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Autore: Lily_th    14/11/2012    2 recensioni
Oblio parla soprattutto delle conseguenze dell'avvicinamento di due ragazzi, Draco e una
Babbana di nome Teresia: due anime contrastanti che, accomunate dal semplice desiderio di reciproca compagnia, si ritroveranno a dover fare i conti con l'insorgere di sentimenti a loro sconosciuti.
Lui, però, è un mago, membro di una delle più importanti famiglie Purosangue del regno magico, mentre lei è un'anonima Babbana, completamente ignara dell'esistenza di un mondo così diverso dal suo. Le difficoltà abbondano, e quando una sadica donna finalmente libera da Azkaban dopo anni ed anni di reclusione, decide di intervenire...
“Ti sono mancata?”
Quella voce, quel tono, quel trillo acuto carico di eccitazione e di disprezzo, erano ormai la mia unica compagnia.
“Stavo quasi impazzendo senza di te.” La voce mi sfuggì lenta e arrochita dalle labbra.
Bellatrix rise, per poi espirare violentemente come se qualcuno l’avesse colpita con forza in pieno petto. “Non provarci nemmeno, sarò presente quando ciò accadrà.” Continuò, il tono basso e la voce carica di eccitazione.

(Ho utilizzato l'avvertimento "Violenza" in quanto descrivo di una tortura, vorrei precisare che essa è prevalentemente magica e psicologica, raramente fisica.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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4

 
Parole

 
“Quando la smetterai di trattarmi così male?”
Draco sbuffò, volgendo lo sguardo alla sua sinistra, ignorandomi deliberatamente. Feci il giro della panchina e mi posizionai di fronte a lui, cercando di indurlo a guardarmi negli occhi.
Lui sbuffò di nuovo, accavallando le gambe e fissando ostinatamente il lago a pochi metri da noi.
“Sai che è da maleducati voltare la faccia alle persone mentre ti parlano?”
“Non vedo nessuno qui intorno.”
Incrociai le braccia sul petto, con un sorrisino di scherno sul viso. “Allora perché parli da solo?”
Arrossì leggermente, serrò le labbra e continuò ad ignorarmi come se fosse realmente solo, e io non fossi altro che un moscerino molesto che gli ronzava ostinatamente intorno.
Lo fissai a lungo, sbuffai a mia volta, e mi sedetti sul lato opposto della panchina, come se io e quel ragazzo dall’aria aristocratica fossimo due perfetti sconosciuti.
Passarono minuti interi – ormai anch’io osservavo come imbambolata mamma papera che guidava i suoi piccoli in una lunga traversata del lago di fronte a noi – finché non avvertii il suo sguardo insistere sulla mia persona. Non mi voltai, finsi di non accorgermene, e continuai a giocare al gioco del silenzio. Avrebbe ceduto per primo e, in cuor suo, ne era consapevole.
Infine sbottò con un urletto isterico degno della più viziata delle principessine.
“Non avevi alcun diritto di chiedermi quelle cose!”
Sorrisi tra me, e nascosi quell’espressione prima di girarmi e affrontare quello che si prospettava un nuovo ed ennesimo litigio.
“Non puoi pretendere che io ti parli di me, ti racconti tutto della mia vita e che tu non mi dica niente!”
“Non hai il diritto di sapere certe cose.” Ripeté, stavolta con una nota di freddo distacco nella voce.
Inarcai un sopracciglio, e diedi sfoggio di tutta la mia indignazione.
“Senti, bellimbusto dalla chioma ossigenata dei miei stivali…” Stava per ribattere ma continuai imperterrita. “Il semplice fatto che io non sia un’aristocratica come te, piena di soldi fino alla nausea e dal nome di famiglia prestigioso, non vuol dire che io non abbia i tuoi stessi diritti!”
Come se non avesse ascoltato nulla del mio discorso eccetto la prima parte, disse: “È il mio colore naturale!”
Spalancai la bocca, ma la richiusi subito dopo. Ormai non mi sorprendeva più di tanto la sua frivolezza.
“Stai scherzando, vero?” Però restava una frivolezza contagiosa.
Sorrise trionfante, quasi credendo che il discorso sarebbe continuato su quelle sciocchezze superficiali e che io avrei lasciato correre. Ma quando mi vide mentre mi alzavo, lo sguardo serio e le mani sui fianchi, i suoi occhi mi suggerirono che aveva capito che non avrei ceduto facilmente.
Mi avvicinai, sormontandolo con fare minaccioso. “Esigo rispetto!”
Si alzò, fronteggiandomi, uno sguardo divertito sul volto. “Tu? Rispetto? Da me?” Ogni parola sembrava un insulto.
“Ma chi ti credi si essere?”
“Io sono un Purosangue, dannazione! Non puoi nemmeno pensare di confrontarti con me!”
“Sei un cavallo di razza?”
Draco rimase interdetto. Sbiancò visibilmente, sgranando gli occhi, come si fosse lasciato sfuggire qualcosa di importante.
Io, dal canto mio, utilizzavo ogni provocazione proprio a questo scopo: fargli svelare gli altarini senza che lui lo volesse davvero.
Amavo provocarlo. Mi aveva dato l’impressione, sin dal primo momento in cui avevamo parlato, che pochi lo sfidassero apertamente come facevo io. Era quel suo essere troppo tronfio e pieno di sé che mi aveva spinto verso di lui. Pane per i miei denti.
Stavolta, però, non riuscivo a carpire il giusto significato dalle sue parole.
Lui ricadde sulla panchina, parlottando da solo.
“Allora, sei un cavallo?” Iniziai a ridacchiare, mentre lui mi fulminava con lo sguardo.
“Io… Intendevo dire…”
Bloccai il suo balbettio per pietà. “Draco, ho afferrato. Intendi dire che sei un nobile, hai il sangue blu… Ma ciò non toglie che tra me e te non ci sia alcuna reale differenza.”
Sembrò sollevato, ed io gli feci credere di avermela fatta. Mi appuntai quel termine alla mente, da riusare nel prossimo battibecco. Prima o poi lo avrei messo alle strette.
Fece scivolare il suo sguardo su di me, improvvisamente gelido. “Tu.”
Mentre si alzava, dissi:  “Io.”
“Tu non sei nessuno.”
Sgranai gli occhi, stavolta realmente piccata. “Come fai ad essere così disgustosamente egocentrico?”
Sembrò quasi riscuotersi alle mie parole, illuminandosi come se il mio fosse stato un complimento. “Non saprei, credo di avercelo nel sangue.”
“Eppure, dopo queste tre settimane credevo di aver almeno scalfito la corazza.”
Per un secondo, un solo attimo sfuggente, vidi un cambiamento impercettibile nei suoi occhi, così infinitesimale che potrei averlo anche solo immaginato.
Mi era sembrato turbato, sconvolto… impaurito.
Mi avvicinai e addolcii il tono, istigata da quella piccola fiammella di speranza. “Ti fa paura, vero? Lasciare che qualcuno veda oltre la tua solida corazza di menefreghismo?”
Arretrò di un passo, andando a sbattere contro la panchina. “Tu non sai nulla di me. Non parlare come se mi conoscessi.” Il suo tono era quasi infantile, carico di rabbia e d’accusa.
Che illuso. Lo conoscevo meglio di quel che pensasse. Nonostante si fosse vantato più e più volte delle sue grandi doti non era altri che un codardo. Un quindicenne  spaventato dal suo stesso stemma nobiliare al punto di non volermi neppure rivelare il suo cognome e che viveva intrappolato in un ambiente familiare così ostile da dover uscire di nascosto per potersi sentire minimamente libero.
Tranne quelle poche volte in cui riuscivo a tirargli fuori di bocca qualcosa su di lui, il resto lo avevo capito da me. In quelle poche settimane estive trascorse assieme avevo imparato ad ascoltare i suoi silenzi, a capire i suoi gesti, a carpire significati nascosti nel suo stesso sarcasmo. Era facile da leggere proprio perché, inconsciamente, me lo permetteva, lo desiderava, ne aveva un disperato bisogno.
Ma non gi dissi nulla di tutto questo. Lo sapeva già.
“Permettimelo, allora.”
Si accasciò sulla panchina, apparentemente esausto. Mi accomodai accanto a lui, lasciandogli un po’ di tempo per pensare.
Il sole stava quasi per sorgere all’orizzonte, rischiarando noi e tutto ciò che ci circondava di una dolce, fredda luce rossastra: Little Ridge Wood stava finalmente per svegliarsi.
L’alba, nonostante la sua bellezza e il fascino che m’aveva sempre incantata, in quelle settimane era divenuta mia nemica.
Mi avvisava del momento di rincasare prima di essere beccata da mia madre, segnava il momento dei saluti.
Sospirai, voltandomi verso Draco. “A domani, allora.”
“No.”
“Ah?”
Senza guardarmi negli occhi, sussurrò a bassa voce: “Domani non verrò. Non ci vedremo più.”
Non mi scomposi nemmeno un po’ alle sue parole.
Perché, alla fine, non erano nient’altro: parole.
Sbadigliai, fingendomi annoiata. “Come vuoi. Addio.”
Mi alzai prima che avesse il tempo di ribattere, avviandomi lungo la sponda del lago verso l’uscita del parco. Sembravo tranquilla e distaccata, anche se, in verità, un minimo di panico si stava insinuando in me: c’era un misero 0,1% di possibilità che non mi richiamasse indietro, che non mi seguisse, che quello fosse stato davvero il nostro ultimo incontro.
Non ci volle molto per spazzare via questa possibilità.
“Non puoi fare così! Sono io quello che deve andarsene!” Gridò, il tono carico di sdegno.
Mi voltai verso di lui, alzando gli occhi al cielo. “Smettila di fare il bambino viziato e cresci una buona volta. Ci vediamo domani.” E con un tono che non ammetteva repliche, ripresi il cammino lungo il lago.
Mi urlò dietro: “Non prendo ordini da te, Collins!”
Agitai una mano in segno di saluto senza più voltarmi.

 

***

 
“Chi diamine si crede di essere quella sporca Babbana invadente?”
Scalciai irritato una ghianda sul prato che, con mio gran divertimento, mise in fuga uno scoiattolo che si precipitò sull’albero più vicino.
Ritornai alla panchina, e nonostante il cielo fosse limpido e sereno, intorno a me aleggiava un alone scuro, palpabile.
Mi stravaccai sulla panchina, allungando le gambe e reclinando la testa all’indietro, osservando le fronde ombrose sopra di me.
Era tutto così facile per lei. Se ne stava lì, a parlare e parlare dei suoi problemi, rivelandomi ogni suo pensiero, ogni suo stato d’animo… ed io dovevo stare attento anche alla più piccola rivelazione.
E lei non mi rendeva di certo le cose più facili! Era dannatamente astuta per essere una Babbana. Se fosse stata una strega sarebbe divenuta una degna Serpe.
Quel pensiero mi trafisse, e prima che potessi impedirlo, nella mia testa iniziarono a vorticare immagini frammentarie di una realtà parallela.
Teresia ad undici anni, seduta su uno sgabello con in testa il Cappello Parlante, quest’ultimo che scandiva a voce alta “Serpeverde!”
Lei che si sedeva al tavolo affianco a me, io che mi presentavo come Draco Malfoy e non solo Draco.
Le lezioni e le serate nella Sala comune, le gite a Hogsmade, il parlare senza timore alcuno.
Su questa panchina avrei potuto dirle la verità. Chi ero, cosa facevo, cosa era diventato…
“Mi ha reso un Mangiamorte. Era esattamente quello che volevo.”
“Bugiardo” Mi avrebbe detto.
Mi risvegliai da quel sogno ad occhi aperti, dandomi ripetutamente dello stupido.
Lei non era una strega, non era una Mezzosangue, non era una Maganò. Era solo una Babbana, una tipa qualsiasi i cui problemi erano sciocchi ed insignificanti confrontati ai miei... Ma proprio l’ascoltare quei pezzi di vita quotidiana così semplici ed innocui erano una piacevole fuga dalla dura realtà.
“Tsk! Se mi vedesse mio padre…”
Lo immaginai mentre, dall’alto della sua figura statuaria, mi osservava con sdegno e disgusto.
Riuscivo quasi a sentire la sua voce mentre diceva: “Sei causa di disonore per la famiglia! Frequentare feccia del genere, cosa credi di fare?”
Ed io non avrei saputo dare una risposta. Perché mi ostinavo a vederla, a parlarci, ad ascoltarla? E soprattutto perché, nonostante le avessi detto addio, domani tornerò in questo dannato parco?
Sapevo che così non poteva continuare. Prima o poi sarei finito col farmi sfuggire qualcosa di molto più compromettente di un termine come ‘Purosangue’, con tanti cari saluti allo Statuto di Segretezza…

E a Teresia, pensai.
Sarebbero intervenuti quelli del Ministero, modificandole la memoria…
Mi si strinse stranamente lo stomaco. Avrebbero cancellato tutto? Ogni litigio, ogni parola, ogni giorno trascorso assieme?
Si sarebbe dimenticata completamente di me?
Un formicolio al braccio sinistro mi causò un brivido freddo lungo la schiena.

Scherma la mente, scherma la mente, pensai.
E mentre mi alzavo dalla panchina, stringendomi il braccio così forte da farmi male, pensai al Ministero come al minore dei mali.

 

 

Salve a tutti! Perdonate l'attesa, sto avendo dei problemucci personali - nulla di grave - che, lo devo ammettere, mi hanno un po' tolto il desiderio di scrivere questa fic.
Ma sappiate che non ho mai abbondato una storia in corso già pubblicata e anche se non sarò precisa come in passato arriverò al termine di questa storia (non sono molti capitoli, prevedo sette, massimo otto in tutto).
Grazie per chi mi sta seguendo nonstante tutto e per chi ha deciso di lasciare la storia tra i preferiti e tra le ricordate/seguite.
Grazie anche a chi la legge soltanto, spero che non vi stia deludendo.
Anche se odio questo capitolo, spero che almeno a voi piaccia.
Un bacio,
Lily
  
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