Storie originali > Introspettivo
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Autore: Crawford Tillinghast    08/11/2012    0 recensioni
Un uomo che, nonostante il suo forte desiderio di diventare un pugile forte e capace, non è mai riuscito a vincere un match. Dopo anni di fallimento, gli viene proposto un "patto col diavolo"; in tempi migliori avrebbe rifiutato senza pensarci ma stavolta, con l'animo logoro ed il morale a pezzi, l'offerta inizia ad affascinarlo...
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vincere
 
Knock out. Ancora.
Qualche anno fa avrei tentato di alzarmi nonostante tutto, nonostante i muscoli che gridano dal dolore, nonostante il cervello intorpidito come se si fosse preso una sbronza, nonostante i polmoni che implorano per dell’aria… ma ora mi lascio andare. Mi rendo conto di quanto sia inutile combattere la sconfitta per me, il tappeto del ring è il mio letto la sera, il gong il rumore dell’interruttore della lampada piuttosto che la mia sveglia. Non ho mai vinto un match in vita mia, ho smesso di sperare e altro non mi resta… che arrendermi.
 
Rieccomi nel mio piccolo appartamento, nella mia piccola cucina maltenuta, ore dopo la routine quotidiana. Ormai ho smesso di piangere, non sento neanche più quel bruciore in petto che m’impediva di dormire la notte, solo… inerzia. Tiro fuori quegli avanzi di carne e verdura dal vecchio frigo arrugginito e inizio la cena, con solo una lampadina scadente che pende dal soffitto a farmi luce. Dire che faccio una vita misera sarebbe fare un’offesa alla miseria… forse, se perseguissi un’altra carriera, un altro sport… forse potrei vivere decentemente. Tuttavia, la boxe è ciò che ho sempre sognato fare, sin da quando ero ragazzo…
Già, sono ancora vividi i ricordi della mia giovinezza, dei sentimenti che mi spinsero verso questo sport. Urla e pianti in casa, botte e sangue a scuola, nessuno con cui parlare. Presi a sfogarmi col mio cuscino, unico confidente delle mie urla e dei miei pugni. Quando vidi, attraverso una vetrata per strada, un uomo con indosso dei guantoni fare lo stesso a un sacco di sabbia, pensai di avere trovato il sentiero della mia vita. L’idea di poter incanalare la mia passione, la mia rabbia in  qualcosa di costruttivo mi spinse a entrare nel mondo della boxe. Non ero il migliore, ma quel che facevo mi piaceva… finché non sono entrato nel campo agonistico.
Il mio primo incontro da professionista si concluse con me steso sul tappeto. Così quello dopo, e quello dopo ancora, e quello dopo ancora. Sono alla fine della mia carriera ormai, tra qualche anno non avrò più il fisico per questo sport, e nonostante gli intensi allenamenti non ho mai ottenuto una vittoria. La mia scarsità è ormai leggendaria, è quello che mi ha permesso di campare, seppur miseramente, in questo ambiente: alla gente diverte vedere questo fenomeno da baraccone dare il suo meglio per poi fallire ancora. Ma dietro il trucco da pagliaccio c’è un essere umano che avrebbe sognato di diventare un campione. Poi ha sognato di diventare un pugile decente. Poi di collezionare almeno una vittoria.  Poi nulla.
Ho finito di mangiare, meglio che vada a dormire presto, domani mi devo alzare alle prime luci dell’alba per l’allenamento. Non manca poi molto al prossimo match…
 
Faccio la mia umile entrata nella modesta stanza che ospita l’incontro: mal tenuta, c’è molta umidità nell’aria, i posti del pubblico sono semplici sedie di metallo. Non mi aspettavo di meglio. Mi guardo intorno, oggi c’è poco pubblico. Normale, io non sono granché e, a guardarlo, non lo è nemmeno il mio avversario. Sento di nuovo speranza, la speranza in una vittoria, ma cerco di reprimere quella piccola, crudele aguzzina con tutte le mie forze e di pensare solamente all’adesso; le speranze del passato per me furono sì dolcificanti, ma il loro effetto fu sempre breve e alla fine non fecero che peggiorare le sofferenze che seguirono.
Parte la routine: entrata nel ring, riscaldamento, presentazione, gong. Inizia il combattimento. Cerco di studiare il mio avversario un po’ prima d’attaccare, non sembra forte ma si muove bene e pare scaltro. Attacco per primo, bisogna sempre attaccare per primi quando la situazione sembra favorevole. Sferro un destro veloce, ma lui si dimostra ancora più veloce e lo schiva, poi punisce il mio errore con un sinistro. Temo che questo sia soltanto un anticipo di quello che mi aspetta.
 
Avevo ragione.  Nonostante i miei sforzi, ho di nuovo perso per knock-out. Il tipo era troppo veloce per me, io troppo prevedibile per lui. Sono di nuovo nello spogliatoio, e nella mia testa riecheggiano le parole del mio primo tecnico: mi diceva di “non gettare mai l’asciugamano, perché la sconfitta è una brutta cosa ma arrendersi è la cosa peggiore che si possa fare”, che “se la vita ti manda al tappeto ti devi rialzare, e ogni volta che ti rialzerai sarai più forte”. Soprattutto mi diceva “l’unico vero match è con te stesso”… solo frasi fatte. Morì nella delusione di non avermi mai visto vincere; ciò però mi spinse ad allenarmi ancora di più e la mia voglia di vincere crebbe, volevo onorare la sua memoria e saldare il mio debito.
 Non ci sono riuscito.
Il posto nel mio spirito che un tempo apparteneva a quel vigore ormai lo occupa la vergogna… e la solitudine. Adesso mi ritrovo circondato da gente che è con me a malavoglia, solo per non rimanere disoccupata; non ho più nessuno su cui appoggiarmi e non penso lo avrò più.
Improvvisamente qualcuno entra nello spogliatoio: è una faccia sconosciuta, a vederlo sembra uno come tanti. Si avvicina, ha un fare cauto e una voce sottile ma qualcosa mi mette in allarme. Dice di avermi seguito per molto tempo, di sapere cosa ci vuole per me e “cosa voglio davvero”.Immagino dove voglia andare a parare, ma lo ascolto comunque con attenzione e… immaginavo giusto. Ha dei farmaci che possono migliorare le mie prestazioni. Tenta di essere persuasivo ma da subito gli dico che accetto. Mi dà una bottiglietta con dentro delle pillole, dicendomi che “il primo campione è gratuito”, e come è arrivato così se ne va.
 
Percorro la strada verso casa con un sapore amaro che dalla bocca scende nella gola, la schiena curva e il capo chino come se una forte pioggia si abbattesse su di me, ogni goccia un pugno ricevuto, ogni passo una sconfitta. Mi prendo il mio tempo nel percorrere i vicoli stretti, spartani e maleodoranti che conducono al mio condominio, in una notte senza luna e senza stelle…
Tornato a casa, mangio di nuovo una misera cena, mi preparo per la notte e poi sono seduto su quello scomodo materasso a terra che mi ostino a chiamare “letto”. Osservo nella mia mano la bottiglietta: in passato il solo sfiorare l’idea di prendere queste cose pur di vincere mi avrebbe riempito di rabbia, ma ora… ora mi chiedo se non sia tutto quel che mi rimane. Non sarebbe giusto, ma la vita non è giusta. Non sarebbe corretto, ma nessuno lo è. Partecipare non basta. Mi chiedo come sarebbe essere un pugile degno di questo nome, e vincere… vincere…
  
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