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Autore: jas_    10/11/2012    28 recensioni
«Allora, mi vuoi dire o no come mai ci hai messo così tanto a prendere una baguette? Nessuna conoscenza?» mi domandò Carmela, appoggiando le mani sui fianchi.
Alzai gli occhi al cielo, «no» brontolai.
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, «anzi, adesso che ci penso sì» mi corressi. «Non è che sia una conoscenza - precisai - diciamo che ho scoperto che la ragazza che lavora lì è del South Carolina.»
Carmela batté le mani entusiasta, risi lievemente chiedendomi se avesse davvero cinquant’anni quella donna perché a volte ne mostrava venti per come si comportava.
Si sedette nel posto accanto al mio scrutandomi seria, «e dimmi, è carina?»
Scoppiai a ridere piegandomi leggermente in avanti, «ma che c’entra! Non la conosco e non sono interessato!» esclamai, «però sì.»
«E cos’aspetti ad approfondire la conoscenza?»
La guardai sottecchi aspettando che scoppiasse a ridere da un momento all’altro o che mi dicesse “Harry sto scherzando!”, invece era estremamente seria.
«Tra dieci giorni me ne vado» constatai.
«E quindi? Dieci giorni sono più che sufficienti per innamorarsi!»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Harry e Lennon'
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Giorno 10

 

31 Dicembre

Lennon

 
Quella mattina nevicava, di nuovo. Ma in quel momento neanche i numerosi e leggiadri fiocchi bianchi che cadevano dal cielo avrebbero fatto si che il mio umore cambiasse. Ero depressa, sola il giorno di Capodanno ed avevo rovinato tutto anche con la sola persona che era riuscita a farmi trascorrere le più belle vacanze di Natale della mia vita: Harry.
Non avevo idea del perché gli avessi mentito, infondo io non ero responsabile di ciò che era successo, mi ci ero semplicemente trovata in mezzo. Oliver era il ragazzo che tutte sognavano, bello, in gamba, un po’ stronzetto forse, ma la cosa che più mi aveva presa di lui era stato il fatto che fosse un musicista. Lo avevo conosciuto in primavera, una mattina in cui al posto di andare a scuola avevo gironzolato a vuoto per la città con Jacqueline. Eravamo andate a Montmartre e Oliver e alcuni suoi amici avevano improvvisato un concerto per racimolare un po’ di soldi che avrebbero utilizzato per i loro vizietti. Li avevamo ascoltati rapite dalla loro bravura, Oliver non mi levò gli occhi di dosso per un secondo così come io feci lo stesso con lui. Iniziammo a frequentarci e, durante l’estate, mi chiese di diventare la sua ragazza. Sapevo che non era la persona migliore del mondo, era pieno di difetti, una famiglia disastrata, usciva tutte le sere e rincasava ad orari indecenti. Beveva tanto, troppo per un ragazzo di soli diciott’anni, fumava, se la spassava per bene, e ai miei ciò non andò mai a genio. Non potevo biasimarli, capivo anch’io la loro situazione ma a me Oliver piaceva, tanto, forse troppo. Mi faceva penare a volte, ma mi faceva incazzare era tanto quanto mi faceva sentire viva quando ci si metteva d'impegno. Quando mi dedicava canzoni, prendeva la sua macchina che a malapena stava insieme e mi portava in giro, così, giusto per il gusto di farlo, oppure quando mi regalava dei fiori, o mi faceva correre sotto la pioggia perché lui di ombrelli non ne voleva e non ne lasciava usare nemmeno a me.
Sorrisi a quella marea di ricordi che mi investirono come un fiume in piena e una lacrima mi sfuggì al controllo.
Non avevo detto nulla ad Harry perché forse mi faceva ancora male parlarne, non riuscivo a raccontare a nessuno come un incidente in macchina me lo avesse portato via, era impensabile poi farlo con il ragazzo che era riuscito a farmi andare avanti. Era passato ormai poco più di un anno dalla morte di Oliver, e da allora nessun ragazzo mi si era mai avvicinato, un po’ perché venivo considerata da tutti come una sottospecie di “vedova” e un po’ perché ero io che non lasciavo avvicinarsi nessuno.
Harry però si era presentato così, su due piedi, in panetteria, e con il suo sorriso sghembo, i suoi capelli senza una precisa forma e quegli occhi che così belli non ne avevo mai visti, mi aveva ipnotizzata. Mi era parso di tornare a respirare, dopo quattordici lunghi mesi di apnea, e non avrei permesso a nessuno, per nessun motivo, di rovinarmi quel momento. Forse era per quello che gli avevo mentito, non volevo che sapendo la verità il nostro rapporto potesse cambiare e che lui iniziasse a considerarmi proprio come facevano tutti.
Posai la tazza di caffè ormai  vuota nel lavandino, e il rumore riecheggiò a lungo nella casa avvolta nel silenzio. In quel momento la suoneria del mio cellulare irruppe in quella quiete, quasi angosciante, e allungai il braccio verso il tavolo per poter rispondere.
«Pronto?»
«Tesoro tutto bene?» era mia madre.
Mi sforzai di mostrarmi il più allegra possibile, nonostante in quel momento mi fosse praticamente possibile farlo.
«Sì tutto bene, sono tornata a casa stamattina per prendere dei vestiti, poi torno da Harry» mentii, ma mai e poi mai le avrei raccontato del nostro litigio.
«Oh, bene. Ti ho chiamata solo per sapere come stavi e per augurarti buon anno. Stasera andremo in quel posticino sull’oceano che piace tanto a papà e sai che lì il telefono non prende tanto bene quindi nel caso non riuscissimo a chiamarti, buon anno.»
Sorrisi e mi asciugai velocemente un’altra lacrima che prese a scorrermi sul viso, «grazie mamma, anche a te e a tutti, salutami gli zii.»
«Certo, lo farò. Divertiti stasera con Harry e fai gli auguri anche a lui!»
«Va bene mamma, ciao» e prima che scoppiassi a piangere, riattaccai.
 
Mi faceva strano vedere tutte quelle lapidi ricoperte di neve. Il cimitero era sempre stato un posto macabro per me, e vederlo tutto bianco mi dava una strana sensazione. Procedetti lentamente per il sentiero di neve calpestata da chi, probabilmente, aveva fatto visita a qualche caro prima di me. C’era un silenzio quasi assordante, in quel posto, una leggera nebbia avvolgeva tutto il cimitero conferendogli un’aria buia, aiutata dalle nubi che coprivano il cielo ma in contrasto con la neve che giaceva per terra.
La tomba di Oliver era ricoperta di fiori, come sempre, la sua foto pure, ma di neve. Tolsi una mano dalla tasca del cappotto per pulirla, scoprendo la sua faccia sempre sorridente e quegli occhi da cerbiatto, vispi e furbi, proprio come lui.
Mi inginocchiai, ignorando la neve che mi faceva congelare le gambe, coperte soltanto dalle calze nere che indossavo sotto il vestito, e appoggiai un mazzo di garofani bianchi sulla sua tomba, stando attenta a non calpestare gli altri fiori.
Rimasi in quella posizione per un tempo infinito, ogni volta che andavo a trovare Oliver mi perdevo nei meandri dei miei pensieri e a volte mi sembrava di rimanere lì per pochi minuti quando in realtà ci restavo per ore. Il buio che cominciava a farsi sempre più pesto mi costrinse ad alzarmi di lì, pulendomi le ginocchia dalla neve, e a uscire dal cimitero. Mi tastai le tasche del cappotto alla ricerca del cellulare per vedere che ore fossero, ma queste erano vuote. Avevo dimenticato il telefono a casa.
 

Harry

Vuoto. Ecco come mi ero sentito quella mattina mentre facevo la doccia, colazione, guardavo la tv dove trasmettevano film scadenti con tematiche natalizie che avevo visto un milione di volte. Ero anche solo in casa, avevo sentito mio padre parlare al telefono verso le nove, mentre si dirigeva verso la porta di uscita. Carmela non c'era, visto che quella sera il cenone lo avrebbe dovuto preparare Lennon. Ma neanche Lennon era lì.
Era pomeriggio, o forse sera. Fuori era ormai buio ma non avevo idea dell'ora precisa perché ero finito per perdere la cognizione del tempo, ma la neve non aveva mai finito di scendere e guardando fuori dalla finestra non si vedeva che una nebbia fitta e grigia. Mi alzai dal divano, stando attento a non calpestare il pacchetto ormai vuoto di patatine e alcune lattine di coca-cola che erano state anche il mio pranzo. In quel momento il mio cellulare, abbandonato in camera, prese a suonare. Attraversai il salotto e poi il corridoio come se avessi corso una maratona e fossi ormai in vista del traguardo, rischiai di inciampare nel tappeto non appena mi arrestai davanti alla porta e mi buttai sul letto per raggiungere il telefonino appoggiato sul comodino.
Quando lessi il nome di Liam sul display, sentii un moto di delusione pervadermi, ma infondo come avevo potuto pensare che sarebbe stata Lennon a chiamarmi? Le avevo urlato contro, dato della traditrice e della falsa nella convinzione che avesse un ragazzo di cui mi aveva nascosto l'esistenza quando in realtà il ragazzo in questione era morto. Mi ero scervellato tutta la sera precedente e anche la notte cercando di trovare i motivi per cui mi avesse nascosto una cosa così importante ma non ero giunto ad alcuna conclusione. Che c'era di male nell'aver subito un lutto? Anzi, magari avrei anche cercato di aiutarla, nonostante non fossi pratico nel consolare le persone. Ricordandomi in quel momento del telefono che mi suonava in mano, risposi portandomelo all'orecchio.
«Pronto?»
«Avevo paura mi rispondessi in francese!» esclamò Liam, con la sua voce profonda.
Risi, rendendomi conto che in effetti era da parecchio che non lo sentivo, e che cominciava a mancarmi.
«Come stai?» gli chiesi.
«Io e gli altri ragazzi ce la stiamo spassando alla grande, siamo in Scozia, nella casa dei nonni di Niall e passiamo le giornate andando con lo snowboard, quindi direi da Dio. Te invece? Com'è nella città dell'amour?»
Sospirai, ci mancava solo Liam a ricordarmi per l'ennesima volta che ero un coglione.
«Da schifo» borbottai.
«Come? Fino ad alcuni giorni fa non sembrava che la pensasti così» mi ricordò lui.
«Hai presente quella ragazza che ti avevo detto?»
Avevo parlato a Liam di Lennon durante la nostra ultima chiamata e cioè il giorno stesso in cui l'avevo conosciuta.
«Ci ho fatto amicizia» aggiunsi.
«Oh, bene! Allora perché va da schifo?» domandò lui.
«Ci siamo anche baciati» continuai, e in quel momento un coro di "oooh" mi costrinse ad allontanare l'iPhone dall'orecchio per evitare di perdere l'udito.
Liam rise, «mi sono dimenticato di dirti che sei in viva voce. Louis, Zayn e Niall ti stanno ascoltando.»
«Hazza non perde tempo!» esclamò Zayn, ancora divertito.
Scossi la testa senza tuttavia riuscire a trattenere un sorriso, «ciao ragazzi» li salutai poi.
«Scusa se ti abbiamo interrotto» questo era Niall, «continua col tuo racconto» mi spronò poi.
Sospirai, incupendomi di nuovo. «Ieri abbiamo litigato, ho fatto ma figura di merda» spiegai, passandomi una mano tra i capelli,  «l'ho sentita parlare al telefono con una sua amica riguardo un ragazzo, io pensavo che fosse fidanzata e che non mi avesse detto niente e invece...» le parole mi morirono in gola.
«Invece?» ripeterono loro in coro, pendevano dalle mie labbra.
«Stavano parlando del suo, credo si dovrebbe definire ex ragazzo, che è morto poco più di un anno fa» conclusi.
Qualcuno soffocò una risata, e poi ricevette un cazzotto - presumo da Liam - perché lo sentii gemere.
«Quanto sei coglione» fu il commento di Louis.
«Solidale come sempre» lo punzecchiai.
«E non l'hai più sentita?» s'intromise Liam, preoccupato.
«No, se n'è andata ieri sera e da allora non ho più notizie» bofonchiai.
«E cos'aspetti, scemo?» mi spronò Niall, che probabilmente stava mangiando dato che feci fatica a capire le sue parole.
«Cosa dovrei fare?» strillai quasi, sentendomi preso di mira.
«Andare da lei!» mi gridarono tutti in coro.
Farfugliai qualcosa di insensato, completamente preso alla sprovvista dalla loro reazione.
«Ora!» aggiunsero, di nuovo in contemporanea.
Sembrava si fossero messi d'accordo.
«Sono le otto di sera, magari entro l'anno nuovo, che ne dici?» mi prese in giro Louis.
«Okay ragazzi, grazie. Io...»
«Corri!» rise Liam, seguito dagli altri.
«Okay ciao» e riattaccai.
In fondo avevano ragione. Non avrei concluso niente standomene sdraiato sul divano a guardare film e mangiare porcate come una ragazzina. Mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa da mettere ma avevo ormai messo nelle valigie tutti i miei vestiti tranne quella tuta sgualcita che avevo indosso e con la quale non mi sembrava il caso di andare in giro, e lo smoking che aveva scelto Lennon e che avrei dovuto indossare quella sera. Decisi di mettere quello, mi vestii in fretta e furia senza disturbarmi di legare il papillon, presi il cappotto ed uscii di casa.
«Harry dove vai?»
Mi voltai di scatto e incrociai mio padre, appena uscito dall'ascensore, mentre io avevo deciso di usare le scale.
«Da Lennon» dissi con già il fiatone, data la mia poca atleticità.
Lo vidi sorridere, «meno male che hai preso da tua madre, vai, vorrà dire che quello a cenare da solo per questa volta sarò io» scherzò.
Gli sorrisi grato, stavo per andarmene ma mi venne l'impulso di andare da lui ed abbracciarlo.
«Scusa papà» mormorai poi.
«Scusami tu figliolo, ma ora vai, che non è galante fare attendere le signorine.»
Annuii quasi commosso e poi corsi giù per le scale, saltando qualche gradino ogni tanto, diretto verso la fermata della metro. Non avevo mai visto la città così affollata, dovevo farmi spazio a forza di spintoni tra la gente e quando notai la coda che c'era per fare il biglietto capii che quella non sarebbe stata la via più veloce.
Salii di corsa le scale e ritornai al freddo parigino, nevicava ancora, ma ormai i fiocchi erano piccoli e radi, quasi invisibili. Mi avvicinai al marciapiede di Rue de Rivoli e osservai il traffico intasato dalla neve, dai semafori e dai numerosi turisti che attraversavano la strada imperterriti. Avvistai un taxi che accostò di fronte a un negozio e fece scendere una famiglia, ero indeciso se fermarlo o no ma notando come procedevano lentamente le macchine capii che avrei fatto prima ad andare a piedi. Mi voltai a destra, verso casa di Lennon, e decisi che una camminata non mi avrebbe fatto male. Cercai di ripensare a ciò che mi aveva detto, quella strada continuava diritta fino a dove abitava lei, più o meno. Non sarebbe stato difficile arrivarci. Cominciai a camminare a passo sostenuto, non correvo solo perché sapevo che sarei finito per cadere per terra stremato. Presi il cellulare dalla tasca e cercai il suo numero, forse era il caso di provare a chiamarla. Mi accorsi che le mani mi tremavano, mentre scrivevo il suo nome nella rubrica, ero in ansia, avevo paura che lei mi avrebbe rifiutato e mandato a quel paese, e che l'avrei persa, se già non lo avevo fatto.
Uno squillo...
«Dai rispondi...» mormorai, mentre guardavo a destra e sinistra prima di attraversare la strada.
Due squilli...
Sospirai, alzando gli occhi al cielo grigio, plumbeo.
Tre squilli... Quattro squilli... Cinque squilli... Segreteria.
«Fanculo!» sbottai, mentre la voce registrata di Lennon mi invitava a lasciare un messaggio.
«Lennon ti prego rispondi» la scongiurai, «sono stato un coglione, lo so, e mi dispiace per quello che ti ho detto io... Non sapevo cosa ti fosse successo e ho frainteso tutto, posso capire se tu non mi vuoi rispondere ma ti prego, fallo. Devo parlarti.»
Omisi il fatto che stessi andando a casa sua, probabilmente sarebbe scappata o non mi avrebbe nemmeno risposto.
 
Cercai di riprendere fiato, prima di suonare al citofono. Quando avevo visto il suo palazzo in lontananza non ero resistito all'impulso di correre e ora sentivo i polmoni reclamare aria e il cuore scoppiarmi nel petto, un po' per lo sforzo e un po' per l'ansia. Presi un respiro profondo e citofonai, attendendo che Lennon mi rispondesse. Non poteva sapere che ero io, avrei imitato un'altra voce fingendomi il postino a costo di farmi aprire, ma non rispose comunque nessuno. Mi sporsi verso l'esterno e alzai gli occhi verso le finestre che sapevo essere di casa sua, ma non c'era nessuno affacciato e se io mi appiccicavo al portone era impossibile vedermi. Ritentai, forse era sotto la doccia, o forse stava dormendo e non mi aveva sentito, oppure...
In quel momento una signora anziana aprì il portone e mi guardò con aria interrogativa.
«Stai cercando qualcuno, giovanotto?» mi domandò
Annuii, sorpreso dalla sua domanda.
«Sto cercando Lennon, Lennon...» ci pensai su un attimo, come faceva di cognome?
Feci per voltarmi verso il citofono in modo da leggerlo ma la signora parlò.
«Sì certo, so chi è, ma non è in casa. È uscita alcune ore fa.»
Strabuzzai gli occhi sorpreso, dove poteva essere andata?
«Okay, beh, grazie signora» dissi gentile.
Lei mi sorrise, prima di incamminarsi lentamente sul marciapiede stando attenta a non scivolare sulle mattonelle ghiacciate. Mi passai una mano tra i capelli e decisi di andare nella direzione opposta rispetto a quella presa dalla vicina di casa di Lennon, senza una precisa meta.
 
La Senna scorreva indisturbata sotto i miei piedi, ero seduto su un muretto che dava direttamente sul fiume, con le gambe a penzoloni nel vuoto. La gente passava indisturbata alle mie spalle, sempre più felice dell'anno nuovo che ormai era alle porte, io invece avevo l'aria di un depresso. Se qualcuno con della segatura al posto del cervello avesse avuto la malsana idea di darmi una spinta sarei finito diretto nell'acqua gelata sotto di me, senza opporre resistenza. Starnutii per l'ennesima volta, avevo il sedere completamente congelato da quanto era freddo il muretto su cui ero seduto. Alzai lo sguardo ed osservai le luci della città davanti a me, un numero esorbitante di addobbi natalizi ma soprattutto, tanto caos. Caos delle macchine intasate nel traffico causato dalla neve decisamente abbondante che era caduta quest'anno, caos delle persone che ridevano, scherzavano e chiacchieravano allegre tra di loro. Caos del mondo che andava avanti mentre io sembravo essere rimasto indietro. Mi voltai a sinistra, la cattedrale di Notre-Dame sorgeva imponente sul suo isolotto in mezzo alla Senna, alla sua sinistra il quartiere di Saint-Michel, dove c'era il pub in cui mi aveva portato Lennon. Dove avevo conosciuto Jacqueline, Chantal e il resto della combriccola. Sorrisi ripensando a come aveva dato fastidio a Lennon il fatto che la sua "amica" non mi avesse levato gli occhi di dosso per tutta la sera, era adorabile vederla gelosa. Di me. Probabilmente non avrei più assistito ad una scena del genere, Lennon non si decideva a rispondermi al telefono nonostante l'avessi chiamata almeno una trentina di volte nell'arco di tutta la serata e inoltre io l'indomani sarei ritornato in Inghilterra. Quel pensiero che avevo sempre cercato di tenere lontano dalla mente mi colpì come un macigno, meno di ventiquattr'ore e avrei salutato Parigi, mio padre, ma soprattutto Lennon. Sempre se l'avrei trovata, visto che sembrava non avere la minima intenzione di parlare con me. Estrassi il telefono per vedere l'ora, erano le undici di sera ormai, possibile che fosse ancora in giro? Improvvisamente mi alzai, non ero più tornato a casa sua e probabilmente era lì, dove avrebbe potuto passare se no tutta la serata? Cominciai a correre nella direzione opposta rispetto a quella che avevo preso alcune ore prima, rischiai di cadere sulla strada ghiacciata e di attraversare col rosso un paio di volte. Quando arrivai davanti a casa di Lennon mi mancava il fiato ma allo stesso tempo mi si congelava la gola per tutta l'aria fredda che cercavo di immagazzinare. Suonai il citofono senza esitazioni, possibile che fosse ancora fuori? Probabilmente aveva qualche parente in città o qualche amico di cui non mi aveva mai parlato ed aveva deciso di trascorrere il Capodanno con loro, oppure...
Improvvisamente mi vennero in mente le sue parole del giorno precedente al supermercato, riguardo le tradizioni della notte di San Silvestro.
Non mi ero ancora ripreso dallo sforzo precedente che ripresi a correre ancora una volta per la strada percorsa alcuni minuti prima. Guardai l'ora, erano le 23.30 circa, a Lennon piaceva vedere la Tour Eiffel illuminarsi a mezzanotte da quel dannato ponte che si trovava esattamente dal lato opposto della città. Il traffico ormai era ingestibile, c'era un caos infernale causato dal suono dei clacson degli automobilisti incazzati, e un brusio generale, delle persone eccitate dall'arrivo dell'anno nuovo.
E io invece correvo, correvo davanti a tutto il Louvre, i giardini di Tuileries, dove ci demmo il nostro primo bacio, Place de la Concorde, il tunnel in cui era morta Lady Diana, al di sopra del quale sorgeva una fiaccola color oro, il Trocadero, dove avevo scattato la prima foto a Lennon, dove lei mi aveva toccato le fossette, dove non credevo che sarei stato ancora così felice. Invece poi arrivarono i giorni successivi, giorni in cui mi alzavo attivo, col sorriso sulle labbra e la consapevolezza che l'avrei rivista, che avremmo trascorso la giornata insieme, che l'avrei vista ridere, arricciare il naso, darmi spintoni quando dicevo qualcosa di sbagliato. Mi ritrovai a sorridere anch'io, al pensiero di quelle giornate spensierate.
Mi arrestai di colpo, ormai allo stremo delle forze, davanti alla Tour Eiffel. La gente aveva cominciato a fare il conto alla rovescia, capivo ben poco di francese ma quale sarebbe stato il motivo, se no, di dire qualcosa in coro? Non avevo idea di a che punto fossero, purtroppo non sapevo neanche contare in francese, ma avevo sicuramente meno di dieci secondi per raggiungere quel ponte illuminato da molti lampioni, alla mia destra. Ripresi a correre, nonostante ogni fibra del mio corpo mi pregasse di fare il contrario, e quando arrivai all'inizio di quel dannato ponte, un boato generale mi fece arrestare, di nuovo.
«Buon anno, Harry» mi sussurrai da solo, osservando la folla che rideva, scherzava, si abbracciava, stappava bottiglie di spumante, e augurava un buon anno a chiunque si trovasse davanti. Fui preso in considerazione da alcuni sconosciuti, che completamente incuranti dello stato in cui ero, mi avevano abbracciato e detto qualcosa in francese che, puntualmente, io non avevo capito. Mi limitai a sorridere e dire "merci" mentre attraversavo lentamente il ponte. Era pieno di gente, le probabilità di vedere Lennon erano alquanto scarse ma, soprattutto, nessuno mi aveva garantito che lei sarebbe stata lì. Quello era il mio ultimo tentativo, se fosse andato a vuoto, me ne sarei tornato a casa, senza la possibilità di fare altro.
Mi guardai in giro, facendo balzare velocemente lo sguardo da un volto all'altro, che puntualmente non si identificava come quello di Lennon. Poi la vidi.
Avvolta in un vestito nero, con delle scarpe col tacco che sicuramente le stavano torturando i piedi, affacciata sulla Senna, in direzione della Tour Eiffel, immobile. Mi arrestai anch'io, concentrato nel contemplarla. I capelli biondi legati in una crocchia leggermente disordinata erano mossi dal leggero venticello che tirava, la vidi rabbrividire e poi incrociare le gambe. Mi venne l'impulso di correre da lei ed abbracciarla, cercare di scaldarla col calore del mio corpo e percepire col mio naso congelato il suo profumo. Invece mi limitai ad avvicinarmi a lei lentamente, senza avere la minima idea di cosa fare o, peggio ancora, cosa dire.
Mi arrestai ad un metro da lei, alle sue spalle. Poi mossi un altro passo, senza tuttavia avvicinarmi troppo, non volevo spaventarla.
«Buon anno» le dissi poi.
Lennon si voltò, per nulla spaventata, forse sapeva che sarei arrivato, o semplicemente lo sperava. Così come io avevo sperato che lei fosse lì.
«Buon anno, Harry» mi rispose lei, con le stesse parole che mi ero detto io da solo alcuni secondi prima. Dalla sua bocca però facevano tutto un altro effetto.
«Sono in ritardo, come al solito» mormorai, togliendo le mani dalle tasche per congiungerle e cominciare a torturarmele, in preda al nervoso. «O forse sono semplicemente ritardato» continuai.
Lei sorrise lievemente, ma non troppo, le sue labbra si incresparono solo un po'.
«Mi dispiace per averti detto tutte quelle brutte cose, io...» abbassai lo sguardo, sentendomi uno vero schifo, sentendomi troppo un coglione per poterla guardare negli occhi.
Sentii la sua mano appoggiarsi sulle mie, alzai la testa di scatto sorpreso da quel gesto, lei scosse la testa.
«Avrei dovuto dirti tutto, mi dispiace averti nascosto la verità ma io...» la voce le si ruppe, e vidi i suoi occhi coprirsi di un velo di lacrime.
Senza lasciarle aggiungere altro la attirai a me e l'abbracciai, cercando di darle tutto l'amore che mi sentivo in quel momento, trasmetterle il mio dispiacere, il mio senso di colpa per aver prima aperto la bocca e poi pensato. Tutto.
«Stai tranquilla» le sussurrai, accarezzandole la schiena, «non è colpa tua se non te la sentivi di raccontarmi cosa ti è successo.»
Lennon tirò su col naso, «abbiamo sprecato un giorno, Harry. Uno dei pochi che già avevamo per stare insieme» borbottò lei, arrabbiata.
«Ti ricordi quello che ti ho detto ieri?» le domandai, accarezzandole i capelli. La vidi annuire. «Vale ancora» dissi deciso, e lei si staccò da me, scrutandomi con quegli occhi chiari circondati dal nero del trucco colato. Era bellissima comunque.
«Non cambierà niente tra di noi Lennon, lo giuro. Faremo in modo di far funzionare questa cosa, ho già rischiato di perderti una volta e non lo farò di nuovo.»
Lei non disse niente, mi prese il viso tra le mani e mi baciò. Sentii una scarica elettrica partire dal petto e pervadermi in tutto il corpo, mentre le nostre labbra gelate si incontravano, mentre le nostre lingue si cercavano sempre più avidamente e mentre sentivo le sue dita affusolate giocherellare con i miei capelli. Mi staccai a malavoglia da Lennon in cerca di ossigeno, un po' per il vortice di emozioni che provavo in quel momento e un po' per la corsa che avevo appena fatto e dalla quale non mi ero ancora completamente ripreso.
«Ti ho cercata ovunque oggi» dissi poi, Lennon si lasciò sfuggire un sorriso, «ho girato Parigi a piedi, vorrei precisare di corsa, e sono allo stremo delle forze» continuai, «ti avrò chiamata una cinquantina di volte e non mi hai mai risposto.»
«Ho dimenticato il cellulare a casa» si difese lei, stringendosi nelle spalle.
Spalancai la bocca sorpreso, se la mascella non fosse stata attaccata al viso probabilmente mi sarebbe caduta per terra, la presi per i fianchi e la attirai a me cominciando a farle il solletico, «Harry no!» gridò lei, cominciando a ridere a crepapelle. Smisi all'istante e la zittii baciandola con foga, la volevo, dannatamente. Volevo che lei fosse mia, esattamente come io mi sentivo suo. Ma volevo delle parole che sigillassero ciò, volevo sentirlo uscire dalle nostre bocche, volevo mettere le cose in chiaro.
«Lennon» la chiamai, lei mi guardò negli occhi lievemente preoccupata dal tono improvvisamente serio che avevo assunto.
«Sì?»
Sorrisi alla domanda che avevo appena formulato mentalmente, mi sembrava di essere tornato ai tempi delle elementari, dove si facevano queste proposte così formali.
«Vuoi essere la mia ragazza?» le chiesi, quasi divertito.
Il viso le si illuminò all'istante, allacciò le braccia al mio collo e si avvicinò a me, «sì, sì, sì!» continuò ad esclamare, tra un bacio e l'altro, risi stringendola a me e guardandola negli occhi.
Era stupenda, così felice, sorridente e spensierata. Quello era il momento giusto.
Feci per aprire la bocca ma lei mi anticipò, «cos'hai mangiato per il cenone?» mi chiese.
«Niente, ero in giro a cercarti, tu?»
«Anch'io non ho mangiato nulla, infatti ora sto morendo di fame» rise, portandosi una mano sullo stomaco che brontolava. «È arrivata Carmela?» continuò.
Scossi la testa, «non ho idea di che cosa abbia mangiato mio papà, sinceramente.»
Lennon rise, dandomi un leggero bacio sulle labbra, «ti amo, Harry Styles» mi sussurrò poi, così spensierata e spontanea come suo solito.
Sentii come dei brividi all'altezza dell'addome e improvvisamente il mio cuore prese a battere più velocemente, «sai, Carmela aveva ragione» dissi io. Lennon mi guardò interrogativa, non capendo le mie parole. «Il giorno in cui ti ho conosciuta» continuai, «mi ha detto che dieci giorni sarebbero stati più che sufficienti per innamorarsi, peccato che io ti amassi già dal primo.»
Lennon sorrise raggiante, prendendomi il viso tra le mani e baciandomi con trasporto, poi si staccò divertita, «sento qualcosa che si muove ai piani bassi» cinguettò maliziosa. Arrossii all'istante, sorpreso da tutta quella sfacciataggine da parte sua, «io...» cominciai a borbottare, imbarazzato.
Lennon rise, «non c'è niente di male, sai? Sono contenta di farti questo effetto» mi sussurrò, «io direi di andarcene da qua, sai com'è, ho la casa libera.»
Non riuscii a non sorridere anch'io, la attirai di nuovo a me e la baciai, la amavo, da morire, e non l'avrei più lasciata andare.

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Dovrò procurarmi un canotto perché la prossima volta che posterò starò annegando nelle mie lacrime çç.
Cioè, questo è il penultimo capitolo, ve ne rendete conto? Mi mancherà tantissimo questa storia :(
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, era ovvio che Lennon e Harry avrebbero fatto pace, se no la fan fiction non sarebbe stata mia HAHAHA
La frase di Harry che si era innamorato di Lennon già dal primo giorno che l'ha vista l'avevo in mente dal prologo, sinceramente non mi convince molto come l'ho "introdotta" però fa niente, ormai è così AHAHAHA
Aggiornerò entro fine della settimana prossima con l'epilogo, vi chiedo - come al solito - di farmi sapere che ne pensate, anche quelli che magari fino ad ora hanno letto in silenzio giusto per sapere che ci siete :)
Okay basta, la concludo qua se no comincio a deprimermi già da ora uù
Un bacio
Jas




 

   
 
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