Capitolino anche oggi!!! Ormai siamo quasi a fine…e oggiiiii….tadaaaaaan…colpo di scena! *il caldo fa male!*….no vabbè via… meglio se non chiacchiero troppo, parla già da solo sto capitolo….il sesto, nonché ultimo *sospiro di sollievo generale!* è davvero un papiro! Ma per ora, è un problema che non ci riguarda!!!! *rimanda tranquillamente a domani le cose a cui non ti va di pensare oggi < -- filosofia di vita di Kla!*
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Ormai la mia pancia era enorme, ed io avevo sempre più fame. Mi chiedevo come avrebbe fatto ad uscire, doveva essere un vitellino. Adesso avevo ripreso coscienza della sua presenza, lo sentivo vicino, molto più vicino, molto più reale e vivo, come forse era sempre stato, ma io non avevo voluto riconoscerlo tale. Tra poco avrebbe visto la luce, sarebbe venuto a quel mondo che in quegli ultimi tempi ero arrivata a detestare, che aveva dato un pessimo sfoggio di sé di fronte a me nel presente e di fronte a quei quattro dolci angeli in passato. Se un giorno mi avesse odiata per avergli dato la vita, non avrei potuto biasimarlo, questo era quello che pensavo. Anche perché io lo facevo vivere per egoismo. Ma razionalmente adesso penso che se il mondo ti fa soffrire non è sempre per colpa dei genitori, né di nessuno, ma del destino. I genitori semplicemente si amano, che sia amore solo carnale o sentimentale questo non cambia le cose, e da questo amore si materializza un figlio. E' la materializzazione di un sentimento, per nessun altra sensazione umana succede questo, la si potrebbe definire una magia. Ma se l'amore è stato solo carnale, la magia ha il suo trucco, che la fa apparire quello che è, solo un'illusione ottica e nulla più. Sta ai genitori far capite al figlio che lui è una magia senza trucchi.
E tra me e Goku non c'era stato il minimo trucco. Ma farglielo capire, tra poco, a quel piccolo fantasma, mi sembrava impossibile. Ci pensai, e mi accorsi di non avere nemmeno una sua foto. Nulla. Goku era stato davvero una magia: nato da una roccia in cui si era concentrata l'aura terrestre, occhi dorati ad indicare il suo essere eretico, e nonostante ciò fermamente attaccato alla vita. Sì, tutti avevano cercato di metterlo in difficoltà per questo suo modo d'essere, e lui imperterrito, per 500 anni aveva vissuto, rinchiuso senza sapere perché, soffrendo la solitudine e la lontananza dal sole. Poi se n'era andato, così, velocemente e inaspettatamente, com'era nato, senza lasciare traccia di sé, come se avesse vissuto troppo poco per poterlo fare. Mi sarebbe bastato un po', solo una piccola parte di quella sua vita, abbastanza da affiancare la mia, ma non mi era stato concesso. Come un fiore che resiste a mille intemperie e alle falciatrici, e poi passa un bambino e lo coglie. Proprio così era sfiorito, il mio Goku, che dopo mezzo millennio ancora era un bocciolo fresco di rugiada al quale non è stato permesso di sbocciare per godere appieno del sole, e del prato che per merito suo, e di una farfalla che si sarebbe nutrita del suo polline, avrebbe riempito di fiori rendendo la sua bellezza eterna. Ma la farfalla non avrebbe trovato il suo fiore. .
Potevo solo lasciarmi morire di fame. O cercarne un altro.
Ma fu proprio un altro fiore, inaspettatamente, a schiudere i suoi petali rimasti chiusi da tanto, troppo tempo.
Hakkai mi aveva portata alla casetta, mi aveva chiesto se volevo che restasse con me. Lo ringraziai, era sempre così gentile. Ma non avevo più bisogno di compagnia. Io, a dire il vero, per l'ennesima volta, volevo morire di fame. Ma non glielo dissi. Se ne andò, dicendomi che se avevo bisogno potevo contare su di lui, e che sarebbe venuto a trovarmi, di tanto in tanto.
"Salutami Gojyo." Fu la mia risposta a tutta la sua gentilezza, e un sorriso.
Mentre si allontanava, su quella jeep, pensavo che non lo avrei rivisto più. Proprio quella jeep che aveva portato lontano i nostri sogni, le nostre paure e i nostri dolori. Su quella jeep era nato l'amore, erano sorte piccole gelosie, scoppiati piccoli litigi. Lì sopra si erano consumate risate e lacrime. E nonostante questo il viaggio non si era mai interrotto. Ora era vuota, solo con uno di noi, che l'aveva sempre guidata e la guidava ancora, verso ovest, verso il tramonto. Seguendo il sole quando si tinge di rosso, quando scompare, andavamo avanti quasi senza sapere perché, come se ci stesse guidando l'istinto. I nostri caratteri erano mutati, cresciuti, maturati; si erano rafforzati scoprendo le reciproche debolezze. Adesso sembrava però che il tramonto fosse raggiunto. Il sole non ci illuminava più, e ognuno di noi era come una candela spenta, che ricordava la recente fiammella così luminosa semplicemente con un piccolo rigagnolo di fumo e una goccia che lentamente, come una lacrima, scende verso terra. Uno solo di noi, spengendosi, aveva fatto spengere anche tutti gli altri. .
A forza di inseguirlo, insomma, eravamo arrivati al tramonto, alla fine della giornata, e, pensavo, alla fine della vita. Il sole, tramontando, si tingeva di un rosso intenso, il rosso del sangue di Goku, versato troppo presto, troppo ingiustamente. Ed era calata la notte, che aveva lavato via il sangue, ma che non aveva potuto riportarmi Goku. Era la notte più buia che avessi mai visto. Senza luna, senza stelle, senza speranze. Era la notte della morte.
E invece non fu così. Non ci pensavo, non avevo mai considerato l'ipotesi, ma mi accorsi ben presto che dopo la notte, quando la luna è stanca del suo lavoro, e va a riposare, il sole torna a far luce su questo mondo oscurato dal male. E porta via tutto. Porta via le lacrime, la solitudine e anche la morte.
Fu proprio il sole a salvarmi. "Quel sole", proprio quello perennemente imbronciato.
Ero nella
casetta, seduta al tavolo, con il coltello in mano da ore, che non voleva
decidersi a togliermi la vita. Poi sentii avvicinarsi qualcuno. Mi affacciai
furtiva alla finestra. Sanzo passeggiava davanti casa, si guardava attorno con l’aria
di chi vuole imprimere bene nella sua mente ogni
particolare. Accese una sigaretta, poi prese
"Non ti fermerò. Non ho intenzione di farlo, non temere. Andiamo da Goku, Sanzo." Iniziai a piangere e nascosi il volto nella stoffa bianca della tonaca, e tra un singhiozzo e l'altro respiravo intensamente il suo odore. "Andiamo da lui, ti prego. Sparami, uccidimi, voglio andare da Goku." .
Sapeva già di sangue. L'odore di Sanzo era intriso del suo sangue, che voleva versare, e del mio, che gli chiedevo di uccidermi.
"Lo senti quest'odore di sangue?" Mi chiese piano, chinando il capo.
"Lo sento, è molto intenso."
E fu allora che aprì i suoi petali e si mostrò, sbocciato, in tutto il suo splendore.
"Non voglio più sentire quest'odore. E il rosso non sarà più il colore del sangue, ma quello del sole che sorge, un sole che solo i vivi potranno vedere e che li guiderà verso il domani." Mi poggiò una mano sulla pancia con la delicatezza tipica di un padre. "Tra poco è l'alba. Guardiamola insieme."
Ed iniziarono finalmente i giorni felici, per entrambi. Dopo tanta tristezza, tanto buio, tante lacrime, era tornato il sole. E riscaldava forte il cuore, illuminava le giornate, dava nuova gioia di vivere. In quei giorni Goku era sempre con noi, perché sia io che Sanzo tenevamo, seppur inconsciamente, vivo il suo ricordo. Senza nominarlo né piangerlo. Ma vivendo. Vivendo la vita che gli era stata strappata, sorridendo i sorrisi che erano stati cancellati dalle sue labbra, amando quel fantasma che lui non aveva potuto amare. In ogni angolo di quel luogo viveva qualcosa di Goku, e noi vivevamo ognuno di quegli angoli. Senza fare nulla di speciale, senza dire niente. Stavamo soltanto vivendo per far vivere anche lui, per non farlo morire definitivamente, per la seconda volta.
Non tornava mai al tempio, Sanzo, e non avvertì nessuno. Tipico di lui. Diceva che alla fine ne avrebbero trovato un altro di Sanzo, uno più bravo che avrebbe detto le preghiere e fatto prediche invece di sparare a destra e a sinistra. Ma io sono convinta che lui fosse il Sanzo migliore che un buddista potesse sperare di avere. Io non sono buddista, e non ci capisco niente, ma sono sicura che è così.
Eravamo pronti a stare insieme
per sempre. Non ce lo eravamo mai chiesto né detto, lo
sapevamo e basta. E mai sentii pronunciare da Sanzo la
domanda che mi fece Goku, e che forse con la sua voce sarebbe sembrata più
credibile. Di giorno e di notte, sempre vicini, e di giorno in giorno io
scoprivo un Sanzo sempre diverso, come non mi sarei mai aspettata. Più volte lo
vidi sorridere: quando la mia pancia aveva dei piccoli bozzoli a causa dei
pugni e dei piedini che là dentro si agitavano; quando combinavo qualche
disastro in cucina; quando gli esprimevo tutto il mio stupore e le mie
sensazioni guardando un ruscello o una cascata; quando la sera, dopo avergli
dato l'amore, tutto l'amore che mi era rimasto dentro, giocherellavo
coi suoi capelli e gli baciavo il volto e le labbra sorridenti e ovunque io
volessi; e mai avrei immaginato un Sanzo che apparteneva così tanto a qualcun
altro. Sorrideva delicatamente, e i suoi occhi brillavano anche alla flebile
luce di una candela (che forse per noi si era infine riaccesa), ma non più per
le lacrime. Era una vita normale, anche Sanzo sembrava un uomo come tanti: la
sua lunga tonaca bianca già dopo la prima notte era rimasta sulla sedia in
camera, e lui vestiva semplicemente con un paio di jeans e la maglietta smanicata, aveva anche tolto le maniche nere che partivano
da sotto la spalla e arrivavano all'indice della mano. Il chakra
scarlatto brillava ancora come un rubino sulla sua fronte, quando la luce del
sole lo raggiungeva, ma io mi accorsi che lui si pettinava sempre di modo da
coprirlo coi capelli. Sembravamo una coppia come
tante, agli occhi degli altri, agli occhi di chi non
sapeva che lui fosse un Sanzo, che conduceva una vita come tante, ma per noi
era speciale. Una vita nuova e inaspettata, la vita che ci
aveva donato Goku. Era proprio così. Lui aveva perso la sua vita, noi
l'avevamo ritrovata e la stavamo vivendo. Ero felice.
Ma un giorno, mentre Sanzo era fuori a fumare, io, in
cucina, sentii una fitta alla pancia. Un, dolore forte
e intenso, che durò ininterrottamente per pochi secondi, ma che mi parvero ore.
Pensai che stesse per nascere, che quel piccolo sole stesse per sorgere.
Chiamai. Chiamai il nome di Goku.
Poi la fitta passò, e non ne seguirono altre, era stato
un falso allarme. Ma nello stesso tempo c'era stato un
allarme molto vero: il segnale di ciò che ancora provava il mio cuore. Sanzo
non mi aveva sentito e io non gli dissi mai nulla.
Volevo far finta che nulla fosse successo. Ma quello
fu forse solo un segnale che quell'equilibrio che
avevamo finalmente trovato stava per spezzarsi.
Sanzo era arrivato dove a Gojyo non avevo permesso, e ci era
arrivato senza che me ne accorgessi, perché tutto fu come consequenziale,
istintivo, necessario. A dire il vero, mai una volta lo
pensai, che Sanzo poté e Gojyo no. Mai una volta mi
chiesi il perché. So solo che fu così, e basta. Ora mi viene da
chiedermelo, ma ora mi sembra anche che non sia mai successo se non nella mia
fantasia. Insomma, Sanzo aveva avuto tutto, senza che io ci
pensassi su un momento, come se fosse Goku che assaporava ciò che era suo di
diritto. Ma in quell'occasione,
quel giorno, quell'avviso, mi fece di nuovo vedere
dentro di me. Ero felice, sì. Ma perché stavo con chi più di
tutti rappresentava Goku e me lo poteva far sentire vicino. Come prima,
come fu con Gojyo, anche in Sanzo cercavo il mio amore, ma con Sanzo fu tutto
più bello e duraturo perché ci sentivo di più Goku, che invece in Gojyo non era
minimamente presente. Ma quel nome, il suo nome,
pronunciato così, istintivamente, in quel momento, mi fece capire tutto questo
in pochi secondi. Cercai di ignorarmi, e forse ci riuscii. Ma
la ruota del destino non aveva smesso di girare, forse aveva appena iniziato.
Il giorno dopo un uomo agonizzante, ricoperto di sangue che
sgorgava copioso da tantissime ferite molto profonde, arrivò davanti casa. Morì
quasi subito, dopo aver detto, con il poco fiato che gli rimaneva: "Un
demone, un demone ferocissimo… uccide tutti, senza pietà... non si riesce a
fermarlo…in nessun modo... "
Sentivamo qualcosa nel bosco, tra le siepi, un fruscio
che indicava che si stava lentamente ma inesorabilmente avvicinando.
"Sanzo! Dev’ essere il demone che ha ucciso
Goku! Se è davvero così potente solo lui può averlo
ucciso." Ero agitata come quel giorno, forse di più, perché sapevo ciò che
mi aspettava adesso e cosa mi avrebbe aspettato poi.
"Può essere." Si guardava intorno
circospetto e mi si parò davanti, indietreggiando per costringermi a
indietreggiare a mia volta, finché non ebbi la schiena appoggiata al muro della
casa.
" Sanzo.. "
"Sta' zitta,"
"Sanzo, ti prego, scappiamo."
Non mi ascoltava. Stringeva forte la shoreiju nella
mano sinistra, teneva lo sguardo fisso e immobile davanti a sé.
"Va' via. Vattene,
presto!"
Era tutto come allora. Ero tornata indietro nel tempo. Quel dannato
demone era tornato a turbare la mia felicità, a ripropormi
lo spettacolo di qualche tempo prima. A calare di nuovo il sipario su uno
spettacolo che forse aveva trovato un altro protagonista.
"Hei, mi hai sentito, vattene!" Si voltò
velocemente per incitarmi con una pressione sul braccio, senza distogliere
troppo a lungo lo sguardo da quella figura che si avvicinava. Poteva parlare
quanto voleva. Stavolta se il protagonista se ne fosse andato, anche lo
spettacolo sarebbe stato cancellato; se voleva portarsi via la mia felicità
avrebbe portato via anche me, quel dannato. Si
avvicinava, vedevamo la sua ombra dietro i cespugli che circondavano gli ultimi alberi prima che il bosco si aprisse e iniziasse
il piccolo giardinetto di fronte alla casa.
"Maledizione." Sanzo smise di dirmi di andarmene. Non lo avrei fatto,
ormai era chiaro anche a lui, così l'unica cosa che sentiva di poter fare era concentrarsi per cercare di capire che nemico avesse
davanti.
Avevo la stessa intenzione che avevo avuto con Goku. di
non lasciarlo lì. Ma con Goku decisi di andare. Andai
perché dovevo chiamare qualcuno, che forse lo avrebbe aiutato, invece ora non
avevo nessuno da chiamare. Andai perché sapevo che gli sarei stata d'intralcio,
mentre molto più utile sarebbe stata la mia lontananza, ma allora regnava nella
mia mente la convinzione che lo avrei ritrovato al mio
ritorno, invece ora sapevo che avrebbe potuto non accadere. Andai perché mi
lanciò quello sguardo, uno solo, agghiacciante, che disse molto più di mille
parole, che desiderava soltanto salvare le due cose che amava di più; mentre
sebbene non dubitassi dell' affetto di Sanzo, forse
neanche volendo avrebbe potuto lanciarmi uno sguardo così.
Lentamente, un demone avanzava verso di noi. Capelli lunghi, sia dietro che sulla fronte, orecchie a punta e un sorriso sadico sulle
labbra che, schiuse, lasciavano intravedere i canini appuntiti.
Tra una ciocca e l'altra della lunga e castana frangia, brillavano due pepite
d'oro.