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Autore: DaGio    10/11/2012    2 recensioni
"Molte sono le storie che narrano di leggendarie imprese, in mondi ed emisferi inesplorati, riguardanti città incantate e intere civiltà perdute. Nel continente di Beastarh, però, ce n'è una in particolare che sembra essere nota a tutti".
Questo fantasy non mira tanto all'utilizzo della magia, comparsa di creature o personaggi con abilità innate o doti soprannaturali. Si tratta invece di un libro contenente un storia in parte realistica in cui gli umani hanno un modo di pensare simile a quello delle persone che abitavano il mondo nel medioevo. E' un libro fantasy semplicemente perché la storia si svolge in un mondo inventato e le creature ed alcuni fatti narrati sono del tutto frutto dell'immaginazione. Una grande tematica è sicuramente quella riguardante la religione vista da punti di vista differenti ma ora sta al lettore comprendere appieno il significato che si cela all'interno del racconto.
Genere: Fantasy, Guerra, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 2- Partenza!


Nelle regioni di Ennearel e Sikowalth era appena finita la stagione autunnale e cominciava quella invernale. In tutto il territorio appartenente ai Tenbri, composto da pianure e, lungo i confini, da monti, il paesaggio cominciava a mutare: sulle vette più alte si depositava sempre più neve, mentre gli alberi erano già spogli delle loro foglie, ormai secche a terra o portate via dal vento. La temperatura scendeva notevolmente la notte e alcuni torrenti si erano addirittura ghiacciati, specialmente quelli situati ad ovest e a nord. La maggior parte della vegetazione, i boschi e la fauna, erano tutti situati a sud o comunque dal castello dei Tenbri in giù.
Il territorio che la nobile famiglia possedeva si estendeva per diversi chilometri e confinava: a sud con la regione ostile, ad ovest con la casata dei Pemry, ad est con quella dei Lubers e a nord con i Villi. A nord-ovest inoltre confinava con gli Aspur, anche se solo per un breve tratto, uno stretto passaggio attraverso le montagne.
La città fortificata dei Tenbri, Foraz-Dor, aveva aperto il portone principale in modo da permettere al contingente di circa mille uomini di uscire, per ricongiungersi con le truppe al confine ed unirsi ad un unico vessillo: quello di Ennearel, la regione per la quale combattevano.
"Figlio mio! Sono orgoglioso di te, lo sono sempre stato. Compi il tuo dovere e stai in guardia, sempre" disse Anvol rivolto al figlio. Anche la sorella lo salutava, tacita ma con le lacrime agli occhi.
Questa si chiamava Irda Giada Tenbri ed era sempre stata piuttosto legata al fratello maggiore, il quale se n'era preso cura nei momenti difficili, come durante la morte della madre. Ella era ritenuta una delle donne più belle del feudo ma, in realtà non era così affascinante come tutti credevano, infatti si trattava di giudizi messi in circolazione dai cittadini poiché Irda si faceva vedere raramente, tendendo ad uscire solo alla sera, quando comunque era solitamente coperta da un velo. Un fatto che poteva spiegare perché la ragazza non si fosse ancora sposata, nonostante avesse ventisei anni.
Quella mattina la sorella di Rart non indossava il suo solito velo, ma erano solo sei del mattino ed il suo viso era ancora coperto dall'oscurità.
"Sono sicuro che porterai gloria alla nostra regione. Che gli dei possano guidarti!" esclamò Fendaron.
Il capitano non disse nulla e si unì alla lunga fila di soldati che confluivano dalla via principale, a capo dei quali vi erano due uomini.
Si trattava di Rion Tenbri, terzo figlio di Fendaron, seguito da Eonas Felictis, il cugino di terzo grado di Rart da parte della madre e gli avrebbe fatto da scudiero.
I due parenti si fermarono per consentire al capitano di passare alla testa dell'armata e lo salutarono portando il pugno della mano destra sul torace, quindi ripresero ad avanzare con Rart che li precedeva. Quei mille uomini circa erano stati chiamati ed addestrati dall'anno precedente, ma sarebbe stato l'ultimo esercito di rinforzo composto da così tanti soldati. Infatti la popolazione, col proseguire della guerra, continuava a diminuire e coloro che si sposavano non volevano generare figli per non vederli prendere parte al conflitto un giorno; tutti aspettavano la fine delle ostilità per poter avere una prole.
"E così oggi si parte per la guerra eh? Almeno cerchiamo di vincerla o aspettiamo un qualche congedo entro questo anno..." pensò Rart con ironia. Ovviamente la guerra sarebbe proseguita ancora per anni e probabilmente lui sarebbe fuggito o morto entro l'anno.
La lunga fila di cavalieri passò anche l'ultima saracinesca della città-fortezza mentre le urla dei cittadini si facevano sempre più deboli e più lontane. Il capitano conduceva la propria armata al Vallo dei Prodi, luogo dove accamparsi prima di raggiungere il confine del feudo, situato ai piedi delle montagne ed era a tre giorni di cavallo.
La fila di soldati era lunga e lenta nonostante fosse stato dato l'ordine di aumentare il passo, ma non era semplice per i fanti e per i carri che trainavano macchine d'assedio, viveri e tende.
Ora la truppa di cavalieri avanzava per le praterie, marciando e cavalcando sull'erba corta e umida ancora coperta dalla brina, mentre alcuni raggi del sole cominciavano ad illuminare i vessilli dei Tenbri. Dopo mezz'ora di viaggio iniziò a soffiare forte un vento gelido proveniente da ovest e il cielo cominciò a coprirsi di nuvole grigie.
Iniziò anche a cadere qualche goccia d'acqua ma si mise solo a piovigginare, smettendo improvvisamente dopo dieci minuti.
Rart avrebbe preferito stare all'interno di uno dei carri per poter scrivere comodamente il suo diario che aggiornava di continuo e per poter continuare a riempire gli annali della casata con gli eventi e le imprese della famiglia. Sfortunatamente gli fu sconsigliato di salire sui carri e le carrozze, poiché solitamente più esposti ad attacchi e privilegiati come bersagli durante possibili imboscate che potevano provenire benissimo anche dai banditi dei boschi e nelle montagne.
Verso mezzo dì la truppa fece una breve pausa per far riposare i cavalli e rifocillarsi con un po' di pane e qualche galletta dolce, pasto che permetteva di arrivare a sera senza lamentarsi e rinvigoriva i cavalieri abbastanza.
Rion Tenbri si avvicinò al capitano mentre tutti si preparavano a ripartire, lo salutò con un lieve cenno e si rivolse al cugino in tono arrogante.
"Allora, cosa ne pensi? Secondo te è il caso di fermarsi al Vallo?".
"Direi proprio di si Rion. Perché?" rispose Rart.
"Se procediamo con questo passo e ci fermiamo per ogni maledetto spuntino, finiremo col tardare"
"Non mi sembra che qualcuno abbia stabilito il nostro arrivo per un determinato giorno, e comunque stai tranquillo che la guerra non finirà prima del nostro arrivo"
"E nel frattempo i nostri uomini crepano al confine... Sei tu il capitano, dovresti prendere la decisione più saggia".
Il capitano si alzò da terra e fece un piccolo passo verso il parente.
"Mi pare di avere afferrato che tu dubiti delle mie decisioni. Inoltre mi sembra di avere avvertito un poco di gelosia nelle tue parole. Non voglio far stancare troppo i miei uomini, né farli arrivare deboli e assonnati sul campo di battaglia, quindi direi che le truppe al confine possono anche aspettare. Nessuno ha stabilito un tempo limite per raggiungere il fronte. Questo non è uno spuntino, come dici tu ma una breve pausa per rifocillarsi. Se ci tieni puoi sempre andare avanti e precederci, magari ti mangerai il cavallo mentre ci aspetti al confine." replicò Rart.
Rion rimase in silenzio: non sapeva come rispondere, conosceva il cugino che sapeva avere una grande abilità oratoria, fatto che lo aveva contraddistinto per anni ed era servita anche prima e durante i tornei, quando umiliava i suoi avversari che non riuscivano a contrastarlo con la stessa forza e la tenacia che avevano in precedenza.
Eonas si avvicinò ai due parenti, intento ad avvicinare a Rart il suo cavallo essendo lui lo scudiero del capitano.
"Grazie, va pure" disse l'uomo afferrando le briglie del destriero.
"Ahahah! Mi ero quasi scordato che tu sei l'unico miserabile della casata a ringraziare la plebe" rise Rion.
"Non è la "plebe" ma mio cugino di terzo grado, quindi un nostro parente, ora preparati. Non vorrai arrivare in ritardo?" rispose Rart montando a cavallo.
Dopo aver fissato per diversi secondi Eonas, il capitano si voltò e raggiunse la testa dell'armata a galoppo.
La lunga fila di cavalieri continuò la marcia, rinvigoriti dalla pausa si muovevano più velocemente e giunsero al Lago dei Gyrri che erano le sette e mezza, mentre il cielo si era già oscurato per lasciar posto alla notte. Il Lago non era così grande a dire il vero ma considerato importante per la quantità di pesci che conteneva, infatti i gyrri erano pesci dal sapore prelibato, grandi una quarantina di centimetri erano la fonte di cibo più utilizzata in quelle lande, abitate solo per pochi chilometri da paesani che risiedevano in piccole e umili case di legno.
"Sbaglio o tu sei nato da queste parti, Eonas?" chiese Rart all'improvviso, dopo essersi guardato intorno un paio di volte.
Il ragazzo si avvicinò al capitano, poi rispose a bassa voce.
"Si è così... io abitavo in un paesino dall'altra parte del lago, vicino ad un bosco".
"Non c'è bisogno che tu nasconda le tue origini agli altri, parla pure a voce alta".
Eonas annuì e prese a raccontare della sua infanzia felice, trascorsa per pochi anni insieme alla madre poiché il padre era morto in un agguato dei banditi mentre portava delle spezie a Foraz-Dor. Gli ultimi giorni trascorsi in quei posti li ricordava abbastanza bene, quando andava in cerca di funghi addentrandosi nel bosco lì vicino e giocando con gli altri bambini con i quali aveva stretto amicizia. Un'infanzia che era durata un soffio e si era trasformata in una lunga e noiosa vita di corte, luogo dove veniva umiliato e preso per sempliciotto, compreso il giorno della sua nomina a scudiero, poco prima della partenza per il fronte.
Il ragazzo si era dovuto trasferire a Foraz-Dor proprio quando la zia si era sposata col padre di Rart, per questione di comodità e per il semplice fatto che i parenti della moglie di un nobile dovevano avere un certo "aspetto", dovevano apparire aristocratici, anche se si trattava di semplici paesani, di sudditi che avevano dovuto accettare quell'invito a corte a causa della loro stessa povertà.
"Perché non torni qui un giorno? Tu che puoi dovresti scegliere una vita semplice e tranquilla" gli disse Rart.
"È questo il problema..." mormorò il cugino, "non ho scelta, a causa di mia madre che vuole farmi frequentare le persone più nobili e brillanti della regione. Così dice lei. Mi ha costretto ad andare in una accademia per quattro anni circa, dove ho imparato a leggere e scrivere. A me però non piace molto quell'ambiente...".
Il capitano annuì mentre dava l'alt alla fila di cavalieri, i quali cominciarono ad organizzarsi per i bivacchi che avrebbero assestato lungo due grandi campi ai lati del sentiero dove si trovavano.
"E tua madre invece? Lei cosa ne pensa della vita di corte?" domandò Rart dopo essere sceso da cavallo.
"Non lo so..." rispose lo scudiero scuotendo lentamente la testa, poi riprese: "sembrerebbe che si trovi abbastanza bene ma in realtà ha sempre un atteggiamento molto, come dire... indifferente. In fondo in fondo anche lei se ne vuole andare da lì, secondo me. Non so che cosa diamine la trattenga!"
"Seafor! Vieni qui" esclamò il capitano. Dopo qualche secondo giunse di fronte a loro un cavaliere vestito con una tunica bianca a ricami dorati.
"Signore" fece l'uomo scattando sull'attenti.
"Prepara immediatamente una linea difensiva intorno all'accampamento e i turni di guardia".
Il cavaliere salutò portando il pugno sul petto, quindi si affrettò a raggiungere una tenda per impartire gli ordini ad altri soldati che attendevano sul posto. Tra loro vi era anche Rion, il quale doveva pianificare una strategia difensiva in caso di attacco.
Eonas aveva il compito di badare agli armamenti e al cavallo del capitano, mentre quest'ultimo si recò in una grande tenda appena montata, pronto a ricevere gli ufficiali per i chiarimenti sulla strada e sui tempi, oltre che ascoltare le lamentele dei nobili per la posizione scomoda, così vicina ai semplici fanti, per il freddo e altro ancora. Insomma, ancora una volta aveva deviato la soddisfazione della scrittura per dedicarsi ad altri affari decisamente più noiosi.
Qualche ora più tardi i preparativi per l'intero accampamento erano stati completati e
l'esercito si era rimesso in sesto grazie ad una modesta cena. Una volta consumato un più abbondante pasto, Rart Tenbri si distese sopra il piccolo ma sfarzoso telo imbottito riservato solo ai più ricchi uomini ed ai membri delle famiglie nobili. Il capitano si addormentò mentre pensava al periodo in cui aveva conosciuto il cugino, quando entrambi erano ancora dei ragazzi. Rion era molto impulsivo e scarno anche allora, benché fosse uno dei più abili lanceri dell'intera regione. Rart lo aveva battuto diverse volte durante i vari tornei, lo aveva umiliato di fronte a tutta la corte e all'intera folla che acclamava il giovane vincitore. Come era tradizione i più abili spadaccini dovevano fare da maestri ai perdenti e fu così che il ragazzo si impegnò ad addestrare il parente che incassava un'umiliazione dopo l'altra, dando inizio a un odio reciproco alimentato da quelle lezioni che si tenevano a palazzo, nei giardini e nei boschi della famiglia. Anche per questo tutti i nobili della regione, perfino i Pemry, rimasero scioccati quando notarono il cambiamento di carattere di Rart, il più abile spadaccino su cui tutti contavano per il proseguimento della guerra.
Rion Tenbri era stato sconfitto e umiliato, aveva sofferto e perso fiducia in se stesso, ma una cosa l'aveva ottenuta e ne era certo: l'addestramento col cugino aveva infatti dato i suoi frutti e anche lui aveva cominciato a vincere. Dopo il ritiro del campione della famiglia, Rion era comparso giusto in tempo per salvare l'onore della casata, giungendo al terzo posto nel torneo di Beastarh.
Ma proprio dopo aver concluso quel ricordo, il capitano cadde in un sonno profondo, afflitto dalla stanchezza e prese a fare un sogno più assurdo dell'altro. Si trovava a casa sua, nella fortezza dei Tenbri, ma non in un posto qualsiasi perché di fronte a lui si ergeva il portone della piccola ma sfarzosa chiesa di famiglia, la più importante della città. Degli appena udibili sussurrii lo condussero e invitarono ad aprire la porta in legno e metallo. Una moltitudine di voci si mescolavano in un vortice di caos mentre Rart si guardava attorno cercando di capire cosa stesse accadendo.
"Perché sono qui?" mormorò il capitano. Una flebile luce penetrava dalle due finestre, nei dintorni non c'era nessuno a parte le inquietanti statue scure raffiguranti due divinità e che sembravano essere state dimenticate col tempo.
"Perché non preghi anche tu, cavaliere?" disse una voce che sembrava provenire da una statua.
"Chi è?! Che cosa vuoi?" esclamò Rart guardandosi attorno. Ma in vista non c'era proprio nessuno, anche se all'uomo sembrava di vedere decine e decine di ombre spostarsi nelle pareti, come demoni danzanti sul soffitto, fra le colonne e sul pavimento. Un forte vento soffiò all'improvviso, permettendo ad alcune foglie secche di entrare dalle finestre, mentre il capitano sguainò la spada lucente e si mise in guardia da qualsiasi cosa o persona si avvicinasse.
"Fatti vedere!" sbottò Rart.
Ad un tratto il vento cessò di soffiare e la luce scemò fino ad oscurare del tutto la chiesa, tutto venne avvolto dal buio. Anche i sussurrii si spensero come la poca luce presente e l'unica figura a rimanere illuminata fu il capitano.
"Così tanti me lo hanno chiesto, ma per te potremmo anche fare un eccezione e decidere di mostrarci a te. Anche se tu non hai mai dato molta importanza alla nostra presenza, cosa che altri hanno fatto dalla loro comparsa in questo mondo, fino alla morte" rispose la stessa voce di prima. Un attimo dopo una luce fioca illuminò anche le due statue ai lati di Rart.
L'uomo prese a indietreggiare mantenendo la guardia ma le forze cedettero come di colpo alla vista di una strana aura celeste che apparve più chiara non appena si udì un rumore metallico che squarciò il silenzio. Si trattava della spada di Rart, il capitano doveva averla fatta cadere involontariamente poiché entrambe le mani ora erano aperte e lui stesso si senti come avvolto da un enorme peso.
Uno spirito color verde acqua era comparso proprio di fronte a lui, aveva due sottili ma densi occhi rossi che lo fissavano attentamente. Qualche secondo più tardi si materializzò anche un'altro spirito ma di forma di versa e con gli occhi blu.
"Non è possibile..." disse il capitano con voce sfuggente.
"Inginocchiati quando ti trovi al cospetto delle tue divinità!" esclamò l'essere dagli occhi cremisi.
L'uomo si sentì cedere anche le gambe e con un tonfo si inginocchiò a terra, impotente contro quegli spiriti.
Quello che gli stava parlando era Astorx, la sua forma era simile a quella di un uomo in armatura, anche se non era facile capire con esattezza quali fossero i suoi tratti che lo delineavano, i suoi lineamenti. A fianco a lui era situato un drago delle stesse dimensioni, quindi alto tre metri circa, con quattro paia di zampe e due ali, mentre la testa era coronata da robuste corna. Si trattava di Mindael.
"Che cosa volete da me?" domandò Rart.
"Tu esigi delle domande? Sappi che non ti è consentito!" rispose Astorx.
"Vorremmo aiutarti" aggiunse Mindalel con voce profonda.
"Perché mai dovreste aiutarmi?! Non lo avete mai fatto, se davvero esistete, e non avete mai aiutato nessun altro, nemmeno chi ha sempre creduto e pregato per voi!" replicò l'uomo con più decisione. Ora sentiva la rabbia farsi più viva, sapeva che la collera dentro di sé lo avrebbe riscosso da quello stato di parziale impotenza, stato causato dalla paura probabilmente.
"Non osare parlarci così! Le vostre stupide guerre non sono affari che ci riguardano, non quando siete voi nel torto!" disse Astorx furente. Il capitano rimase momentaneamente perplesso.
"Che vuoi dire? Pensi forse che ci sia una guerra giusta? O forse lo è quando fa comodo a voi, magari riuscirete a mantenere la paura tra il popolo" rispose Rart.
"Non è affatto così e ora taci, cavaliere!" esclamò Mindael.
"Stupidi inetti! Possibile che nessuno se ne sia accorto? Non è forse evidente?" continuò Astorx avvicinandosi di poco.
"Cosa dovrebbe essere evidente?" chiese l'uomo non capendo ciò a cui la divinità si riferiva.
"Sono i Pemry a causare le guerre, vogliono il potere assoluto! I loro dei non li controllano più da secoli ormai. Sono loro a tenere le redini, a mantenere il controllo assoluto. Vogliono dominare anche sulla casata protetta da noi, quella dei Tenbri!" rispose malinconico Mindael. Il capitano spalancò le palpebre e le pupille si illuminarono: questo poteva significare molte cose.
"Come fate a dirlo con certezza?" domandò.
"Stolto! Con chi credi di avere a che fare? Noi siamo dei e sappiamo tutto"disse Astorx
"Loro possono contare su molte più truppe per vincere la guerra, questo perché hanno sottomesso molte casate e manca poco prima che pretendano anche la vostra..." continuò la divinità.
"E perché lo dite proprio a me? Non sapete che sono in marcia per raggiungere il confine? Mio zio Fendaron non permetterà certo un simile affronto, ammesso che voi abbiate ragione!" rispose il capitano.
"Ma allora sei proprio uno sciocco! Non hai capito niente, possibile che sia così difficile immaginare Foraz-Dor in fiamme a causa dei Pemry? Loro sono in grado di vincere contro i Tenbri e approfitteranno della vostra assenza per sferrare l'attacco! Tu sei ancora in tempo per tornare indietro e fermarli. Tuo zio non ti avviserebbe pur di lasciarti lontano da uno scontro impari di quella portata. I Pemry posseggono ancora migliaia di uomini e stanno cominciando il loro piano. Il primo passo era quello di allontanare il migliore spadaccino dalla città. Spero tu capisca ora" spiegò Mindael.
"Ma io non posso di certo affidarmi ad un sogno! E poi raggiungeremo i Pemry al confine" disse Rart, ancora confuso.
"Hai le qualità per poter compiere questo compito, adesso destati!" concluse Astorx.
L'uomo sembrava essere ancora più confuso di prima, ora si erano accese delle candele all'interno della chiesa ed il vento aveva ripreso a soffiare come non mai.
"Devi fare affidamento sui tuoi uomini, sui tuoi parenti e sugli amici. Raggiungi Foraz-Dor e guardati dagli altri soldati alleati dei Pemry, non puoi permetterti errori" fu l'ultimo suggerimento di Mindael, poco prima di scomparire insieme all'altro dio, lasciando al loro posto una fitta nebbia che invase ogni antro dell'edificio. Ora regnava la quiete e dalla finestra si poteva vedere un cielo oscuro, era notte.
Rart impugnò nuovamente la spada ma non la rinfoderò per sicurezza. Si alzò e cominciò a dirigersi verso l'unica via d'uscita. Cosa doveva fare? Sembrava tutto così reale ma non riusciva a svegliarsi. Perché? Forse non aveva visto tutto quello che avrebbe dovuto vedere.
Quando la mano dell'uomo afferrò una maniglia del portone, le voci sussurranti ripresero ad infestare la costruzione. Rart si voltò per un ultima volta, le due statue erano al loro posto, immobili. Come il capitano spalancò la porta, si trovò di fronte ad un grande leone semitrasparente. L'uomo riconobbe quella imponente figura, si trattava del grande Realthas, il dio della luce. La grande belva sembrò sogghignare per qualche secondo, poi si scagliò verso il cavaliere, il quale schivò l'attacco buttandosi a terra da una parte. Il capitano corse sotto il lungo portico verso una piccola galleria attraverso un muro. Ma con grande sorpresa dell'uomo, a bloccare il passaggio vi era un'altra creatura. Sembrava una donna con grandi ali da angelo, coperta da velluto dorato. Era la dea della luce Invara, che fluttuava aggraziata dinnanzi a lui.
Rart decise allora di spostarsi verso il centro del piccolo giardino all'interno di quella sorta di cortile. Ad un tratto ritornò il leone che decise di scattare contro l'uomo, ancora una volta. Il cavaliere indietreggiò fino ad inciampare sopra una pietra e quando la creatura gli fu a pochi centimetri dal viso, questo gli puntò contro la spada, infilzandolo nel torace. Il tempo sembrò fermarsi per un istante e tutto venne risucchiato in un vortice. La chiesa, gli alberi, i portici, le due divinità e persino il cielo stellato, tutto scomparve freneticamente in un enorme vortice che finì per risucchiare anche Rart, portandolo a destarsi definitivamente.
Quando l'uomo si svegliò era ancora tutto buio e lui si trovava disteso in posizione fetale sulle fastose lenzuola, mentre fuori si udiva lo strepitare del braciere. Il capitano aveva infatti ordinato che diversi falò rimanessero accesi fino all'alba, così che le guardie potessero anche controllare meglio la situazione nell'accampamento dalle alture dove erano situate.
Rart si distese per bene e rimase sdraiato per ancora un'oretta circa, pensando allo strano sogno, ma lui non era mai stato un tipo religioso e non aveva intenzione di diventarlo in una notte per via di un sogno che qualsiasi altra persona avrebbe definito "premonitore".
Passata un'ora giunse il cavaliere Seafor, il quale chiese permesso prima di entrare nella grande tenda.
"Dovrei dare la sveglia signore" annunciò.
" Procedi pure" rispose il capitano alzandosi lentamente.
Così dopo un minuto cessò il silenzio, sovrastato dal suono di cinque trombe che avrebbero dovuto svegliare i soldati con una piccola melodia, accompagnata dal rullare di un paio ti tamburi. Era la procedura per gli accampamenti di grandi dimensioni, quindi sarebbe stata una delle ultime volte che qualcuno la avrebbe sentita. Per le pattuglie o durante gli spostamenti, quando si mobilitavano piccole parti di un intero esercito, erano soliti dare la sveglia direttamente a voce, a volte facendo il passaparola.
Le truppe sembravano ancora assonnate ma evidentemente rinvigorite dal riposo, anche se nessuno avrebbe fatto colazione: due pasti al giorno d'ora in avanti sarebbero stati sufficienti. Entro poche ore tutti gli uomini erano pronti, le tende al loro posto sui carri e i cavalli abbeverati.
"Si parte!" urlò Rion. La grande massa di soldati riprese il viaggio per il Vallo dei Prodi, luogo ancora lontano e che ora distava due giorni a cavallo, forse più. Il Lago dei Gyrri era alle loro spalle ed Eonas continuava a voltarsi per cercare di ricordare quel posto dove era nato e aveva trascorso una bellissima infanzia.
Seafor si avvicinò al capitano seguito da Rion, il quale teneva in mano una mappa.
"Mio signore! Dovremmo parlarle con urgenza" disse il cavaliere.
Rart si voltò di scatto e rallentò, poi venne raggiunto dai due uomini che lo affiancarono da entrambi i lati, quindi il cugino gli mostrò una mappa e indicò con l'indice un percorso alternativo.
"Cosa vorreste dire? Parla" ordinò il capitano.
" Questo è un bosco che porta direttamente al Vallo, potremmo tagliare la strada ed accorciare il cammino fino ad arrivare con un giorno di anticipo" disse il cugino.
"Quindi saremo al confine entro domani sera" aggiunse compiaciuto Seafor.
Rart scosse la testa lentamente dopo aver valutato la situazione attentamente.
"Non è conveniente affidarci ad una via che non sia stata tracciata dai nostri esploratori. Potrebbe rivelarsi pericoloso" rispose l'uomo.
"Ma cugino! Sarebbe conveniente arrivare prima al Vallo dei Prodi! E poi nessun bandito oserebbe mai affrontare un intero esercito" replicò Rion.
"Non è per questo che mi preoccupo! Se non è stato ritenuto praticabile ci sarà un motivo! Non voglio correre rischi inutili! Quel percorso potrebbe anche essere interrotto da uno strapiombo, o da una montagna impervia, oppure potrebbe essere infestato da insetti nocivi e creature più infide. Mi spiace ma intendo procedere con questo percorso" disse il capitano.
Seafor sembrò convinto da quella risposta soddisfacente, ma Rion voleva insistere a tutti i costi, arrivando ad alzare la voce.
"Vuoi forse rovinare la nostra casata?! Perché rallenti il viaggio? Hai paura di combattere forse? Nel caso non lo avessi notato, non ci sono segnalazioni che indicano
l'impraticabilità del percorso!" sbottò l'uomo infuriato.
"Ora basta! Mi hai stancato!" tuonò Rart fermandosi, poi si rivolse al cugino.
"Questi sono gli ordini, io sono il capitano e io decido così! Non me ne frega niente se arriveremo tra due secondi o fra una settimana, quel che conta è arrivarci e sta tranquillo che la guerra non finisce prima del nostro arrivo! Ha continuato per anni e per anni continuerà!" esclamò il capitano.
" Quindi significa che non dobbiamo dare aiuto ai nostri commilitoni che si stanno battendo valorosamente al fronte, che muoiono ogni giorno e che magari potrebbero sollevarsi vedendo arrivare i rinforzi con viveri e bevande fresche! La guerra potrebbe finire con il nostro arrivo al fronte!" rispose il cugino. Le truppe sembravano dare segni di assenso per quel discorso anche se rimanevano sempre dalla parte del capitano che molti di loro avevano visto combattere durante i tornei, o di cui avevano sentito le gesta, narrate dai familiari o dagli amici. Rart si era sempre rivelato un perfetto strumento di propaganda.
"Non ho detto questo e i soldati non cesseranno di morire col nostro arrivo! Ora vedi di stare al tuo posto e non discutere più, se non vuoi che ti faccia mettere ai ferri! Proseguiamo per questa strada!" replicò il capitano per concludere la discussione. Rion rimase in silenzio ma non intendeva starsene in disparte durante il lungo viaggio. Qualche uomo a lui fedele lo avrebbe seguito per il percorso alternativo, senza rallentare o fare pause, ma soprattutto senza il cugino. La lunga fila di soldati riprese la marcia senza dire una parola, anche Seafor la pensava come il capitano e sapeva che qualsiasi cosa avrebbe deciso sarebbe stata un successo per tutti. L'ufficiale luogotenente sapeva che Rart era diventato più saggio e ne aveva avuto la conferma proprio in quel momento. Lui era stato un allievo del maestro Palrid proprio nell'ultimo periodo in cui il capitano si allenava.
Anche quel pomeriggio i soldati fecero una breve pausa della durata di pochi minuti, quanto bastava per fare riposare gli uomini ed i cavalli che furono anche abbeverati. Rion si era spostato fino alla retroguardia e Rart non si fidava a lasciarlo laggiù, anche se doveva ammettere che era un sollievo non averlo tra i piedi. In effetti il cugino era ben più distaccato dal resto dell'esercito, più di quanto il capitano potesse immaginare. Anche una decina di uomini erano andati con lui, preferendo la sua decisione o perché si trattava di amici che non avrebbero potuto non seguirlo. Effettivamente la maggior parte degli uomini rimanevano fedeli al capitano, benché molti di loro non avessero capito pienamente il suo ragionamento, in fondo non sarebbe stato così male stare lontani dai combattimenti per ancora pochi giorni. Rion aveva scelto due ufficiali, tre cavalieri e quattro fanti semplici, un piccolo numero che lasciava immaginare quanto l'uomo si sentisse sicuro. Con un numero così ristretto di soldati anche i banditi non avrebbero tentennato ad attaccarli, senza contare che un cavaliere portava una lunga asta con un enorme vessillo che sventolava vistosamente, cosa alquanto assurda se si trattava di un percorso non praticato.
Quando la lunga fila di uomini riprese il tragitto, nessuno si accorse dell'assenza del gruppo di soldati al seguito di Rion Tenbri, non fino a quando un porta ordini che doveva comunicare una cosa urgente notò che l'uomo che cercava era apparentemente scomparso.
"Capitano! Mio signore, tuo cugino non c'è!" esclamò un cavaliere galoppando in tutta fretta verso Rart.
"Come sarebbe a dire? Spiegati meglio!" rispose il capitano.
"Non lo troviamo da nessuna parte, anche altri otto uomini sembrano essere scomparsi. Un fante ha detto di averli visti partire per un piccolo sentiero. Dicevano di essere stati autorizzati a fare un giro di pattuglia!".
Il capitano spalancò del tutto gli occhi e cominciò a sudare, forse perché conosceva il cugino e sapeva benissimo cosa aveva in mente di fare. Era fin troppo ovvio ma lui come avrebbe dovuto agire in quel caso? Per quale motivo ci doveva sempre essere qualcosa o qualcuno a complicargli la vita? Rart non era mai stato il tipo di persona da abbandonare gli amici o commilitoni. Bisognava andare a recuperarli.
Due ore dopo il loro distacco dal resto dell'esercito, Rion e i suoi pochi uomini fidati avevano raggiunto il percorso da loro designato come più veloce per arrivare al Vallo dei Prodi, anche se non avevano tenuto a mente l'importanza di altri fattori decisivi per il proseguimento di quella via. Non appena il gruppo era giunto di fronte al sentiero desolato, avevano potuto notare tutti un cartello che indicava la presenza di possibili briganti nella zona. Verso le tre e mezza circa si trovavano nel bel mezzo di un fitto bosco di sempreverdi e più proseguivano, più faceva freddo e si vedeva la neve sopra alberi e sul terreno circostante, a chiazze, come se non avesse più nevicato da giorni.
"Avevi ragione tu Rion, questa strada ha solo bisogno di una ripulita. Il capitano è davvero un fifone!" disse uno degli ufficiali di nome Versal.
"Mi pare ovvio..." rispose Rion stizzito.
Mentre cavalcavano si sentiva un rumore di foglie secche calpestate alla loro destra, dietro un rilievo nascosto da diversi pini innevati. Forse si trattava di un animale, forse della foglie che cadevano ma i fanti cominciarono a bisbigliare qualcosa a proposito dei banditi e Rion fece un gesto con le mani che imponeva al gruppo di fermarsi.
"Non penserete mica di dare importanza a quel dannato cartello? Gli unici esseri che possono vivere in luoghi come questi sono i cerbiatti o, al massimo, i cinghiali" disse l'uomo rivolgendosi ai fanti, ora scrupolosamente guardinghi.
Ma ad un tratto udirono qualcosa che non poteva provenire certamente da un animale, una voce stridula prese a farfugliare qualcosa, poi esplose in una rumorosa e acuta risata che spaventò il gruppo.
"Gli spettri!" gridò un soldato che prese a correre indietro, sperando in vano di sfuggire agli assalitori. Non passarono neanche due secondi che uno sperone appuntito legato ad una catena centrò la schiena del fuggitivo, il quale cadde in ginocchio con un gemito e prese a gridare disperato. Subito dopo qualcuno tirò con forza la catena trascinando di colpo il malcapitato nel bosco dal quale ne uscì privo di occhi e con la gola che grondava sangue.
Rion ordinò di stare compatti e formare un cerchio, ma i fanti armati di lancia e scudo si rivelarono incapaci di mantenere la posizione.
"Serrate le fila ho detto, sovrapponete gli scudi a scaglia e non fatevi colpire!" esclamò
l'uomo tentando l'impossibile, anche perché quello che successe poco dopo fece rabbrividire persino lui. Ad un tratto dalla vegetazione uscì un uomo calvo e talmente magro da sembrare scheletrico, aveva occhi color rosso sangue e marci denti affilati; impugnava una sorta di bastone ricurvo a cui era attaccato un rostro di punte acuminate. Non appena il bandito agitò l'arma al cielo, una ventina di uomini assetati di sangue comparvero ai lati del sentiero, ora avvolto da una sottile nebbia. Come se non fosse già una situazione alquanto disperata, pochi secondi dopo prese a nevicare, rendendo le cose ancora più difficili. Quegli abbietti rinnegati continuavano a sghignazzare e sussurrarsi cose in una strana lingua, incomprensibile per l'ufficiale della nobile casata dei Tenbri, il quale cominciava a temere il peggio.
"Dannazione serrate i ranghi! Sono reietti!" gridò Versal, anche lui preso dal panico nonostante si trovasse a cavallo proprio al centro del cerchio difensivo formato dai fanti.
Ad un tratto il reietto scheletrico che stringeva l'arma ricurva gridò spalancando più che poté la bocca, emettendo un urlo stridulo e inquietante che portò gli altri briganti ad attaccare il piccolo gruppo di soldati e cavalieri. Alcuni fanti abbassarono le lunghe lance per impedire agli avversari di avanzare, anche se l'azione si rilevò quasi del tutto vana. Un paio di reietti rimasero infilzati e stramazzarono a terra ma non passarono nemmeno cinque di secondi che altri briganti scagliarono delle piccole falci arrugginite dal tempo contro i soldati avversari. Un ufficiale e tre fanti perirono sul colpo, mentre un cavaliere cadde a terra ferito.
"Attaccate! Se li attacchiamo forse riusciremo a spingerli indietro!" gridava Rion agitando la spada a destra e manca. Non passò molto che un altro reietto intrappolò con una corda un ufficiale a piedi che stava aiutando il cavaliere ferito, poi venne trascinato dai briganti, i quali lo sgozzarono tagliandolo più volte al collo con falcetti e coltelli arrugginiti. A quel punto la posizione non era più difendibile e il clima non poteva certo dirsi dalla loro parte, così l'unico fante rimasto corse via, cercando in vano la salvezza nel tentativo di giungere a piedi al Vallo dei Prodi.
"Ripiegare! Continueremo la strada, non c'è altra scelta" annunciò Rion, d'altronde non si poteva fare altrimenti, anche perché l'inferiorità numerica era davvero troppa. All'uomo non piaceva l'idea di doversi ritirare contro una banda di briganti ma ora non c'era davvero scampo e aveva già perso la metà dei suoi uomini. Versal e un'altro cavaliere saltarono la piccola catasta di morti intorno a loro, preceduti da Rion, il quale aveva già superato il fante sopravvissuto, indeciso se mozzargli la testa per il codardo mostrato oppure lasciare che ci pensassero gli assalitori. In effetti avrebbe potuto fargli prendere tempo se lo avesse lasciato in vita e così fece. I briganti presero a correre come un branco di bestie selvagge inferocite e catturarono vivo il povero cavaliere ferito per poterlo torturare nel caso avessero perso di vista i suoi compagni.
I tre cavalieri galoppavano più velocemente che potevano perché cominciavano a pensare di essersi salvati dato l'assenza di cavalli tra i briganti, i quali non potevano certo permettersi di allevare e tenere in vita delle creature che potevano servire a sfamarli. Il fante correva con ancora la lancia stretta in pugno e la spada al fianco, mentre dietro la schiena era posto uno scudo non troppo grande, ma ben presto si era trovato ad essere solo, perso in quel sentiero maledetto. Non lontano da lui si udivano i briganti e se fosse rimasto lì in mezzo lo avrebbero sicuramente raggiunto e ucciso in chissà quale modo orribile, quindi decise di nascondersi sotto una roccia che spuntava da un rilievo affianco alla strada e formava una sorta di cavità naturale, al cui interno si trovavano solo una decina di pigne e ghiande ammucchiate.
Il terriccio era bagnato e faceva ancora più freddo di prima, mentre la neve continuava a scendere e la nebbia si faceva più fitta, come se qualcuno avesse voluto nasconderlo.
"Che Mindael mi protegga!" si disse mentre seppelliva la lunga lancia sotto la neve poiché rischiava di farlo scoprire. Non c'era più tempo, ormai era giunti di corsa i reietti e passarono proprio sopra di lui, con furiosi scatti e grida spaventose. I briganti calpestavano foglie secche, rami, urtavano alberi buttandoli a terra e uno di loro finì per inciampare sulla lancia del fante. Quest’ultimo si tirò più indietro che poté, cercando di non fare sporgere il mantello dalla cavità. L'abbietto raccolse l'arma, la osservò per qualche secondo e notò delle tracce sulla neve che portavano dritte dal soldato scampato. Il brigante però non le seguì e continuò la sua strada con la lancia del fante.
Quando il rumore dell'orda era cessato, solo allora l'uomo decise di uscire allo scoperto con cautela, ma doveva fare attenzione perché la neve poteva rivelare agli assalitori la sua posizione. Ora vicino a lui c'erano delle altre tracce, troppo grandi per appartenere ad uno di quei briganti, che si trattasse di un animale? Questo poteva spiegare le ghiande e le pigne all'interno della cavità e se quelle dovevano essere le provviste, allora non c'era tempo da perdere. Quando uscì completamente allo scoperto vide che un grosso animale simile a un orso si stava dirigendo proprio verso di lui. Il fante riuscì ad uscire con un capriola dopo essersi tolto lo scudo che aveva lanciato più avanti, per recuperarlo in seguito. La belva era alta almeno quanto lui e possedeva due fila di denti acuminati che parevano delle sciabole, aveva un pelo grigio chiaro con sfumature che andavano sul nero. Non appena il soldato si voltò per controllare che non ci fossero più abbietti, una orribile faccia gli si presentò davanti. Gli occhi rossi e le labbra viola, ancora sporche di sangue fresco dopo il pasto appena fatto col corpo di uno dei suoi commilitoni. Oltre alla grande belva quindi c’era anche uno dei briganti che doveva essere rimasto indietro precedentemente.
D'istinto il fante sguainò la spada cercando di compiere un fendente laterale, ma il reietto schivò l'attacco con un balzo indietro, poi cominciò a sghignazzare.
"Possibile che voi bastardi dobbiate sempre ridere? Ora ti do un ottimo motivo per smettere!" esclamò il soldato, quindi diede inizio ad una serie di colpi veloci che furono parati uno dopo l'altro dalla falce dell'avversario, il quale passò al contrattacco compiendo qualche fendente mirato alla gola. Nel frattempo l’animale si era stancato di aspettare e decise di caricare contro i due ma il reietto si scansò all’ultimo e fermò la belva con un colpo di ascia dritto in testa, mentre l’avversario si era allontanato e cercava di avvicinarsi approfittando dell’intervento della bestia. Proprio quando il brigante tentò un fendente dall'alto verso il basso, il fante si spostò di lato, gli afferrò il braccio e lo mozzò con un poderoso colpo ascendente. L'avversario indietreggiò agonizzante e cadde in ginocchio, quindi il soldato si fece avanti per porre fine alle sue sofferenze.
Il sangue del reietto bagnò il terreno, provocando come uno squarcio rosso scuro sopra la neve che cominciava ad avvolgere anche quella macchia rossastra e il corpo privo di vita che giaceva a terra.
Nel frattempo Rion e gli altri due cavalieri erano giunti di fronte ad un grande rilievo, dove li attendevano altri cinque briganti.
"Mietete le loro sudice anime!" gridò Versal agitando la spada. D'altronde loro tre erano a cavallo e meglio armati, inoltre erano stati addestrati a combattere e non si sarebbero mai potuti lasciare intimorire da quel gruppetto di bifolchi.
"Carica!" esclamò Rion cavalcando alla testa dei cavalieri rimasti. La formazione a triangolo dei tre uomini a cavallo riuscì a sfondare la piccola fila di reietti, facendo di loro una catasta di corpi esanime. Ma non appena ebbero compiuto il massacro, i cavalieri videro che il resto dei briganti li stava ancora inseguendo e Rion temeva di avere capito il perché. L'ufficiale ordinò ai due sottoposti di mantenere la posizione e si diresse più avanti, dove finiva il dosso e notò che la via era interrotta da uno strapiombo. All'estremità del rilievo era posto un piccolo santuario e quel percorso non era altro che una meta per i pellegrini.
"Ed io avrei perso degli uomini per raggiungere un luogo di preghiera? Luogo dove nessuno può pregare a causa dei briganti..." mormorò il cavaliere afflitto. Ma doveva pur avere uno scopo quel loro viaggio, forse erano stati gli dei a guidarli, o forse, più semplicemente, era stato l'egoismo di Rion stesso.
"Via da qui! Dobbiamo proseguire lungo il dosso sperando che non ci raggiungano!" gridò l'ufficiale. In effetti dovevano contare più sulla stanchezza degli avversari che sulla velocità dei loro cavalli. Mancava un chilometro prima del bosco che li avrebbe portati oltre il baratro ed i briganti stavano già correndo lungo la collina. I tre cavalieri spronavano i cavalli a galoppare più veloci ma non c'era niente da fare e gli avversari erano sempre più vicini. Ora le distanze tra la via di fuga e gli assalitori erano uguali ma i reietti potevano lanciare oggetti e un coltellaccio colpì in testa uno dei cavalieri, il quale perse coscienza ma, fortunatamente, non cadde da cavallo. A cadere fu invece il fidato amico di Rion, l'ufficiale Versal. Sfortunatamente per il cavaliere, due briganti si lanciarono addosso al suo cavallo, atterrandolo. "Versal!" gridò Rion voltandosi. L'amico strizzò l'occhio destro, dopodiché avvolse i due nemici col braccio e tirò le redini del cavallo verso il baratro, dove finiva il dosso e precipitò nel vuoto trascinando giù anche i due briganti.
Rion non si era fermato perché quell'atto era stato fatto dall'amico per dare più tempo agli altri cavalieri e se si fosse fermato non avrebbe fatto altro che rendere vana quell'azione.
"È caduto con onore e Astorx lo ricorderà!" si disse poi mentre sfuggiva agli inseguitori che avevano cominciato ad imprecare per il fallimento. Per consolarsi avrebbero torturato a dovere il prigioniero per qualche giorno, fino a mangiarselo vivo, sempre che non si fosse suicidato nel frattempo.
Rart aveva rinunciato a continuare le ricerche per via del tempo sotto suggerimento di Seafor, il quale si era imbattuto con la sua pattuglia in una decina di briganti. Il cavaliere ed i suoi uomini non avevano subìto perdite fortunatamente ma se avessero continuato avrebbero rischiato di perdere uomini e il capitano voleva tutt'altro.
"Maledizione! Speriamo di ritrovarli al Vallo sani e salvi" disse Rart, anche se le possibilità che ci fossero riusciti tutti non erano molte. Il cugino era avventato ma di certo non poteva dirsi così sciocco, inoltre non bisognava scordarsi che era stato addestrato da Palrid anche lui.
Quando calò la notte il giovane fante sopravvissuto al massacro da parte dei reietti era giunto di fronte ad un colle, sulla cui cima comparivano delle rovine. Pezzi di mura e mattoni sparsi nei dintorni; qualche rudere e tavole di legno marcio, consumato dal tempo. L'unica costruzione che pareva essere rimasta poco più intatta era una sorta di tempio, proprio al centro di quella che doveva essere una piazzetta. Il soldato camminò fino a giungere di fronte all'edificio dalle mura ancora solide ma semplici.
Davanti a lui era situata una grande porta in legno di quercia, solida anch'essa e con qualche rifinitura dorata sugli angoli. Il fante girò la maniglia e aprì la porta, quindi varcò la soglia con passi più indecisi e si assicurò di richiudere il portone alle sue spalle poi avanzò e mentre proseguiva si accorse di trovarsi in quello che una volta sarebbe stato sicuramente uno splendido giardino, ai cui lati erano poste delle aiuole colme di cespugli, ora secchi e un piccolo ruscello congelato percorreva parte del prato dividendolo da una parte, collegata tramite un piccolo ma elegante ponticello di legno.
Ad un tratto riuscì ad udire il cinguettio di qualche uccellino e si sforzò di immaginare quanto doveva essere stato bello quel posto un tempo, quindi si immaginò i fiori delle aiuole avere i colori più spettacolari che lui avesse mai visto.
Al centro del giardino troneggiava un bellissimo albero dal tronco ampio e possente, il quale presentava un fogliame rigoglioso e sembrava che le sue radici affondassero negli strati più profondi del terreno. Il soldato si avvicinò all'imponente albero fino a scorgere l'interno del tronco e sembrava emanare un'energia pura, libera e delicata.
Il giovane soldato poteva percepire i lunghi secoli da cui esisteva quell'albero così potente, poteva avvertire la forza della terra e riusciva a sentire la possanza indistruttibile della pianta, compresa la sua bellezza così rara e l'energia universale che celava al suo interno. Quell'enorme albero creava la vita e l'assorbiva; era forza ma anche debolezza; la sopravvivenza di quella pianta era indispensabile per la sopravvivenza degli uomini stessi ed essere coscienti di ciò significava anche avere l'elemento chiave per la propria e l'altrui vita. Il fante cadde in ginocchio, sopraffatto da quella vista e si soffermò su tutte le sensazioni terrene che riusciva a percepire, poi ritornò a guardare il giardino con i suoi occhi, lasciando che l'immaginazione svanisse come quelle foglie che ora si perdevano col vento e lasciavano silenziosamente quella mistica area. Dopo alcuni minuti il soldato si rimise in piedi e tornò indietro. Si sentiva stranamente felice perché ora aveva compreso veramente qualcosa e doveva assolutamente discuterne con il suo capitano ma ciò significava anche riuscire a sopravvivere ai briganti e alle bestie feroci che circondavano la zona. Si diresse ancora una volta verso la porta di legno di quercia posta all'estremità del giardino e la attraversò assicurandosi di richiuderla lentamente alle sue spalle, come se si trattasse di un elemento protettivo oltre ad essere una semplice soglia da varcare. Il soldato non aveva visto solo l'albero ma era riuscito anche a comprendere le parole di Mindael, il dio che aveva invocato lui stesso quel pomeriggio, mentre cercava di seppellire la lunga lancia poco prima di nascondersi dentro alla cavità. Mindael era il dio più legato alla natura, benché non esistesse una divinità che non lo fosse, lui era anche quello più saggio, capace di decidere per il bene del mondo e degli elementi che lo costituivano.
Quella guerra non era altro che il principio di un lungo e vasto futuro di sofferenze per la natura e tutto ciò che esisteva di bello in terra e dovunque, compreso l'antico albero. Il fante aveva compreso il suo scopo e sapeva che ad aiutarlo doveva essere Rart così che gli uomini potessero comprendere il vero significato della loro esistenza.
"Noi siamo stati scelti per badare alla natura, per proteggerla e accudircene. Se la guerra e il progresso continueranno saremo spacciati. Il significato della morte sta nella possibilità di riunirci alla natura ed alla sua costante energia, così delicata che si potrebbe spezzare in un attimo. Se l'equilibrio della civiltà cadrà, il mondo intero ne soffrirà!" si disse il giovane fante, consapevole del ruolo di tutti gli uomini.
"Bisogna ricordare al mondo intero che noi non possiamo svolgere il ruolo degli dei!".
Era notte fonda e Rion giaceva a terra, stremato dalla giornata confusa e affiancato dall'unico cavaliere sopravvissuto, ancora incosciente. Con le ultime forze rimaste e un briciolo di fortuna l'ufficiale era riuscito a raccogliere un po' di legna per accendere un falò, anche se ci volle più di un'ora prima che le pietre focaie riuscissero a bruciare i rami freddi raccolti, già scaldati sfregando un bastoncino che grazie all'attrito aveva provocato calore fino a rendere possibile l'accensione del fuoco.
Dopo aver seminato gli inseguitori, i due erano riusciti a proseguire senza incontrare altri ostacoli e avevano raggiunto un grande colle coperto da numerosi alberi, un luogo che dava le spalle al baratro dove si aggiravano i briganti, quindi non sarebbe stato troppo rischioso accendere un fuoco per scaldarsi. Inoltre si era fatto più freddo quando era calata la notte ed era possibile incontrare animali notturni che avrebbero rinunciato ad avvicinarsi a quel falò. Ma in quei luoghi si celavano bestie che avrebbero fatto di tutto pur di mangiare in un periodo così freddo, gli animali notturni
come i lupi dal manto nero non potevano di certo esitare di fronte ad una cena così ricca, inoltre uno dei due cavalieri era privo di sensi a terra. Rion udì un ululato e si guardò subito attorno, poi vide qualcosa aggirarsi fra gli alberi intorno a loro, così decise di sguainare la spada, di certo quella notte non avrebbe potuto permettersi di chiudere occhio, ammesso che fosse riuscito a sopravvivere.
D'un tratto apparvero tre feroci lupi coperti da una folta pelliccia blu, erano animali particolari che vivevano soprattutto entro i territori dei Tenbri, i quali si erano subito mostrati capaci di addomesticarli e molti facevano la guardia ai giardini di Foraz-Dor.
Quando arrivava la primavera e le giornate cominciavano a farsi più calde, i lupi dal manto nero, detti anche férali dagli abitanti della zona o dai cittadini con i quali avevano fatto più amicizia, riuscivano a perdere il pelo in pochissimo tempo fino ad accorciarlo di molto, mentre la pelliccia passava da essere ispida a liscia, così i bambini amavano accudire queste creature che venivano abbandonate dalla madre e dal padre quando erano ancora dei cuccioli perché potessero imparare da soli a sopravvivere in quel mondo così duro e pieno di pericoli. Ora il cavaliere doveva cacciare quelle belve selvagge cresciute senza amore né affetto, in mezzo ad un bosco rischiando di morire di freddo. Quando un lupo fece per attaccare l'uomo, questo si preparò ad attaccare ma non si accorse che un'altra bestia era scattata contro di lui da dietro con un ringhio, atterrandolo dopo aver effettuato un balzo e mordendolo al braccio sinistro. Rion sembrava spacciato ed ora anche il lupo che aveva di fronte fino a qualche secondo prima si stava avvicinando con aria minacciosa, spalancando la bocca per mostrare le fauci così fatali. Ad un tratto qualcosa trapassò la bestia che lo aveva scaraventato a terra e costrinse l'altra a indietreggiare. Si trattava del cavaliere che aveva perso conoscenza ed in quel momento era riuscito ad affondare la spada contro il lupo, troppo affamato per guardarsi attorno mentre Rion si era affrettato a tornare in piedi, pronto a difendersi anche se ferito e stremato.
"Grazie figliolo, ora cerchiamo di spaventarli" disse l'uomo.
"Io ti guardo le spalle. I férali sono astuti e cercheranno di aggirarci" rispose l'altro cavaliere.
Ora si che la probabilità di sopravvivere si era alzata. Si ma di quanto? Di sicuro in due potevano guardarsi le spalle, la cosa più logica da fare quando si è in minoranza e c'è il rischio di essere attaccati era proprio quella ma non era l'unico modo per cavarsela. I Tenbri, infatti, conoscevano i punti deboli di quelle bestie e sapevano perfettamente che per liberarsene bastava provocare molto fumo.
"Dai fuoco a quello straccio" disse Rion convinto, indicando un pezzo di stoffa vicino ai cavalli, i quali erano miracolosamente vivi nonostante fossero presenti almeno ancora tre lupi. In effetti era risaputo che la carne di cavallo era indigesta per i férali, anche se creature carnivore e, in quel caso, estremamente assetate di sangue.
I férali non erano comuni lupi e avevano punti deboli diversi così come avevano abilità diverse, oltre a quella di poter vivere anche nelle condizioni più impervie a diverse decine di gradi sotto lo zero.
Dopo aver incendiato il panno ed averlo passato con cautela a Rion, il cavaliere si rimise subito in guardia.
Il membro della famiglia Tenbri si affrettò poi a posare lo straccio a terra tra alcune foglie secche e la neve, dopodiché afferrò lo scudo e si affrettò a soffocare le fiamme. Il miscuglio di neve, aria fredda, foglie e calore provocato dal fuoco stesso provocarono una vampata di fumo che si liberò appena in tempo, quando due lupi decisero di attaccare contemporaneamente l'uomo, il quale sollevò lo scudo e fece scaturire la cortina che mise in fuga le belve.
"Strani animali i férali..." mormorò poi asciugandosi le lacrime provocate dal fumo.
"A proposito, io sono Derath" si presentò l'altro cavaliere.
"Sei il parente del mio amico Versal?"
"Si esatto, sono suo nipote. Mio zio è morto, vero?"
Rion rimase per qualche secondo in silenzio, ricordando come il fedele amico era morto eroicamente permettendogli di fuggire.
"Era un brav’ uomo..." rispose in fine, poi si voltò e rinfoderò la spada.
Il mattino seguente la truppa guidata da Rart era giunta in un incrocio a “t” alla cui sinistra ci si poteva collegare con la strada percorsa dal cugino. Il capitano si chiedeva se non fosse il caso di prendere quella scorciatoia e se il parente fosse già arrivato alla meta.
"Che idiota, con la velocità attuale anche noi potremo arrivare questa sera al vallo. Perché mi deve disubbidire?" si disse.
"Signore, si avvicina qualcuno da sinistra!" lo informò Seafor indicando il sentiero che avrebbero potuto prendere come scorciatoia.
Una piccola pattuglia era stata inviata in precedenza per verificare che la strada non fosse bloccata e che non ci fossero banditi, così avevano sentito il rumore di più cavalli che galoppavano nella loro direzione.
"Preparate diverse sentinelle per controllare la situazione lungo tutta l'area circostante e dì all'avanguardia di assumere una formazione difensiva a semicerchio qui davanti. Al resto della truppa ordina di serrare i ranghi e che tutti gli arcieri siano pronti!" ordinò Rart con decisione ma senza perdere la calma.
Ad un tratto si riuscì a notare movimento vicino ad un rilievo, dove alcuni alberi avevano preso ad oscillare, poi un gruppo di corvi si alzò in volo all'improvviso, allarmando ancor di più i cavalieri.
"State in guardia e non lasciatevi intimorire, qualsiasi cosa esca fuori dalla vegetazione" disse Seafor sguainando la lunga e pesante spada a due mani regalatagli dal maestro Palrid in persona durante un torneo in cui arrivò terzo, dopo Rart Tenbri.
Dopo pochi minuti di attesa però ecco comparire due cavalieri dall'aria afflitta, stravolti dal viaggio percorso probabilmente o da chissà quali è quante minacce incontrate lungo il cammino.
"Dì agli ufficiali di fare muovere la baracca. È quell'idiota di mio cugino che torna ad implorare perdono..." ordinò il capitano rivolgendosi al luogotenente Seafor.
Rion sembrava essere tornato da una battaglia durata anni e forse ora sapeva cosa voleva dire rischiare la pelle per ritrovarsi poi senza più uomini con cui lottare insieme, ma l'orgoglio dell'ufficiale era troppo e chiedere scusa voleva dire lasciare che i soldati prediligessero il cugino e questo non sarebbe dovuto accadere. La lezione l'aveva imparata e ora stava a lui decidere se rimanere avventato e scaltro, oppure usare il cervello e riflettere sulla quantità di uomini persi senza aver inferto danni agli avversari che probabilmente staranno banchettando con i corpi dei fedeli cavalieri che avevano fatto l'errore di seguire Rion. Tuttavia non c'erano scuse per l'accaduto e non sarebbe mancata la punizione per il trasgressore.
"Tutta qui la tua truppa?" fece Rart avvicinandosi al cugino, il quale non poté fare altro che abbassare lo sguardo, "Ma certo! Devono essere tutti al Vallo che ci stanno aspettando! Ovviamente tu sei tornato per dirmi che avevi ragione" continuò in tono ironico.
"Se avessi avuto più uomini non ci avrebbero attaccati! O comunque saremmo riusciti a respingerli con facilità" replicò Rion pur sapendo di aver torto.
"Ancora cerchi di giustificarti? A quale prezzo saremmo riusciti a passare dalla scorciatoia? Forse non ti rendi conto della situazione! Ti farei giustiziare immediatamente ma non do l'ordine per il semplice fatto che sei un membro della famiglia, comunque sarai addetto alla pulizia dei piatti, inoltre dovrai pensare a dare da mangiare a tutti i cavalli ed eseguirai ordini da qualsiasi uomo si trovi in questo esercito, anche se si dovesse trattare del cuoco o del tuo stesso scudiero e così sarà fino all'arrivo al vallo!" rispose il capitano mostrandosi severo più che poté.
Il cugino alzò lo sguardo, poi diede un cenno di assenso chinando il capo e si recò al carro contenente le riserve di mangime per i cavalli poiché gli animali erano tanti e lui da solo avrebbe dovuto pensare a sfamare ogni singola bestia. Un lavoro più umiliante, una giornata così raccapricciante non l'aveva mai passata e pur non sopportando questo genere di mansioni avrebbe dovuto mostrarsi pentito per potersi riscattare e fare in modo che i soldati non lo vedessero come l'uomo che avrebbe potuto portarli tutti alla sciagura.
Nel frattempo una figura irrequieta si avvicinava alla lunga fila di cavalieri del potente feudo. Si trattava di un uomo che portava sull'armatura il simbolo della regione di Ennearel.
"Signore! Abbiamo trovato un altro superstite!" esclamò una sentinella correndo dal capitano.
Quando Derath, il nipote di Versal, vide il fante scampato al massacro, lo riconobbe subito e si apprestò a dargli soccorso.
Il ragazzo non indossava più l'elmo ed i ricci capelli neri gli cadevano sul viso; aveva un mantello marrone con un colletto rivestito di pelliccia nera e l'armatura predefinita dei fanti reclutati dal feudo dei Tenbri. La spada al fianco non era quella in dotazione ai soldati regolari che venivano presi dalle campagne o dalla servitù ma si trattava di un’arma ben più sfarzosa a giudicare dall’elsa e il suo viso sembrava alquanto stravolto, come si poteva notare dalle occhiaie e dalla sporcizia che i suoi abiti avevano accumulato. Gli occhi dall'iride verde erano fissi sul capitano e quando anche Rart si voltò a guardarlo, un ghigno sembrò apparire su viso del fante poco dopo, anche se il comandante delle truppe non riuscì a capirlo poiché la barba mal curata del soldato gli copriva quasi del tutto le labbra.
"Portate subito acqua e cibo ma prima fate in modo che si lavi e che indossi degli abiti puliti. Non vorrei che cominciasse proprio adesso un'epidemia tra le fila di questo già abbastanza sporco esercito! Inoltre il cavaliere di nome Dareth ha detto di aver contratto dei parassiti che infestano i capelli quindi sarà bene fare dei controlli e accertarci che gli insetti non dilaghino" ordinò Rart, anche se consapevole del fatto che prima o poi sarebbero stati tutti vittima dei parassiti o peggio. D'altronde si trattava di un esercito e in quanto tale non c'era il tempo di pensare alle pulizie, quindi gli abiti sarebbero diventati sempre più sudici, giorno dopo giorno.
Il contingente continuava a marciare per il luogo prefissato per fermarsi prima di andare in prima linea al confine ma probabilmente ci avrebbero messo ancora diverse ore prima di giungere al Vallo come aveva stabilito il capitano.
Eonas Felictis era stato incaricato di prendersi cura del fante reduce dall'imboscata degli abietti, aveva deciso di andare a prendere una piccola botte d'acqua e la stava portando sul carro dove il soldato scampato alla morte cercava di riprendersi.
"Grazie ma non c'è bisogno che vi preoccupiate" mormorò con voce rauca il fante sdraiato sotto due coperte di lana.
"Hai bisogno di rimettenti in forze e poi Dareth ci ha raccontato ogni cosa. Deve essere stato tremendo..." rispose Eonas porgendogli una piccola caraffa di legno colma d'acqua.
Non appena il soldato afferrò la brocca, il carro urtò una buca, permettendo ad alcune gocce del liquido di sobbalzare fuori andando a bagnare una coperta. Il cavaliere non badò più di tanto all'inconveniente e prese a bere avidamente il contenuto della caraffa, arrivando a svuotarla entro pochi sorsi.
"Come ti chiami?" domandò poi lo scudiero.
"Io sono Jirk Lubers, piacere" sussurrò l'altro distendendosi dopo aver posato a terra la brocca di legno ormai vuota.
Una volta udito quel nome, le palpebre di Eonas parvero spalancarsi del tutto e il giovane scudiero si alzò per recarsi dal capitano.
"Non ti avevo forse detto di badare al ragazzo sopravvissuto?" sbottò Rart vedendo Eonas avvicinarsi di fretta.
"Lo so, chiedo scusa ma avrei una domanda da farti" rispose lo scudiero cercando di prendere fiato. Il capitano scese da cavallo per consentire al ragazzo di spiegarsi senza doverlo rincorrere a piedi.
"Vuoi chiedermi cosa ci faccia qui un membro dei Lubers, non è così?" fece Rart.
"Quindi tu lo sapevi?"
"Diciamo che lo ho riconosciuto quando poco fa si è presentato miracolosamente di fronte al reggimento. Ovviamente lo conoscevo già e credo di sapere il perché della sua presenza qui".
Rart aveva conosciuto parecchi membri delle altre casate e sapeva bene che i Lubers non erano in ottimi rapporti coi Tenbri da quando, anni prima, il capostipite dei Pemry aveva ordinato l'esecuzione degli abitanti di un piccolo villaggio al confine che erano stati accusati di brigantaggio. Non vi erano prove di quelle accuse ma alcuni mercanti e cavalieri provenienti da ovest erano stati trovati morti nei pressi di quel villaggio. I Lubers non vollero permettere che dei loro sudditi venissero passati per le armi e quando decisero di andare a trattare con i Pemry per poi dichiarare guerra in caso di esito negativo, i Tenbri si schierarono dalla parte opposta, nonostante le due famiglie si fossero sempre aiutate a vicenda nel momento del bisogno.
Alla fine i Lubers videro quel gesto come un tradimento e non poterono dichiarare guerra perché troppo inferiori di numero rispetto alle due casate che, oltretutto, erano le più potenti. Gli abitanti del villaggio furono giustiziati tramite impiccagione, risparmiando solo i bambini come gesto "caritatevole" poiché secondo il capo famiglia non avevano colpa, contando poi che dai tredici anni in su non erano considerati bambini. Alla fine si scoprì che i furti e gli omicidi erano avvenuti a causa di una banda di mercenari che compivano razzie pagati dagli Oskaret e spostandosi di regione in regione. Quando i Lubers vennero a sapere della notizia, non ci furono più trattative con i Pemry e il feudo si chiuse in se stesso, chiedendo per un'ultima volta l'aiuto dei Tenbri i quali rifiutarono mettendosi in rapporti ancor più difficili con i Lubers. Questi ultimi si aprirono ai commerci con tutti gli altri paesi solo un anno prima che la guerra contro la regione di Sikowalth cominciasse, per salvaguardare il proprio feudo dagli infedeli invasori. I Pemry si scusarono e per dimostrarlo diedero ai Lubers la possibilità di non essere annessi e continuare a rimanere un feudo indipendente.
La presenza dei Lubers tra le fila dell'esercito era stata decisa dai Pemry stessi, giustificandola con la riappacificazione di entrambe le famiglie ma secondo il capitano i conti non tornavano e c'era qualcosa sotto a questa faccenda.
"Eonas, tu avrai anche il compito di tenerlo d'occhio" disse poi Rart fissando l'orizzonte e scrutando il cielo che si tingeva di sfumature arance e gialle durante il tramontare del sole.
"Vuoi dire che devo spiarlo?" chiese lo scudiero a bassa voce.
"No. Intendo dire che devi proteggerlo" rispose semplicemente il capitano che montò a cavallo e si avvicinò ad uno degli ufficiali per dare ordini riguardo a dove accamparsi per la notte e come disporre le sentinelle.
Il Vallo dei Prodi distava ancora pochi chilometri nonostante quel giorno avessero pranzato in anticipo e in poco tempo, quando erano tornati Rion e gli altri due cavalieri.
Quando il sole calò del tutto lasciando al suo posto l'oscurità, la lunga fila di soldati prese disposizioni per l'accampamento momentaneo e una distesa di torce e falò illuminarono il campo su cui erano state montate le tende. Due gruppi composti da pochi cavalieri erano stati mandati a pattugliare intorno alla zona e avrebbero ricevuto il cambio solo dopo quattro ore. Una prima pattuglia cominciava il giro da percorrere e quando si trovavano a metà strada partiva anche il gruppo successivo, così l'area interessata era protetta in modo costante da più individui, oltre alle sentinelle, una decina in tutto, sparse lungo l'accampamento. Rart aveva organizzato questo tipo di sorveglianza proprio perché si avvicinavano sempre più al confine e non era da escludere la possibilità di incontrare piccole truppe di soldati nemici inviate a fare razzia nel posto.
Eonas si chiedeva che intenzioni avesse il capitano e perché gli aveva detto di sorvegliare il ragazzo della casata Lubers. E perché persino Rart non sapeva della sua presenza fino a quel giorno? Forse era stato inviato per rafforzare i rapporti di amicizia delle due casate ma ora lo scudiero si domandava se non ci fossero altri membri di feudi indipendenti. Comunque le cose non cambiavano molto perché una volta raggiunta la postazione a sud dove erano stanziati i più grandi eserciti, il battaglione comandato da Rart si sarebbe mescolato agli altri e cavalieri di più casate avrebbero dovuto lottare insieme sul campo di battaglia.
Jirk Lubers, invece, si domandava perché i suoi parenti lo avessero mandato nel contingente dei Tenbri, da solo e senza neanche una piccolissima scorta. Tutto questo gli sembrava assurdo ma quando gli diedero l'ordine non rifiutò, temendo di mancare al giuramento di fedeltà fatto quando aveva dodici anni, appena prima di essere nominato ufficiale comandante della guarnigione. Il padre lo aveva addestrato di persona e aveva fatto di lui un buon stratega e gli era stato dato un rango alto appena possibile perché si accorgesse quante responsabilità comportava essere il secondogenito del signore feudale Darren Lubers. Purtroppo la chiusura del loro paese aveva fatto si che il giovane non potesse confrontarsi con gli altri membri dei feudi principali durante i tornei e per questo non poteva dirsi uno spadaccino alla pari di Rart o suo cugino. Rion sapeva della sua provenienza perché era stato avvertito dal padre Fendaron e avrebbe avuto il compito di comunicarlo anche al capitano ma così non era successo. In effetti i due avevano legato molto da quando era cominciato il viaggio, forse perché Rion ci teneva ad apparire bene di fronte ad un membro importante di un'altra casata e Jirk doveva trovare qualcuno con cui parlare e da prendere come riferimento durante il tragitto, per questo aveva deciso di seguire l'avventato terzogenito di Fendaron Tenbri in quello che si era rivelato un massacro disastroso, finendo per metterlo gravemente in pericolo. Fortunatamente il ragazzo era sopravvissuto: morire a diciassette anni non era tra le sue aspirazioni più ambite e durante la nottata, forse a causa del freddo, forse a causa della paura, gli era parsa una rivelazione davanti agli occhi. La vista dall'albero e immaginare quel l'insieme di elementi così meravigliosi dopo essere scampato per un soffio alla morte, avevano contribuito ad aprirgli la mente e visualizzare lo scopo secondo cui erano stati creati dagli dei. Jirk per un attimo si era spaventato ripensando alla sera precedente, forse stava delirando e avrebbe cominciato ad impazzire sempre più, anche se gli era apparso tutto così naturale e piacevole.
"Quale sarà il nostro destino? Alla fine chi perderà questa guerra? Probabilmente tutti, perché nessuno potrà ritenersi veramente vincitore..." mormorò infine, penando che avrebbe dovuto affrettarsi a comunicare al capitano ciò che aveva scoperto in quel tetro posto sperduto nella foresta.
Nel frattempo Rion era impegnato a pulire i piatti e i bicchieri che molti uomini avevano sporcato più del solito apposta perché grazie a lui erano morti diversi cavalieri e ad essersi salvati erano solo due soldati e l'ufficiale stesso che li aveva mandati in rovina.
"Ancora col muso?" domandò Rart venendogli in contro.
Il cugino si voltò per pochi istanti ma non rispose, anche perché non voleva finire per essere giustiziato veramente poiché le parole che sarebbero potute uscire avrebbero potuto urtare non di poco il capitano.
"Capisco, non vuoi che io infierisca troppo su di te anche perché, a quel punto, saresti costretto a rispondermi, quindi potrei decidere di farti impiccare su uno di questi bellissimi alberi che ricordano tanto quelli del percorso da te scelto come scorciatoia" continuò Rart sapendo di irritare il parente.
"Perché hanno scelto te come guida e ti hanno addirittura conferito il grado di capitano? Proprio non riesco a capacitarmi di questa decisione" rispose poi Rion in tono afflitto, tenendo il broncio.
"Allora, siccome non riesci a comprenderlo, ti conviene accettare la situazione com'è e basta. E fossi in te non cercherei il favore dei soldati con atti simili al precedente perché se vuoi rischiare la pelle, fallo da solo e non trascinare con te persone innocenti" lo rimproverò il capitano.
In fondo Rion non era cattivo e non aveva nemmeno intenzione di mandare allo sbaraglio l'esercito commettendo imprudenze, o meglio, non più adesso che aveva capito cosa voleva dire essere responsabili. Rart decise di togliere il disturbo e lasciare il cugino a riflettere in solitudine, com'era giusto che fosse.
Quella notte non era più fredda rispetto alle altre perché, nonostante si avvicinasse l'inverno, la regione meridionale era decisamente più calda e la presenza del mare lungo un piccolo tratto del confine ad est permetteva un clima temperato. L'accampamento era stato sistemato e suddiviso lungo tre grandi campi che i contadini non coltivavano più a causa delle irruzioni durante il primo anno di combattimenti.
Derath intanto aveva consumato il pasto e scrutava la strada che li avrebbe condotti al luogo dove rifocillarsi e riposare a dovere prima di gettarsi in prima linea. Si trattava di una piccola fortezza ai piedi della montagna più alta della regione, dove erano state costruite molte mura nel corso degli anni, da prima che la guerra ebbe inizio. Da quel punto ben sorvegliato era impossibile che irrompessero nemici provenienti da Sikowalth ma ultimamente le guardie erano diminuite di numero perché si dava più importanza al mantenimento delle imponenti mura al ridosso dei monti. Gli unici punti dove era possibile aspettarsi di ricevere attacchi erano al confine con i feudi Pemry e Lubers dove c'erano solo pianure o foreste. Il Vallo dei Prodi aveva tale nome perché a dare inizio ai lavori di fortificazione erano stati una manciata di uomini, circa cinquanta, che avevano dimostrato di essere capaci di resistere ad un'orda di mille reietti, ponendoli sotto costante pressione con dardi avvelenati e piccoli massi fatti rotolare da appositi condotti situati all'interno delle mura. I cavalieri che avevano difeso il feudo presidiarono quella zona che nel corso dei secoli fu soggetta ad altri innumerevoli attacchi e non sempre provenienti dall'esterno delle mura. I pochi discendenti dei “prodi” di quel paese diroccato alle pendici delle montagne non avevano obbligo di andare oltre al confine perché svolgevano un ottimo lavoro di sorveglianza e addestravano le truppe a dovere. Inoltre fabbricavano armi e armature proprie in modo da essere autonomi anche in stato di assedio e possedevano viveri a sufficienza per quei pochi uomini che avevano da sfamare.
La zona era diventata così sicura che nei dintorni avevano prosperato parecchi villaggi, prima che iniziassero le ostilità e quando i territori vennero presidiati dalle truppe appartenenti da più feudi.
Dareth era convinto che una volta superato quel punto non ci sarebbe stato più scampo per nessuno e ultimamente gli era giunta voce che i combattimenti non avevano accennato a migliorare, né l'uno, né per l'altro schieramento.
Ora però sarebbe stato più utile riposare per prepararsi al meglio alle giornate successive e magari avrebbe potuto trovare conforto nei sogni, ammesso che riuscisse a chiudere occhio.
Il mattino seguente le trombe suonarono la sveglia verso le sei e mezza e dopo una mezz'ora buona il contingente era pronto alla partenza, mentre Rart aveva previsto l'arrivo al vallo per l'una, infatti mancava davvero poco e l'esercito poteva permettersi di accelerare il passo rimanendo ad una velocità costante perché tutti erano riposati a dovere e quello che serviva perché la guerra volgesse a loro favore erano truppe fresche, anche se il capitano continuava a non farsi illusioni riguardo alla possibilità di vincere le battaglie contro Oskaret e feudi loro alleati.
La marcia proseguì fino a quando giunsero all'interno di una fitta boscaglia dove la strada era mal tenuta e più carri trovarono difficoltà ad avanzare perché spesso il peso che contenevano era troppo e le ruote si staccavano e volte si rompevano quando finivano col passare dentro una buca. A questo Rart rimediò riempiendo di terriccio le piccole fosse lungo il sentiero o ponendo per terra delle tavole sottili ma resistenti abbastanza per poter sopportare il peso dei carri, anche se voleva dire rallentare il passo, per non parlare degli alberi che impedivano il passaggio e facevano pensare a ostacoli messi apposta dai briganti per assaltare i convogli che portavano rifornimenti all'esercito in frontiera. In questi casi Seafor suggeriva di allargare il campo visivo delle sentinelle che percorrevano la strada parallelamente alla fila di cavalieri e veniva ordinato ai soldati di muoversi con cautela per evitare trappole da parte di eventuali reietti che amavano divertirsi con particolari congegni dotati di sottilissimi fili in grado di trascinare persone e animali dentro a fosse colme di sostanze corrosive, ottenute da una particolare muffa quando invecchiava. L'esercito proseguì a rilento il sentiero ma una volta usciti dal bosco dopo una serie di falsi allarme, la marcia riprese con più velocità e il contingente riuscì a scorgere il punto dove fermarsi per le due del pomeriggio.
"Eccoci finalmente!" esclamò Seafor indicando di fronte a lui con sguardo incredulo.
Davanti a loro si ergeva una grande vallata al cui termine l'orizzonte era nascosto da una imponente catena montuosa la cui cima rimaneva oscurata da una moltitudine di nuvoloni neri e al di sotto delle montagne si poteva scorgere una piccola città dalla quale partiva una serie di più grandi fortificazioni composte da torri e mura dello stesso colore dei mattoni con cui era stata costruita la fortezza di Foraz-Dor. Poco prima della cittadina fortificata era presente un laghetto che rifletteva i raggi del sole provenienti da ovest, provocando un luccichio scintillante che quasi abbagliava la massa di mille uomini che si era radunata sopra ad uno dei colli nei dintorni per poter ammirare il mitico paesaggio.
"Signori, siamo giunti al Vallo dei Prodi" annunciò Rart rimasto impassibile di fronte a quello spettacolo del quale lo sguardo percepiva solo inquietudine.
   
 
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