avevo provato fino a poco prima si stava affievolendo, lasciando posto ad un fastidioso intorpidimento.
Era una sensazione vagamente familiare, pensai con un brivido. Infine, anche i ricordi della guerra erano tornati a perseguitarmi, tra il fumo, il calore e un proiettile nella gamba. Non potevo essere certo che fosse proprio un proiettile, ma lo sapevo. Lo sapevo e basta.
Mi portai una mano alla bocca, nel tentativo di respirare più agevolmente, e fu allora che mi accorsi di qualcosa di straordinario.
La mia mano era effettivamente… la mia mano.
La osservai perplesso per qualche secondo. Come avevo fatto a non accorgermene prima?
Mi passai una mano tra i capelli e sul viso per accertarmi che tutto fosse al suo posto e constatai con sollievo che lo era.
Se io ero lì, significava che anche Sherlock era tornato nel suo corpo. In quel caso, avrebbe saputo dove mi trovavo.
Avrei dovuto considerare confortante quest’ultima evenienza, ma non ci riuscivo. In quel momento il mio pessimismo aveva raggiunto il culmine. Forse era stato a causa del fumo. O della perdita di sangue. O di entrambi.
Trascorsero dei minuti. Ma per quanto mi riguardava sarebbero potute anche essere delle ore: non faceva alcuna differenza. Il tempo era come sospeso. I miei pensieri diventarono incoerenti e vividi come sogni. La gamba non faceva più tanto male, ma solo perché iniziavo a non sentirmela più.
Il tappeto bruciava a pochi centimetri da me. Presto il fuoco mi avrebbe raggiunto.
Pregai di morire prima di allora.
 
Udii un rumore. Come un colpo secco.
Poi un altro, tre secondi dopo.
Poi, uno schianto.
<< John! >>.
Quella voce. Era stata la mia per i giorni precedenti, ma non mi apparteneva.
Era lì, nella stanza. Ma allora perché mi chiamava se ero lì anche io?
Sentii una stretta sulla mia spalla.
<< John!! >>.
Aprii gli occhi, infastidito da quel tocco.
Davanti a me, vidi lo stesso viso che avevo visto nei giorni precedenti quando mi ero guardato allo specchio.
<< Sher… >>. Tentai di pronunciare il suo nome, ma scoprii di non avere abbastanza aria per completare la parola.
<< Alzati, dobbiamo andarcene >>.
<< Non… >>. Volevo dirgli che non potevo, ma non mi diede il tempo di formulare un pensiero coerente. La sua presa su di me si fece più salda e mi tirò in piedi.
Non appena poggiai il peso sulla gamba destra, mi sfuggii un gemito di dolore.
Sherlock fece passare il mio braccio attorno alle sue spalle e mi guidò verso la porta… o quello che ne rimaneva.
<< L’hai… sfondata? >>, chiesi, tra un colpo di tosse e l’altro.
<< Avevo fretta >>.
Non vedevo dove stavamo andando a causa del fumo, ma confidavo in Sherlock. Non appena oltrepassammo la soglia della porta, l’aria si fece immediatamente più leggera.
Sherlock non mi permise di fermarmi per riprendere fiato. Attraversammo un breve corridoio, fino a giungere alla breve rampa di scale che conduceva alla porta d’ingresso.
All’andata avevo percorso quella piccola salita senza neanche rendermene conto, mentre in quel momento sembrava un’impresa titanica anche solo scendere.
Il dolore, sordo e costante, si estendeva fino alla punta dei piedi.
<< Forza, John >>.
Ignorai le proteste della mia gamba e tenni gli occhi fissi sulla porta alla fine della scalinata. Era socchiusa, probabilmente lasciata così da Sherlock quando era entrato, e lasciava passare un po’ della luce dell’esterno.
Solo a metà scalinata mi accorsi che mi stavo appoggiando completamente a lui, e che era l’unica cosa che mi permetteva di restare in piedi era il suo sostegno.
 
Quando finalmente uscii da quella casa maledetta, l’aria gelida e pulita m’investì con violenza.
Fu una sensazione sgradevole e al contempo bellissima.
Sentivo la gola in fiamme. Era come riemergere dall’acqua dopo essere stati in apnea per troppo tempo.
<< Prima di venire ho chiamato il 999. Il fatto che sia arrivato prima io la dice lunga >>, spiegò Sherlock.
Trascorsero un paio di minuti prima che fossi in grado di parlare ancora.
<< Sei stato tu? >>. La mia voce era un po’ roca, ma decisa.
Sherlock abbassò lo sguardo. << Sì. Volevo cogliere Samuel di sorpresa nel suo nuovo corpo, ma non volevo coinvolgerti. Prima che la situazione precipitasse l’ho sparato con la tua rivoltella. Non so dove sia ora, ma le tracce di sangue sulle scale indicano che è riuscito ad uscire >>.
Improvvisamente le ultime ore mi tornarono in mente.
Ricordai come Sherlock si era dimostrato stranamente comprensivo nei miei confronti, e poi era uscito di casa, assicurandomi che non aveva assolutamente intenzione di andare ad incontrare Samuel da solo.
La mia espressione cambiò repentinamente, diventando minacciosa.
<< Sei andato a casa di un assassino, da un uomo che sospettavi fosse un assassino, senza neanche avvertirmi, mentre eri nel mio corpo?! >>.
Non ebbi occasione di scoprire se Sherlock avrebbe risposto alle mie accuse o se avrebbe scelto il silenzio. Non glie ne diedi la possibilità.
Era come se il mio braccio si fosse mosso di propria volontà.
Mi accorsi di aver colpito Sherlock solo quando non sentii più la sua presa su di me e lo vidi indietreggiare massaggiandosi la guancia.
Ero furioso per essere stato messo da parte ancora una volta. Il bruciore che ancora avvertivo alla gola e il dolore lancinante alla gamba mi ricordavano costantemente quanto fossi stato vicino alla morte e quanto lo era stato Sherlock.
Capii che in fondo ero solo contento che stesse bene. Quasi mi pentii di averlo colpito. Quasi.
Sherlock, d’altro canto, assunse la sua solita espressione impassibile e si avvicinò ancora una volta, forse preoccupato dalla mia instabilità su una gamba sola.
<< Mi dispiace >> disse, e sembrò quasi sincero.
Fu allora che decifrai l’ultimo sentimento che mi era rimasto come un peso sullo stomaco. Era quella sensazione di enorme sollievo che si prova subito dopo essersi liberati di una paura.
<< Accidenti a te, Sherlock >>, mormorai. Lo tirai bruscamente verso di me e lo abbracciai.
Probabilmente al momento pensò che fossi impazzito, e ne aveva tutte le ragioni considerato che gli avevo tirato un pugno e poi l’avevo abbracciato.
Ma era stato quasi un riflesso condizionato.
Ero felice di essere vivo, ero felice che lui fosse vivo e che fossimo tornati nei rispettivi corpi. Avevo temuto per entrambi.
Dal modo in cui, dopo svariati secondi di perplessità, Sherlock ricambiò l’abbraccio capii che stava pensando le stesse cose. Anche lui aveva avuto paura.
 
Quando sentii in lontananza il suono delle sirene constatai che, finalmente, un’ambulanza mi aveva degnato della sua presenza.
Intanto la Casa Maledetta veniva divorata dalle fiamme.
<< E’ giusto che sia così >>, disse Sherlock.
Come sempre, sapeva quello che stavo pensando.
   
 
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