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Autore: Iryael    14/11/2012    5 recensioni
Aprile 5402-PF, pianeta Veldin.
Lilith Hardeyns, diciottenne di Kyzil Plateau, trascorre la sua vita tra una famiglia inesistente, un coetaneo che la mette in difficoltà ad ogni occasione e un maestro di spada che per la giovane è anche un padre e un amico.
Sono passati sei anni da quando la ragazza ha incontrato Sikşaka, il suo maestro di spada, e Lilith ha acquisito un’esperienza sufficiente per poter maneggiare tutte le armi presenti nella palestra. Tutte tranne una: Rakta, una scimitarra che perde il filo molto raramente.
Lilith sa che quell’arma, il cui nome stesso significa “sangue”, richiede un’esperienza che ancora non ha.
Non sa che quella scimitarra ha origini molto più antiche di quel che sembra, né conosce il potere di cui è intrisa.
Ignora che qualcuno vuole averla ad ogni costo.
E nemmeno immagina che Rakta sta per diventare parte integrante della sua vita.
============
[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Lilith Hardeyns, Queen, Sikşaka Talavara)]
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 07 ]
Un tesoro conteso
Il giorno seguente, 19 aprile 5402-PF, ore 2:20
Settore nord, casa Hardeyns
 
Sikşaka si rigirò nel letto per la milionesima volta.
Chiuso nella camera del padre di Lilith, ogni volta che provava ad addormentarsi, Dragan e i suoi discorsi arrivavano a tormentarlo.
Vedere il razziatore sulla soglia gli aveva dato un brivido. Gli aveva ricordato cosa significasse provare una scarica di adrenalina. E il suo discorso gli aveva nuovamente messo addosso l’inquietudine della preda. Lo aveva riportato ai tempi di Anther City, quando la Regina di Sangue li braccava da vicino.
Si rigirò ancora una volta. Dalla finestra filtrava la luce di un lampione. Lo specchio, seppur ricoperto da un leggero strato di polvere, gli rimandò l’immagine di una sagoma in continuo movimento.
Si mise pancia all’aria per non sbottare contro se stesso. Quasi in automatico, la mente tornò di nuovo sulle poche cose che sapeva.
Niente patto. Una commessa. Un debito da onorare.
Per l’ennesima volta si chiese cosa potesse ricavare da quei tre pezzi.
Il patto si è rotto perché è arrivato l’incarico.
Era logico.
Ma Dragan non era propenso a svolgerlo.
Doveva essere così, altrimenti non lo avrebbe avvisato.
La domanda regina, però, rimaneva: cosa vogliono da me?
Arrotolò le lenzuola in fondo al letto, portò le mani sotto la nuca e rinunciò al sonno.
Ripensando al discorso di Dragan, ricordò che il razziatore aveva menzionato Anther City.
“Deliravi dalla febbre l’ultima volta che mi hai protetto, ad Anther City. Eppure hai imbracciato quell’accidenti di spada e ti sei mosso come un demonio.”
Si domandò se fosse stato un semplice ricordo o se avesse contenuto un messaggio.
Il momento che gli aveva indicato era preciso. E anche l’episodio cui si riferiva non era mai sbiadito dalla memoria.
Fu allora che intuì cosa cercassero da lui.
Balzò giù dal letto e si vestì rapidamente, strappando i vestiti dalla sedia.
Era talmente ovvio!
Sgattaiolò al pian terreno, infilò velocemente le scarpe e sparì oltre la soglia, sbattendo la porta per l’agitazione.
Forse non l’ha trovata.
Sperò che fosse così. Rakta racchiudeva tutta la sua vita, nel bene e nel male. Era ciò che rappresentava i valori del vecchio Gazda e ciò che gli ricordava gli orrori che aveva commesso; ma era anche il simbolo della palestra con cui era tornato nel mondo della legalità.
Potevano sottrargli tutti i suoi beni, ma non quella spada. Se lo avessero fatto, li avrebbe fatti pentire amaramente.
* * * * * *
Ore 2:30 circa
Ovest di Kyzil Plateau, ex area stoccaggio Gadgetron
 
Dragan, che sentiva un senso di disagio, cercò rifugio nel cielo stellato. Le rade nuvole si muovevano rapidamente, segno che stava arrivando la pithil. Presto il vento che spirava dal basso avrebbe portato in città la polvere del deserto, e allora non si sarebbe scorto altro che una cortina marrone.
«Qualche problema, capo?» gracchiò l’auricolare.
Dragan per riflesso portò una mano al gadget. «Nessuno, Rylon. Continua a stare al tuo posto.»
«Sì signore.»
Il razziatore entrò nel container e si concentrò sull’incontro, così da mettere a tacere le sensazioni negative che lo tormentavano da quando aveva derubato la palestra.
Il vecchio container graffitato era il luogo prefisso. Stretto e lungo, non aveva più nessuno dei portelloni. Due vecchi neon gettavano una luce pallida al suo interno, facendolo sembrare un seminterrato sporco. Dragan lo aveva proposto perché Queen non avrebbe avuto modo di piazzare eventuali cecchini. C’erano due soli posti dove i tiratori scelti avrebbero potuto piazzarsi, e lui aveva dato ordine di presidiarli entrambi.
La Regina di Sangue arrivò poco dopo, entrando dall’ingresso di fronte. Chiusa nel trench, con la camminata decisa e l’espressione altera, irradiava un senso di freddo.
Dragan attese che si fermasse. Sentì che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in ciò che stava per succedere. Per qualche ragione, si sentì impadronire da un senso di riluttanza; come se avesse saputo che la spada non doveva finire in mano a lei.
La donna lo scrutò. «Qualche ripensamento?»
Mentì. «Affatto.»
«Bene.»
Sfilò la borsetta dalla spalla e ne estrasse una carta di credito. Dragan materializzò una custodia rigida, lunga e stretta. Queen si umettò le labbra, pregustando il momento in cui avrebbe stretto in mano la preziosa reliquia. Il razziatore colse la sua impazienza e decise di non tirarla troppo per le lunghe.
«Jada.» chiamò.
Una xarthar emerse dall’ingresso dietro di lui e, con gesti lenti e precisi, fece levitare i due oggetti, scambiandoli di posto. La donna osservò la custodia avvicinarsi e posarsi delicatamente fra le sue mani. La xarthar si ritirò fino all’ingresso.
«Telecinesi.» riconobbe Queen. «Ti fidi così poco?»
«Di te non mi fido per niente
Un attimo dopo, la stessa xarthar che aveva fatto levitare gli oggetti, si avvicinò a Dragan con un palmare nero. L’umana capì che avrebbe controllato la carta e ammirò la diffidenza del razziatore.
«In tal caso...» mise a terra la custodia e fece scattare i gancetti. L’interno, imbottito con vestiti alla rinfusa, rivelò la lama curva e lucente di Rakta.
Un sorriso malsano increspò le labbra di Queen. Riusciva a sentirlo. Percepiva forte e chiaro il potere irradiato dalla scimitarra. Lo stesso potere che, ere prima, l’aveva quasi uccisa.
Lo stesso potere con cui, molto presto, avrebbe posto fine alla vita del suo divino genitore.
* * * * * *
Ore 2:40 circa
Bassifondi ovest, palestra Talavara
 
Sikşaka fece un giro di ricognizione intorno al basso edificio, prima di avvicinarsi alle scalette.
Scese i gradini verso il portone con la cura di chi si aspetta una bomba sotto i piedi; come se il ladro fosse lui e quella non fosse casa sua.
L’ingresso presentava segni di forzatura. La serratura meccanica era stata trapanata e il quadro di quella digitale era stato divelto dal muro.
Estrasse un chatter d’in tasca e cercò il numero di Matej in rubrica. Fece partire la chiamata.
A giudicare dalla risposta, il poliziotto era di turno.
«Matej? Sono Sik.»
Immaginò l’altro lanciare un’occhiata rapida all’orologio.
«Cos’è successo?»
«Sono all’ingresso di casa. Qualcuno lo ha forzato.»
«Ladri?»
«Credo di sì.»
«Vedo se posso mandarti qualcuno...»
«Se avessi voluto qualcuno avrei chiamato la centrale.» lo interruppe. «Ho chiamato te perché mi fido solo di te, a questo punto. Ho vecchi scheletri da disseppellire e, credimi, il furto è la punta di un iceberg.»
Lo sentì sospirare. Era certo di aver attirato la sua attenzione.
«...Guarda, per le mani ho un tizio spinoso. Mi serve mezz’ora. Tu, intanto, aguzza l’udito. Se credi che non ci sia più nessuno all’interno, cerca di capire se ti hanno rubato qualcosa. Se senti rumori, o non te la senti, resta dove sei.»
«Ricevuto. A dopo.»
Chiuse la chiamata e rimise il telefono in tasca. Comunque fosse andata; alla fine di quella nottata Matej avrebbe avuto tanto di quel materiale sui Razziatori di Kyzil Plateau da meritarsi una doppia promozione.
 
Spinse leggermente la porta e scivolò nell’ingresso. Tutto sembrava normale. Ma gli bastò accendere le luci del corridoio per capire che l’intera palestra era stata messa a soqquadro. Da una parte le stanze avevano le porte scardinate; dall’altra il parquet era stato trafitto con quasi tutte le lame che, fino a quel pomeriggio, erano affastellate alla parete.
Entrò in palestra e sentì la rabbia montargli nel profondo. Volevano derubarlo, no? Che bisogno c’era di sfasciargli la casa?
Lanciò uno sguardo al soffitto. Se le stanze al piano di sopra erano come quelle del piano di sotto...
Non ci voglio pensare.
Aggirò le lame conficcate nel parquet e raggiunse il muro spoglio; ormai punteggiato solo dai sostegni. Come aveva immaginato la scimitarra era sparita. Con essa erano sparite diverse altre cose: coltelli, qualche daga, un paio di machete e una lancia. Oggetti di medio valore, che l’assicurazione gli avrebbe sicuramente rifuso.
In quel momento la sua preoccupazione era un’altra.
Afferrata una spada pesante dal pavimento, il maestro cominciò a menare fendenti sul muro, proprio dove stava affastellata la sua arma prediletta. Dopo qualche colpo il cartongesso cominciò a sbriciolarsi e schizzare via. Sikşaka continuò ad abbattere la lama sulla crepa creata, finché non riuscì ad aprire un buco.
Allargarlo non richiese moltissimo tempo. Lavorò con foga, finché non fu grande abbastanza da mostrare per intero una valigia lunga e stretta. Il lombax la estrasse dall’intercapedine e la depose in terra. Quando l’aprì, accolse con sollievo l’ondata di potere che gli carezzò il vello. Rakta era lì, affilata come sempre.
Dragan aveva rubato un falso.
* * * * * *
Contemporaneamente (ore 2:40 circa)
Ovest di Kyzil Plateau, ex area stoccaggio Gadgetron
 
Queen chiuse la mano sull’incordatura dell’elsa. Tremava per l’emozione, mentre la sollevava.
Sentiva solo un filo di disagio a tenerla in mano, ma del do­lore che l’aveva piegata in quel magazzino di Anther City non c’era più traccia.
Il razziatore, tutto sommato, si considerò soddisfatto. Gli era dispiaciuto depistare le indagini mettendo sottosopra la casa del suo vecchio amico ma, per fortuna, i sottoposti non s’erano fatti i suoi scrupoli.
Normalmente sarebbe rimasto a gongolare ancora un po’; tuttavia, conoscendo l’imprevedibilità della donna davanti a sé, decise di andarsene prima che spuntassero fuori delle complicazioni.
«Da questo momento non è più affar nostro, Regina.» dichiarò. «A mai più rivederci.»
Volse le spalle all’umana, lasciandola alle sue celebrazioni.
Queen annuì distrattamente. Poi, però, qualcosa attivò i suoi sensi ancestrali. Non sentiva fievole l’aura di Rakta perché lei era diventata più forte di essa; la sentiva fievole perché era innaturalmente debole.
«Che cosa significa?» borbottò. «La sua aura è anomala.»
Dragan continuò ad allontanarsi. Poteva quasi sentire lo sguardo in tralice che gravava sulla sua schiena, ma decise di ignorarlo.
«Mortale, rispondi!»
Il razziatore si limitò ad allargare le braccia. «E io che ne so. La spada è quella senza dubbio.»
Fu allora che l’aura della scimitarra si affievolì e scomparve.
La sorpresa di Queen durò qualche istante; poi, non appena realizzò di essere stata ingannata, fu soppiantata dalla rabbia.
«Questa non è Rakta, inutile creatura!»
Scagliò la spada come fosse un coltello. Dragan non fece in tempo a fronteggiare di nuovo la donna che la xarthar che l’accompagnava strozzò un urlo e crollò al suolo. La spada l’aveva trapassata da parte a parte.
In una frazione di secondo Queen gli fu addosso. Lo afferrò per le spalle e lo sbilanciò all’indietro. Dragan si ritrovò a terra, con le mani della donna strette attorno al collo.
«Dove si trova?»
Il razziatore annaspò, mentre cercava con tutte le forze di svellere le dita della donna.
«Dimmi dove!» gridò, stringendo ancora la presa.
Un paio di proiettili fischiarono attraverso il container. I cecchini di Dragan, visto il mutamento di situazione, si erano attivati.
Queen non rimase inerte alla loro offensiva. Se avessero accidentalmente ucciso il loro capo, per lei ritrovare la reliquia sarebbe stato più difficile.
Alzò una mano e ringhiò: «Sâjji, ëmmo-xôkide ï d’je-pîki!»[1]
Due spesse pareti di roccia s’innalzarono davanti alle entrate del container. Dragan quasi non se ne accorse.
Approfittando del momento, riuscì a sbilanciare la donna e rotolare su un lato. Quando fu lui ad esserle seduto sul ventre, le scaricò un pugno in faccia.
Queen guaì e, per riflesso, portò le mani al viso. Il razziatore non si fermò e le scaricò addosso altri pugni: in faccia, sul torso, al ventre...dove la donna non riusciva a coprirsi lui colpiva. Picchiava con l’intento di farle più male possibile, per paura che tornasse fuori la furia di poco prima.
Queen, confusa dalla reazione di Dragan, subì il suo attacco. Dopodiché lo afferrò per i polsi e lo stordì con un ruggito disumano.
Il razziatore sentì di nuovo tutte le ossa vibrare. Come in quel magazzino di Anther City, una fitta di dolore serpeggiò tra le tempie. I timpani artificiali sfrigolarono, i denti si ribellarono ai loro incavi.
Una paura profonda s’impossessò di lui, e la donna lo capì guardandolo negli occhi. Allora, approfittando del momento, infierì. I suoi occhi scintillarono, mentre la voce s’incrinò fin quasi a sdoppiarsi, come poco prima.
«Lîë lâkka ëf nêä jâ-ksâffa, äso. Fôlj-nê ömpôsi.»[2] ordinò. Il potere sgorgò attraverso le parole e investì il razziatore, infiltrandosi nella sua testa come un fluido nefasto. Dragan sentì il cervello annegare ad ogni sillaba, e un attimo dopo si alzò di dosso a Queen. Lei, soddisfatta, si rimise in piedi.
«Mâm kê nuädisi.»[3]
Il lombax rimase fermo in piedi, con le gambe leggermente storte e le braccia pendenti lungo i fianchi.
«Opîlla pênne pâdi lê ksâdo Rakta.»[4]
Prima che se ne rendesse conto, Dragan rispose: «Non lo so. In palestra c’era solo quella.» e indicò la scimitarra che spuntava dalla schiena della xarthar.
«Quindi è possibile che quella vera ce l’abbia il tuo amico.»
L’altro annuì. «È possibile, sì. Ci è molto legato.»
Queen soppesò la risposta e sputò in terra, sibilando maledizioni a Chaos e i suoi seguaci. Poi lanciò un’occhiata rabbiosa al lombax. «E allora perché non hai guardato meglio?!»
«Non credevo che–»
«Non importa.» lo interruppe lei. «Avevi l’ordine di portarmi quella spada e non l’hai fatto. Ricordi cosa ti avevo promesso, vero?»
«Hai detto che non mi avresti sfondato solo i denti.»
La voce atona del lombax le fece dipanare un sorriso crudele sul volto.
«Infatti. Ci vuole una punizione più adatta al tuo fallimento. Una punizione con cui, poi, sarò certa che non sbaglierai mai più.»
Dragan non rispose. La donna si avvicinò al cadavere della xarthar e svelse la scimitarra. Osservò il filo lucente e trattenne la rabbia.
Gabbata da un falso. Un falso con l’aura di Rakta, ma pur sempre un falso. Poteva immaginare Chaos che sghignazzava nel Piano Sacro.
Sii maledetta, Toksâme. Ma sottrarrò la tua arma, puoi scommetterci! La sottrarrò e mi disferò di mio padre, poi imbraccerò la sua adorata Amsu e mi disferò anche di te!
Osservò Dragan con sufficienza e gli porse l’elsa incordata.
«Kô-feöke fô cê-cufôsi.»[5] ordinò. «Pagherai la tua colpa.»
Dragan allungò le mani e afferrò la scimitarra. Provò istintivamente paura, ma non seppe spiegarsi perché. Guardò la donna quasi alla ricerca di un motivo, ma distolse lo sguardo quando lei incrociò le braccia con fare spazientito. L’ordine era arrivato e lui doveva solamente eseguirlo. Tanto più che era un ordine estremamente semplice. Volse la punta della spada verso di sé, la poggiò contro la sua gola e fece forza.
Queen sorrise compiaciuta e gli rese il controllo di sé nel momento in cui il sangue prese a zampillare.
Così non fosse stato, non avrebbe sofferto come le piaceva.
 
Vederlo dibattersi per i suoi ultimi istanti e sapere che lo aveva fatto per eseguire il suo volere la eccitò, la fece ridere, la spinse a desiderarne ancora.
Erano anni che non si concedeva un po’ di divertimento in quel modo, e cominciava a sentirne il bisogno.
Annusò l’odore caratteristico del sangue e andò ad inginocchiarsi a fianco a Dragan. La testa, posata in una pozza di sangue, era reclinata all’indietro in modo innaturale. Lo sguardo vitreo era quello di chi era stato soffocato. La bocca era l’unico elemento che mostrava il suo stupore: spalancata a metà, quasi in procinto di cacciare un urlo. E la punta della spada giaceva a pochi centimetri da essa, intinta nel sangue come un pennino macabro.
«Bravo mortale, ti sei comportato proprio bene, sai?» disse Queen, picchiettandogli una mano sulla testa. «Adesso, però, devo avere quella spada. Prendo in prestito i cecchini che hai sparso e andrò a fare una visita all’erede di Gazda Sherwick. Non ti dispiace, vero?»
Gli regalò un ultimo sorriso folle; dopodiché si teletrasportò sopra il container. Non dovette estendere molto i propri sensi per percepire quattro anime. Allora aprì le braccia al cielo, chiuse gli occhi e salmodiò: «Jâm êf takîsi pîf Pêä D’ji Jsîö, êä äspema d’ji jafâsa d’ji quë kîm-ôsama pê üjjêpisne, öpîlla nê lêöma zipîfe. Ömeni nêl-sipîmke, dakôkide ö quïlko zêcfeö pedêmo ï lî-uëkine mîffo nêö nellêämi.»[6]
La voce, intrisa del potere più antico e forte dell’universo, cavalcò la brezza che preannunciava la pithil e si insinuò nelle orecchie e negli animi dei razziatori appostati. Sapendo che di lì a poco sarebbero andati da lei, Queen scese dal container e attese.
Arrivarono a coppie, a pochi secondi gli uni dagli altri. Tre uomini e una donna, tutti con gli occhi annebbiati dall’incantesimo.
«Bene, mortali, statemi vicini. Ci teletrasporteremo dritti dritti a casa del nostro obiettivo. È un maestro di spada che ha una scimitarra con un drappo rosso. Aiutatemi ad averla e forse vi lascerò liberi.»
«Sì signora.»
La risposta fu impersonale, ma a Queen non interessava. Attese che tutti e quattro fossero abbastanza vicini, alzò una mano al cielo e invocò le parole di teletrasporto.
* * * * * *
Ore 2:55 circa
Bassifondi ovest, palestra Talavara
 
Sikşaka udì il portone aprirsi e si convinse che fosse arrivato Matej. La coda rivelò un moto di sollievo, mentre pensava a una frase bonaria con cui accoglierlo. Lo avrebbe invitato a sedersi vicino a lui, che fino a quel momento aveva cercato di meditare per calmarsi, e gli avrebbe raccontato tutti i perché e i percome.
Ma, quando intravide la figura in corridoio, sentì il mondo fermarsi.
Fece in tempo a rialzarsi e stringere più forte l’elsa di Rakta, che la donna comparve sulla porta, altera nelle movenze e dall’espressione arrabbiata.
Si fronteggiarono da una parte all’altra della sala.
«Sai cosa voglio. Rendimi la spada, inutile mortale.»
Sikşaka descrisse due ampi archi con le braccia.
«Sono tutte in terra, guarda. Serviti e vattene.»
Queen lo indicò.
«Non dire cazzate. Sai che mi riferisco a Rakta.»
«È l’unica cosa che non puoi avere.»
Fine delle trattative. Sarebbero arrivati allo scontro, e il parquet trafitto dalle armi sarebbe stato un pericoloso campo di battaglia.
Queen flesse le gambe e richiamò la sua lama d’energia. Crepitava come fosse fatta d’elettricità e sembrava composta da plasma, ma Sikşaka sapeva che era resistente come roccia.
L’aveva già affrontata ad Anther City, ma, di nuovo, non poté fare a meno di esserne incuriosito. Ciò nonostante, bandì la curiosità dalla mente e si preparò ad attaccare.
Se voglio vincere – sopravvivere, corresse l’istinto – devo puntare tutto sull’attacco.

[1|⇑] Rocce, innalzatevi e chiudete!
 
[2|⇑] Sei sotto il mio controllo, ora. Lasciami andare.
 
[3|⇑] Non ti muovere.
 
[4|⇑] Adesso dimmi dove si trova Rakta.
 
[5|⇑] Tagliati la giugulare.
 
[6|⇑] Con il potere del Dio Che Crea, io ordino che coloro che qui tentarono di uccidermi, adesso mi siano fedeli. Anime miscredenti, votatevi a questa figlia divina e seguitemi nella mia missione.

 

   
 
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