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Autore: HarryJo    10/11/2012    8 recensioni
Le ragazze non possono fare a meno di pensare a quanto sarebbe bello dimagrire un po’. Anche chi è in forma, ha un fisico perfetto e non dovrebbe godere di certi problemi, si ritrova a dire spesso: “Devo mettermi a dieta, maledizione!”, ignorando quale sia, la vera maledizione.
Perché avere qualche chilo in più può sembrare una disgrazia, qualche volta. È una tortura mangiare quel poco che serve e vedersi ingrassare sempre di più.
Ma nessuno pensa che può esserci un altro male, molto ben più grave.

Ci sono poche cose di cui Arianna è realmente fiera nella sua vita; una di queste è l'avere un fisico perfetto nonostante si abbuffi a tutte le ore.
È motivo di vanto fino a quando un giorno, con orrore, verrà a sapere che, anche se mangiasse senza sosta, continuerà a dimagrire.
Fino a sparire, inesorabilmente.
Che ne dite di ritornare sul vostro mondo? Qualche chilo in più non sembra così male ora, non è vero?
Oppure continuate a leggere. Perché questa è la storia di una diagnosi riservata. Il verme solitario ha paura di questo romanzo, e ne avrà anche la vostra bilancia.
Siete ancora in tempo per tornarvene nel vostro mondo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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∞ Capitolo terzo ∞
 
YOU’RE SIMPLY NOT IN THE PINK, MY DEAR
TO BE HONEST YOU HAVEN’T GOT A CLUE.
 “I’m going slightly mad”, Queen, Innuendo, 1991.

 
 
 

A

 ndare dal medico non mi era mai particolarmente piaciuto. Beh, è vero: nessuno è mai entusiasta di farsi visitare, ma io proprio lo odiavo. Probabilmente era a causa del carattere del mio dottore, che non poteva fare a meno di prendermi in giro per qualsiasi cosa, ogni qualvolta mi ritrovavo lì. Si divertiva anche a diagnosticarmi malattie improbabili peggio di Dr. House, tantoché ormai avevo rinunciato a capire cos’avessi davvero, quando andavo lì malata. Quella volta, poi, pensavo che la situazione fosse talmente strana da non aver nessuna spiegazione possibile. Mi aspettavo di sentirmi dire: “È fatta così per costituzione,” ed essere lasciata andare alla mia vita. Forse era anche per quello che non mi preoccupavo minimamente e che trovavo assurdo invece l’agitarsi di mio padre.
“Hai portato la tessera sanitaria?” mi chiese, in sala d’attesa. Le sue gambe avevano preso un tic nervoso, come sempre quando era preoccupato.
“Sì.”
“Sicura?”
“Sì, stai tranquillo.” Sospirai, voltandomi dall’altra parte.
La sala d’aspetto era la cosa peggiore di quel posto, a parer mio. C’era sempre un sacco di gente che aspettava il suo turno: malati, doloranti, persone che non la smettevano di parlare, persone che ascoltavano musica con gli auricolari in un volume esageratamente alto, persone che giocavano con i cellulari con l’audio al massimo, pettegolezzi a non finire. Era una cosa per me insopportabile, perché a me piaceva restare zitta e non dire nulla, in quei momenti. Secondo me, se una persona sta male e deve andare dal medico, certamente vuole un po’ di silenzio nella sua vita, almeno in quel momento… oppure no?
Mentre una signora parlava del più e del meno raccontandoci tutti gli aneddoti possibili e immaginabili della sua noiosissima vita, il paziente che in quel momento era in ambulatorio uscì, lasciando il posto alla persona successiva.
Io.
Mi alzai controvoglia, e vidi mio padre fare lo stesso con molta più fretta di quanta ne avessi io. Mi superò per entrare in ambulatorio e io lo seguii, mesta.
Non era un posto molto grande. La stanza era bianca; in un lato risiedeva un lettino e accanto a esso una bilancia molto vecchia. Al centro vi era un tavolo con sopra un computer obsoleto e una miriade di scatolette con i vari medicinali, che probabilmente nessuno sapeva a cosa servissero; c’era anche una stampante e alcuni libri aperti buttati là, al massimo del disordine possibile. Sull’altro lato c’era un piccolo scaffale con vari libri di medicina e sul resto del muro erano appesi dei poster raffiguranti varie parti del corpo umano e di una campagna contro il fumo. Una volta avevo proposto al mio medico di regalargli uno dei miei poster degli Skid Row per dare un po’ di emozione alla stanza, ma lui non era stato d’accordo. Tsk, non sa cosa si è perso.
Il dottor Marsili, così si chiamava, era un uomo che aveva una cinquantina d’anni circa. Indossava sempre degli abiti eleganti, e la sua barba era sempre perfettamente curata. In tutta la mia vita non l’avevo mai visto scomposto, magari mezzo addormentato o con qualche vestito fuori posto. Forse anche per questo non mi piaceva andare lì: mi pareva di essere in un ambiente serio, dove tutto doveva avere un ordine preciso.
“Arianna, ciao,” mi salutò, continuando a sorridere per diversi secondi. Mi mise a disagio, sembrava quasi un ghigno.
“Ciao,” salutai, mentre mio padre faceva lo stesso.
“Cosa ti porta qui? Quando una ragazza della tua età viene accompagnata dal dottore dal padre non ci si può aspettare qualcosa di poco conto,” disse, squadrandomi – sempre con quello stupido sorriso stampato in volto.
“Perché, scusa?” domandai, stupita.
“No, niente,” mi rispose, lasciando cadere il discorso. “Ditemi, cosa succede?”
“Arianna ha un problema,” cominciò mio padre. Subito spostai gli occhi verso di lui: aveva intenzione di parlare al posto mio? Probabilmente sì, dato che io mi ero mostrata assai poco contenta di andarmi a visitare. Forse credeva che, se avesse lasciato parlare me, non avrei detto le cose nel modo corretto o esattamente com’erano. Questo mi fece irritare ancora di più. “Lei mangia, mangia molto anche, direi, eppure non ingrassa. Anzi, abbiamo scoperto che dimagrisce.”
Almeno aveva ammesso che mangiavo.
Spostai lo sguardo verso il dottore, che mi stava già studiando. Subito ringraziai il cielo per aver avuto l’idea di mettermi una felpa: avrei trovato molto fastidioso quello sguardo, altrimenti.
“Uhm, capisco,” mormorò, mettendosi a digitare tasti sul computer. Probabilmente stava guardando la mia scheda ed esaminando i miei trascorsi, nel tentativo di trovarvi un collegamento. “E dimmi, hai altri sintomi oltre alla perdita di peso?”
“In che senso?” chiesi. Non sapevo cosa rispondere: il resto della mia vita era rimasto tutto normale, da quel che potevo ricordare.
“Ad esempio: come va con il sonno? Una volta sapevo che soffrivi di insonnia.”
“Ne soffro ancora,” confermai. “Molto.”
“Quindi sei sempre stanca? Prendi ancora la valeriana che ti avevo dato per dormire?”
“Sì, certo.”
“E funziona?”
Esitai. “Non… cioè, mi addormento molto più facilmente di prima, ma di notte mi sveglio molto spesso.” Non sapevo come altro descriverlo. In effetti, prima di prendere la valeriana impiegavo ore e ore per riuscire ad addormentarmi e a volte ci riuscivo solo quando ormai era ora di alzarsi; poi, assumendola, avevo cominciato a ridurre sempre di più i tempi, però il mio sonno era molto più frammezzato, più discontinuo, e questo non migliorava la situazione.
“Insonnia, perdita di peso… uhm… come stiamo a umore?”
“Cioè?”
“Cioè,” sembrava quasi spazientito, “sei felice?”
Mi fermai, immobile, incredula. Non sapevo cosa rispondere, in realtà, perché in quel momento, tra la rabbia nei confronti di mio padre e il fatto che mi trovavo dal medico, felice proprio non lo ero. Ma in generale, nei giorni scorsi, ero felice? Non sapevo dirlo. In realtà credevo di esser diventata molto apatica nell’ultimo periodo, tra la cotta per Francesco e le delusioni che avevo dovuto sopportare in quel campo non ero esattamente all’apice del mio umore. Ma era legale chiedere certe cose?
Prima che potessi escogitare qualcosa da rispondere, mio padre mi anticipò. “È parecchio irritabile ultimamente.”
“Cosa?” Mi sorpresi sentendoglielo dire. Dopotutto non ci eravamo visti molto nell’ultimo periodo e non mi sembrava proprio di essermi comportata in modo diverso dal solito.
“Beh, in questi giorni rispondi male un po’ a tutti,” affermò, tenendo lo sguardo duro nei miei occhi. Mi stava sfidando a dire il contrario, lo sapevo.
“No,” lo corressi, furente, “solo a te, perché non mi credi.”
Calò il silenzio, e l’unico suono che rimase nella stanza fu il rumore dei tasti del computer.
“Non sono esattamente felice,” mi limitai a dire. “Ma niente di particolare rilevanza.”
“Credo di sapere di cosa si tratta,” disse il dottore, lisciandosi per un momento la barba. “Mai sentito parlare di ipertiroidismo?”
Feci di no con la testa, curiosa. La parola non mi piaceva molto.
“L’ipertiroidismo è una disfunzione della tiroide,” iniziò a spiegare, guardando in alternanza prima me e poi mio padre. “È una sindrome derivata dall’eccessiva produzione di ormoni tiroidei nel circolo ematico.”
Lo guardai con gli occhi spalancati. “E quindi significa che…”
“Che viene stimolata la calori genesi, come aumento del metabolismo basale,” rispose, con fare ovvio.
Per me continuava a parlare una lingua sconosciuta, quindi rimasi zitta a guardarlo, sperando che una luce scendesse su di me per illuminarmi. Ovviamente non successe.
“Ed è per questo che dimagrisce?” chiese mio padre.
Il medico annuì. “È uno dei sintomi principali, insieme all’affaticamento, l’insonnia, l’irritabilità…” L’unica cosa che mi irritava era il fatto che pensavano fossi irritabile.
“E la depressione,” aggiunse poi. “Per questo ti ho chiesto se stavi bene.”
“Sto bene,” ribattei, dura.
“Per ora,” specificò lui. Mi ammutolii a quella risposta e, notando la serietà del suo sguardo, capii che non stava scherzando. Probabilmente, se davvero soffrivo di ipertiroidismo, presto anche il mio morale avrebbe raggiunto i minimi storici.
Dopo un imbarazzante silenzio, mio padre si decise a parlare. “Cosa dobbiamo fare, quindi?”
“Innanzitutto fate questi esami,” rispose il dottore, prendendo in mano il blocchetto per compilare un’impegnativa. “Sono necessari e confermeranno o smentiranno l’ipertiroidismo di Arianna, anche se sono praticamente sicuro che risulteranno positivi, considerati i suoi precedenti. Dopodiché, una volta ricevuti i risultati, dovrete tornare da me, così vi potrò elencare quali pastiglie prendere. La maggior parte delle volte la tiroide si sistema da sola, senza problemi, però credo che sia necessario che tu prenda queste pillole. Sei molto magra,” concluse, guardandomi di nuovo come se volesse scavarmi, alla ricerca di qualche pericoloso segreto.
“Sto bene così,” ribattei, trovando ancora un pizzico di quella fierezza che avevo sempre avuto nei riguardi del mio corpo. “Non dovete preoccuparvi. Se ho l’ipertiroidismo guarirò senza problemi, non mi sembra una cosa poi così grave.”
Percepivo una scossa elettrica all’interno di tutto il mio corpo, come sempre quando mi sentivo in vena di sfidare il mondo, per mostrargli che ero più forte di quello che credevano. Continuai a mantenere il mio sguardo duro e deciso verso il mio dottore e anche verso mio padre, che intanto parevano quasi ammutoliti. Infine, il primo decise di finire quell’imbarazzante gioco di sguardi.
“Va bene, Arianna.” Mi porse l’impegnativa, dove con una scrittura sghemba e incomprensibile aveva elencato una serie di esami a cui sottopormi. “Vai il prima possibile a farli, mi raccomando.”
“Andremo domani mattina,” assicurò mio padre, annuendo.
“Sicuramente,” dissi, ansiosa di mettere fine a tutta quella storia.
“Vi aspetto nei prossimi giorni allora,” ci congedò il dottore, e noi ci dirigemmo verso la porta, pronti per tornare a casa.
Entrai in macchina senza fiatare e mi misi la cintura, aspettando. Mio padre, prima di girare la chiave e partire, disse: “Non devi comportarti in modo così freddo con le persone.”
“Non mi piace che mi trattino in questo modo,” affermai, per poi correggermi: “Non mi piace che mi trattiate in questo modo. Non sono malata, né tanto meno depressa o incapace di badare a me stessa.”
“Sappiamo che sei forte,” disse. “Ma non puoi combattere il mondo tutto da sola, e se c’è un problema va risolto.”
Sospirai. “Tu mi credi?” domandai, per cercare di fargli capire quale fosse il vero problema in tutta la faccenda. “Mi credi se ti dico che mi sento bene, che non sento di stare male?”
Esitò per un momento. “Non lo so,” ammise.
Per me quelle tre parole furono una ferita che non riuscii mai più a risanare.
Se in quel momento mi sentivo male, sicuramente non era per la malattia che si stava prendendo possesso del mio corpo, ma perché la fiducia da parte sua cominciava a venire meno nei miei confronti. Perché cominciavo a sentirmi una perfetta estranea.





{ Spazio HarryJo.
Buonasera efpiani! Sono in ritardo di qualche giorno, lo so, ma tra l'acquisto dei biglietti del concerto dei Bon Jovi, tra lo sclero post-acquisto dei biglietti dei Bon Jovi e tra una cervicale orribile che mi ha colpito proprio oggi, non sono riuscita a fare di meglio. Per fortuna Rosie Bongiovi mi ha ricordato del capitolo oggi (grazie, ti meriti un bel sandwich <2345) in modo che potessi postarlo (anche se poi mi ha continuata a distrarre tutto il giorno).
Grazie comunque a tutti quelli che stanno recensendo, perché le vostre parole mi fanno piacere-piacerissimo e mi danno sempre una ragione per continuare a scrivere. Anche perché in questi giorni il mio morale non è dei migliori - altro che Arianna! - quindi siete tutti molto carini con me. *sparge amore*
Riguardo al capitolo: ta-dam! Ecco la diagnosi del dottore. Ora voglio che cerchiate di capire una cosa: se fosse così semplice, non esisterebbe questa storia. Se la diagnosi fosse giusta, non sarebbe riservata (l'ipertiroidismo dopotutto è parecchio diffuso da quel che so). Quindi... beh, spero che abbiate capito, perché non voglio spoilerare il seguito.
Ho cercato di spiegare l'ipertiroidismo cercando di ricordare le parole che aveva detto a me il dottore. Quindi se non capite niente è comprensibile: non sono medico!
Beeeh, non so cos'altro dire: ringrazio chi mi ha inserito tra i seguiti/preferiti/da ricordare e mando un abbraccio a tutti-tutti. Se volete lasciarmi una recensioncina siete i benvenuti. :3
Buon week-end, a giovedì!

A presto, 

Erica

   
 
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