Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Black Feather    08/11/2012    1 recensioni
Ci troviamo in un universo governato da una logica da cartone animato. La storia si svolge in periodo Natalizio e ruota intorno alla figura di Babbo Natale e alla cosiddetta "letterina": Nico, il protagonista, la manda al Polo Nord con la speranza che quest'anno, per la prima volta dopo molto tempo, il suo desiderio venga finalmente esaudito. È raccontata in prima persona attraverso gli occhi del protagonista, che non ha atteggiamenti tipici di un bambino di sette anni... o di qualunque essere umano normale, dopotutto.
Prego tutti i potenziali lettori di non prendere troppo sul serio la storia, scritta principalmente per divertimento; devo inoltre avvertire che in alcuni passaggi essa sconvolge i canoni del buonsenso nella scrittura, ma confido che la troverete lo stesso coinvolgente.
Genere: Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 3

 



L’abitazione di Cicco dista a malapena cento metri dalla mia. Viviamo nello stesso isolato. Avanzo contro il vento e la neve con il cappuccio tirato sulla testa, come un eschimese in pellegrinaggio, e raggiungo casa sua in mezzo minuto. È un edificio a più piani, con pareti color del burro che mettono in risalto il tetto rosso fiammante, di cui ora spuntano solo i vertici sotto un manto di neve.
   Allungo la mano verso il citofono ma prima che possa toccarlo il cancello accanto a me squilla e si apre. Alzo gli occhi verso casa di Cicco e vedo la sua sagoma stagliata dietro la porta-finestra. Deve avermi visto arrivare.
   Spingo il cancello e avanzo verso la porta di casa, che mi si apre davanti immettendomi nell’abitazione. Cicco è in piedi proprio qui davanti. Alla luce artificiale, la forfora che ha fra i capelli brilla come polvere di diamanti, e i suoi occhialetti rotondi riflettono un bagliore bianco. Non posso fare a meno di notare l’orribile maglietta che indossa. Sembra fatta di sacchi della spazzatura cuciti insieme, e al centro spicca una scritta di un arancione carico, che recita: GEEK.
   Mi sorride, rivelando la dentatura da castoro; io sono ancora incorniciato nella soglia. «Zao, Ni’» mi saluta. Mi inoltro all’interno senza rispondere e lui chiude la porta, escludendo fuori il rumore del vento. Mi getto sul divano che campeggia al centro del locale. Schiocco le dita, dicendo: «Coca-cola», e Cicco sparisce dalla stanza. Qualche attimo più tardi eccolo di ritorno, che veleggia verso di me reggendo un vassoio con una lattina di coca-cola sopra. Me la porge e si siede accanto a me, e pinza il vassoio fra le gambe.
   Stappo la lattina e trangugio un sorso della bevanda all’interno, che mi incendia la gola e le narici con un’esplosione di bollicine.
   Cicco si agita un po’ sul divano. «Allora, Ni’, come va?»
   Bevo un altro sorso di coca-cola senza guardarlo.
   «Spazzola», ordino.
   «Come, scusa?», chiede allungandosi verso di me, come se non avesse colto qualche sillaba. «Spazzola la neve via dal mio giubbotto, e poi, già che ci sei, appendilo da qualche parte.»
   Cicco si schiaffeggia la fronte. «O, zì, certo! Capito!» e detto ciò prende a spazzolare la neve giù dal mio giubbotto e ad agitarne il colletto. Quindi me lo sfila di dosso e sparisce alle mie spalle, per poi ritornare dopo un po’ senza. Intanto, io ho finito la mia lattina di coca-cola, perciò la scaravento a terra, dove rotola fin sotto un mobile, lasciando una scia di liquido appiccicoso lungo il pavimento. Cicco sospira e, come un servo obbediente, si rialza e va per raccoglierla: si abbassa fino a poggiare l’orecchio contro il pavimento e allunga il braccio sotto il mobile, setacciando alla ricerca della lattina. La trova, si rialza e la rimette sul suo vassoio. Poi si siede di nuovo vicino a me sul divano.
   La coca-cola mi si sta rimestando nello stomaco – devo averla ingollata troppo in fretta. Mi giro verso il mio amico e gli rutto in faccia. Un ciuffo di capelli gli si agita nella corrente d’aria rancida e il viso gli si irrigidisce. E ce credo!
 Fisso Cicco per un attimo, soffoco un conato, e dopodiché scoppio a ridere, e presto lui, superato lo sconcerto di essere stato spazzato da un rutto alla coca-cola, mi segue a ruota. Sì, il mio umore è decisamente migliorato!
   Sto ancora ridendo insieme a Cicco quando lui viene colto da un attacco di asma che trasforma le sue risate in un concerto di abbai rauchi. Gli batto la schiena con la mano – con molta più forza del necessario, in realtà. Ciò nonostante, dopo che la sua tosse convulsa si quieta, mi mormora un: «Grazie» con gli occhi umidi per la gratitudine. No, stronzo, non è come pensi: la tosse non c’entra!
   «Allora», dico quando Cicco si è ristabilito completamente. «Hai qualcosa di interessante da farmi fare?»
   Lui stringe i pugni e agita gli avambracci come una checca isterica, quasi non avesse aspettato altro che quella domanda. Che essere patetico. Quei suoi occhialetti rotondi intercettano un raggio di luce artificiale mandando un bagliore bianco e mi abbagliano – tutto ciò perché si agita. Mi strofino gli occhi. Quando li riapro, Cicco si sta ancora dimenando come se avesse un palo appuntito in culo. Finalmente posa le braccine sulle cosce e parla: «Ho-ho … mi hanno regalato un nuovo gioco per la play station!» Mi ha sputato parlando. Ma non è questo il problema.
   È come se una morsa d’acciaio si fosse improvvisamente chiusa sulle mie interiora. «Come sarebbe?» Detesto ammetterlo, ma il mio tono suona spaesato. «Un regalo? Di quel livello? Ti hanno regalato un gioco per la play station nonostante manchi così poco a Natale?»
   Cicco rimane interdetto e abbassa lo sguardo. So che si sente in colpa – glielo leggo nei suoi piccoli, patetici occhi da topo –, anche se non ne ha motivo... ma questo riesce solo a farmi incazzare di più. Deglutisco e scopro di avere la gola arsa. Il mio stomaco sta ribollendo di rabbia e invidia. Vengo assalito dall’istinto di strappargli di dosso gli occhiali, gettarli a terra e saltarci sopra, e poi magari restituirgli i frammenti per via anale. Però mi contengo e invece dico: «Be’, allora che aspetti a prenderlo? Muoviti, razza di idiota!»
   Lui balza giù dal divano e corre via per prendere il videogioco. Io intanto formulo un pensiero che di solito non mi apparterrebbe: ho dissimulato il mio impeto di invidia per evitare di apparire fragile davanti a Cicco che, chissà perché, è l’unico amico che ho. Un pensiero che suona strano, è vero, soprattutto adesso, dopo che ho apostrofato Cicco con i primi insulti che mi sono venuti in mente senza remora alcuna, e che l’ho pettinato con un rutto. Ma, dopotutto, so che quest’ultimo comportamento – insultarlo – non presenta rischi, non si configura come un problema: ho sempre insultato Cicco – quello che gli ho detto finora è niente –, e lui è sempre stato un bravo schiavo. Ciò si spiega attraverso quel principio … com’è? Più tratti male le persone, più esse sbavano nella tua scia. Ed è evidente nel caso di Cicco. Insomma, mi venera come fossi un feticcio. Oppure, ora che ci penso, la ragione per cui nonostante gli insulti continui a farmi da schiavo magari risiede nel fatto che nemmeno lui vuole perdere il suo unico amico. L’opzione del principio tratta male ché ti trattano bene, però, mi pare decisamente più ragionevole.
   Il vero problema, comunque, consiste nella facilità con cui lui ottiene ciò che vuole. So che ha chiesto quel videogioco ai genitori quattro giorni fa, e adesso ecco che butta lì candidamente la notizia che lo ha ricevuto in regalo – e siamo in periodo Natalizio! Significa che per la sera del 24 avrà come minimo altri tre videogiochi, mentre a me non solo i miei genitori idioti non ne comprano, ma neanche quel cazzo di Babbo Natale ne porta. Be’, almeno così è stato negli ultimi anni. Pare infatti che l’obeso in rosso consideri di prassi saltare casa mia e volarci sopra come se non esistesse.
  Sono certo, tuttavia, che quest’anno anch’io sentirò un tonfo proveniente dal salotto e troverò il regalo di Babbo Natale nel camino, e non dovrò inventare scuse con gli altri bambini e pestarli e appenderli per le mutande ai ganci per i giubbini, quando subito dopo le vacanze mi chiederanno cosa abbia ricevuto per Natale. Quest’anno mi sono comportato bene e riceverò ciò che mi spetta.
   Cicco si ripresenta con una sottile scatola quadrata che contiene il videogioco. Dieci minuti dopo, ci stiamo scannando sullo schermo della televisione. Sparo contro il suo avatar il più micidiale dei colpi che ho a disposizione e lo schermo riluce di un abbagliante lampo bianco.
   «Senti, Ni’, cosa hai chiesto a Babbo Natale quest’anno?», se ne esce.
   Metto in pausa il videogioco.
   Mi schiarisco la gola con fare importante. «Considerati privilegiato, insetto, sei il primo a cui lo dico.»
   Cicco ridacchia divertito. «Quindi hai consegnato la letterina?»
   «Certo che sì, stupido, proprio questa mattina. E non osare più interrompermi.»
   Cicco mi lancia un’occhiata di scuse. Per questa volta gliela faccio passare liscia.
  Gonfio il petto come un tacchino. «Ho chiesto un amico decente.»
  Nel breve silenzio che segue, Cicco aggrotta le sopracciglia e il suo viso si incupisce, come se stesse soppesando con attenzione le mie parole. Gli pianto i miei occhi addosso, per niente imbarazzato. Riesco quasi a vedere gli ingranaggi del suo cervello macchinare dietro la fronte. «Be’, che hai da dire?»
  Piega le labbra in una strana smorfia. Poi prende a ridacchiare.
  Sono sconcertato.
  «’Cazzo ridi?»
  Ha le lacrime agli occhi e singhiozza, scoprendo ogni tanto gli incisivi smisurati. Il petto gli si gonfia e sgonfia mentre ride.
  «Zei divertente, Ni’.»
  Stringo la mascella. «Credi che stia scherzando?»
  Nel medesimo istante, la porta di casa di Cicco si apre e sua madre entra caracollando sotto il peso di grosse buste, distraendomi. È brutta quanto il figlio, anche se non ha gli stessi dentoni da castoro. Mi scorge e si ferma, deponendo giù le buste stracariche, che si afflosciano sul pavimento.
  «Ehilà, Nico!» mi saluta.
  «Salve, signora.»
  La madre di Cicco avanza verso di me, ostentando un sorriso accogliente. «Come va?» «Tutto bene, signora.» «Ti va di rimanere per pranzo?» Solleva un sopracciglio, indicando le buste alle sue spalle. Manco mi stesse inducendo in un’irresistibile tentazione; ha avanzato una proposta a malapena appetibile!
  «No, grazie, i miei genitori stavano già cucinando quando sono venuto.» Per una volta le rifilo una scusa vera. La mamma di Cicco sembra leggermente offesa. Sta quasi per mettere su il broncio. «Oh, be’», sospira. «Sarà per un’altra volta.» Con entrambe  mani, solleva le buste da terra, barcolla fino in cucina e si chiude dietro la porta con un calcio.
   Mi alzo dal divano. «Devo andare.»
   Cicco alza lo sguardo. «Di zà?» Annuisco. E poi un’idea mi fiorisce in testa.
  «Vai a prendere il mio giubbotto!» Gli impartisco l’ordine in fretta.
  Cicco si alza dal divano e corre via per eseguirlo.
  Un ghigno mi storce le labbra, tramutando il mio viso in una maschera crudele. Tendo le orecchie per accertarmi che Cicco sia lontano, quindi mi avvicino alla play station, che ci ha intrattenuto finora. La console, sorretta da un piano di vetro sotto la televisione, emana un basso ronzio. Pigio alcuni pulsanti e il disco che era all’interno esce roteando dalla fessura dell’apparecchio. Lo afferro.
  Accertandomi che nessuno mi stia osservando, infilo l’altra mano in tasca e ne estraggo un pacchetto di gomme da masticare. Me ne caccio una in bocca e mastico forsennatamente, quindi me la sputo nella mano: ecco un impasto grande quanto un polpastrello, viscido e azzurrino, che si arriccia su se stesso e trasuda bollicine di saliva.
   Il mio ghigno si allarga.
   Sollevo il disco del videogioco e la gomma da masticare alla stessa altezza. «Di’ addio al tuo bel nuovo giochino, Cicco.» E spiaccico la gomma sul retro disco. Usando il pollice, la stendo con forza lungo la superficie traslucida. Non è facile, perché mi rimane appiccicata ed è come spianare un grumo di pomata indurita. Allungo e appiattisco la gomma, schiacciando più e più volte i punti dove l’impasto si è coagulato, e alla fine ottengo una striscia appiccicosa che ricopre la maggior parte del retro del disco.
   Sollevo e osservo il mio lavoro, in preda all’euforia e all’adrenalina. Reinserisco il disco nella fessura e lo spingo. Presto la play station comincia a fumare dagli angoli. Un odore di plastica bruciata e mirtilli riempie la stanza.
   Il vento scuote brevemente la porta.
   Ancora una volta provo quella strana sensazione, e mi guardo intorno per assicurarmi che nessuno mi osservi, ma la stanza è deserta a parte me.
   Un attimo più tardi arriva Cicco. Gli vado incontro. Gli strappo di mano il giubbotto e me lo infilo in fretta e furia, rifiutando il suo aiuto. Lo saluto con un cenno del mento e mi precipito fuori da casa sua. Una volta all’esterno, la soddisfazione estende ancora di più, se possibile, il mio ghigno.
   Mi incammino verso casa, immaginando la reazione di Cicco quando scoprirà che il suo video-gioco nuovo di zecca è stato distrutto insieme alla sua amata play station, e mi diverto ancora di più immaginando la sua faccia atterrita e stravolta.
   Il vento ulula lungo la strada. È talmente forte che quasi mi sento sollevare da terra. Osservo la neve che turbina trascinata dal vento e sento un calore improvviso che mi si scioglie nello stomaco. Lo associo all’adrenalina che si disperde. Poi scorgo un’immagine in mezzo alla bufera. Somiglia a un uomo formato da un intreccio di vento e neve. Pare sfumare via nelle raffiche, eppure continua a fluttuare poco distante da me. Scuote la testa, rasentando dispiacere. Se i tizi apparsi tra i fiocchi di neve possono sembrare amareggiati e delusi, be’, questo lo è. Tento di osservarlo meglio e quello si dissolve. Devo averlo immaginato. Le folate di neve assumono strane forme e possono ingannare.
   Il rumore di uno scoppio mi raggiunge. Esulto in silenzio, stillando una gioia folle da tutti i pori. Neppure nella più rosea delle prospettive avrei sperato che la play di Cicco sarebbe esplosa. Proseguo verso casa, ripensando a tutto quello che ho fatto dal mio amico; soprattutto ripenso allo scherzo della gomma e mi spunta un sorriso. È vero, durante la mia permanenza a casa di Cicco il mio umore ha toccato picchi alti e bassi, ma come si sol dire, tutto è bene quel che finisce bene, non è così?
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Black Feather