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Autore: Leenadarkprincess    09/11/2012    4 recensioni
Ormai ci abbiamo fatto il callo. Draco e Hermione si appartano nello stanzino delle scope senza un perché. O si trovano in bibioteca, ed è colpo di fulmine. O si sono sempre amati, e non sanno più resistere alla forza travolgente della loro passione troppo a lungo celata...
Si, certo.
La verità è che Draco e Hermione si odiano profondamente, e che solo un miracolo potrebbe cambiare le cose. E se il trio protagonista avesse deciso di rimanere a Hogwarts il settimo anno? E se Draco Malfoy fosse stato catturato mentre fuggiva dopo l'attentato a Silente, e grazie a Harry che testimonia in suo favore fosse stato rispedito a Hogwarts? E se Voldemort avesse fallito l'attentato al Ministero, ritirandosi a tramare di nuovo nell'ombra, e Kingsley fosse diventato Ministro?
A cominciare da una semplice quanto improbabile sbornia, comincia una serie infinita di sfortunati eventi tra partite di Quidditch e Horcrux, passando per incantesimi, Pasticche Vomitose e parecchio sarcasmo in autentico stile Draco Malfoy... riuscirà quest'ultimo a tirare fuori il suo "lato buono"?
Sempre che ne possegga uno, ovvio.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Astoria Greengrass, Blaise Zabini, Draco Malfoy, Il trio protagonista, Un po' tutti | Coppie: Draco/Astoria, Draco/Hermione, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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A Christmas Carol A CHRISTMAS CAROL
 
Era il Natale del mio terzo anno ad Hogwarts. In realtà avrebbe dovuto essere il secondo, ma avevo cominciato a frequentare la scuola poco dopo aver compiuto i miei dieci anni. A tutt’oggi sono una decina al massimo, credo, quelli che lo sanno – i più non si sono mai chiesti nulla, perciò non ho ritenuto opportuno informarli di nulla.
Quell’anno rimasi a scuola per le vacanze, non che la cosa mi dispiacesse particolarmente. Casa mia sembrava sempre in bilico tra due mondi opposti; da una parte eravamo Serpeverde, e questo conta più di quanto si possa pensare – dall’altra, c’era la consapevolezza che in qualche modo eravamo diversi, consapevolezza che diventava particolarmente acuta quando Daphne aveva uno dei consueti contrasti con mio padre.
C’era un motivo preciso per cui intendevo rimanere a scuola, e cioè che quell’anno era in pieno svolgimento il Torneo Tremaghi. Mi dispiaceva moltissimo non essermi candidata, ma naturalmente la sapevo più lunga dei gemelli Weasley, e non avevo neppure pensato di tentare di varcare la Linea dell’Età. Così i campioni erano stati scelti, con una particolarità: Potter.
Potter era risultato essere il secondo campione di Hogwarts, e i commenti maligni che erano cominciati a circolare nel nostro dormitorio sottolineavano come, di due campioni scelti per la nostra scuola, neppure uno avesse la dignità che sembrava necessaria a quel ruolo. Molti dicevano anche che Harry Potter aveva tramato per inserire volontariamente il proprio nome nel Calice, ma ancora una volta la sapevo più lunga. Per riuscirci il ragazzo avrebbe dovuto chiedere l’aiuto di un mago potente, come un insegnante, mentre era chiaro che nessuno di loro voleva che il Ragazzo Sopravvissuto rischiasse il collo per affrontare un Unga Spinato, non potendolo evitare.
Non ero stupida, no, ed era chiaro che se qualcuno tramava per uccidere Potter non doveva essere un pesce piccolo, probabilmente neppure Sirius Black. Ero curiosa, ed ero rimasta.
Quel Natale era naturalmente in programma il Ballo del Ceppo, e io non avrei potuto partecipare, essendo una misera studentessa del terzo anno. Ma la fortuna – se così vogliamo chiamarla – fece si che quel giorno avessi un’opportunità.
Ero nel Dormitorio, davanti al caminetto, l’unico luogo veramente caldo di tutta la casa dei Serpeverde. Non avevo voglia di uscire all’aperto e giocare a palle di neve, perché... beh... non sono mai stata molto socievole. Invece mi stavo concentrando sugli studi, sperando di prendermi avanti per poter poi godermi le feste.
Entrò Blaise Zabini, stanco e ricoperto di neve. Vedendomi, si diresse verso di me e io chiusi il manuale di Incantesimi. Conoscevo Blaise da anni, da quando cioè ci eravamo trasferiti nel suo stesso villaggio, a causa di – beh, è una storia lunga. Era un ragazzo piuttosto strano, scontroso, presuntuoso e aristocratico, ma provavo lo stesso una grande simpatia per lui: era un ragazzo intelligente, e quando gli permettevi di parlare senza costringerlo a ricorrere ai virtuosismi Serpeverde, molto migliore di quanto non sembrasse.
«Ehi, ciao» mi disse, sedendosi accanto a me sul divano dopo aver abbandonato la giacca sulla poltrona lì accanto. «Studi?».
«Si. Non voglio certo perdermi le feste per affannarmi all’ultimo minuto» risposi, sorridendogli.
«Beh, non credo che tu ne abbia bisogno. Sei una delle migliori del terzo anno, giusto?» chiese lui.
«Può darsi, ma è solamente perché ho uno studio costante ed organizzato» risposi.
«Dovrei fare lo stesso, immagino sia questo il significato sottinteso. Ma quest’anno non mi va molto» disse il ragazzo, scrollando tetro le spalle. Mi guardai bene dall’indagare, sapendo che comunque non avrei avuto risposta.
«Sei stato fuori? Hai visto mia sorella?» domandai allora.
Lui fece un sorrisetto di scherno. «Già, in compagnia di quel carlino di Pansy e le sue amichette. Pare che lei non abbia il tuo stesso gusto sopraffino, in fatto di amicizie».
«No, pare proprio di no» dissi, con una sfumatura malinconica. I miei pensieri viaggiavano verso mio padre, e la sua consueta abitudine di rimarcare quanto Daphne somigliasse a nostra madre, a differenza di me. Blaise capì al volo quello che stavo pensando, e si fece serio. «A proposito di Daphne e dei suoi gusti... pare che andrà al ballo con Flitt» disse.
«L’ho sentito» dissi, in tono incolore.
«E immagino che la cosa non ti piaccia».
«No, affatto. Ma lei deve fare le sue scelte, naturalmente» mi limitai a dire.
«Già» disse Blaise, di nuovo pensieroso. «E tu? Con chi ci andrai?».
«Io?». Scossi il capo. «Sono al terzo anno, ricordi? Non posso venire al ballo, a meno che qualcuno non mi inviti».
«Ah, già» fece lui, sorpreso. Poi si illuminò. «Allora vieni con me» disse, trionfante.
Lo guardai, sorpresa a mia volta. «Ma come, non hai ancora trovato un’accompagnatrice?» non potei fare a meno di domandare, perche sapevo che Blaise riscuoteva un discreto successo con le ragazze.
«Non ho trovato nessuna che mi piacesse» affermò lui, con un sorriso enigmatico che poteva voler dire tutto o niente. «E’ perfetto, no? io evito di dover invitare qualche obbrobrio con solo il sangue a raccomandarla, e tu puoi venire al Ballo del Ceppo».
«Mi pare un buon compromesso» dissi allora, con un’alzata di spalle.
Magari vi starete chiedendo come mai vi sto raccontando tutto questo. È tutto molto semplice. Vedete, in questo momento sto commettendo un’azione estremamente avventata, pericolosa, e fuori luogo, e lo sto facendo per seguire una persona. Forse, se non l’avessi conosciuta così bene, non sarebbe finita in questo modo, io sarei fuggita con tutti gli altri Serpeverde, e lui sarebbe qui, certo, ma dall’altro lato del campo. Ma vedete, quella sera, che io ricordo così bene, quando feci il mio ingresso a braccetto con Blaise Zabini, non avevo idea che sarebbe successo. Quando Blaise sparì, per andare chissà dove a rincorrere chissà chi o cosa, io non avevo idea di che cosa sarebbe scattato.
Uscii, quella sera, e mentre scivolavo silenziosa per il prato, oltrepassando non vista Davies che pomiciava con una ragazza di Beaubatons, vidi delle figure davanti a me. Nascosti dietro a una statua c’erano Potter e Weasley, evidentemente a disagio, cercando di passare inosservati mentre il guardiacaccia Hagrid parlottava con Madame Maxime. Mi allontanai, e poco più avanti distinsi Pansy Parkinson che si sollevava sulla punta dei piedi per baciare un ragazzo biondo.
Rimasi immobile, per non disturbare il loro momento, seminascosta dietro un albero; ma il ragazzo biondo respinse Pansy con un certo nervosismo.
«Che hai, Draco?» tubò lei.
«Non ora, Pansy» disse il ragazzo, spingendola via con un certo fastidio. Lo riconobbi come Draco Malfoy, Cercatore. Era entrato nella squadra di Serpeverde proprio l’anno in cui avevo cominciato la scuola, ma lo conoscevo già dai racconti di mia sorella, che era amica di Pansy Parkinson. Non mi era mai capitato di vederlo, se non all’orario dei pasti o alle partite, perciò lo osservai con interesse clinico.
«Perché no?». La ragazza sembrava ferita. Naturalmente era la sera del Ballo, e si doveva essere aspettata chissà che cosa. Non ero affatto una fan di Pansy, anzi, provavo per lei una vera e propria antipatia, e tuttavia sentii per lei un moto di pietà. Tutti sapevano che Malfoy non provava nulla di serio per lei; lo sapevo perfino io, che non li vedevo praticamente mai.
Percepivo che il ragazzo doveva essere infastidito, quasi irato, e attesi che la liquidasse bruscamente, in pieno stile Serpeverde. Invece, con mia grande sorpresa, lui esitò. «Scusami. E’ solo... vorrei rimanere un pochino da solo, se non ti spiace. Ti raggiungo dopo». La sua voce era molto più gentile di quanto mi aspettassi.
Lei sembrò rilassarsi. «Certo, Draco» disse, rasserenata.
«Ci vediamo dopo, allora» disse lui, in tono distante, abbozzando un sorriso poco convinto.
Quell’attimo di gentilezza mi stupì, specie perché non coincideva con quanto avevo sperimentato di persona. Draco Malfoy  aveva un’alta opinione di sé, era risaputo, principalmente per via del suo sangue puro e del suo talento a Quidditch. Si muoveva sempre circondato da quelli idioti di Tiger e Goyle, bullizzava i più piccoli, ed era sempre in guerra con Zabini. Eppure in quel momento, con nessuno ad ascoltarlo, non pareva affatto la stessa persona.
Pansy si allontanò, con passo baldanzoso, ma io attesi. Ero curiosa, e non avevo affatto voglia di essere scoperta. Vidi Malfoy voltarsi verso la direzione di Potter e Weasley, e il suo volto altrimenti carino storcersi in una smorfia.  Non era tuttavia disprezzo come quello che ostentava quando li passava nei corridoi. Li vide allontanarsi in silenzio, non visti... e ci fu un guizzo di qualcosa di simile all’invidia e all’odio.
Quando i due furono spariti, il ragazzo emise uno sbuffo, evidentemente scocciato da se stesso, e si allontanò a grandi passi, diretto nuovamente alla festa. Quando rientrò, proseguii la mia passeggiata. Vidi Piton che passeggiava con Karkaroff, vidi Madame Maxime allontanarsi verso la carrozza a grandi passi. Vidi perfino Zabini, che parlava nell’ombra con... beh, questo non è un segreto mio.
Tuttavia ripensai più volte a Draco Malfoy, sia quella sera sia le sere successive. Non avevo mai visto sul viso di nessun Serpeverde quello sguardo di invidia, se non forse sul viso di Zabini. E non lo rividi più per diverso tempo, né quando lo oltrepassavo per i corridoi, né quando aveva uno dei suoi diverbi pubblici con i Grifondoro.
Insomma, la verità è che quella sera c’era qualcosa di strano in lui. Qualcosa che di Serpeverde non aveva nulla. La verità è che non so neppure come feci a percepirlo in quei pochi istanti, piuttosto banali, ma lo feci. La verità è che senza quel momento non mi troverei qui, adesso, a rischiare la vita, e magari sarei in fuga assieme agli altri, o chissà dove. Senza quel momento non avrei mai cercato di diventare sua amica.
Però quella sera, senza motivo né razionalità, io, Astoria Greengrass, mi innamorai di Draco Malfoy.
 
Mi aggiravo per i corridoi senza un perché. Ok, d’accordo, un perché c’era, ma non vorrei che mi consideraste un ingrato. È che la Sala Comune mi stava troppo stretta da un po’ di tempo.
Lo so, lo so, forse sono io che interpreto tutto male. Probabilmente ero io ad avere torto. Ma l’emozione del combattimento era sparita già da un po’, sostituita dai ricordi del funerale a cui avevo assistito. Silente era stato inghiottito dal marmo bianco e io non avevo neppure pianto. In molti ci erano riusciti; come Harry, ad esempio, ma lui forse non conta. In fondo con Silente aveva sempre avuto un rapporto profondo.
La verità era che avrei voluto piangere. Silente era stato qualcosa di grande, un simbolo che era morto. Non sono bravo con l’autoanalisi perciò non avrei saputo spiegarlo, ma sentivo che ero morto anche io, che tutti noi eravamo morti, quando il nostro più grande amico si era spezzato.
Eppure non mi sentivo... abbastanza triste. Mi aggiravo per i corridoi e l’idea di parlare con qualcuno mi dava la nausea. Mi sembrava che tutti fossero estranei, ecco. Come se non fossi appartenuto a quel posto.
Avevo combattuto anche io, perciò avrei dovuto sentirmi orgoglioso. Invece mi sentivo semplicemente inutile. No, non inutile... superfluo. Una pedina non sacrificabile, magari, ma semplicemente per la bontà del re. Non ero che qualcosa di molto piccolo, e a giocare erano i grandi.
Con l’ES mi ero in qualche modo convinto che sarebbe stato diverso. Avevo imparato a duellare, avevo combattuto al Ministero, avevo vinto. Eppure, anche allora, l’atto finale non era stato il mio. Io ero stato soltanto un aiuto, ma a vincere non sarei mai stato io.
Da una delle grandi vetrate, mentre passavo, vidi Harry, Ron e Hermione che passavano poco distante attraverso il prato, confabulando.
Non sapevo che cosa volessero fare, anche se era chiaro che stavano architettando qualcosa.
Però, in quel momento, sentì qualcosa di me tendersi e schioccare. Non rotto, certo, ma qualcosa che mi aveva pizzicato l’anima.
Non sapevo cosa volessero fare. Io non ero parte del loro progetto. Io ero solamente una pedina sullo sfondo, inutile. Sapevo che Harry aveva ragione, sapevo che era suo diritto avere vendetta, ma sapevo anche che non era il solo. Anche io volevo vendetta, anche gli altri avevano paura, eppure eravamo come una decorazione natalizia: accessori, non fondamentali.
Mi voltai, e presi a salire le scale.
 
«Harry, sveglia!». Mi riscossi, anche se quella frase non era diretta a me. Mugugnai qualcosa di indistinto, sforzandomi di ripiombare nell’incoscienza, ma qualcuno mi agguantò per la spalla e mi scrollò, sgarbatamente. «Malfoy!».
Socchiusi gli occhi, e vedendo la faccia di Weasley istintivamente sobbalzai. «Ma sei scemo?» quasi strillai, mentre lui indietreggiava con una smorfia. «Che c’è?».
«Cos’è, preferiresti passare il Natale a letto?» chiese Weasley, troppo raggiante per prendersela, e tornò a voltarsi verso Harry. «Buon Natale!» esclamò alla fine, rivolto a entrambi. Bofonchiai qualcosa. Muoviamoci, i regali sono dabbasso, e non voglio che Fred e George facciano strani scherzi» incalzò Weasley.
«Del tipo?» fece Potter, mentre inforcava gli occhiali in fretta, ficcandosi così un’asta nell’occhio.
«Del tipo, scambiare delle Cioccorane con delle Caccabombe» disse l’altro, cupamente, e chissà come immaginai che non fosse un semplice esempio. Mi raffigurai per un attimo le facce sogghignanti dei due gemelli, mentre una scatola apparentemente innocua di gelatine esplodeva tra le mani di un malcapitato parente.
Mentre mi infilavo i calzini, la porta si spalancò di botto. La Granger entrò, con un sorriso smagliante. «Buon Natale!» disse, mentre correva ad abbracciare gli amici. Io terminai di mettere la vestaglia. «Buon Natale, ‘mione» disse Weasley, le orecchie vagamente rosse mentre si staccava dal suo abbraccio stritolatore.
«Buon Natale» disse Potter, quando ebbe ripreso fiato.
«Buon Natale, Malfoy!» fece allora  la ragazza, allegramente, rivolta a me.
«’atale» fu la mia laconica risposta.
«Vogliamo scendere?» chiese lei, già rivolta agli altri due.
«Andiamo!» disse Weasley, balzando in piedi come un grillo e sparendo al di là della porta. Gli amici lo seguirono, e così feci io, con minore entusiasmo, nonostante fossi di buon’umore. In fondo era sempre Natale, anche se non era tra i migliori che avessi mai festeggiato.
Quando varcai la porta del salotto rimasi quindi favorevolmente sorpreso dall’aspetto natalizio della grande sala. C’era un enorme albero addobbato e luccicante in un albero, ricolmo di palline e fiocchi rossi e oro, e di candele accese. Speravo che l’albero fosse ignifugo. C’erano festoni dorati ovunque, il fuoco era acceso in tutti i caminetti, e nell’aria c’era un buon odore dolce. Non era molto diverso da casa mia, in effetti, sebbene forse fosse meno imponente. Dubitavo che i fiocchi di neve appesi ai rami dell’albero fossero di Adamante, o che la musica leggera che si udiva in sottofondo provenisse da un coro di ninfe... ma poteva andare.
«Buongiorno a tutti!». La signora Weasley, vestita con un vecchio e pratico abito di velluto rosso, ci venne incontro con aria gaia. Aveva appena terminato di imbandire un’enorme tavolata già carica di una miriade di dolci. Il mio stomaco brontolò, e io diedi un colpo di tosse per dissimulare. Non volevo certo sembrare troppo entusiasta.
«Buongiorno, signora Weasley!» esclamarono Potter e la Granger, e io mi unii a loro sottovoce. Lei si avvicinò per scoccare a ciascuno dei ragazzi due baci sulla guancia, e mi irrigidii di stupore quando li diede anche a me. Arrossii, imbarazzato, mentre la Granger e Potter sogghignavano – ma non riuscii a protestare in nessun modo.
«Buon Natale!» disse Tonks, apparendo dal nulla. per l’occasione aveva indossato un cappello da Babbo Natale su dei capelli di un rosso acceso, mentre gli occhi erano verdi come gli aghi di pino. Sembrava molto rilassata e felice, e quasi carina per giunta, ma forse era per via del cappello.
Accanto a lei c’era Remus Lupin, che sembrava un profugo accolto per carità il giorno di Natale nonostante anche lui portasse un cappello come quello di Tonks. Era tutto avvolto in un vecchio pastrano con gli orli sbrindellati e costellato da fiocchi di neve che si stavano rapidamente sciogliendo, ma sembrava rilassato anche lui mentre augurava a tutti buone feste. «Non ti aspettavamo così presto, Remus» disse la signora Weasley.
«Ho finito prima» disse, e voltandosi verso di me, stranamente, mi feci l’occhiolino. Finsi di non essermene accorto e mi voltai verso gli altri presenti. Charlie e Bill Weasley erano sprofondati su di un divano liso ma apparentemente comodo, e ci salutarono cordialmente. Fleur era in cucina, perciò al momento non era presente – me ne dispiacqui.
I gemelli Weasley scesero proprio allora, e Ginny li seguì, apparentemente con un diavolo per capello. Da quello che capii, era stata svegliata da uno dei loro scherzi in quanto “troppo pigra per meritarsi il Natale”. Vidi che si toglieva delle piume dai capelli scompigliati, e sogghignai.
«Io finisco di là» disse la signora Weasley, con un sospiro rivolto ai gemelli. «Voi, se volete, potete aprire i regali».
«Non chiediamo altro!» esclamò Fred – che identificai grazie al maglione che indossava, con sopra la sua iniziale. Lui, il gemello e Ronald Weasley si gettarono a capofitto sotto l’albero, per cominciare a distribuire i doni. Io sedetti sul divano accanto a Charlie. Più in là stavano anche Ginny e la Granger.
«Questo sembra per Harry!» annunciò Fred, emergendo da sotto l’abete con aria vagamente contrariata. «Ecco, amico» e gli gettò il pacchetto.
«Da parte di Luna» disse Harry, evidentemente incerto sul da farsi.
«Non so se ti convenga aprirlo» convenne Ron. «Non senza una squadra di artificieri a portata di mano, almeno».
«Questo è per Ron, da parte di mamma» disse George in quel momento, gettandogli il pacco sformato tra le braccia. «Magnifico» commentò il ragazzo, senza entusiasmo.
«Questi sono nostri... ma questo è di Hermione!» esclamò George.
Fred fischiò. «”Da Viktor”. Accidenti, bel colpo. Potrebbe essere costoso!». La Granger, rossa in viso, gli strappò il pacco di mano.
«Un altro per Harry... e un altro» disse Fred, ammirato. «Però, amico, sei piuttosto popolare!».
«Già. Chissà perché» sogghignò George, «non mi pare poi questo granché, non ti pare, fratello?».
«Probabilmente se li è comprati da solo per impressionarci» disse Fred, maligno, spingendo i doni verso l’amico, il quale si esibì in un gestaccio che li fece divertire ancora di più. «Attento, Harry. I cattivi bambini non prendono regali» chiarì George.
«Ginny, questi sono per te» disse Fred intanto, e Ginny si allontanò con dei pacchi sottobraccio. «Tutti ammiratori, eh?» sogghignò l’altro gemello. «Attento, Harry!». Sia Potter che la Weasley si fecero piuttosto rossi.
«Mentre questo è per...» Fred si chinò sul pacchetto, simulando incredulità, «...Malfoy?».
Io sgranai gli occhi, prima di rendermi conto che doveva trattarsi di uno scherzo. Insomma, chi poteva regalare qualcosa a me? Lì?
«”Da Pansy”» lesse George, evidentemente divertito, e fischiò di nuovo. «Hai la ragazza, eh, Malfoy?». Arrossii a mia volta, e mi presi il pacchetto, ancora stupito. Come poteva Pansy avermi spedito un regalo fin lì.?
«Sono tornato da poco da Hogwarts» disse Lupin, a mo di spiegazione, vedendo la mia faccia stupita. «In Infermeria ti hanno lasciato un bel numero di pacchi. Sono quelli nella cesta, lì in fondo». E indicò qualcosa di chiaro sotto i rami dell’albero.
«Un bel numero di pacchi.? Saranno una ventina!» protestò Fred, come indignato, estraendo la cesta e soppesando uno dei pacchettini che vi erano riposti. «”Per Draco, da Anita”» recitò ad alta voce, «e c’è anche un cuoricino!».
Recuperai la cesta, ormai violaceo in volto, prima di ricevere altri commenti sgradevoli. Tuttavia ero segretamente soddisfatto – cominciavo a ritenere penoso l’essere chiuso per le feste in quel posto, senza neppure un regalino.
«Ron... Hermione... Fred...» continuarono i gemelli, mentre la pila di regali andava sfoltendosi a vista d’occhio. «...aspetta un attimo... qui dice di nuovo Malfoy» disse Fred.
«E’ un maglione della mamma» intervenne George, con una smorfia tradita.
Incredulo, afferrai al volo il pacchetto. Sulla superficie c’era scritto il mio nome, e sotto, più in piccolo, Molly. Lo guardai, instupidito. La signora Weasley aveva fatto un maglione a me? Nel frattempo, diversi altri regali furono distribuiti, non solo ai ragazzi, ma anche agli altri presenti, ma io neanche me ne accorsi. Ero troppo imbarazzato anche solo per capire che cosa avrei dovuto provare. Disprezzo? Gratitudine?
«Malfoy!». Questa volta Fred e George sembravano quasi esasperati.
Mi voltai, ancora stordito. Ricevetti l’ennesimo pacchetto in silenzio, e cercai il mittente. Quando lo trovai, sbattei più volte le palpebre.
H, H, R.
Oh, no, non poteva essere vero. Doveva certamente essere un incubo. Lanciai al trio Potter un’occhiata incerta, ma nessuno di loro mi guardava. Anzi, evitavano accuratamente di farlo. Posai il pacco sul bracciolo, incapace di tenerlo ancora in mano. Mi avevano davvero.?
Oh, merda.
Neppure nei miei incubi peggiori avevo immaginato di fare un regalo a quei tre, o a chiunque altro di loro, se era per quello. perché avrei dovuto? Li odiavo. E loro odiavano me. E allora perché, perché avevano dovuto farmi un regalo? Forse ero ancora in tempo. Magari potevo gettarlo nel caminetto e fingere di non averlo ricevuto. O magari potevo infilarlo sotto il divano e dire che non l’avevo notato, che mi era caduto, che...
«Non li apri, i tuoi regali?» chiese Charlie, facendomi sobbalzare. Mi voltai verso di lui, che stava esaminando affascinato un paio di guanti nuovi con lo stemma dei Magnifici Sette. «Wow, grazie Fred, George» disse, ammirato.
«Non fa nulla. Magari riuscirai a tenerti tutte le dita attaccate, quest’anno». Charlie ridacchiò, e io mi affrettai a scartare il pacchetto contenente il famigerato maglione. Ne uscì un pesante indumento di lana verde bottiglia, con su ricamata una “D” argentea. Lo fissai, mordendomi il labbro.
«Carino, eh?» commentò Charlie. «Ne fa uno ogni anno, a ciascuno di noi».
Deglutii. «Un... un bel pensiero» dissi.
«Già. E ti conviene indossarlo spontaneamente, prima di finire così» disse Charlie, indicando Ronald che veniva costretto a indossare il suo, di un brutto color melanzana. Mi affrettai a obbedire, per quanto non lo facessi volentieri. Insomma, era un maglione da... da... Weasley!
Mi sentivo in difficoltà. Decisi di dedicarmi ai regali dei miei amici, per dimenticare il resto del mondo. Presi il primo, quello di Pansy. C’era anche un bigliettino.
 
Caro Draco,
perché non puoi ricevere visite? In ogni caso, aspetto con impazienza che tu guarisca,
Pansy
PS: Riguarda il tuo stomaco
 
Il regalo era un sacchetto di tela ricamato, che conteneva quello che sembrava un poutpurri di foglie aromatiche. Lo guardai, perplesso. Che roba era? E perché mai avrei dovuto riguardare il mio stomaco.?
Il seguente era quello di Anita, inconfondibile per via della carta fucsia nel quale era avvolto. Lo scartai, avvertendo un vago malessere, ignorando il bigliettino (un modo per dimostrare che ti penso – baci, Anita). Mi trovai di fronte a un medaglione d’argento, piuttosto pacchiano, che si rivelò contenere una mia foto e una di Anita. C’era anche un altro biglietto: ne ho uno uguale. Rabbrividendo, lo seppellii in fondo alla cesta in attesa di bruciarlo nel caminetto alla prima occasione.
Qualche zelante ammiratore mi aveva lasciato pacchi di dolci, e tra di essi c’era anche McNair. Anche lui, come tutti gli altri, aveva lasciato un biglietto:
 
Auguri di pronta guarigione. Quando ti sarai rimesso, devo parlarti. È molto importante.
David
PS: Se pensi che i Topoghiacci possano peggiorare la tua dissenteria, non mangiarli.
 
Ero ancora inorridito quando presi in mano un grosso pacco che portava il nome di Astoria. Lo aprii, incuriosito. Dentro c’era la stessa veste che avevo mandato la Granger a prendermi da Madama McLan, con gli stessi ricami d’argento, ma di colore verde. Assieme c’era anche un biglietto:
 
Visto che sei costretto a letto, ho provveduto io a sistemarti il guardaroba, prima che Lumacorno abbia un infarto nel vederti arrivare alla sua prossima festa. Spero che ti piaccia, era l’ultimo rimasto.
Alla fine sono tornata a casa per le vacanze, perciò se ti rimetterai prima di Gennaio non avrò modo di salutarti. Quando ritorno, però, conto di avere i dettagli sul tuo subitaneo crollo di salute.
Nel frattempo, rimango
La tua affezionata amica,
Astoria Greengrass.
PS: Daphne ti saluta, e così anche mio padre, che ha molto insistito per mandarti i suoi auguri per una pronta e rapida guarigione – auguri ai quali mi associo, per quanto poco possano valere.
 
Qualcosa nel tono del biglietto, e nel fatto che esso fosse dentro il pacchetto, mi fece intuire che con tutta probabilità Astoria non avesse bevuto la storia della dissenteria – e come darle torto? Anche io non riuscivo a credere che avessero inventato una scusa tanto idiota.
Provai un vago senso di colpa. In fondo, io a lei non avevo comprato un bel nulla, anche se suppongo che il mio alibi sull’Infermeria bastasse a giustificarmi. Scrollando le spalle, scartai anche l’ultimo pacco, che proveniva da Nott (Dissenteria? Spero che tu stia scherzando!! Nott) e che conteneva un paio di guanti, e lo misi da parte. Trovai in fondo alla cesta anche altre due lettere. Una era dei miei genitori.
 
Caro Draco,
è con dispiacere che io e tuo padre apprendiamo che sei troppo malato anche solo per scrivere, e per giunta il giorno di Natale. Non che sia una sorpresa, hanno sempre troppa poca attenzione per il riscaldamento nei sotterranei, prevedibilmente.
Spero comunque che tu sia accudito decentemente – non farti scrupoli a pagare per avere qualche cosa in più, si rendesse necessario. Spero che, dopo le nostre raccomandazioni, tu abbia provveduto a rifornirti di denaro. Siamo molto in ansia per te, non ci hai più dato notizie che ci confermassero che stai bene e che hai provveduto a sistemare gli affari di famiglia e le incombenze basilari. Facci sapere al più presto.
Ormai mancano poche settimane alla mia scarcerazione. Una tua visita sarebbe bene accolta, specie per informarti delle ultime novità in proposito.
Nel frattempo, figlio mio, io e tuo padre ci uniamo nell’augurarti un felice Natale e delle buone feste.
Mamma e papà
PS: Forse la dissenteria è dovuta anche alla tua dieta. Sicuro di non mangiare troppo dolci, Draco?
PPS: Come va la scuola? i voti? Non siamo sicuri che essere abbinato ad Hermione Granger possa aiutarti nella maniera migliore, specie nel caso in cui tu sia rimasto indietro con lo studio.
 
Ignorai volutamente le allusioni, perché comunque non avrei potuto rispondere, e nemmeno mi andava di farlo. Invece aprii l’altra, che era senza mittente, e sembrava essere stata dettata, perché la calligrafia era simile a quella di una penna prendi appunti.
 
Hai attirato sospetti su di te. Il mio consiglio è: agisci normalmente, e non attirarne altri. non sei l’unico a complottare, e potrebbe venire il momento per te in cui scegliere da che parte stare.
 
La appallottolai in fretta, ficcandomela in tasca. Per un istante chiusi gli occhi, aspettando che il battito del mio cuore accelerasse, che la mia fronte si coprisse di sudore freddo, che una botta di adrenalina mi investisse... ma invece non sentii nulla, solamente uno sgradevole senso di frustrazione. La verità era che la mia vita era fin troppo complicata, e che era mai una stupida, banale lettera minatoria?
Specie perche avevo problemi più urgenti da risolvere.
Mi guardai attorno, fingendo di esaminare la confezione di Topoghiacci che avevo ancora in mano, e cercando di capire che atmosfera tirasse.
Sulla tavola addobbata un piccolo modellino di Gwenog Jones, la scopa in mano, schizzava tra le posate e i tovaglioli inseguita dai gemelli Weasley che sembravano decisi ad usarla per qualche esperimento. Ginny urlava loro di smetterla, mentre Bill cercava di fare da paciere, senza però intervenire a bloccare i diabolici fratelli.
Charlie era impegnato a discutere con Lupin di una partita di uova di drago di contrabbando che avevano sequestrato; la Granger stava ad ascoltare, interessata, e tutti e tre lanciavano sporadiche occhiate verso la porta, forse temendo che quel villico di Hagrid si facesse vivo proprio in quel momento per reclamarne qualcuna.
Tonks non c’era, ma alcuni rumori provenienti dall’atrio, qualche secondo prima, confermavano il sospetto che avesse tentato di aiutare la signora Weasley a trasportare qualcosa in cucina. Altri rumori, più discreti, di padelle e chiacchiere, testimoniavano che né Molly Weasley né Fleur avevano pensato di accorrere, forse perché mia zia Walburga non aveva ricominciato a strillare attirando l’attenzione.
Potter e Weasley stavano cercando di incantare un libro che ricordava fin troppo il Libro Mostro dei Mostri, e sembravano quindi molto occupati. Weasley ci si era seduto sopra, ma lanciava all’amico occhiate preoccupate, temendo per il suo fondoschiena, mentre questi trafficava tra le cartacce che avevano avvolto i regali alla ricerca di un nastro robusto che fungesse da museruola.
Così, fulmineo come pochi, feci scivolare l’imbarazzante pacchetto di Potter e compagnia a terra, e con un colpo di tacco assolutamente perfetto lo mandai sotto il mobile. Rassicurato all’idea di essere al sicuro, scartai una Cioccorana e la addentai.
Un’esplosione proveniente dalla tavola mi fece sobbalzare e mi fece andare il boccone di traverso. Charlie fu tanto caritatevole da soccorrermi, e mi ripresi proprio mentre la signora Weasley accorreva e cominciava, indignata, a strillare verso i due figli gemelli, che ridacchiavano occhieggiando un mucchietto ancora fumante di cenere dal quale spuntava ancora un manico di scopa in miniatura mezzo annerito. Ginny aveva le lacrime agli occhi, e la zia Walburga si era riscossa e strillava dall’atrio.
«...regalo migliore che avessi ricevuto da un mucchio di tempo...».
«...IRRESPONSABILI, E PER DI PIU’ CON IL REGALO DI VOSTRA SORELLA...».
«...colpa nostra, ci provocava, stava cercando di scappare...».
«...LA CASA DEI MIEI ANTENATI COME UN PETARDO, SUDICI PICCOLI...».
«...la mia giocatrice preferita in assoluto...».
«...biasimarci per aver tentato di riacciuffare il regalo della nostra sorellina...».
«...L’ONOREVOLE CASATA DEI BLACK SOLO PER I VOSTRI PASSATEMPI DA SPORCHI...».
«...ORE ED ORE PER PREPARARE TUTTO, ADESSO PER SMACCHIARE LA TOVAGLIA...».
«...con tutte quelle piume, e solamente perché non riuscivo a trovare la vestaglia...».
Fu Bill a intervenire, alla fine, prostrato da quella discussione a più voci che rendeva impossibile avere un po’ di pace. «Mamma, calmati» disse, con un sorriso da bravo-ragazzo-che-ha-il.pieno-controllo-della-situazione, cercando di sovrastare le grida che ancora provenivano dal ritratto nell’atrio, verso il quale si stava dirigendo Lupin. «Và in cucina ad aiutare Fleur, penserò io alla tovaglia e a tutto il resto».
La signora Weasley strinse la labbra in un modo che ricordò tremendamente la McGranitt, ma alla fine si dileguò borbottando tra sé mentre i gemelli si scambiavano un’occhiata d’intesa e uno dei due bloccava, con un pigro colpo di bacchetta, la Fattura Orcovolante per la quale la sorella era tristemente famosa – e lo dico per esperienza personale.
Mentre Bill e i gemelli sistemavano il tavolo e il pupazzetto, Ginny si soffiava il naso, e Lupin estingueva le grida del ritratto, Charlie tornò a voltarsi verso di me e sorrise alla mia espressione frastornata. «Quando sono fuori casa mi manca molto, questo fracasso» disse, con naturalezza.
Lo guardai, evidentemente incredulo. Casa sua era un guazzabuglio di esplosioni impreviste e spesso devastanti, disordine che sembrava autocrearsi, un viavai continuo e incessante di persone di ogni genere che sembravano fare come se fosse casa loro, e per di più senza neppure il conforto di denaro. Perché mai avrebbe dovuto piacergli?
«Si, lo so» si affrettò a precisare lui, infatti, ridendo e grattandosi la punta del naso con aria quasi imbarazzata, «è un caos perpetuo. Immagino che sia dura per te, abituato a tutt’altro stile di vita. sai, mamma e Ron mi hanno parlato di te».
«Ma davvero?» dissi, a disagio, evitando il suo sguardo e scartando un pacchetto di Scarafaggi a Grappolo, giusto per tenermi occupato.
«Già. Tu e gli altri non siete molto amici, vero?». Aveva un’aria curiosa, e allo stesso tempo gentile, che mi confondeva ancora di più. Per non darlo a vedere, scelsi la consueta tattica da Malfoy: mostra le piume come un pavone e il nemico indietreggerà».
«Come hai detto tu» dissi, curvando le labbra in un sorrisetto gelido, «sono abituato a tutt’altro stile di vita».
Tuttavia, Charlie non si scompose minimamente, e annuì. «Ricordo bene com’era, a scuola. Ci sono sempre stati contrasti, specie tra Serpeverde e Grifondoro. Non corre mai buon sangue tra i ragazzi delle due Case, ed è normale,considerando che sono agli opposti. Ma poi la scuola finisce» proseguì, semplicemente, «e riguardandosi indietro ci si chiede che cosa ci fosse di tanto importante da litigare».
Scrollai le spalle, incerto. In fondo, forse, avrebbe dovuto essere così, ma naturalmente Charlie non poteva rendersi conto che c’era una frattura insanabile alla base di tutto: loro erano traditori della loro specie.
«Dubito che io e Potter saremo mai amici» mi limitai a dire.
«Eppure tu sei qui» mi fece notare l’altro, con un’occhiata luccicante che mi fece sentire ad un tratto in una posizione inferiore, come se lui fosse stato molto più saggio di me. Scacciai quel pensiero, infastidito, e anche il Weasley parve accorgersi dei miei sentimenti, perché si alzò, e disse, in tono pacato, «vado a vedere se mia madre ha bisogno in cucina».
Se da una parte fui lieto di vederlo andare via, dall’altro questo  mi mise in una posizione di potenziale imbarazzo, privandomi di un baluardo con cui difendermi dagli occhi indiscreti. Afferrai in tutta fretta un libro che uno dei miei ammiratori aveva provveduto a spedirmi, “Incantesimi e Magie della Transilvania Sud-Orientale” e sprofondai nella lettura, salvo qualche sporadica interruzione per ingozzarmi di dolci, fino a che un passo lieve mi annunciò che Fleur era comparsa.
Alzai gli occhi di scatto. La vidi che teneva un pesante vassoio fumante in mano, che Bill si stava affrettando a levarle di mano con premura, e per l’ennesima volta pensai che una come lei avrebbe meritato di meglio. in fondo, che cosa poteva darle uno stupido Weasley (o T.T., Tonto Traditore, per ammiratori indignati), sebbene quasi decente? D’accordo, era un avventuriero, e allora? Chi aveva passato qualche mese ad aggirarsi per casa con lo sguardo fisso per terra, per evitare di pestare per sbaglio Nagini? Chi aveva visto quella stupida professoressa di Babbanologia stramazzare morta sul suo tavolo da pranzo?
Quei pensieri tetri si diradarono tuttavia con l’avvicinarsi degli altri vassoi, comandati magicamente dalla signora Weasley che li seguiva, ancora con l’aria fosca. Dietro di lei c’era anche la figlia, che era sparita poco prima per mettere al sicuro il pupazzetto della Jones, di nuovo integro.
Mi avvicinai alla tavola, con un certo appetito nonostante le Cioccorane e le gelatine Tuttigusti +1 che avevo mangiato. L’odore era davvero buono. Per un istante mi chiesi, stupidamente, dove avrei dovuto sedermi, ma poi vidi che c’erano dei piccoli segnaposti rosso e oro accanto ad ogni calice scintillante. Più di qualcuno stava già prendendo posto, e non fu difficile trovare il mio posto, tra Potter e la Granger. Non protestai neppure, e mi sedetti in silenzio, soddisfatto almeno parzialmente dalla lontananza di Fred e George, e dal fatto che nessuno aveva pensato di collocarmi accanto al terzo, indesiderato elemento del trio Potter, che stava all’altro lato di Harry Potter.
«Molly, come sempre sei stata impeccabile» si complimentò Lupin, non appena avemmo cominciato a mangiare.
«Ti ringrazio, Remus» disse la donna, un po’ raddolcita dal suo stratagemma. «Un po’ di patate? Ti vedo piuttosto smagrito».
«Si, beh, devo dire che era  da un pezzo che non mangiavo un pranzo come si deve» commentò l’ex insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, con un sorrisetto stropicciato. «Anche se Dora insiste che avrei potuto...».
«Beh, non è che i Lupi Mannari stiano a misurare se hai effettivamente preso peso, giusto?» ribatté subito Tonks, scoccandogli un’occhiata colma di biasimo. io li guardai, interessato, in parte perché non mi ero ancora ripreso dall’informazione avuta poco dopo il mio arrivo sul fatto che i due stessero assieme.
Dall’altra parte... lupi mannari?
«Affamarsi forse non è stata la soluzione migliore» ammise lui, controvoglia, sotto lo sguardo incrociato di Tonks e della signora Weasley. «Specie considerato il fatto che è stato piuttosto inutile».
«Allora... non frequenti più i lupi mannari?» chiese cauta la Granger.
Lupin scosse la testa, tranquillo. «La mia copertura è saltata dopo il tentato colpo al Ministero. Pare che Greyback mi abbia visto parlare con Kingsley, e mi abbia riconosciuto».
«Remus, non a tavola» protestò Molly Weasley debolmente, e per un istante pensai che volesse evitare che potessi sentire. Poi mi resi conto che non guardava solo me ma anche tutti gli altri ragazzi, a turno.
«Non sto dicendo nulla di compromettente» disse l’uomo, senza scomporsi.
«Già, mamma, e poi in fondo non puoi più escluderci. Siamo tutti maggiorenni da un pezzo, e indipendenti» disse George, con un sorriso furbesco. «Tutti tranne una, in effetti» fece Fred, soave, sogghignando all’indirizzo di Ginny, che arrossì di rabbia ma tacque sotto l’occhiata ammonitrice della madre.
«E’ Natale» disse allora la signora Weasley.
«Ma questa è una storia interessante» si affrettò a dire Bill, interpretando correttamente le occhiate attorno la tavola. «Forza, Remus, racconta. Anche io mi sono perso qualche dettaglio, in questi ultimi mesi».
«In sostanza, è scoppiato il putiferio. Naturalmente tutti gli altri lupi lo hanno saputo... È stato piuttosto problematico sfuggirgli. Sono piuttosto irritabili quando si sentono traditi. È una questione di territorio» disse Lupin, servendosi una seconda porzione di patate al burro.
«Ma davvero?» sghignazzò George. «Ecco perché Bill mi ha quasi affatturato, quando ieri ho cercato di prendere in prestito la sua cravatta».
«Quella cravatta è un regalo del signor Delacour. Se l’avessi rovinata ti avrei appeso a testa in giù proprio come Gazza, lupo o meno» disse Bill, lanciandogli uno sguardo di fuoco, e l’altro alzò le mani in segno di scusa. Io, però, li guardai sconcertato. Bill Weasley... era un Lupo Mannaro?
Bill tornò al suo arrosto, e la conversazione riprese da più parti spostandosi su argomenti più lieti; ma quando fece per prendere la brocca dell’acqua vide la mia perplessità, e sorrise. «So a cosa stai pensando, ma non devi temere uno scontro tra me e Remus per il territorio. Io non sono un Lupo Mannaro». Bevve un sorso d’acqua, pensieroso. «Almeno, non esattamente».
Lo guardai, incapace di formulare una domanda, o una frase qualsiasi, perplesso com’ero. «Vedi, ho avuto... un piccolo diverbio con Greyback, l’anno scorso» disse lui, sempre sorridendo, e tamponandosi la bocca con il tovagliolo. «Ci sono stati alcuni effetti collaterali, anche se non è nulla di serio». e sorridendo, indicò con il coltello prima il proprio viso, e poi la bistecca al sangue nel suo piatto.
L’anno scorso..?
«Quando è successo?» chiesi, a bassa voce, anche se nessuno ci stava ascoltando, a parte Potter e la Granger, che comunque fingevano discretamente di essere assorti nella loro purea.
«Oh, sai» disse lui, in tono più cauto, valutando le mie reazioni ad ogni parola pronunciata, «quando i Mangiamorte hanno ingaggiato battaglia ad Hogwarts».
Non potei impedirmi di sbiancare, anche se cercai di restare impassibile. Quindi, se Bill Weasley era sfigurato, la colpa era...
«Sai, a questo proposito» continuò però il giovane, tranquillamente, «non stare troppo a preoccuparti. Immagino che non avessi molta scelta, considerata la posizione della tua famiglia, e comunque sei stato bravo con l’Armadio Svanitore. Non deve essere stato facile, tutto da solo».
Non risposi, e ripresi a mangiare, anche se avevo una leggera nausea. Bill si voltò a parlare con Fleur, che si rivolgeva a lui come facendo le fusa.
La Granger, mossa da qualche distorta sensazione di compassione, si rivolse a me tra un boccone e l’altro, con affettata cortesia. «Ehm... allora, Malfoy. Ti – ti sono piaciuti i regali?». Oh, no. era il momento che tanto avevo temuto. Mi bloccai con la forchetta a mezz’aria, assolutamente nel panico, prima di riprendermi. «Non male» sbottai sgarbatamente, consapevole tuttavia di indossare un maglione  fatto a mano dalla signora Weasley. E, per scongiurare il pericolo di un’altra frase potenzialmente pericolosa, mi voltai verso Molly Weasley per chiederle di passarmi la salsa.
Questo espediente modestamente geniale sembrò funzionare, e io tornai alle gioie del tacchino arrosto con la salsa di mele, particolarmente ben riuscito, e ad ascoltare Charlie che stava parlando con Fleur. «Naturalmente sono tutti molto preoccupati anche all’estero. Uno dei miei colleghi, Velibor, beh, lui ha frequentato Durmstrang, e la morte di Karkaroff lo ha spaventato a morte... adesso è un po’ paranoico, vede complotti ovunque, anche se neppure all’apice del suo potere Tu-sai-chi si è mai spinto davvero fuori dal Regno, no?».
«Ma lui potrebe, non?» chiese la ragazza, con un gesto della mano. «Moi non pensa che nessun posto sia sicuro, neonche la Franscia». E scosse drammaticamente il capo, in un movimento aggraziato e affascinante che rischiò di farmi andare il tacchino di traverso.
«Già, ma non è che la cosa sia così immediata. Occorre molto più potere per espandersi oltre i confini, e comunque gli altri capi di Stato sono già all’erta, pronti ad intervenire. Per il momento, non c’è alcun pericolo immediato» disse il ragazzo, acutamente. «Velibor sembra convinto che ogni tenda possa celare un Mangiamorte, e la sai l’ultima? Si è convinto che dietro la morte di Grindelward si nasconda la mano di Tu-sai-chi».
Mi sentii involontariamente arrossire a quelle parole, e non ebbi il coraggio di guardare uno dei miei compagni, per non rischiare di essere scoperto. «Grindelwald?» disse intanto Bill, con una risata. «Perché mai avrebbe dovuto ucciderlo? Dopotutto era nemico giurato di Silente, no?».
«Ed era vecchio» puntualizzò uno dei gemelli Weasley – non potei determinare quale, perché avevo ancora gli occhi verso il basso – con la voce di chi sta alzando gli occhi al Cielo. «Ma la cara vecchia ipotesi di una morte naturale non è più da considerare?».
«Già disse l’altro gemello, fingendosi indignato. «Insomma, possiamo accettare che le possibilità di morire nel proprio letto si siano un tantino ridotte...».
«...specie se la cara Bellatrix è nei dintorni per accoltellarti...» rincarò l’altro gemello.
«...per non parlare di quell’enorme serpente che si porta sempre dietro...».
«...e della sua schiera di seguaci malvagi e ributtanti...». perché mi sentivo preso in causa?
«...e del suo naso...».
«...si, un nasino greco, proprio come quello di Ginny...».
«Fred! George!».
«Scusami, mamma».
«Si, mamma, non volevamo insinuare che Ginny avesse lo stesso profilo di un troll di montagna».
«Assolutamente no... anche se Dean Thomas, quando stavano insieme, spergiurava che gli avesse infilato il naso in un occhio per sbaglio».
«Una menzogna, senza dubbio».
«Una calunnia abominevole, ovvio».
Rialzai gli occhi solo quando il rumore di una Fattura Orcovolante finalmente andata a segno non raggiunse le mie orecchie, e si può dire che questo contribuì a far ritornare la calma. Dopo di questo i gemelli furono costretti dalla madre a sparecchiare, il dolce fu servito, e i petardi magici si rivelarono contenere svariati altri piccoli regalini magici. Io, ad esempio, ricevetti tra le altre cose: un cappello verde che cantava carole natalizie se veniva indossato; una piuma nuova, argentata, con tanto di inchiostro che si poteva leggere anche al buio; un pupazzetto a forma di Lepricano, dall’aria arcigna, che se premuto strillava antiche maledizioni irlandesi con accento dello Yorkshire; e una delle bacchette finte dei Tiri Vispi Weasley, e che tentò di azzannarmi il naso – quest’ultimo, comunque, non sembrava essere opera della signora Weasley.
I miei non furono gli unici regali interessanti. Weasley trovò tra i suoi una coccarda dei Cannoni di Chudley, la Granger un flacone maxi di Tricopozione Lisciariccio, e Charlie scoppiò in una risata ruggente quando si vide comparire davanti una damigiana di Whisky Incendiario.
Io stavo seduto, instupidito dalla quantità di cibo che mi era stata propinata, e facevo vagare pigramente lo sguardo tra i commensali che, del tutto dimentichi della mia presenza, chiacchieravano allegramente. La stanza era calda, e chissà come mi sentivo insonnolito, ma anche piacevolmente rilassato. Certo, questo non lo avrei mai ammesso, ma ero troppo intontito dall’Idromele Barricato e dalla cucina di Molly Weasley per abbandonarmi alle mie solite riflessioni malinconiche su come-la-mia-vita-di-Serpeverde-perfetto-si-trovasse-ad-essere-negativamente-sconvolta-da-parte-dei-brutti-e-cattivi-Weasley. In fondo, era davvero così sbagliato passare una serata normale, senza spaccarsi la testa con malvagi signori oscuri, indovinelli, lettere minatorie, pavoni morti, gente squartata e esseri squamosi?
Quando ci alzammo da tavola, era ormai pomeriggio inoltrato, e dubitavo che qualcuno intendesse cenare. Del resto, neppure io mi sentivo psicologicamente pronto, anzi, il mio stomaco stava protestando per lo sforzo mostruoso al quale lo avevo sottoposto.
Mi lasciai sprofondare di nuovo nel mio posticino e chiusi gli occhi, segretamente soddisfatto. Mi assopii senza volerlo, e mi svegliai solamente quando sentii un tocco leggero sulla spalla. Quasi aspettandomi di vedere Weasley, e senza essere consapevole di essermi addormentato, spalancai gli occhi e li fissai sulla Granger, che mi fissava divertita. «Ehi, Malfoy, sei ancora tra noi?».
Sentii come un brontolio nello stomaco, ma non ci badai troppo, impegnato com’ero a riacquistare conoscenza. «Che cosa succede, Granger?» biascicai, scollando la guancia dal cuscino del divano e asciugandomi imbarazzato un rivolo di saliva che mi scorreva dalla bocca.
«Ti eri addormentato» disse lei, a mo’ di scusa, «e la signora Weasley mi ha consigliato di svegliarti, visto che non vuole che passi la nottata in salotto». Mi guardai attorno. Seduti poco distanti c’erano Bill, Fleur e Tonks che parlavano e ridevano, ma non c’era nessun altro.
«Non stavo dormendo. Riflettevo» dissi, rialzandomi di scatto. Il mio stomaco protestò, questa volta con maggior violenza, e io mi morsi il labbro. Avevo una leggera nausea.
«Certo». La ragazza alzò gli occhi al Cielo. «Senti, avevo una cosa da dirti».
«Granger, quando lo dici è il preludio di una catastrofe imminente» dissi, ignorando lo stomaco ballerino.
«Non è nulla di brutto. Dopotutto, è Natale». Tacque un  istante, riflettendo. «Senti, Malfoy, volevo – volevo parlarti del regalo. Quello che ti ha fatto Harry».
Oh, merda. «Di quale regalo parli?».
«Di quello che Charlie ti ha visto infilare sotto il divano» disse lei, saccente. Però. Occhi di falco, il ragazzo. O forse ero io meno bravo di quanto pensassi. «E’ uno stemma» continuò lei, mentre estraeva da sotto il mobile il pacchetto ancora integro. «E’ lo stemma della famiglia Black».
La guardai, al di là della mia sofferenza fisica in aumento. «Lo stemma..? E perché darmelo?».
«Perché sei uno dei nostri, e perché sei l’ultimo del Black. Harry lo avrebbe gettato comunque, ma ha pensato che ti avrebbe fatto piacere averlo, visto che... beh, sei un Black anche tu, no?».
«Già» dissi, laconico.
«Beh, quello di Harry è stato un bel gesto» disse lei, imperterrita.
«Già. Come tutti i vostri gesti».
«E..?».
Mi arresi, sia a lei che al mal di pancia. «Lo – lo ringrazierò più tardi» mormorai.
Lei mi guardò con interesse nuovo, quasi scientifico. «Che cos’hai?».
«Devo andare». E, scattato in piedi, corsi a capofitto al bagno, qualche stanza più in là, chiudendo la porta alle mie spalle. Qui intendo calare per qualche minuto un elegante sipario Malfoy, e sintetizzare i successivi quindici minuti in un’unica parola: nausea.
Alla fine, mentre mi stavo sciacquando il viso madido di sudore, qualcuno bussò. «Che vuoi, Granger?».
Breve pausa. «Come sapevi che ero io?». Pareva vagamente impressionata.
Sospirai. «Solo tu e Potter sapete essere così insistenti».
«Hai avuto un blocco digestivo, immagino. Vuoi che chieda alla signora Weasley qualcosa?». Sospirando di nuovo, in silenzio, mi avviai verso la porta e la aprii, mentre con l’altra mano mi asciugavo il viso. «No, no. ora sto bene» dissi, nel mio tono più eroico, nonostante avessi ancora un certo malessere.
«Sai, penso che dopotutto potrebbe non essere stato un incidente» commentò lei, scrutandomi con occhio clinico. «Per caso Fred o George ti hanno dato da bere?».
«Non ricordo» dissi, ma in quel momento un’immagine piuttosto nitida del sottoscritto che annaspava dopo un boccone di curry piccante, e riceveva da una mano ignota dell’acqua vagamente aspra, mi tornò in mente. «Maledetti...». lascio a voi terminare la frase; non pretendo il monopolio sul turpiloquio.
«Come immaginavo, ti avranno dato qualcosa, magari una Pasticca Vomitosa» disse la ragazza, con un sorrisetto vagamente divertito poco adatto di fronte a un ragazzo sofferente come il sottoscritto.
«Aspetta che li prendo» sibilai, cacciando la mano in tasca per afferrare la bacchetta. Le mie dita si chiusero attorno di essa e la estrassero... ma il bastoncino vibrò, squittì, e trasformatosi in un topo mi morse e zampettò via verso le scale. Le mie imprecazioni si fecero più fantasiose. «Non temere, te la ridaranno, la tua bacchetta. Probabilmente quando saranno sicuri che la tua rabbia sia sbollita».
«Allora non la riavrò un bel pezzo, perché li ammazzerò» ringhiai, succhiandomi il pollice.
«Bleah, che schifo! Lavati le mani, non vorrai mettere la bocca dove ti ha morso il topo!» esclamò lei, sussiegosa.
Quel pensiero provocò un nuovo attacco di nausea che mi fece schizzare verso il gabinetto. Per diversi istanti fui troppo impegnato per replicare. Alla fine tesi una mano, e la Granger mi consegnò un asciugamano, con il quale mi tamponai la bocca.
«Penso che ti convenga bere qualcosa. Se non mi sbaglio, la Burrobirra potrebbe lenire gli effetti di...».
«NO!» strillai, respingendo con decisione il pensiero del cibo che si stava affacciando. «Non... pronunciare... cibo...».
«D’accordo, come vuoi» si arrese lei, scontenta perché il suo suggerimento era stato ignorato. E uscì, sbattendo la porta con malagrazia, e lasciandomi di sasso. Va bene, le avevo risposto male, ma piantarmi così, in quel modo, solo per una Burrobirr...
Urgh.
«Ecco» fece la Granger, a sorpresa, rientrando proprio mentre sollevavo il viso dalla tazza del gabinetto, sfinito. In una mano reggeva un bicchiere d’acqua, e nell’altro una pastiglia colorata dall’aria familiare. «Tieni» disse, e me la ficcò in bocca mentre la aprivo per parlare, porgendomi poi il bicchiere d’acqua. Ingoiai docilmente, e la nausea si placò quasi istantaneamente.
«Come immaginavo, era una Pasticca Vomitosa» disse lei, annuendo con aria saggia. «Va meglio, adesso, giusto?».
«Si» dissi, mio malgrado, sedendomi sull’orlo della vasca da bagno. Vomitare mi lasciava sempre spossato e senza fiato, e quando ero più piccolo mi capitava spesso. Un Medimago aveva detto ai miei genitori che ero di costituzione fragile perché non avevo mai fatto molta attività fisica e non avevo alcuna resistenza, ma mio padre mi aveva assicurato che la purezza del mio sangue non si sarebbe mai fatta contaminare da stupidi batteri o bacilli – e ogni volta che mi ammalavo sosteneva che fosse una maledizione scagliata da qualche suo collega invidioso.
Cominciavo ad avere qualche dubbio, in proposito.
«Perfetto. E non preoccuparti per Fred e George – probabilmente ti restituiranno la Bacchetta subito dopo averla cosparsa di Polvere pruriginosa, o qualcosa di simile». E alzò di nuovo gli occhi al Cielo, con quell’aria insopportabile da vivo-assieme-ad-un-branco-di-mocciosi-e-sono-stufa-di-fare-da-babysitter.
Io la osservai, sospettoso. «Perché sei così gentile con me?».
«Insomma, Malfoy, che noia» affermò la Granger, con un verso esasperato. «Pensavo che avessimo discusso a sufficienza l’argomento “siamo alleati e quindi evitiamo di torturarci con...”».
«Granger, la tua idiozia non ha davvero limiti» la interruppi, spazientito. «Intendevo dire che né Potter né Weasley si prendono il disturbo di preoccuparsi per la mia salute, perciò non vedo perché dovresti farlo tu».
«Nel caso in cui non te ne fossi accorto, Malfoy» disse la ragazza, con dignità, «posseggo una sensibilità un tantino più elevata di quella di quei due, e penso che dovresti esserne contento, visto che altrimenti non staresti neppure qui, adesso».
«Su, Granger, dì la verità» dissi io, con scherno, «neppure tu credi veramente che io stia dalla tua parte, no? La tua è una recita per dimostrare che sei di ampie vedute, o qualcosa del genere. Ti ho sentita, sai, mentre parlavi con Weasley».
La vidi arrossire, lievemente, ma non per il senso di colpa. «Beh, Malfoy, allora sei molto più stupido del previsto» mi rimbeccò, acida, colorendosi, «perché chiunque avrebbe capito che ti stavo difendendo visto che Ron ha l’intelligenza emotiva di un fermaporta...».
«Tu mi stavi difendendo?». La guardai, certo di non aver capito bene.
«Già, ma immagino che avrei fatto meglio a non prendermi il disturbo» commentò lei, alzando il mento con fare aristocratico. «La prossima volta lascerò che Ron pensi quello che vuole, e magari mi lascerò convincere. In fondo sono stupida, no?».
Sbuffai, frustrato. «D’accordo, d’accordo, Granger, come vuoi. Mi dispiace se ho ferito i tuoi Scadenti Sentimenti dimenticando che tu sei al sopra di qualcosa di così meschino come la vendetta».
«Accetto le tue scuse» disse lei, senza scomporsi, ma questa volta mi morsi il labbro per evitare di insultarla di nuovo.
«E tra parentesi, il maglione è sporco di sugo» rincarò lei la dose, intuendo di aver riportato l’ennesima vittoria. So a che cosa state pensando, ma era difficile per me vincere, quando
a)Indossavo un maglione Weasley sporco di ragù
b)Dipendevo da loro per la mia salvezza
c)Stavo esaurendo gli argomenti per detestarli, e quelli vecchi stavano diventando ripetitivi.
Ah, beh, e naturalmente,
d)L’alternativa era essere Cruciato a morte dal malefico Signore Oscuro, Lord Nonancoramort (L.L., Livido Lord, per nemici che possono permettersi di farsi vedere per la strada e comprare un autoabbronzante).
«Tanto, non appena farò ritorno ad Hogwarts, lo getterò nel fuoco» dissi, ma ammetto che si percepiva che stavo mentendo. Non è che mi piacesse quel maglione, naturalmente. È che si sposava così bene con il colore dei miei occhi, che pensavo di passare sopra al disgusto che mi provocava.
Beh, e poi nei Sotterranei faceva freddo, accidenti.
La Granger ridacchiò. «Povero Malfoy, ti stai Weasleyzzando».
«Niente affatto!» esclamai, scandalizzato. Insomma, i miei capelli erano scompigliati come quelli di Potter e avevano ancora una sfumatura rossiccia e indossavo un maglione sferruzzato a mano da Molly Weasley, ma questo non significava certo che ero come loro. era solo il risultato di una serie di sfortunati eventi.
«D’accordo, d’accordo, Malfoy. Mi dispiace se ho ferito i tuoi Sibilanti Sentimenti dimenticando che tu sei al di sotto dello standard di umanità minimo richiesto alle brave persone». Poi, dopo un istante di riflessione, aggiunse, «prima  che me ne scordi, domattina dobbiamo parlare. Dobbiamo organizzare un piano d’azione».
Il che riportò la mia attenzione non solo al Signore Oscuro (R.R., Regale Rettile per membri nolentemente onorari dell’Ordine) ma anche a quanto avevo scoperto autonomamente. Me lo tenni per me, tuttavia, perché avevo in mente un piano migliore su che cosa farne. Invece, le raccontai della lettera anonima che avevo ricevuto.
«Beh, la cosa non mi sorprende» disse la ragazza, scrollando le spalle. «Prima di andare a trovare i miei genitori sono andata da Magie Sinister, e ho scoperto...».
«Sei andata da Magie Sinister?». Ero indignato. «Per questo eri in ritardo, accidenti! E tu che frignavi di un commovente addio dato ai tuoi genitori...».
«Beh, certo che sono andata dai miei genitori, era la notte di Natale! Ma si dà il caso che difficilmente avrei fatto una cosa tanto stupida quanto andarmene a zonzo, senza aver avuto le mie ottime ragioni per farlo». Ragionare con la Granger non serviva a nulla, perciò le feci cenno di proseguire.
«Come dicevo, sono andata da Magie Sinister per capire che cosa aveva combinato Neville, e ho scoperto alcune cose interessanti».
«Del tipo..?».
«Del tipo» disse lei, paziente, «che anche Neville è stato lì per il mio stesso motivo. Sembra che volesse fare alcune domande su di un ragazzo che era stato lì pochi giorni prima».
«Pochi giorni prima..? Ma è impossibile. Ci siamo andati il giorno dopo l’inizio delle vacanze, o sbaglio?».
«Appunto!» disse lei, raggiante. «Quindi è chiaro che qualcuno sta cercando di procurarsi qualcosa di pericoloso, e Neville chissà come lo ha scoperto».
«Già, ma vorrei farti notare un paio di cose» dissi, per essere ragionevole. «Prima di tutto, è impossibile portare qualcosa di pericoloso dentro Hogwarts». Esperienza personale. «Secondo, è impossibile uscire dalla scuola e recarsi in un negozio di magia oscura durante l’orario delle lezioni». Esperienza personale. «Terzo, se anche fosse, non è così facile essere spiati mentre si fanno affari da Sinister». Esperienza personale. «Ultimo, ma non meno importante, se è così è chiaro che Paciock utilizza qualche sistema innovativo,  e non mi sembra così furbo». Definiamo anche questa esperienza personale, considerate tutte le volte in cui lo avevo impastoiato / affatturato / preso in giro impunemente.
«Chissà. Comunque è chiaro che occorre essere prudenti, ed io intendo scoprire che cosa c’è sotto».
«prego, se hai voglia di perdere tempo dietro a Paciock»
«E’ esattamente quello che voglio fare» disse lei, con sussiego. «E per quanto riguarda l’apparizione di ieri, può darsi che le due cose siano collegate».
«Già» dissi io, ma nessuno dei due sembrava convinto.
La Granger sospirò. «Ne riparleremo domani, comunque» disse, stancamente.
«Già» dissi io, ma stavo pensando ad altro, e alla fine diedi voce ai miei pensieri. «Granger. Tu sai fare un Patronus?».
«Si, certo» disse lei, stupita.
«Insegnamelo» dissi, solennemente.
«Perché?». Mi guardò, sbattendo le palpebre. «Non è neppure nel programma d’esame, anche se immagino ce ne parleranno...».
Alzai le spalle, schivo. «Me lo puoi insegnare, o non ne sei capace?».
Lei mi guardò, e in quell’istante la somiglianza con la McGranitt era stupefacente. «Ma certo che posso» disse, secca.
 
«Il fatto è... ma non devi prendertela con lui... che papà non capisce sempre. È un po’ a causa dell’età, credo» spiegai, con voce quieta e comprensiva, sorridendo. «Non che siate vecchi, capisci. Però è un po’ diverso. Cambia sempre qualcosa, sai, da un’età a un’altra».
Sospirai appena, ma sorridendo, affinché non sembrasse che covassi amarezza. «Però io non posso proprio stare a casa. Papà lo capirà presto, naturalmente. Voldemort è abbastanza cattivo da meritare che gli diamo una lezione, anche se papà sostiene che non tocchi a me farlo. Lo sai bene quanto me che papà predica bene, e razzola male». Sbadigliai. Avevo sonno. «E’ parecchio giù, ora. Non capisce cosa significhi sapere che qualcosa di importante è stato assegnato a te. E’ preoccupato». Toccai appena la cornice della fotografia, dove la mia mamma sorrideva dondolandosi appena al ritmo delle mie parole, come se le stessi cullando una ninnananna. «Sono contenta, comunque, di vedere i miei amici. Non mi era mai capitato di averne, prima. Sai» e assunsi un’espressione saggia, «pare che io sia un po’ strana». Sbadigliai di nuovo. «Comunque è meglio che vada a letto. Domani c’è la scuola, e il treno è infestato di Gorgosprizzi. Papà ha chiamato la manutenzione magica affinché provvedesse a mandarli via, ma non sono sembrati molto convinti. Però se ho sonno e uno di loro mi colpisce comincio a soffrire  di un po’ di nausea».
Mi voltai verso i disegni che avevo fatto sul muro. I miei amici ricambiarono lo sguardo dalle pareti, e io mandai loro un bacio scherzoso. «Sai, mamma. Se muoio, spero che papà non sarà così arrabbiato da cancellare questi disegni» dissi, preoccupata. «Non tornerò , per Natale, perciò spero che li conserverà».
Poi crollai addormentata. La mattina dopo – papà ancora dormiva, grazie al sonnifero nel suo the – ero sull’Espresso di Hogwarts.
 
Non ho affatto bisogno di fare un lungo preambolo su di me. Sono Blaise Zabini. Ho detto tutto, no? Sangue puro, grande casato, eccetera eccetera.
Vorrei farla breve, per quanto mi è possibile. Non è questo che dovrei raccontare. Dovrei avere onore, come si conviene ad un Serpeverde, e non buttarlo per... beh, comunque, avrei altro che potrei raccontarvi. Avventure, roba del genere, o la cronistoria della mia famiglia. Qualcosa di Serpentesco, o magari una vittoria a Quidditch.
Come dicevo, comunque, vorrei farla breve. Via il cerotto via il dolore, no? Non voglio sembrare patetico, anche se sono sulla buona strada per esserlo. Vorrei raccontarvi che cosa mi sta succedendo ultimamente, e farla finita così. Non penso capireste, purtroppo, e poi a nessuno frega qualcosa.
Mi sono già reso abbastanza ridicolo, non è vero? Beh, è solo l’inizio. Perché devo cominciare a raccontare da un secolo fa se voglio fare le cose per bene. E cercare, in qualche modo, una giustificazione... qualcosa che ci somigli, almeno... qualunque cosa che mi faccia mettere almeno un po’ l’anima in pace, capite?
Beh, forse no. Forse nessuno mi può capire. Diavolo, non mi capisco nemmeno io.
Quindi, se avete fazzolettini di carta sottomano, teneteli pronti.
Credo serviranno anche a me, se non vi spiace.
Prima di tutto, però, un’occhiatina al presente. Devo ammetterlo, non è una scena così edificante, e immagino sia per questo che mi sto ritirando nei miei foschi ricordi. Manco dovessi fare testamento.
Ci sono vicino, per la precisione. Sono in piedi, certo, e se guardo questo qui che sta ai miei piedi e sul quale temo di inciampare da un momento all’altro direi che è una fortuna. Questo sembra essere sangue, e...
Santiddio, che diavolo è questo?
Meglio non guardarlo troppo a lungo. Non voglio accorgermi che non sta respirando.
Non sta respirando.
Faccio un passo di lato. Sono sporco, ammaccato, mi si è scheggiato un dente, mi si è bruciato un sopracciglio, sono sudato, puzzo, mi sono pure sbucciato un ginocchio, e sono coperto di sangue di provenienza varia ed eventuale. Del mio consueto bell’aspetto non è rimasto granché e teniamo presente che, anche se c’è qualcosa di figo in un eroe stremato dalla battaglia, finché ansimi come un cane asmatico perdi tutto il terreno che hai faticosamente guadagnato.
C’è gente che sfreccia per i corridoi strillando e agitando scompostamente le braccia. Lampi di luce. Casino. Roba che salta in aria, e questa è architettura antica, Cristo, in via di estinzione, non torroncino da sbriciolare per scherzo.
Il mio (nuovo) migliore amico e poco lontano e sta affatturando un tizio alto con un occhio storto da spavento. Uno con un occhio così dovrebbe essere sbattuto ad Azkaban semplicemente per inquinamento visivo. A differenza del mio nuovo migliore amico, io di Filobabbano non ho un bel niente. La sola idea che in questo momento mi sto tuffando dietro a una colonna per difendermi da un tizio che dovrei chiamare alleato, e che il motivo per cui ce l’ho tanto con lui è che ho aiutato uno  degli amichetti del mio BFF mi  riempie di segreto sdegno.
Ma continuo a lanciare incantesimi e grida, perché in fondo questa battaglia non è mica uno scherzo. E voi direte, che diavolo sta succedendo? Potrei anche spiegarvelo, ma sarebbe una storia davvero lunga. Se fossi quell’idiota di Nott, probabilmente ci scriverei su una tragedia e assolderei i migliori attori sulla piazza per recitarla e raggiungere così la celebrità. Se fossi Malfoy, probabilmente, comincerei una storia interminabile e al ventesimo capitolo sarei ancora a metà – sa essere davvero prolisso.
Astoria mi sfreccia davanti, chinandosi senza esitare per schivare uno Schiantesimo, e svolta l’angolo sparendo in un altro corridoio. Astoria è sempre stata una ragazza molto razionale, e se toccasse a lei spiegare l’origine della sua presenza qui, probabilmente si limiterebbe a spiegare la causa prima e scatenante. Il che, probabilmente, è la cosa migliore da fare.
Il che mi riporta nuovamente a quel giorno di Natale, quando avevo sette anni, i miei poteri non si erano ancora fatti vivi e mio padre era gravemente malato. Ora, immagino che siate informati sulle storie che circolano su mia madre e i suoi numerosi mariti, e non cercherò di discolparla; semplicemente perché non so se siano vere.
Però so che a mio padre ci teneva davvero, sebbene fossero sempre e costantemente impegnati a litigare. Mia madre era di una famiglia di sangue purissimo, molto più di mio padre che comunque non era mezzosangue. Lei era bellissima, una delle donne più belle d’Inghilterra, ed era orgogliosa sia del suo aspetto sia del suo retaggio, sebbene non fosse una strega particolarmente dotata. Mio padre invece era un genio, il primo della classe, ma a differenza di molti altri geni aveva la testa sulle spalle e non esprimeva mai nulla – fossero sentimenti, o semplici opinioni.
Fin da quando ero molto piccolo mi avevano sempre considerato come il degno discendente di entrambi i miei genitori, perché ero bello e intelligente, ma in un certo senso ho sempre avuto, come mio padre, una certa coscienza di me. Ero di bell’aspetto, è vero, ma non quanto mia madre. Ero intelligente, è vero, ma non quanto mio padre. Però ero Blaise Zabini, e il solo fatto di avere il loro stesso sangue mi faceva sentire orgoglioso. Non sarei mai voluto appartenere a una famiglia Babbana.
Lo so, lo so, non spiega in nessun modo il perché mi stia trovando al centro di una sanguinosa battaglia che probabilmente deciderà le sorti del mondo magico, e non a favore della gente come me. Vedete, il punto è che mio padre si ammalò, e la cosa strana fu che nessun medico fu in grado di guarirlo. Immagino che questo abbia contribuito a creare il mito della Vedova Nera, come più di qualcuno chiama mia madre – ma non fu lei ad avvelenarlo, lo so per certo. Più di qualcuno disse che si trattava di consunzione, e mio padre non lasciò mai che lo curassero a dovere fino a che non fu troppo tardi.
Nevicava, la vigilia di Natale. Io ero da solo con mio padre, mia madre era di sotto a strillare istericamente contro qualche incompetente domestico. Mio padre mi aveva appena mandato a chiamare, e dopo aver atteso pazientemente una pausa tra uno strillo e l’altro, si rivolse a me con voce flebile.
«Non il modo in cui ti aspettavi di passare il Natale, eh?» chiese, con un pallido sorriso. «Mi dispiace».
«Non dispiacerti, papà» mormorai io, che lottavo contro un nodo in gola.
Lui sorrise. «Sai, il tempo è sempre una fregatura» mi disse, sempre sottovoce, ed io, che non ero abituato a sentirlo fare discorsi profondi, mi inquietai. Ero incapace tuttavia di interromperlo, perciò attesi in silenzio che terminasse il suo discorso. «E’ sempre uguale, preciso, scientifico, eppure sembra che si distorca per farti un dispetto. Anche ora... mi sembra ieri che mi sentivo bene».
Io deglutii. «Papà...» cominciai, ma lui mi interruppe. «Ascolta, Blaise» disse, scandendo stranamente le parole, come se avesse paura di non essere sentito. «Io non ho bisogno della sfera di cristallo per sapere come andranno le cose. So bene che tu diventerai un ottimo mago, e so anche che sarai Serpeverde come me e tua madre. L’unica cosa che ti posso dire, però, è che la gente come me e te finisce fregata dal tempo che passa e che ti impedisce di fare quello che avresti dovuto». Sospirò, quietamente. «So che ti sembra solamente un discorso astratto, ma devi stare attento alle abitudini; che si tratti di pensieri, oppure di idee, o di sentimenti, ti fanno perdere tempo prezioso».
«Papà, questi discorsi mi spaventano» sussurrai io.
«A proposito, ho un regalo per te» disse mio padre, ignorando la mia ultima frase. «E’ il pacchettino argento dentro il tuo armadio. Lo puoi aprire solamente domani, però. E dovrai restituirmelo, quando sarai grande».
Io annuii.
«Ora va giù, e dì a tua madre che mi lasci dormire per almeno un’ora» borbottò lui. Io obbedii, e uscii in fretta.
Lo so, non è una scena piuttosto interessante, piuttosto è drammatica e anche un po’ scontata, del genere che si legge sempre nei libri. E continua a non delucidarvi sul perché tutto questo stia accadendo, nonostante sia principalmente colpa mia.
Ehi, ho detto che vi avrei raccontato la causa. Non ho mai parlato del resto.
 
 
 
 
NOTA DELL’AUTRICE
Ce l’ho fatta, e con un capitolo lunghetto... ma semplicemente perché ci sono alcuni pezzi che avevo pronti da un po’, ovvero quelli all’inizio e alla fine del capitolo. So bene che hanno uno stile molto diverso dal solito, e probabilmente non sono all’altezza del resto, ma ho pensato che alcuni ricordi legati da un unico filo conduttore potessero fungere assieme da indizi che possono chiarire alcuni aspetti della trama, e per invogliare al resto ;) tanto non ne ho in progetto altri, quindi l’esperimento non è destinato a ripetersi, salvo idee geniali – anche se devo ammettere che anche il prossimo capitolo ha in serbo alcuni ricordi, anche se narrati mooolto diversamente.
Ma passiamo al contenuto del capitolo, prima di esaminare i “ricordi”. Avevo voglia di un bel capitolo divertente, e funzionale... in fondo è servito parecchio ad ammorbidire Draco, ed il prossimo capitolo sarà l’ultimo di Grimmaud Place, il che lo rende potenzialmente interessante... eh eh eh... Ok basta. Serietà.
In effetti può sembrare che la trama non sia progredita granché, ed invece è stato veramente fondamentale. E poi avevo voglia di Natale, come dimostra il fatto che a mezzanotte, finito di scrivere, mi metto a sferruzzare sciarpe sbilenche come neanche Hermione col CREPA (e questa era una citazione da Nerd – N.N., Nicole Nerd, per fans sfregatate della Rowling in questo momento morbosamente intente a cercare per tutta la città una libreria che venda The Casual Vacancy in versione originale O.O).
Comunque, dicevo. Draco si ammorbidisce, Hermione si ammorbidisce, Harry si ammorbidisce, Ron non si ammorbidisce – anche perché povero, in questo capitolo non compare praticamente mai... mi sa che sono un po’ cattiva con lui – e insomma sono una grande famiglia felice.
Per quanto riguarda i ricordi... su quello di Astoria no comment, si spiega una cosa self-evident che penso aveste capito già per conto vostro. Quello assai breve di Neville non spiega praticamente niente ma delucida sul suo stato d’animo, con conseguenti spiegazioni da trarre. Quello di Luna è importante perché solo con il senno di poi avreste potuto capire che lei era praticamente scappata di casa. Quello di Zabini è importante per via di un indizi etto su uno dei suoi segreti, ma diciamo che più di altro prepara il terreno ad alcuni indizi. In effetti, non so se lo abbiate capito, ma Zabini ha un ruolo piuttosto centrale e quindi siete destinati a non sapere un tubo per molto, molto tempo...
Ecco, poi vorrei far notare le allusioni al presente, e cioè all’esatto momento in cui vengono raccontati non solo i ricordi secondari, ma la stessa storia di Draco. Beh, insomma, il primo vero indizio sul presente. Che poi non è un indizio ma un manifesto XD mi sembrava interessante metterlo XD
Beh, comunque in effetti ho messo troppi indizi... vabbè, quantomeno è un capitolo lungo, perciò godetevelo. Come sempre, grazie alle mie recensitrici, i love you guys!
 
A CHRISTMAS CAROL = è il canto di Natale di Dickens, per chi magari non lo sapesse. Perché ho scelto questo titolo? Beh, non è evidente, perciò delucidation... prima di tutto, anche questa è una storia di  Natale, in fondo. In secondo luogo, perché come nel Canto di Natale avviene una cosa particolare: più voci parlano di passato, presente e futuro.
Citazioni colte, eh?
  
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