Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Memento    31/05/2007    15 recensioni
Lasciata Water Seven senza Usop, Rufy confessa i suoi rimorsi all'ultima persona che avrebbe potuto consolarlo. Ed in quella strana notte, un gioco di controllo iniziato quasi per caso gli cambierà la vita. Realizzando, infine, che reagire d'istinto non ha nulla di sbagliato. O forse sì?
Genere: Dark, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Part Six

Confession on a stormy night



"Nami?"

Il vento frangeva con violenza il mare mentre lo scontrarsi delle onde pareva l'eco di un rombo di tuono. Una di esse, particolarmente grande, colpì la chiglia, si ruppe e la spuma accarezzava il legno scuro mentre quella si ritirava. Gli spruzzi fluttuarono per un attimo nell'aria, privi di gravità o di luogo a cui ritornare, e mentre riprendevano la loro caduta verso la potente oscurità alcuni bagnarono il vetro dell'oblò con un leggero rumore. Bastò per far sobbalzare Rufy.

Mi chiedo quanto tempo sia trascorso, rifletté.

Sullo spazioso letto a baldacchino dalle coperte totalmente sfatte, era distesa Nami. Sembrava una bambola di porcellana abbandonata da qualcuno che si era stancato di giocarvi. Lui non accennava scostarsi da sopra di lei, mezzo buttato sopra e sollevato con il gomito quel tanto da scorgerle il volto. Le sue dita si strinsero con uno scatto contrito alle pieghe della coperta. Lei stava completamente immobile. La sua pelle già pallida era mortalmente bianca, il capelli sparsi alla rinfusa ricordavano un aureola infuocata. Le labbra perfettamente sigillate.

Non gli aveva ancora risposto.

"Nami?" ripeté Rufy, non preoccupandosi dell'incrinatura nella sua voce.

Un altro spruzzo fu bloccato dalla finestra e poi, come se un incantesimo avesse finalmente cessato la sua influenza, la pacata tensione accumulatasi nella stanza svanì, l'ultimo residuo di un incubo al risveglio, ed il corpo Nami prese vita con un sospiro. Rufy si ritrovò le sue mani posate gentilmente sulle spalle.

"Cosa," singhiozzò.

Gli si strinse contro, si alzò leggermente e, con una lentezza esasperante, poggiò un bacio sulla sua guancia. Gli parve di essere sfiorato da un petalo di rosa. Non capì nient'altro, capace solo di avvertire il calore trasparito dal loro contatto ed il suo profumo a tentarlo languidamente. L'attesa che lo pervadeva era una tortura che aspettava di essere placata da una dolce morte, ed il pensiero di agognare ad un suo atto di misericordia era insieme folle e delizioso.

La mano di Nami scivolò serpentina dal suo collo e segui la forma della clavicola, scese fino al torace e lì iniziò a spingere: "Tirati sù." disse.

Rufy l'accontentò.

Lei si portò a sedere con un movimento fluido delle anche, scoprendosi poi vicinissima al suo viso. Rufy poteva sentire il suo respiro stabile e la sensazione di avere quel lieve, eccitante solletico sulla pelle lo fece rabbrividire. Riposò sconfitto gli occhi sulle sue labbra, prigioniero di una guerra che aveva volontariamente perso, trovandosi, ora, solo su quel campo rovente dove i fuochi più devastanti non erano ancora divampati.

E si sorprese felice.

Cosa vorresti che accadesse in questo momento?, domandò una voce sinuosa, proveniente dalla terra sbuffante fumo nero e passione. Cosa vorresti farne di quella bocca?

Con una strana, dolorosa fitta al cuore dubitò se baciarla l'avrebbe definitivamente annientato. Se non volesse e fuggisse via... non credo che potrei sopportarlo. Ma, dannazione, perchè non dovrei provarci? Dopo tutto ciò che è capitato, sarebbe assurdo aspettarsi il contrario!

Velocemente mosse il capo verso di lei, le palpebre serrate quasi provasse vergogna della sua audacia.

Ma Nami scattò in dietro con un singulto.

Rufy socchiuse un occhio con circospezione, tentando di spiare la sua espressione e prepararsi, quindi, all'ondata di rimorso che di lì a poco, era sicuro, l'avrebbe travolto. Finalmente la guardò: aveva temuto che si fosse offesa, eppure, dalla sottile elettricità che percepiva, da quel nucleo di insicurezza che trasmettevano i suoi lineamenti indignati, vederla spaventata era ancora più orribile di quanto avesse immaginato.

Si allontanò leggermente, intuendo che la sua maschera di sgomento le era simile, differente solo dall'accenno di vulnerabilità e delusione subito cancellato per rimpiazzarlo con quella aspra dell'orgoglio ferito. In silenzio si sedette sui talloni. Non incrociò nuovamente il suo sguardo per non rivelare l'impulso di una indefinita vendetta, ma indovinò chiaramente che la macelata brama che condividevano s'era fusa in un sentimento simile all'astio provato da due avversari.

Era consapevole di non aver commesso un errore, offrendosi a lei fin troppo fieramente. Non aveva fatto nulla di sbagliato, di questo ne era certo; anzi, era proprio la naturale reazione che Nami doveva prevedere. Non era lui quello colto in fallo, né quello che avrebbe dovuto soccombere in preda all'umiliazione, ma nonostante quell'unica certezza una pellicola di sudore gli imperlò la fronte. Stizzito del suo stesso nervosismo si fece scorrere una mano tra i capelli (una mossa che aveva imparato da Sanji, a dire il vero, quando la corteggiava con più impegno del solito), sperando di apparire a suo agio. Suppose che Nami lo stesse studiando ed il sapere della sua presenza, detestabile e sensuale, divenne opprimente. Allora chiese: "Che avrei fatto?", suonando più scontroso di quanto avesse inteso.

Nami scosse il capo con un'incuranza degna d'invidia. I capelli rossi ondeggiarono graziosamente, in un riflesso di luci ed ombre.

"Nulla."

Rufy aveva previsto che non sarebbe stato facile ottenere una risposta soddisfaciente ma non poteva considerare l'idea di afferrarle le spalle e scuoterla, finchè non si fosse decisa ad essere sincera. Tentare con le parole, ragionò, era ancora più complicato e pericoloso. Avrebbe certamente detto a sproposito qualcosa che desiderava ardentemente tenere per sé, senza che gli venisse rubata, come puntualmente accadeva con tutto quello che era o che possedeva. Sarebbe stato più saggio astenersi dal prendere l'iniziativa.

Naturalmente aprì bocca e parlò.

Spezzò, pretendendo di essere persuasivo, quella loro contesa che il tempo trascorso colmava di parole non dette, articolando una serie di frasi senza un senso preciso, e ciò non fece che scaraventarlo ancora più a fondo nella melma tormentosa che l'assiedava. Sostenere una conversazione non era mai stata una delle sue effettive doti, esternare i suoi sentimenti nemmeno. Se poi vi si aggiungeva una misteriosa, insipiegabile smania di doversi tassativamente mostrare affascinante e disinvolto nel suo comportamento, il risultato non poteva che essere a dir poco pietoso. Così, quando si stancò di arrancare, si disse che, se il suo obiettivo era stato impressionarla, ci era riuscito pienamente.

In negativo.

Prese a scompigliarsi la frangia nera con degli scatti nervosi, rimuginando in un silenzio vuoto di idee salvatrici eccetto la realizzazione di essere stato, seppure per un momento, rifiutato.

"Intendevo," bisbigliò a malapena, "Che tu..." si ammonì di impostare una frase che avesse un nesso logico e riordinò per l'ennesima volta i suoi pensieri sconvolti. Calma, calma. Posso farcela. Allora allungò velocemente il braccio e afferrò con eccessiva urgenza le dita affusolate di Nami, e solo dopo, quando ebbe percepito il loro calore, si accorse del suo gesto. Goffamente abbozzò una carezza.

Posso farcela.

"Non hai ancora risposto alla mia domanda. Quella che ti ho fatto prima, pochi minuti fa-- non te ne sei dimenticata, vero? Perchè, ecco, io penso che tu sia d'accordo." per lo spazio di un secondo, si azzardò perfino a sbirciarla con cautela. "Questa è solo la mia opinione, ma probabilmente ho ragione perchè, beh, ah..."

"Sì?" lo incitò a proseguire lei.

"Guarda che sei stata tu ad iniziare tutto." ribatté, con la faccia tragicamente arrossata.

Nami aggrottò le sopracciglia in una smorfia oltraggiata. Svicolò il braccio dalla sua presa ma prima che potesse allontanarsi la tirò seduta.

"No, no, non andartene. Mi sono espresso male." disse nel panico. "Devi ascoltarmi però, ascoltami soltanto."

Rufy si concesse un ultimo sospiro, e, comprendendo che non ci sarebbe stata altra via se non quella, tra sé giurò che non le avrebbe nascosto nulla, nulla che gli fosse passato per la testa, o che avesse segretamente avvertito; che ormai era tardi per rivestirsi, sollevarla di peso e cacciarla via; che ormai, con sua stessa meraviglia, si era mostrato diverso sia nell'agire che nel pensare e tornare al suo sorriso innocente sarebbe stato patetico. Ormai era irrimediabilmente coinvolto nella sua sofferenza, e pure si era lasciato ammaliare troppo a lungo per non desiderarla. Con tali risoluzioni che gli vorticavano nella mente, disse:

"Sai quando sono caduto da quel pennuto?"

"Ma cosa diavolo stai dicendo?!" si stupì Nami.

"Non interrompermi in continuazione!"

Lei scosse la testa con rassegnato sconforto. "E guarda che belle cose succedono." mormorò tra sé. "Comunque mi avevi fatto una domanda, ed io ho risposto."

Rufy arrossì di nuovo, sprovvisto di armi in grado di vincere la sua formidabile eloquenza.

"Era... retorica."

Nami alzò gli occhi al cielo, colmi di sarcasmo. "Oh, giusto. Sono una povera ignorante."

"Piantala! Non me la sento di litigare. Tutto quello che ti chiedo è di lasciarmi parlare prima di iniziare ad interrompermi, prendermi in giro e darmi dell'idiota."

"Non attribuirmi colpe non mie!"

"Quale colpa?!" chiese Rufy, genuinamente sconvolto.

"Non ti ho ancora dato dell'idiota. Vedi, stavo per farlo, ma mi sono generosamente risparmiata." spiegò lei gesticolando. Fece una breve pausa prima di aggiungere: "Quindi sei in errore."

"Sì, va bene."

"E sei pure idiota."

"D'accordo..."

"Come se non lo sapessi, poi," sogghignò, sembrando divertita da quella strana conversazione.

Lui sbuffò con risentimento, accomodandosi meglio sul letto. "Hai finito?"

"No. Aspetta un secondo." Nami si avvolse distrattamente in una delle varie lenzuola, sparse alla rifusa attorno a loro. "Sono disposta ad ascoltarti, davvero. Però ad una condizione."

Rufy, che nel frattempo era consapevole del progressivo sgretolarsi della sua risoluzione ad ogni secondo che passava, annuì con veemenza: "Sentiamo."

"Voglio che ti sia, oddio, almeno comprensibile. Quindi, per qualunque cosa tu mi comunicherai, esprimiti chiaramente e senza dilungarti."

Alzò un sopracciglio, non del tutto sicuro: "Sul serio?" chiese scettico.

"Certo, ti darò retta."

"Bene." tornò a sorridere disteso, come non gli accadeva da parecchie ore. Rimuginò per un attimo, scegliendo con diligenza i termini da utilizzare, poi declamò: "Devi stare zitta."

Gli occhi di lei brillarono sinistramente di pura furia, ma, a parte sbuffare frustrata, acconsentì col capo.

"Allora," Rufy cercò di radunare ancora una volta le sue riflessioni. "Stavo dicendo che ero caduto da quel pennuto che volava... che volava sopra... ehm, una città. Non mi guardare così, non posso mica conoscere tutti i nomi dei posti in cui vado! Insomma, io ero in barca con Zoro, all'inizio. Non la Going Merry, non c'era ancora. Siccome avevo fame provai a catturare quell'uccello, con il risultato che catturò me... ero piuttosto imbranato. Ma il succo del discorso è che quando sono finalmente riuscito a liberarmi dal suo becco sono caduto in questa piazza, e lì ti ho incontrato."

"Ora ho capito a che ti riferisci!" si intromise nuovamente, "Me lo ricordo anche io. Si chiamava Jolly Town e stavo rubando la mappa di navigazione––"

"––Da quel clown pirata. Stà zitta... non mi picchiare! Lasciami terminare o mi perdo ancora. Dunque, lì ti ho incontrato per la prima volta, mi hai rivolto la parola tu, forse... in ogni caso ho subito pensato, beh... ho pensato che fossi antipatica. Voglio dire... " soppresse il vivace commento di Nami sul nascere: "Che lo eri proprio. Eri un po' fastidiosa, maniaca dei tesori e mi confondevi perchè non appena ero convinto di averti inquadrata, di aver capito che tipo fossi, ti risolvevi diversa. Sai che all'inizio non ti davo nemmeno ascolto? Parlavi di cose che non afferravo e credevo che non ne valesse la pena. Poi mi hai confidato che ami il mare, giusto?"

Sì fermò, prendendo alcuni respiri. Aveva parlato rapidamente, come se non potesse domare il flusso delle parole e quelle, semplicemente, si materializzavano senza la sua volontà.

"A quel punto pensai di essermi sbagliato sul tuo conto. Così, alla notizia che sei una brava navigatrice, ti ho voluta subito–– come mia compagna. Invece mi hai consegnato a Baghy." fece un piccolo sorriso, rivivendo quegli episodi lontani. "Quindi mi avevi ingannato, ed io mi ero lasciato sobillare così facilmente... che quando ti hanno messo con le spalle al muro io ero davvero felice: perchè chi è codardo lo si riconosce, e lo si smaschera, in quei momenti. Non era quello il modo in cui si deve affrontare la vita, e mi sembra di averti pure schernito. Era la mia visione del mondo, di te, e sono stato crudele e... superficiale."

Si interruppe ancora, immaginando di sentire il cemento freddo della gabbia che l'aveva tenuto prigioniero, il suono delle risate prive di pentimento dei pirati che non sapevano cosa fosse il mare e la sua anima, l'odore pungente di polvere da sparo proveniente dal cannone di fronte a lui... e oltre le sbarre di ferro che gli impedivano di fuggire, a pochi metri di distanza, quella ragazza bella, piena di contrasti, odiosa e ingannevole che reggeva i fiammiferi con cui accendere la miccia.

Una sola sua mossa, quando avrebbe preferito, e sarebbe potuto morire. Ma non pensava che l'avrebbe fatto, o almeno doveva rischiare. Ti dici una di loro ma non riesci a recidere un'esistenza? E' stata una tua decisione e devi portarla a termine, devi andare fino in fondo. O forse non hai il coraggio di metterti in gioco?, l'aveva provocata, sicuro, occhieggiandola dall'alto in basso. Perchè lei, in quell'attimo, non gli era giusto pochi passi, sulla stessa zolla di terra, a condividere, forse, la sua stessa sorte; ma lontanissima, anni luce più in basso rispetto a Rufy. In quel momento, confessava, ne era profondamente convinto.

E dopo... dopo cos'era successo?

Non rammentava esattamente la causa che aveva fatto scattare tutti all'attacco, perchè, magari, era davvero terrorizzato dall'idea di morire, eppure... l'unica immagine che gli aveva riempito la mente era quella della ragazza che, con le sue mani che utilizzava per disegnare le carte di navigazione, che erano importantissime, con quelle stesse aveva afferrato senza ripensamenti la miccia accesa del cannone, e stesse tentando con ogni sua forza in quel corpicino di spegnerla. L'eco delle urla per il dolore che palesemente avvertiva ustionarla l'aveva svuotato d'ogni sentimento, osservandola lottare e vincere contro le lacrime che minacciavano di rigarle le guance.

Ecco, era questo che era accaduto. Più o meno in tal modo. Qualcosa di forse insignificante in confronto a tutte le avventure ed i pericoli che avevano affrontato lungo il loro viaggio.

Ma per lui era vitale.

Le parole di Shank lo avevano accompagnato ininterrottamente; dolorose, ma così orribilmente franche da non riuscire a capacitarsi qualcos'altro che fosse sincero al di fuori di esse. Da quelle avrebbe guardato con occhi diversi il suo ambiente, con quelle avrebbe riconosciuto le persone amiche e quelle che non meritavano di essere considerate, per quelle avrebbe votato la sua esistenza all'aspirazione di un altro. Talmente certo di non poter mai piegarsi al peso di differenti verità aveva continuato ad avanzare con la testa alta, e il sorriso sulle labbra di chi conosce il sentiero su cui cammina, consapevole, pure, di essere un privilegiato tra molti ciechi.

Invece, proprio nel bel mezzo della sua risoluzione appariva quel muro, quel dubbio, che aveva sempre considerato come un ostacolo che prima o poi avrebbe valicato, anche a costo di aggirarlo. Ed era proprio questo ad averlo intrappolato: non poteva scappare. Nel momento in cui se ne accorse, scoprì che non gli importava. Perchè quella ladra aveva avuto successo–– e soltanto lei, prima ed unica, icona sacra in un pozzo d'odio–– nel costringerlo ad aprire gli occhi anch'egli, a vedere il mondo ed i suoi colori com'erano per davvero e non per come gli erano stati descritti, trascinandolo in un vortice di emozioni che non avevano nome né volto. Sconosciute, nuove e... libere.

Gli aveva offerto un prodigio, o una dannazione; e forse senza che nemmeno se ne rendesse conto.

Ovviamente, questo l'aveva taciuto.

Sia per paura e vergogna; si sentiva già abbondantemente ridicolo a cominciare un monologo complicato e così privo di un filo logico che, improvvisamente, si ritrovò nuovamente senza null'altro da aggiungere. Barcamenò per un paio di minuti tra concetti sconnessi e lunghe pause, ma alla fine iniziò a ripetere quel poco che le aveva reso noto diverse volte, e non sopportando il peso dello sguardo lievemente infastidito di Nami, si morse la lingua, attento a non far trapelare più un solo suono attraverso i denti.

Ho rovinato ogni cosa, pensò furibondo, ho rovinato ogni cosa. Lo sapevo che l'avrei fatto. Ma perchè non ho tenuto chiusa la bocca, perchè non me l'ha tappata lei con la sua e avremmo continuato a baciarci e a mandare al diavolo tutto il resto?

Quasi per caso si avvide che ancora le teneva la mano. Si chiese se sarebbe stato più adatto lasciarla, ma non lo fece. Nel frattanto che la sua mente si sforzava di trovare una risposta che sciogliesse il groviglio delle sue incertezze, l'animo si crogiolava nell'insoddisfazione per quelle parole che si era aspettato differenti, così come il contenuto, la loro esposizione e la reazione di Nami.

Il problema consisteva nel fatto di non conoscere con precisione cosa sarebbe stato più opportuno riferire, in tali circostanze. Dannazione, chi avrebbe potuto? Se fosse stato per Rufy, avrebbe preferito dilungarsi nel descrivere quando lei leggeva sotto il sole. Solo e semplicemente quello. Il modo in cui spostava dietro l'orecchio una ciocca brillante di luce, ed il modo in cui le labbra si muovevano senza emettere suono prima di interrompersi, perchè il vento, insinuatosi tra la stoffa della sua gonna leggera, le aveva scoperto, quel tanto che bastava ad indisporlo, le lunghe gambe meravigliose. Poteva raccontalo nei particolari, senza sbagliare, perchè non l'avrebbe ammesso ad anima viva, nemmeno a Zoro, ma spesso la osservava, in quelle corte ore di pace totale, quando non c'era alcuna complicazione imprevista e lei si concedeva una piccola pausa dalla freneticità, godendosi la ritirata nel suo universo privato.

E se Nami l'avesse trovato inutile e irritante? Dopotutto, tra le sue varie qualità non era compresa la pazienza e Rufy aveva già miseramente fallito in precedenza, dunque come permettersi una seconda possibilità? Io dico tante belle frasi sull'amicizia e sul coraggio ma... quando arriva il momento di parlare di qualcosa che mi riguarda non so nemmeno da dove iniziare. Nè Shank le l'ha mai insegnato.

Basta, strinse la mano di Nami nella sua. Io mi butto. Doveva solo ridurre la quantità immensa di episodi e sensazioni che lo legavano a lei; temeva, infatti, che non avrebbe concluso neppure tra giorni se ne avesse sviscerato ciascuna loro sfumatura, il tutto per esprimere un concetto che avrebbe dovuto condensare a pochi attimi.

Dunque che cosa dire?

Chiuse gli occhi e rovistò tra quell'ammontare di ricordi. Li rivide tutti uno per uno; velocemente apparivano immagini colorate, suoni di risate o di urla, altre volte erano odori, emozioni, e altre volte ancora capitava che il ricordo fosse a tal punto intenso da provare tutto ciò simultaneamente, tornando, per una frazione di secondo, a quando l'aveva vissuto. Poi giunsero i pensieri, impressioni che aveva sentito, concatenate al resto.

Non erano tutte piacevoli.

Gli capitava di essere in collera con lei, il sangue pompava nelle vene forte come un mare in burrasca, e le loro liti erano proprio così. Lo scontro tra due onde che culminava in un boato violento, e poi il loro dissolversi, finalmente calme. Ma accadeva pure che fosse indifferente alle sue passioni: si era visto scansare con aria disgustata oggetti preziosi che per Nami avrebbero fatto la felicità... e si era osservato litigare per governare un misero Wawer. "Spero che coli a picco, quella strega."

E poi, con sua estremo sbalordimento, era soggiunta anche la gelosia per tutto ciò che lei aveva la capacità di creare ed il dono di realizzare anche bene; quelle volte in cui la sua goffaggine usciva immancabilmente sconfitta a confronto di tanta grazia ed intelligenza. Questo lo infastidiva oltremodo e lo angosciava, perchè era così bella e sempre così lontana, lontana... gli era mai davvero accanto, Nami? E se lo notava, lo considerava noioso? Mediocre?

Indegno della sua compagnia?

Rufy non poteva saperlo, né gli occhi di lei lasciavano trasparire risposta. E l'aspettativa mista confusamente al terrore di conoscerla, che tanto, tanto lo tormentava nel profondo e nelle notti insonni, era quasi maggiormente insopportabile dell'atterrita rassegnazione che avrebbe provato alla conferma dei suoi timori.

In altre situazioni, al minimo presentimento di tale vergognoso pensiero, come un soffio di vento che, anche se indesiderato, passa sotto una porta chiusa a chiave, si sarebbe opposto con fervore per scacciarlo, dimenticarlo e, anzi, fingere di non averlo mai concepito: pretendendo che fosse stato giusto una tempesta momentanea, o un attimo di pazzia. Tuttavia, era troppo stanco per lottare contro sé stesso, troppo, per riprendere a raccontarsi menzogne su menzogne. Non voleva concederle di essere importante per lui? Diavolo, Nami non aveva mai chiesto il permesso a nessuno. La porta era aperta, e lei gli era ormai entrata troppo dentro per rinunciarvi. Dunque era così arduo comprimere mesi trascorsi insieme, giorni condivisi, discorsi qualche volta seri e altre senza senso, risate, lacrime e amicizia, paura, desiderio...

... Era così difficile ammetterlo?

Mi piaci.

Ciascuna goccia del sangue di Rufy gli affluì alla testa, pulsandogli con violenza nelle tempie. La scoperta risuonava come l'eco in una vallata, impedendogli di avviare qualunque altra riflessione salvifica, fondendogliele, inondando il petto, sovrastando tutto ciò che prima costitutiva il suo caos, quietandoglielo.

In tale stato d'animo, senza accertarsi che Nami lo ascoltasse o del tempo trascorso, disse:

"Non sono mai stato bravo a parlare. Nè ho mai pensato molto, e quando mi capita di dover prendere una decisione agisco d'impulso. Il che è un male, lo riconosco... quello che è successo con Usop lo dimostra."

Nami voltò il capo con uno scatto secco, appena schiaffeggiata dal significato della sua frase. Con un tuffo al cuore Rufy si rese conto di quanto, anche menzionarne il nome, fosse doloroso per entrambi. Ma Nami ancora si rifiutava di volgere lo sguardo dalle sue mani strette alle lenzuola attorno al corpo, e fissarlo per una volta senza inganni, riconoscendovi nei lineamenti irrigiditi la stessa ferita.

"Non sto cercando di giustificarmi." sentì il bisogno di specificare, pentitosi immediatamente della maniera in cui fossero suonate le sue parole ad un interlocutore che, in precedenza, non poteva aver assistito alla furiosa lotta intrapresa.

"E mi sembra di non sapere più niente, ormai. Ma di certo ciò che ti ho detto ore fa è lontanissimo dalla realtà. Questo te lo ricordi, vero? Siccome le cose sono andate nel peggiore dei modi, ho perso la testa. Io, che ho sempre considerato l'amicizia il mio ideale. Invece non è vero. Non è vero affatto." sussurrò tagliente, una lama con cui era pronto a colpire sé stesso a costo di giungere fino al cuore, senza fermarsi più.

"Nami," disse, "Io non credo di essere una brava persona: sono debole. Le poche volte che Usop è serio, lo sento, Nami. Ha detto che ha sbagliato a giudicarmi, che mi aveva sopravvalutato. Sai che penso? Penso che abbia proprio ragione."

Si fissò le mani:

"Se davvero fossi così a posto mi tremerebbero lo stesso?"

La domanda cadde nel vuoto, e in quello vi rimase. Sola con Nami, mai in quel momento tanto somigliante ad un sogno evanescente, o ad un fantasma, prima che la direzione del suo discorso imboccasse la stessa buia strada nella quale lei aveva trovato rifugio. Mentre non riusciva a discindere tra il groviglio di sensazioni che gli attanagliavano l'animo, che gli pesavano come una zavorra sul petto, quelle minacciarono di farlo definitivamente cedere. Non un'indicazione, od un sentiero rischiarato da una luce che regalava consapevolezza, se ve ne fosse alcuna che racchiudesse anche sollievo, oltre alla coltre di frustrazione per essere stato ripetutamente ignorato. Così, cieco di ogni segnale d'uscita, avanzò a tentoni, con la speranza di una preghiera da esaudire a guidarlo, e ad impedirgli di scivolare nell'abisso distante pochi passi.

"E poi sono spaventato. Non è iniziato adesso, o quando se n'è andato, credo che sia stata tutta questa giornata nell'insieme... ero sicuro che la Merry fosse ridotta male, quando ce l'hanno riferito... temevo che qualcosa sarebbe successo, ma tutto è esploso qui con te. Io sarei un amico?"

Rise di sottecchi, senza umorismo.

"Ho sacrificato un compagno, per il mio orgoglio. Solo questo. La barca centra ben poco. Mi sono comportato orribilmente. Se avessi agito diversamente, ora lo capisco, forse la sua reazione sarebbe potuta cambiare, ma non riuscivo ad ascoltare, io... penso di aver voluto far finta di niente. Che il problema non esistesse. Ho continuato a sorridere per tutto il tempo quando gli ho annunciato di abbandonare il suo tesoro, e ho preteso che fosse d'accordo senza battere ciglio. E' disgustoso, vero? Io non getterei via il mio cappello per nessuna ragione al mondo. Disgustoso."

Probabilmente fu l'impeto espresso in quell'ultima parola, una detestabile certezza scaturita da molte meditazioni, che spezzò l'apparente immobilità di Nami con un tremito forte, potente. Il suo corpo sembrava imporsi di fuggire da lui e da quella situazione il più lontano possibile, non appena si fosse arreso di aspettare un conforto che non lo avrebbe mai raggiunto, per poi cancellare la loro conversazione e tutto quello che era accaduto dalla mente e dal corpo ancora sudato. Pretendere che non fosse mai esistito, ucciderlo.

Questo sembrava desiderare.

Rufy ponderò se la stretta forte tanto da sbiancare le nocche con cui soffocava le lenzuola fosse un malcelato tentativo di resistere dal portagliele attorno al collo e stringere, fino a che non potesse nemmeno più bisbigliare. Stà zitto, taci, gli aveva intimato la sua coscienza quando era ancora preda dell'indecisione. Probabilmente, ne avrebbe preso il posto Nami.

Ma lui proseguì:

"E invece cos'ho fatto? Me ne sono fregato, nuovamente. Ho continuato a recitare la farsa, no? Sono il capitano, dopotutto, la decisione spetta a me soltanto, tornare in dietro è da vigliacchi. Adesso mi accorgo di che ho farneticato! Eri convinta che mi fossi divertito a cacciarlo, perchè è sembrato proprio così! Ma ciò è il contrario di quello che provo. E' orribile, mento a me stesso e mi convinco che sia la pura verità. E non posso sopportare di averlo fatto anche con te, anche qui."

Chiuse gli occhi, prese un gran sospiro. Era un morto che parlava, a discapito del cuore che minacciava di scoppiargli nel petto.

Pazzo. Stà zitto, taci, stà zitto...

"Fingere che non mi importasse. Fingere di non volerlo."

Erano arrivati al punto di rottura: lo riconobbe quando Nami smise finalmente di reclamare che fosse soltanto l'illusione scaturita da un incubo, e non si era decisa a fronteggiarlo.

"Ripetilo." sibilò aspra, la voce pericolosa come un veleno delizioso che prometteva una fine nel sangue.

Lui ne bevve ogni goccia con devozione tale, per un condannato alla massima pena, da rasentare la follia, sempre non lo fosse già, e questa notte, invece, sia l'inizio di un lungo, faticoso rinsavimento. Eppure quanto era strano che il punto nel quale ci si possa finalmente liberare dalle proprie ombre e scrupoli somigliasse alla confessione di un assassino terrorizzato. Se non fosse stato il protagonista di quell'insolito, nero spettacolo, ne avrebbe facilmente colto l'ironia insita, astenendosi dallo scoppiare in una risata discreta per rispetto della sofferenza altrui. Ma ora, da consapevole protagonista, non gli era risparmiata, ammesso che rimanesse anche solo il ricordo di come regalare un sorriso. Invece si trovava ad arrancare, annegato in lei: carnefice che pretendeva di essere vittima e accusatrice, che non esitava quando gli vibrava il pugnale contro più e più volte, che lo baciava come temesse che il mondo sarebbe finito con il giorno a venire, per poi calpestarlo indifferente, prima di ricominciare da capo il truce gioco. Abbandonandolo quando ne avesse trovato un altro che lusingava il suo carattere volubile, promettendole un nuovo divertimento.

"Non farmelo ripetere."

La sua voce fioca lo colse alla sprovvista, ormai dimentico di qualsiasi cosa. In essa vi era un accenno malinconico e un emozione, una speranza che rasentava l'adorazione, servo fedele di fronte alla propria dea messo alla prova, che chiede una grazia o perdono. Perchè se Nami l'avesse desiderato, allora non si sarebbe impedito di donarsi senza remore e non avrebbe ammesso neppure il tempo dell'addio a tutto il resto.

Non

Aggrappato a quel silenzioso quesito, occultato, spezzato nell'impeto da una piccola frase anonima che sembrava, ad un ascoltatore poco attento, limpida, chiara nei suoi concetti, lasciando il lusso all'immaginazione di interpretarla nell'arrochimento della voce, negli occhi che cercavano un appiglio che fosse tutto fuorché il suo sguardo.

Costringermi

Perchè se lei avrebbe notato il riflesso che lo dominava, i colori impressi nell'iride e le movenze che gli balzavano alla mente ogni volta che sospendesse la presa sulle sue catene, allora avrebbe visto esattamente ciò che Rufy si sforzava in ogni modo di nascondere e murare nel suo animo: Nami.

A farlo.

Solo... quello che domandava era un poco di comprensione: era arduo il compito di scacciarla, l'impegno era tanto, il tempo concesso inesistente.

Scosse il capo cercando di focalizzare la situazione e lei. Quando se ne rammentò, se ne pentì pure. Ma il rimorso era un familiare compromesso che era disposto ad accettare e convivervi, come aveva fatto per anni: "Credi che, mentre ti rifiutavo, mi sia preso gioco di te, forse? Perchè sarebbe stupido, sai." spiegò mite, "Io ero nel panico: qual è la tua scusante?"

"Come... osi?!" soffiò Nami. Le guance erano macchiate di rosso dove prima erano pallidissime, il labbro inferiore tremava nel tentativo di contenere la rabbia, repressa evidentemente oltre i suoi limiti.

"Ti rendi conto di quello che stai insinuando? Come puoi--"

"Tu non capisci!" le urlò dritto in faccia. Un ondata di adrenalina lo travolse e si accorse di stare tremando leggermente. C'era qualcosa... qualcosa che ancora gli sfuggiva, rimasto sotterrato, lontano dalla sua vista. Qualcosa che non riusciva a delineare correttamente. Dov'era? Percepiva con chiarezza pungente quella pressione estranea, quella nebbia senza nome né volto che minacciava di inghiottirlo, senza nemmeno averne colto il perchè.

"Tu non capisci," ripeté flebilmente. Nami probabilmente non lo udì, ma ciò non aveva importanza: non era a lei che si rivolgeva. In realtà, quel sussurro era il residuo di un eco dipanatosi nel suo animo. Riecheggiava senza sosta nella testa e, se non fosse sicuro di non averla resa partecipe dei suoi tormenti, avrebbe giurato che quello stesso fosse stato un urlo ancora risuonante nelle orecchie. Le parole sfuggite dalla sua bocca, seppure fossero imprigionate dalle labbra serrate contro i denti a costo di sanguinare, erano un avvertimento accecante, che dietro alla sua facciata severa e intransigente nascondeva la violenza di una supplica.

E, d'improvviso, lo avvertì.

L'oblio. Lo strano universo a cui aveva rivolto i suoi appelli, la silenziosa dimenticanza che quella notte poteva dedicargli. Aveva desiderato sciogliersi in un mare nostalgico, senza paure o trappole, ma neanche gioia o vita. Aveva desiderato scomparire attraverso Nami e, seppure per un attimo, ne carpì la sensazione. Fu terribile.

Tuttavia era ormai prigioniero di quella voragine e non aveva scelta se non adattarvisi alle sue leggi: quando, cioè, la spirale buia attraverso cui una persona muore ne lava via le sfaccettature che possedeva, quella appena nata non aspettava altro che colmarsi di vita rinnovata.

Immaginarne il processo poteva essere fuorviante; sperimentarlo una crisi terribile. Eppure nel momento in cui si ha perso tutto ciò che si custodisce, finalmente si scopre di poter fare nuove conquiste. Solo dopo, però. Di fronte ad una verità così luminosa per essere ignorata ulteriormente, reagì vergognandosi di sé stesso. Se ammettere di conoscere la ragione del suo tumulto era stato come trapassare, quasi rimpiangeva la sensazione anestetizzante della nebbia fredda che l'ottundeva. Forse perseverare nella sua personalissimo castigo sarebbe valso a giungere a quella luce e poi, finalmente, smettere di inciampare sulle sue menzogne. Attenuando il cappio al collo che si era imposto avviluppargli la gola, consentendo ai sussurri della mente di fluire liberi, avrebbe trovato una soluzione, invece che solo bramarla e al contempo allontanarvisi.

Si sfregò una tempia nervosamente, d'un tratto irritato, intuendo che si trattava di pochi minuti, secondi addirittura, prima che la scoperta non l'avesse schiaffeggiato. Esasperato dall'attesa, senza quasi respirare tra una frase strozzata e l'altra riuscì a dire:

"Non sai niente. Cosa mi rinfacci contro quando non hai idea... se ti avessi incoraggiato... se fin dall'inizio fosse stato diverso, senza liti o, o... svenimenti–– e metti che fosse davvero accaduto quello che volevi–– Dio!" sbottò tagliente, "Non sono nemmeno sicuro che facessi sul serio! Le conseguenze, per te, sono inesistenti? Mi credi forse una marionetta? Se avessi perso il controllo..."

Si interruppe di colpo, con la stessa rapidità di quando aveva preso a gridarle addosso. La occhieggiò con espressione neutra, svuotata. Improvvisamente era incapace di dire o fare altro, di qualunque cosa di fosse trattato, perfino il più piccolo movimento. Anche solo riprendere a respirare, dimostrandole che dopotutto non aveva perso il senno. Invece se ne stette fermo, come una statua di sale, ed era tutto fuorché se stesso. Come uno specchio appena schiantato e ridotto in quanti pezzi si riuscisse contare, non era più definito tale, benché la materia di cui era stato costituito rimaneva invariata, allo stesso modo si era scoperto separato, lacerato in cento minuscole parti, o anzi: quelle si erano semplicemente sgretolate senza più forza né volontà di starsene unite. Così, senza un gesto eclatante o una frase rivelatrice.

Semplicemente, realizzò, il motivo l'aveva sempre saputo.

"Rufy."

Nami gli sfiorò il torace in un battito d'ali, negli occhi aveva l'incertezza di chi teme la reazione altrui. L'atteggiamento e il tono erano mutati; Rufy lo registrò solo in quel momento. La voce era delicata, soffice, gli solleticava leggermente le guance quasi se la sua gentilezza fosse stata una carezza, una rincuorante consolazione che prometteva ascolto per ciò le venisse in fine svelato. Gli volò alla mente la sensazione di sbiadita meraviglia che sempre provava quando assisteva a quei piccoli, del tutto soggettivi miracoli di cui lei era esperta: avrebbe potuto aggredirlo per puro capriccio con la furia di un incendio vivo, senza timore di mortificarlo, perchè era appunto il suo intento. Poi, non appena credeva di essere stato definitivamente lasciato in dietro, ecco che si voltava con l'aria di chi si era appena rammentato qualcosa talmente ovvia da non essere degna di considerazione. E gli si mostrava perfetta; gli sorrideva accogliente e tutto era di nuovo colorato e armonioso. Lui, questa volta, non voleva subirne la magia: non c'era nulla di più ambito della rabbia quando si ha l'intento di ferire; in assenza di quella, la loro disputa non avrebbe avuto più alcun senso. E Rufy anelava a trovarne uno.

Si prese la testa tra le mani, le dita fredde di quando era agitato gli puntellavano il cranio con tanto zelo che immaginava chiaramente quelle stesse trapassarglielo in un amorevole supplizio. Serrava la mascella: una morsa ferrea a cui non poteva rinunciare, e che, con l'aiuto del dolore provato, fungeva da àncora al flusso ormai indomabile, ribollente in lui; naufrago senza più porto sicuro a cui fare ritorno, alienato dal mondo esplorato per folle curiosità, dannato giustamente per aver aspirato l'impossibile. Nonostante l'ineluttabilità del suo fallimento, perseverava nel darsi pena a causa del presente tanto caotico, sempre con un cuore che, non appena i suoi occhi la incontravano, perdeva un battito. Ma più si avvicinava a quel fuoco, più qualcosa che era stato suo moriva.

Stare con lei era un supplizio dolcissimo.

Prima o poi, ne era certo, anche quello sarebbe terminato, insieme al suo scopo, perchè non sarebbe rimasto più nulla da logorare. E allora sarebbe tornato nel vuoto tanto orribile. Eppure...

"Cosa c'è di sbagliato in me?"

Eppure non poteva assolutamente, per nessuna ragione, farne a meno.

"Stai dicendo assurdità."

Nami giocò titubante con i capelli neri che gli ricadevano sul viso disordinati, speranzosa che non si sottraesse al tocco. Sembrava non trovare altro da aggiungere, ma nell'inclinazione del suo timbro vellutato non c'era alcuna traccia dell'irritazione che aveva provato.

O forse, quella era stata rimpiazzata da genuina preoccupazione.

Rufy non azzardava sperare tanto. Anzi, che diritto aveva di illudersi? Le trappole che ogni volta lo riducevano a preda senza scampo quando si costringeva ad essere sincero, non fallivano mai, né si esaurivano, non per uno sciocco atto di debolezza.

"No, Nami." Fu il suo turno di ritrarsi con frustrata indignazione, "Non provare a consolarmi. Non tu che sei sempre sincera da far male. Ormai non ce n'è più bisogno: hai ragione, Nami, davvero, hai ragione su ogni cosa. Amicizia?"

La guardò, per una volta deciso. Lei era così minuta, così indifesa a poco più di un metro di distanza; seduta, riversa sopra un letto troppo grande. Si rese conto che i suoi occhi smarriti non gli procuravano un senso di colpa schiacciante, bensì un emozione simile al trionfo, al godimento provato dopo una vittoria faticata, che riuscì a scalfirne la sicurezza.

Ma s'impose di non fuggire.

Davvero, che senso aveva, ormai? Era tutto inutile. Ciò che stava succedendo, in nessun modo, mai, con tutto il tempo che la vita gli avrebbe consentito, sarebbe potuto cambiare.

Cosa avrebbe potuto fare di fronte all'inevitabile?

Rufy, con cautela, tornò al suo posto. Lentamente, non del tutto conscio delle sue intenzioni, percorse con un dito la pelle morbidissima del volto di Nami. Arrivò al mento e, invece di scendere, seguendo lo squisito contorno del collo, si fermò sulle labbra. Erano umide.

"Sì... forse è questo che mi fa paura," Si sporse verso di lei piano, ma senza più esitazioni, fino a quando riuscì a percepire il suo respiro rotto in brevi sorsate d'aria.

Era una sensazione paradisiaca.

"Proprio questo." Inclinò il capo, perplesso: neppure lui comprendeva se quella domanda fosse riferita ai suoi pensieri, oppure alla vicinanza di Nami. "E' strano, non trovi? E' ciò di cui mi vanto ogni volta che ne ho l'occasione, perennemente, e si tratta anche di quello per cui combatto. Qualche volta ho persino rischiato la vita, e tutto per... amicizia."

"Non c'è niente di male o di insolito," lei sospirò riprendendosi, e il lenzuolo di seta che le cingeva il busto si attillò giusto il più breve istante, lasciandogli intuire le forme del petto prosperoso nascoste dal tessuto, irresistibili e proibite. "E' tipico degli stupidi impulsivi come te."

"Già, appunto. Non c'è nulla di sbagliato." disse scettico, "Nami, ti posso chiedere una cosa?"

Lei si tese per un attimo. Si riprese prima ancora che Rufy potesse verificarlo realmente, ma quando rispose, il controllo che ostentava non smorzò l'accenno di diffidenza intrisa nel suo tono.

"Sì, certo."

Affondò nell'incavo del suo collo sottile, non più padrone di sé, inspirando il delicato profumo floreale dei suoi capelli con bramosia, e ogni fibra del suo essere desiderò rimanere così, abbracciato a lei per l'eternità, trascendendo il tempo, prima di ritornare a quella incantevole tortura che era viverle accanto, a cui, lo sapeva, non avrebbe rinunciato mai. Le avvicinò le labbra all'orecchio, muovendosi con estrema lentezza, o riluttanza, come se separarsi dalla sua morbida pelle gli costasse un estremo sforzo che non poteva sopportare a lungo; la voce era bassa e incerta e non si fidava abbastanza per domandarglielo in altra maniera.

"Questo è ciò che fanno gli amici?"

Nami fu senza parole per diversi terribili secondi. Durante l'attesa perchè recuperasse il fiato Rufy ebbe l'insolita sensazione di conoscere esattamente cosa lei stesse pensando.

Fine dei giochi.

"Forse. Non lo so. Dipende,"

Strinse impercettibilmente la presa sulle sue spalle, incapace di formulare una singola idea sensata: sollievo e disappunto si erano fuse in un'unica emozione che l'aveva preso alla gola.

"Come temevo."

"Lo temevi? Rufy..."

"Sì, Nami, avevo immaginato che mi avresti detto così. Vedi? Mi giudichi più ingenuo di quanto sia, ma perchè biasimarti? Era quello che ritenevo anch'io. Molte cose se ne vanno e non so più che mi resta. L'amicizia era il mio tutto. La miglior parte dell'esistenza di un essere umano. Quello c'è di più importante. Shank..."

Quel nome lo fece sussultare. Nulla dai suoi tratti accennava al tumulto che gli colmava gli occhi appannati, ma, sebbene temesse sul serio che fosse impossibile, un compito troppo gravoso perfino per lui, vinse contro le lacrime che reclamavano la sua resa.

Non le avrebbe concesso di distruggere, dopo il suo cuore, anche la dignità, stretta nei pugni contratti per impedirne un'eventuale via d'uscita.

"Invece mi sbagliavo. E' solo codardia pensarla in questo modo, perchè è come se mi ci difendessi, con quella. Continuavo a mentire e pretendevo di non sentire, di non vedere–– di non capire nulla. Ma in realtà... in realtà. Se avessi desiderato fermarti. Se avessi desiderato che tu... mi sarebbe bastata una minima pressione. Sei così debole. Ti avrei allontanata senza problemi, del resto, proprio come è accaduto oggi pomeriggio. Mi sono raccontato di essere stato ingannato, succube di una qualche storia, le tue parole–– che non avrei mai sospettato di arrivare a tanto, che m'interessava solo parlare, dormire..."

Fece una pausa.

"Esserti amico?"

Notò che lei stava tremando debolmente, ma non se ne curò:

"Avanti, lo sai benissimo. No, Nami, che non sei stata tu a costringermi, né sei un mostro che non posso sconfiggere... non so per quale motivo sei venuta da me stanotte, ma adesso non ti lascio andare. Ti ho presa, ormai, non puoi andartene, lo sai che sono forte. Stai qui e non importa se non vuoi: sarò egoista. Va bene? Allora..."

Stava per concludere. Era giunto dove fino a poco fa non osava neppure avventurarvisi; ora, al contrario, non doveva che dire pochissimo ancora, un ultima prova da affrontare avrebbe reso realtà ineluttabile ciò che era stato celato e ignorato.

"Ci riflettevo adesso." mormorò pacatamente, "Mi è venuto in mente quando pensavo a te e me. Mi interrogavo sul chiarire questa situazione, ah, qualcosa del genere... tipo una soluzione concreta. Sai, Nami, sono convinto di aver trovato la risposta che cercavo. Che fare di fronte all'inevitabile?"

Infatti le era proprio davanti. Anzi, a poche spanne dalla sua bocca. Rufy sapeva che cosa sarebbe accaduto tra breve. E ciò gli piacque.

Le labbra di Nami si separarono nuovamente, incerte, e non capì se fremessero a causa del nervosismo o soltanto per l'attesa; o forse per pronunciare senza suono: "Che cosa?"

"Arrendersi." bisbigliò sicuro, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Naturalmente, anche baciarla lo fu.



End of Part Six

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Memento