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Autore: Son Kla    30/05/2007    2 recensioni
alla fine del viaggio, tutto dovrebbe scorrere tranquillo, soprattutto per goku che ha messo su famiglia. ma non sarà proprio così...
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cho Hakkai, Genjo Sanzo Hoshi, Sha Gojio, Son Goku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riecchime anche oggi

Riecchime anche oggi!!! Beh metto il terzo capitolo….eh…. sempre più allegria *ride*

Spero che a parte il fatto che è un po' lagnosa, il significato della storia possa essere capito e non frainteso!!! E comunque, nell’ultimo capitolo un po' ho cercato di spiegarlo tra le righe(ok è tutto nella mia testa!!!) …sicchè in caso si starà a vedere poi quando lo metto *ormai parla da sola* baci….al prossimo capitolo!

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Ero lì da quasi una settimana, ma sembrava una vita. Il dolore che sentivo dentro non cessava, tanto meno si affievoliva, e una settimana di dolore così intenso fa sembrare eterna anche una semplice giornata. Quando sei solo, quando osservi la natura semplicemente perché non sai che fare, o perché vuoi pensare, parlarti un po’ in tutta sincerità, ecco che quei momenti sono eterni. Lo stesso tempo che con rapidità impressionante ha fatto volare i momenti di felicità. Quando tutto va bene siamo troppo impegnati a godercelo quel bene, e non sentiamo lo scorrere del tempo; ma quando siamo tristi e soli ad ascoltare i nostri pensieri la lancetta dell’orologio sembra sempre più lenta e rumorosa. Camminavo lungo il ruscello, attenta a non scivolare sulle pietre ricoperte di muschio, osservavo il riflesso della luce sull’acqua, la miriade di tonalità di verde che scaturiscono nel sottobosco a tratti in ombra e a tratti no. Le chiome degli alberi si chiudevano sulla mia testa, mi chiudevano lì sotto senza che io potessi vedere il sole. Non che mi importasse. Anche il sole di Goku se n’era andato; lo chiamava così, Goku. Il suo sole. E forse è vero, forse Sanzo davvero aveva portato un po’ di sole in quei primi due giorni di dolore. Il suo silenzio, il suo tacito odio per tutto il creato, il suo velato starmi vicino e… Tutto questo, anche se può sembrare inutile, mi aveva aiutato molto. E’ odiosa la pietà, in questi momenti. Ma lui sentiva il mio dolore, lo provava a sua volta, perciò il nostro non poteva essere solo un bigotto paternalismo. Non lo era, anche perché questo atteggiamento non si addiceva a Sanzo. A dire il vero tante cose che aveva fatto non erano da lui. Ma in quella fase così delicata della mia vita avrei potuto scambiare tanti cenni per esplicite dichiarazioni, e ora non saprei dire perché le mie impressioni sono manipolate dal tempo. Non dovrei dirlo, lo so, ma non riesco più a tenerlo segreto. Ci sono cose che non si possono controllare, che si pensano contro la propria volontà e più che ci si oppone a quei pensieri più questi ci affollano la mente in un numero talmente ampio di varianti che ci scordiamo da dove siamo partiti. Tra l’altro sono cose che ci imbarazzano e perciò ci sembra che tutti lo sappiano, che ci leggano nel pensiero o il classico “ce l’abbiamo scritto in faccia”. Ma con razionalità, per essere più tranquilli con noi stessi, forse, ci diciamo che è un segreto solo nostro e nessuno lo sa. Questo è solo in parte vero, perché spesso certe cose di noi stessi non le noteremmo mai se non fossero gli altri a dircele. Ma a parte questo, quando davvero nessuno se ne accorge ci viene voglia di dirlo. Più è proibita, questa cosa, più ci fa vergognare, più è trasgressiva e più la vogliamo dire.

Volevo Sanzo vicino.

Ecco, l’ho detto. Lo desideravo fortemente accanto, anche in silenzio, anche perso nei suoi pensieri, anche se non mi avesse considerata. Ma devo essere sincera fino in fondo, forse. Ricordo bene che pensai questo tutto il tempo che passeggiai lungo il torrente. Tutti i giorni passeggiavo lungo quel torrente ma ricordo di preciso che quel giorno pensai quella cosa. Anzi, molto più probabilmente la pensavo da molto ma quel giorno trovai il coraggio di ammetterlo a me stessa. Volevo che Sanzo mi stesse vicino, sì, ma per sempre. Volevo che fosse lui a.. a essere il padre che mancava a quel piccolo fantasma. Lui, che aveva raccolto Goku, l’aveva portato via dalla montagna in cui era prigioniero. Lui che gli aveva dato nuova vita. Le mani di Sanzo avevano stretto quelle di Goku per strapparlo da quelle catene che lo imprigionavano e quella stretta li aveva uniti profondamente. Quelle mani erano le più adatte per stringere quel bambino, per alzarlo quando fosse caduto, per asciugare le lacrime che inevitabilmente sarebbero cadute dal suo viso. E dal mio. Tutti e due soffrivamo la mancanza di Goku, e ora, lo aveva detto lui, stava per rinascere. Se voleva, poteva riavere anche lui Goku, e quella piccola vita avrebbe avuto le due persone di cui ha bisogno ogni bambino. Lo avrebbe amato come aveva amato Goku, anche se lui non lo ammetterebbe mai. Che voleva bene a Goku. E che avrebbe amato suo figlio. Ma i miei pensieri andavano e venivano, se ne andavano quando li scacciavo e tornavano portati dal vento. Il vento che poi era il mio inconscio, probabilmente. Non so dire se in quel momento io fossi innamorata di Sanzo, ma penso di no. Penso in tutta sincerità che il mio amore mi era stato strappato con tale ferocia e rapidità che immancabilmente io cercassi di sopperire a tale mancanza. Ma era un Sanzo. Era quel Sanzo. Razionalmente pensai che fosse solo un sentimento egoistico, per non restare sola. E Goku era ancora troppo vivo nel mio cuore, e dentro di me.

Comunque non ero sola. Da quasi una settimana, come dicevo, stavo con Gojyo e Hakkai. Si offrirono spontaneamente di tenermi con sé, lo pretesero. La notizia li colpì talmente che non dissero nulla, lo ricordo bene. Non parlarono, non una parola quando, dopo aver raccontato l’accaduto, mi misi a piangere. Hakkai mi si avvicinò e mi abbracciò, Gojyo si allontanò, andò alla finestra e si accese una sigaretta. Hakkai mi aiutava molto, vedeva subito quando avevo bisogno di sfogarmi e mi faceva parlare, anche contro la mia volontà. Mi faceva davvero molto bene. Mi convinceva a parlare a modo suo, come faceva anche con Goku del resto. Faceva finta di parlare con Jeep; oppure partiva da così lontano che poi arrivava al discorso che voleva lui e mi trovavo in lacrime senza accorgermene. Gojyo era diverso. Era gentile con me, senza dubbio, lo era sempre stato. Rideva e scherzava, ma forse chi non lo conosceva poteva pensare che fosse allegro. Non lo era e lo vedevo bene; lo avevo visto, io, veramente vitale. Si era spento qualcosa. E un po’ anche per questo non piangevo mai davanti a lui. Ma almeno reagivano, loro. Dentro soffrivano, ma reagivano bene. Non li avevo mai visti piangere, perché erano forti, pensavo. O semplicemente perché non aspettavano un figlio e perché non erano perdutamente innamorati di Goku.

Tornai verso casa, lentamente, pensando che senza un motivo tutto quello che vedevo io in quel momento Goku non poteva vederlo, o forse lo vedeva, perché anche se ai miei occhi non era così, quei giorni erano perfettamente identici a quelli passati e a quelli a venire. Di solito tornavo più tardi, ma dovevo togliermi Sanzo dalla testa. La biancheria stesa era da ritirare, così mi fermai. La finestra della cucina era alla mia destra, guardai di sfuggita, per vedere se c’era qualcuno. Sì. Guardai meglio, era Hakkai. Non lo riconobbi subito, perché dentro era un po’ buio, e perché stava al tavolo, coi gomiti appoggiati e il viso coperto dalle mani. Sembrava che si sentisse male, mi spaventai. Ma quando di scatto alzò il volto mi nascosi un po’ per non farmi vedere. Teneva ancora la bocca tra le mani intrecciate, ma vedevo bene il viso. Piangeva. Forse per Goku, forse perché capiva il mio dolore e ricordava.. Si vedeva che piangeva da molto. E probabilmente ha pianto tutti i giorni, quando io non c’ero. Era colpa mia se soffriva? Forse non avrei dovuto andare da loro, non avrei dovuto dirglielo. Era sempre colpa mia. Lo pensavo davvero, anche se ora a pensarci vedo che in fondo non potevo accollarmi colpe che non mi appartenevano totalmente, forse avevo risvegliato in lui dei ricordi, ma non potevo ritenermene responsabile. E pensai anche che lui, oltre a tenersi le sue sofferenze dentro si era accollato anche le mie. Volevo aiutalo, volevo dirgli di non piangere ché non ne valeva la pena… Ma che ne sapevo, io, per cosa piangeva, in fondo? Io che presa dal mio dolore non vedevo quello degli altri?

Gojyo. Mi balenò il suo nome nella mente. Forse anche lui piangeva da solo; oppure versava lacrime invisibili, in silenzio, sul corpo di una donna che si illudeva di averlo tutto per sé senza accorgersi che quello che le veniva donato era solo corpo, pura carnalità senza coinvolgimento, un modo come un altro per stancarsi e dormire visto che il dolore non permetteva il riposo. Forse anche lui soffriva molto più di quanto desse a vedere. Effettivamente era così, ora lo so per certo. Ma il sesto senso mi diede la certezza anche in quel momento, sebbene in assenza di prove concrete, e mi sentii malissimo. Stavo inghiottendo in una spirale di dolore chiunque mi circondasse. Ecco, forse, perché Sanzo stette un bel po’ a pensare quando gli chiesi di andare da Gojyo e Hakkai per fargli sapere di Goku. E aveva deciso per il mio bene a discapito del loro. Ma mi arrabbiai con me stessa. Cosa c’entrava Sanzo, ora?

Volevo tornare a casa, in quella piccola casetta dove Goku mi aveva portato tutto contento.

“Questa diventerà la nostra casa” Aveva detto sorridendo, lo ricordavo e lo ricordo tuttora benissimo. Aveva il volto raggiante. Voleva vivere.

Seduta dietro una siepe aspettavo l’arrivo di Gojyo. Pensavo a cosa avrei detto, per convincerlo a farmi andare.

Che ci fai, qui?”

Sobbalzai.

“Come hai fatto a vedermi?” Sorrise “Ti stavo aspettando”

“Lo avevo capito.”

“Vieni con me un attimo? Ti devo parlare”

“Certo.”

Mi aiutò ad alzarmi, con le sue braccia forti ma delicate. Camminava accanto a me, con le mani in tasca, gli occhi semichiusi e la testa bassa. Come camminava sempre lui. Mancava solo la sigaretta, a causa mia. Ad un certo punto del torrente c’era una piccola pozza, in cui l’acqua si riversava tramite una piccola cascata. Mi fermai lì, sul bordo, di fronte al salto d’acqua. Qualche goccia ci bagnava il volto, portata dal vento. Le gocce sul suo viso lo facevano sembrare imperlato di un delicato sudore, che si asciugava col dorso della mano spostandosi i capelli che il vento gli portava sugli occhi. Lo faceva senza pensarci, proprio come si fa quando lo scambiarci l’amore ci provoca quel po’ di affanno che però non si sente, che viene ripagato da tutto il resto. Forse fatto da qualcun altro, dallo stesso Goku, quel semplice gesto, quelle goccioline, non avrebbero parlato così tanto al mio immaginario, ma lui è tutta un’altra questione. Nel frattempo Gojyo, in silenzio, aspettava le mie parole.

“Voglio tornare a casa.”

“Non ci troverai Goku ad aspettarti. Tu puoi tornare ma lui non tornerà.”

Mi stupii di quella risposta, rimasi allibita. Mi voltai di scatto verso di lui.

“Lo so bene, che c’entra?”

“Allora perché vuoi tornare là?”

“Perché restando qui il mio dolore coinvolge anche voi.

“Pensi che sarebbe stato meglio non dirci nulla, eh?”

Feci un cenno d’assenso, ma non parlai perché mi veniva un po’ da piangere e non volevo farlo di fronte a lui.

“Che tu ce lo abbia detto ora o tra dieci anni non fa la minima differenza. Anzi, fra dieci anni forse sarebbe stato peggio, con l’idea di aver vissuto ignari. Tu non hai colpa. Lo so cosa stai pensando, ma le ferite del nostro passato sanguinano continuamente e tu non ne hai colpa. E poi devi pensare a lui.

Accennò con la testa al pancione. Non sapevo che dire ero rimasta senza parole.

“Avrà gli occhi e i capelli rossi… per te è stato un tormento. Dimmi, sto sbagliando a dargli la vita?”

Se pensi che un semplice colore possa distruggere la vita di qualcuno, tingigli i capelli. Si potesse risolvere con così poco..

“Insomma, perché mi rispondi così male?” Ero stufa di quell’atteggiamento, o forse ferita.

“Perché non capisco come mai fai tanti discorsi inutili invece di scoppiare a piangere come avresti voglia di fare” aveva la voce un po’ alta, poi tornando al tono normale “ti sfoghi con Hakkai, gli parli, piangi..”

Si sentiva chiaramente che voleva aggiungere dell’altro, me non proseguì. Forse anche perché prima che potesse farlo mi gettai tra le sue braccia. Scoppiai a piangere forte.

“Quella stupida scimmia non ne combina una giusta.

Sentii le sue labbra appoggiate sui miei capelli, le sue braccia che mi stringevano. Ma era una stretta delicata, non solo, era protettiva, sicura. Mi difendeva. Proprio come mi aveva difeso Goku, a discapito suo. Chissà dov’era le sua anima, se mi stava vedendo, ricordo che me lo chiesi perché se fosse stato così forse si sarebbe anche accorto di come mi stavo aggrappando con tutte le mie forze a Gojyo. Mi stavo aggrappando al suo spirito, ma anche far questo era diventato terribilmente stancante. E fu questo a farmi cedere, il fatto che fosse lui a tirarmi su, e non io a dovermi reggere a lui. Non so se mi spiego. Con Sanzo ero io che mi appoggiavo a lui, perché mi infiltravo nel suo tentativo di reazione e ne traevo beneficio. Ma Gojyo mi offriva un appoggio a prescindere dal suo dolore, creava qualcosa totalmente per me. Mi fece cedere, così, quando..

“Sai prima, quando mi chiedevi se stavi sbagliando a farlo nascere, perché avrebbe avuto occhi e capelli rossi?”

Annuii

“Non è il colore che è sbagliato. Devi essere te a fare in modo che questo colore non sia abbinato al sangue.

“Certo.”

Di Goku, nell’abbraccio di Gojyo, non c’era nulla. Le mani grandi e le braccia lunghe mi stringevano con la stretta sicura di chi ha già stretto molte donne, a differenza dell’abbraccio di Goku timido e spontaneo. Abbracciando Goku la pelle dei nostri visi si carezzava, con Gojyo il mio volto si appoggiava al petto magro ma muscoloso e scolpito. Molto più uomo, forse, quello che mi stava stringendo. E che era un vero uomo, e anche un vero amico, soprattutto per Goku, forse, mi venne confermato dalla frase che pronunciò bisbigliandomi all’orecchio. Sentivo il suo respiro e forse per questo, forse per le parole, rabbrividii.

“Lo vuoi un padre per questo bambino?”

  
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