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Autore: LairaWolf    13/11/2012    4 recensioni
Questa saga racconta (principalmente dal punto di vista di Gwen) un continuo dopo la terza stagione. I ragazzi sono in vacanza su uno yathc, ma questo viene colto da una tempesta, che disperderà alcuni ragazzi e altri li spedirà in un posto sperduto....
Una storia di amori, sofferenza, e di spirrito di gruppo!
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Courtney, Eva, Noah, Trent | Coppie: Duncan/Gwen
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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GWEN



È come se improvvisamente sento di avere un peso. Ho delle sensazioni, come dire... terrene.
Apro faticosamente gli occhi: vedo ancora del bianco. Ma... è fatto a maglia? Aspetta! È un lenzuolo di lana di pecora, quelli che fa Bridgette! Mi alzo di scatto, togliendomi il lenzuolo. Sono nella mia capanna, ma sono da sola. Ed ero stata coperta interamente con un lenzuolo...
Cioè vuol dire che...
Mi consideravano morta?
Mi dirigo verso l’uscita della mia capanna, e sbircio fuori. Non si vede nessuno. Dove saranno andati?
Allora esco e mi dirigo verso la spiaggia. Ancora nessuno. Ma saranno morti tutti?
Li cerco dentro le capanne: niente. Alla Collina Maggiore: nisba. Nelle grotte: nada.
Per caso... non è che per caso è arrivata una nave, li hanno portati in salvo e, credendomi morta, mi abbiano lasciata qui?
Duncan non l’avrebbe mai fatto, dai! Viva o morta mi avrebbe portata sempre con sé!
E se invece sto ancora sognando?
Invece no: sento delle voci. In effetti, nella foresta non ho controllato...
Seguo le voci, cammino, cammino, fino a che arrivo alla radura dove di solito Ezekiel fa pascolare le capre. Ci sono tutti. E non hanno delle belle facce... alcuni piangono addirittura! Ma la faccia più devastata è quella di Duncan, con enormi occhiaie, occhi rossi e lacrime che continuano a scorrergli lungo le guance. Quindi credono seriamente che io sia morta!
Beh oddio, in cielo ci sono stata... e il fantasma di Lindsay mi ha detto che ero morta “Sì e no”. Non è che per caso, ho vissuto quelle esperienze di cui tanto ho sentito parlare? Quelle dove muori per un po’ e poi ti risvegli?
Voglio sapere che cosa dicono, non dico subito di essere viva. Però ora ho un dubbio: e se magari fossi un fantasma? Mi do un pizzicotto: fa male. No, non sono un fantasma, anche perché non passo attraverso le cose.
Mi avvicino lentamente senza far rumore, e quando sono a una distanza sufficiente per sentire mi fermo. Non riesco a capire le voci di chi siano, ma il dialogo lo capisco perfettamente.
-         Allora? che si fa? –
-         Dobbiamo seppellirla... –
-         Il problema è dove... –
-         Mi viene male al solo pensiero che mentre era in coma abbia sofferto così tanto, si lamentava molto... i lamenti si sentivano persino da me. –
-         Noah, allora? che decidi? –
-         Geoff non devo decidere io, ma Duncan. Te la senti? –
-         La voglio vicino a suo figlio... –
-         Okay... –
Ci sono attimi di silenzio. Poi qualcuno parla.
-         Forza, andiamo a prenderla. –
Secondo me questo è il momento adatto per uscire. Mentre si alzano, io mi preparo per entrare in scena. Farò certamente prendere un colpo a Duncan!
Appena sono a qualche metro di distanza, esco fuori dal mio nascondiglio.
Mi fissano. Io fisso loro.
-         Perché mi avete lasciata sola? Non vi trovavo più! – dico, cercando di sdrammatizzare.
Non rispondono. La metà ha lasciato andare la mascella e mi guardano come l’istrice guarda i fari del TIR. Indietro vedo Duncan. Mi guarda come se avesse visto un fantasma. Il che, in fondo, è vero. Non si muove, sgrana solo gli occhi.
Mi faccio spazio tra gli altri e gli corro incontro. Sembra essersi ricordato come si fa a muoversi e corre anche lui verso di me.
Quando ci raggiungiamo, mi abbraccia molto forte. Quasi mi stritola, mentre singhiozza.
-         S-sei viva... SEI VIVA! M-mi hai fatto prendere... un bello s-spavento! –
-         Scusami... sai, non volevo morire, in fondo! –
-         C-credevo... credevo di averti persa per sempre... n-non respiravi e non a-avevi più battito c-cardiaco... eri m-m… morta... –
-         Sai una cosa? Avevate ragione. Ero morta infatti. Ma ti racconterò più avanti, ora calmati... –
Ma non si calma. Continua a piangere (e a stritolarmi, ma questi son dettagli), mentre io sussurro parole dolci e gli accarezzo i capelli.
Non so perché,  ma mi viene da ridere. Trovo tutta questa situazione assolutamente assurda!
-         Dai, ora andiamo a casa, ti va’? Ho una famona! –
Cercavo di sdrammatizzare, ma Duncan piange ancora più forte.
-         Eddai su! Cos’ho detto di sbagliato, si può sapere? –
-         Non hai detto niente! Sono... s-sono molto felice... –
-         Beh, contieni la tua felicità! Su forza, che non posso sorreggerti ancora per molto: sei pesante sai? –
-         Sì, scusami! –
Smette di stritolarmi e mi guarda. Occhi colmi di pianto e un sorriso. Mi giro per parlare agli altri ma vengo sbattuta a terra dalle ragazze. Mi stanno stritolando anche loro, mentre piangono, mi stritolano, piangono e stritolano.
Poi tutto il seguito è un po’ confuso. Tutti che mi chiedono se sto bene, tutti che mi offrono da mangiare e da bere, e io che cerco quasi sempre di trattenermi dal ridere. Non lo so perché!
Quando Duncan riesce a strapparmi dalle loro grinfie, mi trascina verso la nostra capanna, mi fa sedere, mi coccola un po’, ma poi vuole sapere.
-         Dimmi, che cosa mi dovevi dire? –
-         Eh? – non avevo subito afferrato il concetto.
-         Mi hai detto che mi spiegavi, che in effetti eri morta... –
È come se mi si accendesse una lampadina. Prendo fiato, e gli descrivo tutto, nei minimi dettagli.
Mentre parlo, lui è seduto di fronte a me, con una ruga sulla fronte che indica concentrazione massima. Quando comincio a raccontare lo stupro di Jake non so esattamente cosa provi, ma certamente non freschezza e benessere. Ma si trattiene da qualsiasi reazione, cosa che gli fa molto onore. Continuo a raccontare e quando arrivo al punto in cui avevo in braccio Edward, mi accorgo solo dalla faccia di Duncan che sto piangendo. Mi raccoglie le lacrime con l’indice e il pollice, si siede vicino a me, circondandomi col braccio e mi sussurra:
-         Amore, se non vuoi parlarne... per me va bene. Non ti forzo, se questa cosa ti fa soffrire. –
-         No, tranquillo... hai tutto il diritto di sapere... – prendo un altro respiro, - La cosa principale era che... Edward ti assomigliava moltissimo. Aveva la tua vivacità e... e i tuoi occhi.. azzurro cielo... -
-         Dici davvero? Aveva... i miei stessi occhi? –
-         Indiscutibilmente, erano i tuoi occhi. Duncan... io mi sento in pace. Ora non ho più rimorsi. –
Gli racconto parola per parola, quello che mi disse Cody il Fantasma (o angelo?).
Alla fine di tutto il racconto, Duncan fa un profondo sospiro. Mi guardò con una luce diversa negli occhi, più... tranquilla.
-         Beh, oggi è stata una giornata tremenda! Ma... ti devo ringraziare in un certo senso Gwen. Grazie a te ora mi sento molto meglio... e vedo anche tu... – sorride.
-         In effetti sì... ma scusami, una domanda mi affligge: per quanto tempo sono stata in coma? –
-         Una settimana! Temevamo principalmente che ti disidratasti, così abbiamo provato a versarti lentamente l’acqua in gola, sperando che tu deglutissi. Lo hai fatto per fortuna! Poi tra l’altro, ti lamentavi e urlavi... –
-         Giuro, io non ho sentito niente... –
-         Meglio così! Avevo così tanta paura... che sembrava che si fosse trasformata in realtà! – comincia a tremare.
-         Stai tranquillo! Ora sono viva... e sinceramente, non sono mai stata meglio! –
-         Dici sul serio? –
-         Certo! E sai... vorrei riprovarci, se a te va bene... –
Vedo il suo viso illuminarsi. Mi prende per mano e ci dirigiamo quasi di corsa al nostro luogo.
Dio, è una vita che non ci andiamo più, nemmeno per caso. Ma dovrebbe essere bello come al solito.
Silenziosamente scivoliamo tra le capanne, nelle foresta. Entriamo nel passaggio segreto e sbuchiamo fuori. La luce della luna mi acceca gli occhi, ma si abituano subito.
Già, è bellissimo come al solito... come Duncan, del resto.
Ed è bellissimo anche quello che viene dopo... quasi identico alla prima volta.


 


EVA

 


Mi sembra di esplodere: è un periodo di stress unico. E Gwen che risorge come Lazzaro, due matrimoni, la preparazione del funerale di Gwen che poi non si è fatto... io sono un fascio di nervi, e Noah... beh, lui... diciamo che è talmente stressato che la sera si arrabbia sempre con me la sera. Ma in modo grave.
Io lo lascio fare sempre... perché so che è stressato. Sopporto in silenzio. Anche se... insomma non è vita facile. Del tipo che non mi parla più (tranne quando si arrabbia con me), non mi guarda più (tranne quando mi sgrida), e non mi... tocca più. Non mi sfiora nemmeno (che cosa pensavate, pervertiti?), non mi coccola né mi bacia. Io sto cercando di sopportare tutto, ma è difficile... e sto cedendo.
È sera. Noah si sta scervellando nell’organizzare le cose da fare e io cerco di dargli discretamente una mano. Dico discretamente perché se si accorge che ficcanaso tra le sue cose, si arrabbia prima dell’orario previsto.
Mi allontano di poco, perché lo vedo che sta per esplodere. Ecco ci siamo... tre, due, uno...
-         NON E’ POSSIBILE! Maledizione, sempre tutto io devo fare! E certo, qui sono io che mi devo occupare di tutto, tutti gli altri fanno le belle statuine! Anche tu, insomma! Scarichi tutto il lavoro a me... –
Sto zitta...
-         ... non mi aiuti mai, stai sempre in panciolle, perché tanto, ci sono IO a sistemare i tuoi problemi vero?!? –
Mi trattengo...
Continua a blaterare e io lo lascio fare. Ma appena arrivo al punto di rottura, faccio la cosa più naturale del mondo: prendo e me ne vado.
Sì: esco dalla capanna senza degnarlo di un’occhiata, mentre lui mi urla dietro. Vedo Heather e Bridgette che mi guardano sorprese, ma non pronunciano verbo. Come me, del resto, mentre Noah ne spara a raffica.
Non mi giro nemmeno a salutare le ragazze, tiro dritto con assoluta calma ma con decisione. Cammino, supero il punto in cui non sento più la voce di Noah, ma continuo a camminare. Sulla spiaggia la luna illumina i granelli di sabbia, facendo riflettere la luce.
Mi fermo e mi siedo sulla spiaggia a pensare. Secondo me, non ha tutto il diritto di trattarmi così... io lo aiuto anche, solo che lui non lo vede e si arrabbia, oppure crede che io non sia in grado di aiutarlo. E fin qui posso sopportare. Ma il fatto che si arrabbi con me TUTTE le sere, TUTTI i giorni è un po’ troppo.
Se fossi stata la vecchia me, l’avrei già ridotto a una zampogna sanguinante. Ed è questo il punto: perché non l’ho mai picchiato o non mi è mai passato per la testa? All’epoca non avevo scrupoli a picchiare i ragazzi (e loro a picchiare me), e invece adesso non ho mai pensato di alzare un solo dito su di lui. Non so perché, ma sono diventata molto buona, forse troppo...
No, magari è che sono molto paziente, e non me la prendo così tanto (anche perché le ho prese per tanto).
Ma adesso non so perché, sono furiosa. Mi sento improvvisamente arrabbiata.
Così mi diressi verso un albero e lo presi a pugni. Talmente frequentemente e talmente violentemente che lo incrinai. Allora mi misi a correre nella foresta, più forte che potevo. Ma non vidi quella maledetta radice...
La beccai in pieno, sentendo un forte dolore alla caviglia e ruzzolando a terra, nella polvere.
Rimasi lì per non so quanto tempo, ma alla fine riuscì a mettermi a sedere e guardare i danni. La caviglia pendeva orribilmente dalla parte sbagliata ed era tutta gonfia. Tra l’altro faceva un male cane. Dovevo tornare in qualche modo al campo, avvisare Noah e...
Perché lo dovrei avvisare? Si arrabbierebbe solo. Dovrei curarmi da sola, così non gli darò problemi e non lo stresserò ulteriormente.
Cerco di steccarmi la caviglia al meglio, prendo un bastone per sollevarmi e mi avvio verso la Collina Sassosa (certo che per dare i nomi ai luoghi abbiamo una grande fantasia). So che c’è un grande albero con grandi e ramificate fronde dai quali crescono dei frutti buonissimi e commestibili, che non so come si chiamino. Per un po’ di tempo posso vivere lì e se, veramente a Noah importa qualcosa di me, mi verrà a cercare, altrimenti se ne infischierà.
A fatica salgo sulla pianta ma quando sono sulle fronde mi trovo benissimo. Mi sistemo bene e mi addormento quasi subito.
 
Sono passati tre giorni, e ancora nessuno in vista. Molto probabilmente avevo ragione... nel senso, quello che temevo e che credevo prossimo alla realtà ha avuto conferma: a Noah non importa niente di me. Era stata una cotta passeggera, lo devo ammettere. Ma non pensavo che anche gli altri... mi considerassero così poco. È un boccone duro da digerire.
Qui in fondo non sto male. Ozio tutto il giorno, mangio i frutti, bevo dal piccolo ruscello che scende dai massi dove l’albero si appoggia anche se mi idrato a sufficienza da i frutti di quest’albero. Per assumere proteine, che mi servono per la guarigione della caviglia, mi sgranocchio qualche lucertolina che passa di tanto in tanto. Crude non sono per niente male.
Ho controllato la mia caviglia: per fortuna non si è rotta, è solo slogata. Una settimana, meglio due di riposo e dovrebbe tornare a posto. Ma tanto a chi importa...
Potrei vivere qui in fondo. Non è male e lascerei Noah in pace...
Noah...
Mi manca molto. Ma se per lui non valgo niente, che senso ha restare la sua fidanzata? Non è un fidanzamento di convenienza, quindi possiamo dirci arrivederci e addio tranquillamente... ma allora perché mi sento così male? Io lo amavo, anzi lo amo. Ed... essere scaricata così, in questo modo, fa molto male. Era meglio se rimanevo insensibile come prima, così ci avrei sputato sopra e via.
Ma le cose sono cambiate purtroppo. Non è più così facile come prima...
 
La sera non si vede ancora nessuno. Sì, mi hanno veramente abbandonato. È triste, e mi sento triste... più che altro provo una profonda malinconia... non pensavo che per Noah io contassi veramente così poco.
Noah...
Mi manchi. Tantissimo.
Magari potrei andare di nascosto al campo e vedere come procede la vita, se lui sta bene... così per accertarmi...
Solo per un minuto e poi me ne vado...
Sì, ci vado. Mi sistemo bene la stecca alla caviglia, legandola per bene. Comincio a scendere lentamente dall’albero. Non riscontro problemi alla caviglia, tranne quando, stupidamente, ho appoggiato a terra sia la caviglia buona che quella guasta e quindi il peso del mio corpo è andato al 50% su di lei. E fa male... sono un’idiota!
Riprendo il bastone che avevo abbandonato ai piedi dell’albero tre giorni fa e riprendo a camminare. Lentamente ma inesorabilmente. La mezzaluna illumina parzialmente la Collina Sassosa, ma sufficientemente perché io possa vedere dove vado. C’è un silenzio surreale, quasi come se io fossi un condannato che va al patibolo. Questo pensiero mi fa raggelare.
Ma andiamo Eva! Sei una dura, una tosta. Ti lasci spaventare dal silenzio?
Beh... sì...
È anche assurdo che mi faccia questi dialoghi mentali tra me e la mia io nascosta. È come se diventassi più sensibile.
Il che sarebbe assurdo. Chiunque conoscendomi...
Oh tò! Una pecora. Tutta sola a brucare l’erba. Deve essere certamente una di Ezekiel, perché anche se mi avvicino non si muove, rimane tranquilla a brucare.
Forse Zeke è vicino... perfetto! Chiederò a lui notizie, così magari evito di farmi scoprire al campo come una cretina!
Mi guardo intorno e dalla foresta vedo che arrivano altre pecore e capre. Sì, decisamente Zeke è vicino.
E infatti lo vedo. O almeno vedo la sua figura scura, ma... mi accorgo che non è da solo.
Chi sarà quello al suo fianco?
Cerco di indovinare chi sia la “Figura Misteriosa”: è alta, spalle larghe e muscolose, con una vita sottile ma forte, capelli lunghi. Uhm...
Non riesco a capire chi sia fino a quando un po’ di luce lunare non colpisce la Figura Misteriosa.
È Alejandro. Okay... ma che ci fa con Ezekiel?
Non voglio che mi vedano come una debole squilibrata in mezzo a una radura. Silenziosamente scendo i fianchi della radura, ovvero l’ingresso alla foresta e mi avvicino verso il loro probabile punto di entrata nella radura (confusi? Bene). Praticamente il ninja dell’isola.
Quando penso di essere sufficientemente vicina, chiedo quasi cordialmente e con naturalezza:
-         Scusate ragazzi, per caso mi sapete dire come stanno gli altri? Così, per sapere... –
Appena mi vedono fanno un balzo indietro, come se fossi uno zombie alla ricerca di cervello. Mi guardano tra lo stupito e il terrorizzato. Non dicono niente per un buon mezzo minuto. Poi si ricordano di avere una lingua e delle corde vocali.
-         Eva! Ommioddio! Sei tu! –
-         Sono giorni che ti cerchiamo, ma dove eri finita?? –
-         E la caviglia? Che ti è successo alla caviglia? –
-         Ma dove eri? Che ti è successo?? –
Mi tartassano di domande, e mi accorgo di una cosa: erano preoccupati per me. Per me... mi stavano cercando!
-         Eva ti prego rispondi!! –
-         Eh? Ah, già... – ero un attimo smarrita. – Beh, ero arrabbiata e mentre correvo ho preso una radice e mi sono slogata la caviglia e sono stata su un albero ad aspettare che guarisse... –
-         Ma perché non sei venuta al campo? Ti avremmo aiutata! – dice Alejandro.
-         Tzè! Noah ha già abbastanza grane per conto suo. E poi a lui non importa nulla di me, si sarebbe solo arrabbiato. –
-         Ma non è vero stupida! – sbotta Ezekiel – Ci ha sguinzagliato per tutta l’isola alla tua ricerca, partecipando lui stesso! Era (ed è) fuori di sé dalla preoccupazione! Insomma, come puoi non rendertene conto? –
-         Come? COME?? – sto urlando. – Forse dal fatto che mi sgridava in modo pesante sempre anche se non facevo assolutamente nulla? Si arrabbiava quando lo aiutavo perché credeva che lo stessi disturbando? Va bene una volta, due volte, tre volte... ma sono DUE SETTIMANE che va avanti così! Io non ne potevo più! Così ho preso e me ne sono andata! Semplicissimo!! –
-         Avrai tutte le ragioni che vorrai Eva, ma... – Alejandro si interrompe. – Non avresti fatto meglio a parlagli? –
-         Lo avrei disturbato. Non potevo parlargli perché lo distraevo da “I miei affari personali, cose molto importanti che tu non puoi capire. Quindi stai zitta!” – questa imitazione di Noah mi è riuscita benissimo.
I due hanno gli occhi bassi. Certamente non sapevano niente.
-         Pensavate che tra noi fosse tutto rose e fiori? Beh, ho sopportato abbastanza. Se ha intenzione di rivedermi, gli prego di parlarmi come si deve, non urlandomi dietro che sono una buona a nulla. Grazie. –
-         Almeno torna al villaggio con noi. Così potrai parlare con Noah. Ti giuro... – dice Ezekiel.
-         ... che è preoccupatissimo per te. –
La mia inclinazione è non crederci. Secondo me sta solo facendo scena. Ma mi decido a tornare al campo con loro, rifiutando sdegnosamente aiuto a camminare. Ce la faccio benissimo da sola.
Ci impieghiamo venti minuti a tornare, quando ce ne vorrebbero solo cinque. Infatti io ho detto di poter camminare, non ho detto di essere veloce!
Ma alla fine arriviamo. Vengo accolta da tutti con molti complimenti e soprattutto DOMANDE. Una cosa che io non sopporto è quando mi si fa l’interrogatorio.
Mi dicono che Noah non c’è, è fuori a cercarmi. Mi accompagnano nella mia capanna e chiedo di essere lasciata sola. Voglio riprendermi almeno tre secondi dallo stress da interrogatorio.
Poi improvvisamente mi sento tristissima. Ed è come se qualcuno mi avesse messo sue pesanti massi sulle spalle.
Tutti erano preoccupati per me. Ma come? Nessuno si preoccupava per me... e così ho imparato a non aspettarmi niente e nulla da nessuno. Ma mi sento assolutamente ridicola ed egoista. C’è gente che sta molto peggio di me, non ho assolutamente il diritto di lamentarmi.
Come Noah. Lui non ha vissuto una vita facile. Era povero, viveva nelle peggiori periferie e lottava ogni giorno per portare a casa da mangiare.
Io invece vivevo in una delle famiglie più ricche del Canada, il cibo non mi mancava mai, potevo avere tutto.
Solo che... quello che volevo realmente non l’ho mai avuto, cioè il calore e l’amore di una famiglia o degli amici. I miei genitori amavano di più il loro lavoro che me, e li ho visti pochissime volte. Stavo sempre a casa da sola... a piangere. Ben sapendo che era una cosa stupida e ridicola. Io avrei volentieri ceduto il mio posto a un bambino che ne avesse bisogno. Volevo aiutare quelli più sfortunati di me. In segreto andavo nei centri di ricovero e negli orfanotrofi a distribuire i miei giocattoli, che non usavo mai e ne avevo veramente troppi. Io avrei tanto voluto rimanere tra loro, perché anche se avevano perso tutto, avevano l’amore di una famiglia.
Come Noah. Lui tornava a casa stanco morto dal lavoro e trovava sua mamma ad aspettarlo, con sempre il sorriso, perché gli voleva bene.
Mi sento una schifosa. Non so perché, ma mi sento colpevole del mio egoismo, del fatto che mi lamenti sempre.
Ora ho trovato una famiglia, degli amici che mi vogliono molto bene... ma perché allora non sono felice? Ho tutto quello che ho sempre sognato, perché sto qui a pensare, piangere e lamentarmi?
Perché... perché ho provato l’assenza di Noah. Ho capito che lo amo, voglio stargli vicino... è lui il centro del mio mondo, è una sensazione che non avevo mai provato prima di adesso...
E come una bambina di tre anni, mi misi a piangere. Singhiozzai forte, anche se ripetevo a me stessa di no, che dovevo essere forte. Ma poi mi dicevo, forte per cosa? Non ti è successo niente stupida, non crolla il mondo, alzati e cammina.
Ma niente. Piango e basta.
Quando improvvisamente sento un fruscio e qualcuno che mi abbraccia. Riconosco l’odore famigliare. È Noah.
-         Dov’eri? Ero terrorizzato! Ma perché... no, lo so... –
Si stacca da me. Io non ho il coraggio di guardarlo negli occhi. Non ho pianto quando lo squalo mi strappò metà faccia, perché devo piangere ora?
-         Mi dispiace Eva. Sono stato un animale, lo so. Non dovevo trattarti così... non so che cosa avevo nella testa... –
Non rispondo. Ma smetto di singhiozzare.
-         E mi merito tutto il tuo odio e il tuo disprezzo. –
Non rispondo ancora. È come se avessi un tappo alla gola, faccio fatica persino a respirare.
-         Già, è così... mi dispiace di essere stato un mostro. –
-         Non sei stato un mostro. Hai solo urlato. – avevo recuperato la capacità di parlare.
-         Che cosa dici? Non dovevo trattarti così. –
-         C’è decisamente di peggio. Non mi lamento certo di quello. Mi basta che tu ci sia e che stia bene. Mi basta e avanza. Non chiedo altro. –
-         Eva... sei sicura di sentirti bene? –
Indietreggio, per quanto possa indietreggiare. Non volevo dire ne di sì ne di no.
-         Eva? Ti prego... dimmi almeno questo. –
Niente da fare, non gli volevo rispondere. Questo era uno dei momenti in cui avrei voluto volentieri morire, scomparire, addormentarmi per non risvegliarmi più. Ma io non ho il coraggio di Gwen di provare ad ammazzarmi. Perché sono una vigliacca.
Noah cercò di avvicinarsi, ma all’ultimo si ritrasse indietro e si mise sdraiato sul nostro letto.
Non so quanto tempo passò prima che trovassi il coraggio di rispondere.
-         No. Non sto bene. Ho una caviglia slogata. –
Si alzò lentamente, guardandomi con gratitudine e tristezza. Aveva le guance rigate di lacrime.
-         Solo questo? –
-         N-no... –
-         Che altro? –
-         Non mi sento bene... psicologicamente. –
-         Ti va dirmi quello che provi? –
Gli raccontai tutto. Tutto quello che pensavo, quello che temevo, quello che avevo fatto. Gli dissi anche che volevo morire ma non avevo il coraggio di uccidermi. Mentre raccontavo non la smisi un solo momento di piangere. Lui mi prese le mani, stringendomele in una stretta calda e rassicurante. Ma non bastò.
Improvvisamente tutta la mia vigliaccheria sparì: volevo farla finita ora.
Afferrai il pennino che usava Noah per scrivere sulle foglie: era di un legno molto duro, e lo aveva affilato in modo che scrivesse a punta fine. Lo presi e cercai di cacciarmelo in gola.
Noah si avventò su di me urlando come un ossesso: cercava di strapparmi dalle mani il pennino, ma io ero più forte di lui e ogni volta che me lo allontanava dalla bocca, tre secondi dopo era di nuovo in posizione pronto ad entrare. Ma ogni volta si avventava su di me e cercava di strapparmelo.
Andammo avanti così per un bel po’, prima che il pennino si spezzasse e che io cadessi a terra.
Battei forte la testa per terra e rimasi intontita per un bel po’. Poi mi resi conto.
Ma che cavolo mi è saltato in testa? La vita è l’unica cosa preziosa che ho! E... stavo per buttarla. La stavo per buttare per colpa di un mio gesto insano. Se non ci fosse stato Noah, ora io... io...
Mi coprii la testa con le spalle e singhiozzai. Ancora. Come una bambina di due anni.
Noah mi abbracciò di nuovo. Sentii il suo petto fermo, i battiti veloci e potenti del suo cuore.
-         Non farlo mai più, stupida. Per quanto ancora mi vuoi far soffrire? –
-         Non voglio... Noah, io... io... –
È molto difficile dirlo. Ma ci provo.
-         Io ti amo... non voglio lasciarti... e non voglio che tu lasci me. –
-         Non lo voglio nemmeno io... Eva... –
-         Noah... –
Mi strinse molto forte, ma non me ne curai. Anzi, volevo che aumentasse la stretta, volevo che mi facesse tutta sua, che nessuno mi poteva toccare. Le sue mani mi accarezzavano la testa, le mie le sue ginocchia.
Mi coricai sul letto con lui, abbracciandoci stretti ancora. Ci baciammo. Ma non baci comuni. Non baci da pomiciata. Baci carichi di sentimento.
Non volevo altro. Mi andava bene anche se io e lui fossimo in mezzo al deserto del Sahara. Ma avevo lui.
Era questa la cosa più importante.



NOTA DELL'AUTRICE
Non so perchè, ma questo capitolo mi sembra abbastanza insulso e inutile. Chiedo scusa per la mia negligenza... Spero di soddisfarvi col prossimo capitolo!
  
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