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Autore: CYBERpunk    10/11/2012    1 recensioni
Quanto dura una promessa? Dunstan, studente modello e bravo ragazzo, non ha dubbi: le promesse durano per sempre. Ma allora perché Abel, il suo dolce migliore amico d'infanzia, non ha rispettato la sua? Perché, nonostante i due avessero giurato di scriversi delle lettere per tenersi in contatto, Abel è scomparso nel nulla? Dunstan ha bisogno di saperlo e quando torna nel paese in cui ha passato l'infanzia cerca subito di rintracciare il ragazzo. Ma sono passati sei lunghi anni e Abel non è più lo stesso. Saprà Dunstan scoprire il segreto di quel lungo silenzio durato sei anni? Tra amori scolastici, misteri da svelare, passioni travolgenti, dark ribelli e compagni di scuola fuori dall'ordinario, l'impresa non si rivelerà facile!
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Chapter 5

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“Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi”
─ Cesare Pavese

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Abel prese le chiavi di casa ed aprì così velocemente la porta che chiunque lo avesse visto avrebbe pensato che il ragazzo era rincorso da qualcuno. Ed in effetti la situazione era quella: Abel era rincorso. Non da una sola persona, ma addirittura da due. Prima di tutti, il professor Nickel. Spesso tornava a casa a piedi e passava davanti a casa sua. Abel non voleva assolutamente incontrarlo per strada dopo esser stato sorpreso a spiarlo. In realtà Abel non sapeva se il professore avesse fatto i collegamenti necessari per arrivare a quella soluzione, ma che se ne fosse reso conto o no questo non cambiava il fatto che Abel non voleva assolutamente parlare con lui. Poi c'era Dunstan. Abel era stato messo in ridicolo da lui davanti a tutta la classe e lo odiava per questo. O almeno così gli piaceva pensare. Anche se Abel era timido e non amava attirare l'attenzione, in una situazione normale non gli sarebbe mai importato di essere preso in giro in classe. Quella era una cosa che capitava spesso e se lui si fosse messo ad evitare tutti quelli che lo prendevano in giro avrebbe fatto meglio a rimanere direttamente a casa. Ciò che gli aveva dato fastidio, ciò che sapeva ma che non ammetteva, era che Dunstan lo aveva trattato male. Lo aveva trattato come tutti gli altri. Abel sentì un nodo alla gola a quel pensiero, così scaricò velocemente la cartella nell'ingresso e fece per salire in camera sua, al secondo piano. Tuttavia uno sgradevole odore di sigaretta lo bloccò. C'era qualcun altro in casa. Sua madre non fumava, suo padre se n'era andato. Chi era entrato in casa sua? In quel momento si sentì un rumore di passi venire dalla cucina. Abel entrò nel panico. «Ehi. Tornato da scuola, biondino?» disse un uomo alto e un po' tozzo, dalle spalle larghe e dai denti leggermente storti. Abel si irrigidì, sulla difensiva, anche se conosceva quel tipo. Si chiamava Herny e sua madre ci era uscita una volta o due qualche settimana prima. Con gran fastidio Abel si rese conto di non sapere altro di quell'uomo.
«Come sei entrato?» domandò, senza riuscire ad impedirsi di fare un passo indietro.
Herny ridacchiò e si sfilò dalla tasca anteriore dei jeans un mazzo di chiavi. Lo sventolò nell'aria davanti a sé.
«Liza mi ha dato le chiavi due settimane fa.» disse, ed anche se il tono era allegro la voce era comunque minacciosa, perché bassa e gutturale «Pensavo che a quest'ora fosse già a casa di martedì.»
Abel sentì un'ondata d'odio contro sua madre, Liza. Perché aveva dato le chiavi di casa ad uno sconosciuto? Le sciocchezze di quella donna ricadevano sempre su di lui e tutto finiva per diventare un casino.
«Perché quella faccia?» ridacchiò Herny, avvicinandosi pericolosamente ad Abel, che da parte sua cercò di restare fermo per non far trapelare il suo terrore. Sapeva che la sua reazione era esagerata, ma non poteva far a meno di provare paura. Non sapeva il perché, ma quando Liza portava a casa qualcuno, Abel provava sempre una forte repulsione mista a terrore. Non importava chi fosse l'uomo, Abel ogni volta si sentiva in trappola ed aveva paura. Di cosa, non lo sapeva neppure lui.
«D-devo andare.» balbettò, facendo un altro passo indietro e abbassando la maniglia della porta, senza però voltarsi e dare le spalle all'uomo. Quest'ultimo mosse qualche passo verso di lui con un certo disappunto sul volto, ma a quel punto Abel aprì la porta e si catapultò fuori, cominciando a correre.

Il professor Nickel stava camminando lentamente ed era più stanco del solito. Quella giornata era cominciata bene, ma all'una una strana spossatezza si era impadronita di lui. Forse era colpa della II A, quella maledetta classe piena di gente sfaticata e alunni che durante la sua ora lanciavano areoplanini di carta, o forse l'anemia tornava a farsi sentire. Da quant'è che non mangiava della carne rossa? Fece un rapido calcolo mentale, ammassando numeri su numeri e date su date, ma sapeva meglio di chiunque altro che odiava la carne rossa e che non la mangiava da almeno un mese. Proprio mentre stava pensando a questo, qualcuno che correva lo sorpassò così velocemente da fargli vento. Jack Nickel alzò lo sguardo per vedere chi era che aveva tanta fretta di tornare a casa e riconobbe con sorpresa Abel Harp, un suo alunno di diritto. Per un attimo provò lo strano istinto di fermarlo, ma non ebbe il tempo di chiamarlo che quello era già sparito dietro ad un angolo. Il professore rimase immobile per un attimo, concentrato sul pensiero di quell'alunno. Quando aveva saputo che avrebbe insegnato nella sezione A, due anni prima, si era informato sugli alunni facenti parte della classe, così come era solito fare ogni volta che insegnava in una classe che non conosceva. Fra gli alunni della sezione A, uno in particolare era risultato essere un cattivo elemento e uno studente problematico: Abel Harp. I professori con cui aveva parlato gli avevano detto quanto difficile era insegnare in quella classe perché Abel Harp distraeva gli altri, dava il cattivo esempio ed era particolarmente negligente. Sembravano essere tutti d'accordo sul fatto che quello studente era una pena e ben presto Nickel si pentì di aver chiesto informazioni. Tutti i professori, infatti, coglievano al volo l'occasione per riversare sul professor Nickel l'insoddisfazione e la rabbia repressa con la quale erano stati costretti a fare i conti proprio per colpa di questo unico, maledetto studente: Abel Harp. Jack Nickel, che era sempre stato un professore amato dagli studenti, si era trovato per la prima volta a doversi confrontare con una situazione che lo metteva a disagio. Dopo diversi anni di insegnamento passati tranquilli, già vedeva davanti a sé un sentiero impervio che lo avrebbe fatto invecchiare precocemente. In quei giorni lontani Abel Harp era diventato il suo incubo: il professore se lo immaginava alto, robusto e totalmente demoniaco, insomma un essere che avrebbe dannato la sua vita per sempre. Ma un giorno, mentre chiacchierava durante l'intervallo con il simpatico signor Weber, l'eccentrico professore di Algebra gli aveva indicato il tanto temuto Abel Harp. Nickel aveva spalancato gli occhi e la sua bocca aveva formato un cerchio perfetto. Abel Harp, che lui aveva immaginato come un perfetto bullo attaccabrighe, era in realtà un ragazzino magro e dal volto angelico.
«Quello?» aveva chiesto il professore, inarcando le sopracciglia ed azzardandosi ad indicare il ragazzino biondo. Gli occhi del professore di Algebra seguirono l'indice di Nickel.
«Sì, quello.» confermò poi.
Nickel lo guardò ancora un po'. A quel tempo Abel non era ancora tutto borchie e zip, al contrario stava attraversando una fase emo. Senza nessuno attorno, appoggiato ad un termosifone come se avesse freddo, Abel Harp era un magro quindicenne dal volto gentile e dalle gambe snelle. Era così carino che anche Nickel ne rimase turbato, soprattutto perché quel ragazzino solitario non corrispondeva affatto all'idea che in quelle settimane si era formata nella mente del professore. Ad eccezione dei vestiti eccentrici e di qualche mesche viola fra i capelli mossi, Abel Harp sembrava uno studente perfettamente normale. Da quel giorno in poi Nickel aveva dormito sonni tranquilli, anche se il suo interesse per Abel Harp era rimasto sveglio. Nickel era curioso di incontrare Abel perché si era sbagliato sul suo conto e adesso non sapeva più cosa aspettarsi da lui. Il tempo passò ed il professor Nickel cominciò a notare che Abel Harp era una presenza fissa nella scuola: prima lo aveva temuto e lui non si era mai mostrato, ma adesso che lo considerava quasi piacevole Abel Harp appariva dovunque. Nickel cominciò infine a considerare normale la presenza dello studente e non ci prestò più tanta attenzione, nonostante ogni tanto i suoi occhi si soffermassero ancora sul ragazzino. Sembrava quasi che quello strano interesse per Abel Harp fosse destinato a spegnersi tanto velocemente quanto era apparso, quando un giorno Nickel, costretto a rimanere a scuola oltre l'orario di lavoro per interrogare uno studente, uscendo in ritardo incontrò sulla via di casa un ragazzino stropicciato e sporco di sangue. Il professore si ricordava ancora quanto era rimasto sbalordito dallo scoprire che quel ragazzino malconcio era Abel Harp.
«Sei... Harp?» chiese quel giorno il professor Nickel, e in quei pochi attimi tutta quella curiosità nei confronti del ragazzo parve riapparire prepotentemente «Sei Abel Harp! O mio Dio!»
Abel Harp si era dimostrato essere più scontroso di quanto il suo volto dolce lasciasse presagire, ma il professor Nickel si era reso conto che parte di quel cattivo carattere era soltanto una maschera per nascondere altro... forse timidezza? O vergogna. O qualcosa di simile. La cosa più strana di tutte fu che dopo quell'incontro, quando il professore si presentò agli alunni dell'allora II A, Abel era diventato inspiegabilmente uno studente modello, almeno nelle ore di diritto. Seguiva attivamente la lezione, faceva sempre i compiti, non era mai impreparato e rispondeva ai quesiti del professore con una sveltezza ed una perspicacia rare negli studenti. Il professor Nickel si era chiesto più volte il perché di questo cambiamento e più volte aveva pensato che Abel fosse diventato un ottimo scolaro per ringraziarlo di essere stato gentile con lui. Ma quella spiegazione in seguito gli era sembrata anomala e forzata, di sicuro non adatta ad un tipo strano come Abel Harp.
Jack Nickel era ancora perso in questi pensieri, quando un secondo studente, se possibile ancora più trafelato di Abel, gli passò davanti. Questa volta però il ragazzo si fermò e si rivolse al professore, richiamandolo alla realtà.
«Sa... sa per caso da che parte è andato Abel Harp?» ansimò il ragazzo. Jack Nickel lo riconobbe subito come il nuovo studente trasferitosi in città da poco, ma non riuscì a ricordarsi il suo nome. Subito dopo questo pensiero, però, gli sovvenne che Abel Harp stava scappando e si preoccupò che il ragazzo fosse stato preso di mira dal nuovo arrivato.
«Come mai? Non vorrai dargli fastidio, vero?» disse, con voce leggermente accusatoria. Appena ebbe pronunciato quelle parole, si rese conto con sgomento che stava accusando qualcuno senza avere neppure uno straccio di prove, cosa non da lui. Lo studente nuovo sembrò perplesso, altro particolare che confermò la sua innocenza.
«Ma no!» esclamò il ragazzo «Abel... lo conosco da sempre... l'ho visto scappare di casa e quando fa così significa che è successo qualcosa.»
Questa volta fu il professore ad essere perplesso. Fin da quando si era imbattuto con Abel Harp aveva capito che il ragazzo era completamente solo e dopo aver cominciato ad insegnare nella sua classe questa impressione era stata confermata. Abel non aveva amici, cosa un po' triste in effetti, e se ne stava sempre isolato, lontano da tutti.
«A destra.» rispose atono Nickel «È andato a destra.»
Lo studente nuovo si precipitò in quella direzione e dopo un attimo scomparve dietro all'angolo che poco prima aveva svoltato Abel. Nickel rimase da solo sul marciapiede con uno strano senso di vuoto che attribuì alla sua solita anemia.

Quel professore era simpatico, ma un po' matto, pensò Dunstan mentre continuava a correre lungo il marciapiede. Stava tornando a casa e nell'esatto momento in cui aveva infilato le chiavi nella serratura aveva visto Abel schizzare fuori dalla porta e correre via. Anche quando era piccolo a volte faceva così, ma di solito correva via nel giardino di Dunstan, dove si rifugiava. Adesso invece chissà dove era andato. Dunstan corse più velocemente e finalmente raggiunse Abel. Il suo migliore amico era veloce, ma fin da piccolo Dunstan lo aveva sempre battuto nella corsa. Dunstan allungò la mano e afferrò il braccio di Abel, frenando la sua corsa in modo quasi violento. Abel si voltò di scatto e tirò uno schiaffo così forte a Dunstan che poco ci mancava a che il ragazzo vedesse le stelline. Appena Abel si rese conto di cosa aveva fatto, indietreggiò di un passo tremando vistosamente.
«D-Dunstan, io... scusa... io... non─» in quel momento indietreggiando la scarpa di Abel incontrò uno scalino che il ragazzo non aveva notato.
«Ah!» esclamò, scivolando a terra.
Dunstan intanto si era ripreso e, anche se sulla sua guancia stava prendendo forma sempre più marcata una manata rossa, non sembrava arrabbiato.
«Stai bene?» domandò, porgendo una mano ad Abel, che la afferrò e si rialzò aggrappandosi a Dunstan.
«S-sì» balbettò l'altro, ancora un po' scosso. Poi si azzardò a sollevare lo sguardo da terra per fissare esitante i suoi occhi in quelli dell'amico. Durò soltanto un attimo, ma Dunstan riconobbe subito quell'occhiata debole ed insicura che tanto spesso gli era stata rivolta anni addietro. Dunstan non poté fare a meno di accennare un sorriso, troppo contento di aver trovato un'altra rassomiglianza di Ai con Abel. Quella mattina, a scuola, era stato preso dal panico al pensiero che Abel fosse diventato davvero quello che voleva sembrare, quel personaggio innaturale che si faceva chiamare Ai. Tuttavia anche quando Abel si sforzava di sembrare diverso ed assumeva una personalità che gli era estranea – quella di Ai – Dunstan riusciva ancora a vedere dietro quella maschera il suo vero migliore amico.
«Scusa... per lo schiaffo. Non volevo.» si scusò Abel, tornando a respirare più normalmente, nonostante fosse ancora affannato.
«Non importa.» disse Dunstan. Poi rimase in silenzio, scoprendo con orrore che non aveva la più pallida idea di cosa dire. Dopo qualche attimo Abel si riprese e, spostandosi un ciuffo di capelli dagli occhi, riacquistò la sua solita espressione strafottente.
«Beh, meglio. Ci si vede.» disse, infilandosi le mani nelle tasche della maglia e facendo per proseguire.
«Aspetta!» lo fermò Dunstan «Dove vai?»
Abel si voltò, visibilmente scocciato da quella domanda.
«Dove mi pare.» rispose, acido «Non sono fatti tuoi.»
Dunstan aggrottò le sopracciglia, non apprezzando quella risposta.
«Stai scappando. Perché?» domandò «Che è successo a casa?»
La maschera di Abel calò tutto d'un tratto ed il suo sorriso finto s'incrinò.
«Nulla. Non ti impicciare.» sussurrò Abel «Mi fai paura quando fai così.»
Dunstan si avvicinò ad Abel così in fretta che quest'ultimo non ebbe neppure il tempo di scansarsi. Con un movimento veloce, Dunstan afferrò la maglia scura di Abel e lo strattonò in avanti.
«Se non vuoi parlarmene, va bene.» ringhiò Dunstan «Ma non fare finta che non ti conosca.» detto questo, lasciò andare Abel, che si aggiustò la maglietta.
«Tu...» cominciò il ragazzo, tirandosi giù le maniche della maglietta ormai irrimediabilmente sformata «...ti sbagli. È passato troppo tempo, non mi conosci più.»
«Davvero?» disse Dunstan, cercando di non mostrare il suo turbamento e la stretta al petto che le parole di Abel gli avevano provocato. «E tu? Ti conosci? Non sembri più te stesso.»
Quelle parole colpirono Abel come una freccia rovente. Il ragazzo si strinse le braccia al petto, quasi un'improvvisa folata di vento lo avesse fatto rabbrividire.
«E se anche fosse?!» gridò «Vuoi farmi credere che te ne importa qualcosa?! Per sei anni non te n'è importato nulla!»
Dunstan non riuscì a capire. Era l'esatto contrario! Non era Dunstan ad avere abbandonato Abel, ma era stato Abel che non aveva risposto ad una singola lettera. C'era qualcosa che non quadrava. La sua mente si era già messa al lavoro e Dunstan stava quasi per fare ad Abel delle domande, quando lo sfogo di quest'ultimo divenne ancora più triste e disperato.
«Mentre tu eri felice nella tua bella casa con la tua famiglia, qua tutto è diventato un casino!» esplose Abel, avvicinandosi a Dunstan e quasi spingendolo «Lo sai che i miei hanno divorziato? Che da più di tre mesi non sento mio padre? Che mia madre affoga nell'alcol?» gridò, mentre rabbia e disperazione rendevano le sue parole sempre più tremanti «Lo sai quanto sono stato male? Quanto ho desiderato andarmene da questa fottuta città? Quanto ho desiderato che tu... che...» Abel ammutolì e Dunstan lo fissò ad occhi spalancati. Non sapeva niente di tutto ciò. Non sapeva della sua famiglia o dei suoi problemi. Non avrebbe mai creduto che in sei anni sarebbero potute cambiare così tante cose.
«Perciò... lasciami solo.» lo pregò Abel, portandosi una mano sugli occhi «L'hai fatto per sei anni. Lasciami solo.»
Dunstan rimase immobile, non sapendo cosa fare, cosa dire per rimediare a quella situazione. Ma non c'era rimedio, così si voltò e se ne andò.


Chapter 5 --- Fine


\\inizio trasmissione in corso...
Pensavate che la terra si fosse spalancata sotto i miei piedi e che me ne fossi fuggita agli Inferi, ridendomela allegramente con Ades e lasciando la storia incompiuta? Purtroppo per voi non e' cosi' XD So che ho ritardato moltissimo e me ne dispiaccio, ma l'importante e' andare avanti, prima o poi, giusto? Ringrazio tutti coloro che stanno seguendo questa storia, ringrazio in particolar modo chi ha commentato, chi mi ha spronato a pubblicarla e chi ha messo “mi piace” su FB! Grazie, davvero.



Ogni riferimento a fatti realmente accaduti è da considerarsi puramente casuale.
Per l'immagine di inizio capitolo ringrazio Neil Krug (http://www.neilkrug.com/).
Il testo qui presente appartiene a CYBERpunk (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=208397),
è perciò vietata la sua riproduzione in qualsiasi forma. Ringrazio per l'attenzione.
  
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