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Autore: AxXx    13/11/2012    3 recensioni
Sono i Personaggi di KH ed ancora una volta dovranno affrontare un nemico conosciuto, ma in un nuovo mondo e con poteri inimmaginabili, affrontando nemici con risorse illimitate in confronto a loro.
In un mondo dominato dal pregiudizio e da una dittatura mascherata Sora ed i suoi amici dovranno squarciare il velo della menzogna e liberare l'uomo da una falistà che si è creata da sola.
"E gli uomini vollero l'oscurità, piuttosto che la luce" (Dal vangelo di Giovanni)
[Questa Fic la dedico a Reno_Dedé_Turks, che mi ha ispirato e che mi ha messo tra le persone che ammira (Anche se non credo di meritare questo onore) ;). Quindi il 60% (E forse anche 80%) per cento dei complimenti che farete saranno rivolti a lei]
Genere: Azione, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kairi, Naminè, Riku, Sora, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun gioco
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        Giorno Normale ma non per tutti
 
 
 
Potremmo dire che tutto iniziò da un particolare scherzo del destino: l’incontro tra una ragazza molto particolare ed un ragazzo molto nella norma, se potremmo dire così.
 
 
Kairi era la figlia di una Dux: una guida un capo: Dux Ansem era un uomo a posto, meno invischiato negli affari sporchi della politica di Eden e molto idealista.
Sua figlia poteva godere della migliore istruzione che si potesse desiderare: una scuola per ricchi, una specie di college che la ospitava nove mesi l’anno.
Aveva sedici anni e frequentava la scuola da due.
Fu durante il primo anno che incontrò Sora.
Un ragazza allegro e spensierato della sua età.
Non era importante o povero, ma aveva perso i genitori durante una rivolta in città, quindi viveva solo e un po’ di espedienti.
Lavorava presso un artigiano che costruiva oggetti di valore: era il fabbro della scuola di Kairi che praticamente incideva le medaglie che premiavano gli studenti più in luce.
Questo dava al ragazzo una certa sicurezza economica.
Il college sorgeva nel quartiere est della città, quello che dava sulla costa e da lì si poteva godere di una vista magnifica visto che la scuola di Kairi si affacciava proprio sul mare, dato che era stata edificata sulla scogliera.
Il quartiere intorno era tutto dedicato agli studenti o agli inservienti.
Ognuno di loro aveva a disposizione un appartamento, anche se un po’ piccolo, ma fornito di ogni comodità.
Cosa che valeva anche per gli inservienti come Sora.
Inoltre il loro quartiere era circondato da un muro come ogni quartiere della città.
Questo non valeva, però per la maggior parte della città.
I bassifondi erano infatti tutti uniti in un'unica grande baraccopoli arroccata sulle rovine della città vecchia distrutta durante il cataclisma.
Erano circondate dalle mura principali della città: un impotente complesso di fortificazioni presidiato dalle truppe.
Suo padre viveva nella zona nella parte opposta della città, insieme a sua sorella più piccola di un anno: Naminé.
Lei aveva preferito un’istruzione a casa, ma si volevano comunque bene.
 
 
 
Era fine settembre, quando il clima era ancora mite, che rendeva piacevole la passeggiata.
Kairi era seduta alla fermata dell’autobus, in attesa che il veicolo passasse a prenderla.
Se aveva fatto bene i calcoli avrebbe potuto fare un salto da Sora prima che lui iniziasse il suo lavoro e lei i suoi studi.
 
 
Il mezzo blu arrivò poco dopo e lei salì.
Cercò un posto vuoto e la sua amica, Lucia la invitò a sedersi accanto a lei.
“Ciao, Ka! Come stai?” Chiese allegra.
“Bene, grazie, te invece?” Non c’è male, ho fatto qualcosa, mentre ero a casa, ma niente di eclatante.” Rispose mentre metteva la testa sui gomiti guardando fuori.
“Allora, come sta il tuo ragazzo?” Chiese dopo alcuni secondi guardandola maliziosa.
“Cosa!? Sora non è il mio ragazzo!” Disse indignata.
Be’ era vero, erano solo amici. Buoni amici a dirla tutta, ma solo quello.
“Si, sì, certo, come no.” Scherzò l’amica dandole una gomitata.
Kairi fece l’offesa e si rintanò nelle sue riflessioni mentre il veicolo continuava la sua corsa attraverso le ampie strade della città.
 
 
 
Arrivò al grande edifico bianco a forma di ‘U’  che la sua scuola, di tre piani, più il pian terreno.
Il cortile si trovava proprio tra le due ali dell’edificio che avvolgevano l’area verde come un abbraccio.
All’interno c’erano decine di studenti di tutte le età dai quindici ai vent’anni che studiavano chi per entrare in politica, chi nell’esercito e tutte le occupazioni di cui un figlio di una famiglia di alto rango di Eden voleva fregiarsi per poi passarle ai propri figli.
Kairi infatti era stata destinata alla politica in quanto figlia maggiore, mentre Naminé avrebbe potuto scegliere quello che voleva.
Forse era per questo che la rossa invidiava la sorella: almeno lei aveva una possibilità di scelta; al contrario di quanto potesse aspettarsi.
Comunque non si lamentava, c’era gente che stava peggio.
 
 
 
Lei si diresse verso la parte sinistra del cortile dove c’erano tutte le zone adibite ad ospitare i lavoratori del loro istituto.
“Buongiorno, signorina Kairi.” La salutò il signor Marius appena la vide all’entrata del suo laboratorio.
“Dov’è Sora?” Chiese notando la sua assenza.
“Mi ha chiamato poco fa. Ha detto che si sentiva male.” Rispose l’artigiano riprendendo il lavoro che aveva iniziato.
“Ah! Grazie, allora, arrivederci!” Lo salutò cordialmente lei mentre tornava al cortile principale.
 
Lei passò il resto della giornata a parlare con le sue amiche di moda, rossetti e tutte quelle cose di cui parlano le ragazze e a studiare.
Non che ci fosse qualcosa di nuovo.
Le lezioni di storia sembravano dei registratori rotti: iniziavano sempre con una lunga introduzione al Disastro avvenuto trecento anni prima che ridusse il mondo in rovina e portando gli uomini ad uno stato di guerra civile.
Solo l’avvento di Eden riuscì a calmare la difficile situazione, per portare ad una pace duratura che aveva permesso allo sviluppo della civiltà di continuare.
Il loro stato ormai si reggeva sulle stesse basi da cento anni e non cambiava di una virgola.
Vigeva un controllo capillare e strettissimo, ma a lei non dava fastidio, dopotutto se non avevi fatto niente di male non avevi nulla da temere.
 
 
Almeno così pensava.
A fine giornata rientrò nel suo appartamento.
Si trovava a mezz’ora dalla scuola, se prendevi un veicolo.
Era un alto edificio bianco a cinque piani che ospitava parte degli studenti del quartiere.
La sua stanza era al terzo piano ed era singola.
Appena salita, mise lo zaino sul letto e prese il cellulare chiamando Sora.
Il telefono squillò a vuoto e non ricevette risposta.
Lei provò altre tre volte, ma nessuno rispose.
‘Chissà cos’ha?’ Si chiese mentre chiudeva la chiamata.
Decise di chiamarlo il giorno dopo, mentre si metteva a studiare le solite cose: politica, economia ed un sacco di materie noiose ma utili.
Se non fosse stato per le chiacchierate con Sora le sarebbe sembrato tutto uguale, come se ogni giorno fosse una fotocopia di quello precedente.
Ma quella sera le cose cambiarono.
Kairi aveva appena finito di parlare con suo padre al telefono che le arrivò un messaggio sul cellulare.
‘Ciao, Ka, so che mi hai chiamato, ma non posso parlare al telefono: ho un problema gravissimo, e temo per ciò che potrebbe accadermi, se vuoi venire a trovarmi pensaci bene, io te lo sconsiglio, ma vorrei parlarne con qualcuno. Sora.’
Così recitava il messaggio: era molto criptico e lasciava spazio a molte possibilità, ma non sapeva proprio che fare, voleva sapere in che guaio si fosse cacciato il suo amico e ne era convinta.
Pese una zaino a tracollo e si diresse verso l’appartamento del giovane convinta che non stesse facendo nulla di male.
Le strade erano tutte uguali ed era facile orientarsi in quel dedalo di vie anche abbastanza larghe.
Tutte le case erano bianche, senza distinzione il che dava una monotonia spaventosa alla città.
Le strade dopo il tramonto erano sorvegliate da alcune pattuglie di un corpo di vigilanza, ma in quel quartiere c’erano anche un sacco di ragazzi che uscivano la sera, quindi per lei fu facile attraversare a piedi l’isolato per arrivare a casa di Sora.
Uguale alla sua del resto.
Lui abitava al primo piano, quindi non prese nemmeno l’ascensore e raggiunse la sua stanza e bussò.
Nessuna risposta.
Bussò di nuovo e qualcuno aprì la porta finalmente.
“Finalmente! Mi dici cos’hai!?” Chiese un po’ arrabbiato mentre entrava.
Subito, però, notò qualcosa che non andava: la stanza era quasi completamente vuota, come se fosse stato fatto un trasloco e a terra c’era uno zaino, come se Sora volesse andarsene.
“Cosa stai facendo?” Chiese mentre l’amico si sedeva sul letto ormai rifatto.
“Parto.” Disse semplicemente.
“L’avevo capito, ma dove vuoi andare? Ci vuole un permesso per uscire dalla città.” Disse Kairi incrociando le braccia.
“Senti, ma cosa c’è? sembri preoccupato.” Disse preoccupata: quella non sembrava una partenza, ma una fuga.
Sora prese un respiro profondo e le si avvicinò.
“Non ti piacerà.” Disse dopo alcuni secondi.
Il ragazzo si mise a sedere e chiuse gli occhi, mentre Kairi lo guardava impaziente.
Improvvisamente accade qualcosa di sconcertante: lo zaino di Sora, che era adagiato a terra, iniziò a fluttuare in aria mentre lui inarcava le sopracciglia in una smorfia di sforzo.
Lei rimase allibita.
 
 
‘Ok, Kairi, calmati, ci possono essere tante spiegazioni a tutto ciò.’ Si disse cercando di scartare la più terribile per lei e per Sora.
Ma più ci pensava più la certezza di quello che aveva davanti si faceva strada nella sua mente.
Sora era uno Psionico.
Sembrava inconcepibile.
Aveva letto un sacco su questo tipo di uomini: persone con la capacità di usare la mente per alterare la realtà.
Sembrava che fossero nati proprio durante il Disastro e che avevano dato loro il via alla guerra che lacerò quel mondo per anni, ma che ora erano tenuti sotto stretta sorveglianza all’Accademia: una specie di scuola per controllare gli Psionici.
“Ma Allora...” Iniziò lei preoccupata.
“Non voglio andare all’Accademia, ho sentito cose terribili su quel posto.” Rispose lui prima di far riposare l’oggetto per terra.
“Quando è successo?” Chiese Kairi.
“Tre giorni fa, all’inizio sapevo controllarli bene, ma poi hanno iniziato a sfuggire al mio controllo.” Fu la risposta.
“Quindi, che vuoi fare?” Era combattuta tra l’idea che gli psionici fossero malvagi e l’amiciza che provava verso Sora.
Difficile scegliere tra le due.
“Voglio scappare finché sono in tempo, devo andarmene prima che le forze speciali mi trovino, non voglio essere portato laggiù!” Disse lui con fermezza.
“Solo che non me la sentivo di andarmene senza dirtelo, sei un’amica, una buona amica. Fai quello che vuoi, non ti biasimerò se mi vorrai denunciare.” Disse mentre si metteva in spalla lo zaino. “Troverò un modo per uscire.”
Le aspettò un attimo.
“E se ti unissi agli assoggettati?” Chiese con un idea improvvisa.
“E come?” Fece Sora bloccandosi sulla porta.
“Sai che mio padre, Ansem, è un uomo importante, posso telefonargli. Vieni da me ed aspetta fino a domani!” Lo implorò lei cercando un modo per non farlo partire.
“Va bene.” Concesse lui dopo averci pensato.
 
 
 
 
 
Naminé si ritrovò a guardare il cellulare allibita.
Non ci poteva credere che sua sorella le avesse mandato un messaggio del genere, doveva essere uno scherzo.
‘Non può essere!’ Pensò mentre il messaggio non faceva altro che smentirla.
Il fidanzato di sua sorella era un psionico.
E lei voleva aiuto da loro padre per sottrarlo alla legge!
Era da folli, se li avessero scoperti sarebbero stati in grave pericolo.
Tuttavia non poteva non offrire aiuto a Kairi, sapeva che loro padre avrebbe detto di mandarlo all’Accademia.
Le voci che giravano su quel posto erano solo dicerie per spaventare la gente, ne era sicura.
Ma d’altra parte sua sorella era fatta così: se si metteva in testa una cosa non la smetteva più di rompere.
Chiuse il cellulare e guardò la villa da fuori della finestra di camera sua.
Era uno degli edifici più grandi del quartiere.
Aveva un solo piano, ma era ampio, molto grande e nella parte a strapiombo sul mare, l’ufficio di suo padre, quell’edificio rettangolare diventava circolare.
La sua stanza era vicina all’ufficio.
Fu quasi tentata di andarlo a dire direttamente a suo padre, per far ragionare Kairi, ma non volle disturbarlo.
Dirigere una città non era un compito facile, quindi se non stava lavorando stava riposando.
Si decise a chiudere il cellulare e a dirlo a suo padre il giorno dopo, per dargli il tempo di avere la mente lucida.
‘Kairi, non fare pazzie, ci metterai tutti in pericolo!’ Pregò la sorella mentre si coricava a letto.
 
 
 
 
 
 
 
Allora il secondo capitolo è più esplicativo e descrittivo che altro, ma dovevo scriverlo se no non si capiva niente.
Scusate se vi ho tediato, non era mia intenzione.
Comunque il prossimo capitolo sarà mooooolto più attivo, credetemi.
Scusatemi per la noia.
AxXx
PS: continuate a recensire, anche questo capitolo.

  
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