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Autore: La neve di aprile    02/06/2007    8 recensioni
Orlando Bloom è un attore di fama mondiale. Ama fare snowboard, surf e il caffé nero, senza zucchero.
Annie Brown è nata e cresciuta a New York. Ama il cappuccino alla vaniglia, il suo lavoro e i tacchi dieci.
Orlando Bloom ha la bizzarra abitudine di far scappare tutte le menager che gli vengono affidate.
Annie Brown è la nuova menager di Orlando Bloom.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAFFE’ NERO SENZA ZUCCHERO
CAPITOLO I



Los Angeles

Albeggiava.
Tenui raggi di sole si infilavano dispettosi tra le tende mal chiuse della lussuosa suite dove Orlando cercava di dormire, andando a cadere quasi perpendicolarmente sul volto del ragazzo.
- Mhhh.. - mugolò, del tutto deciso ad attaccarsi a quel brandello di sogno che lentamente lo abbandonava. Stava sognando di essere sui monti svizzeri, in compagnia della neve e della tavola da snowboard, senza nessun altro attorno. Lui e la montagna. Una cosa che non succedeva da secoli, ormai.
Un sogno, appunto.
Lo scricchiolio di una porta che si apre nella stanza accanto, i passi inquieti di qualche giovane milionaria in vacanza al piano di sopra, e il sogno gli sfuggì dalle dita.
- Cazzo! - sbuffò irritato, coprendosi il volto con le mani.
Rimase con gli occhi chiusi, con la vaga speranza che il sonno sarebbe tornato allo stesso modo in cui se ne era andato, ma dopo qualche minuto si rese conto che non c’era nulla da fare: era perfettamente sveglio.
Mugolando, scostò le lenzuola bianchissime e si mise seduto, combattendo con il mal di testa causato dal movimento improvviso, per poi allungare la mano verso il comodino alla sua destra e cercare a tentoni il telefono.
- Hilton Hotel, mi dica. - gli rispose una voce femminile.
- Ma non dormite mai...? - brontolò nel ricevitore, strofinandosi gli occhi.
- Come dice, signor Bloom? - continuò la voce, che trasudava gioia e vitalità.
- Nulla. Per favore, mi faccia portare un caffé nero, senza né zucchero né latte e una brioches alla crema, per favore. E la posta di ieri, magari. - biascicò, cercando di farsi capire dalla giovane centralinista.
- Certo, signor Bloom. Provvedo subito. - squittì lei. Orlando si lasciò quasi scappare un gemito: quella voce piena di entusiasmo lo urtava.
Come diavolo è possibile essere così svegli a quest’ora del mattino? Si chiese, assicurando che no, non aveva bisogno di altro.
Una volta riattaccato il telefono, si lasciò cadere sul letto, continuando a chiedersi come diavolo avesse fatto la ragazza ad essere così pimpante alle... alle...? Si sollevò sui gomiti, cercando di vedere che ora fosse.
Le cinque e sette minuti.
Eccole la, le tre cifre rosse sullo sfondo nero della sveglia ditigale, accuratamente programmata per suonare alle sette e mezza.
- Meglio fare una doccia. – decretò, imponendosi di mettersi seduto di nuovo e di posare i piedi nella folta moquette bianca e soffice che copriva tutto il pavimento della stanza. Lentamente, si alzò in piedi, trascinandosi fino al bagno.
Dopo aver aperto l’acqua nella doccia, gettò un’occhiata allo specchio, dove un Orlando pallido, con due occhiaie grandi come una casa sotto gli occhi, ricambiò il suo sguardo. Scosse il capo, togliendosi i vestiti con cui si era addormentato la sera prima e si infilò sotto l’acqua calda, sperando in un piccolo miracolo.
Esattamente venti minuti dopo, allungò il braccio verso il lavandino, alla ricerca dell’asciugamano.
A tentoni, con gli occhi ancora chiusi, cercò il telo di spugna inutilmente, prima di rinunciare e uscire dalla doccia grondante d’acqua, immergendosi nel vapore che avvolgeva l’intera stanza.
- Dove cazzo è l’asciugamano! - sbottò, dopo aver tirato un calcio allo spigolo della Jacuzzi.
- Qua. - gli rispose una giovane voce femminile, da un punto indefinito nel vapore.
- Ah, grazie. - rispose Orlando, senza rendersi bene conto della situazione, e si avvicinò alla fonte della voce afferrando l’asciugamano che lei gli porgeva.
- Però... - fu il commento laconico che sfuggì alla ragazza, mentre lui si avvolgeva nel panno di spugna. – Quanto hai bevuto ieri, per essere così addormentato?-
Fu allora, mentre la ragazza apriva la porta per uscire, che il vapore abbandonò di colpo il bagno e Orlando si svegliò del tutto, alla vista dell’intrusa che lo guardava con le braccia incrociate al petto.
Giacchetta corta color crema, gonna al ginocchio in tinta e stivali neri con tanto di tacco dieci, Annie fissava il ragazza divertita.
- E tu chi diavolo saresti? - riuscì ad esclamare l’attore, dopo aver boccheggiato come un pesce per mezzo minuto buono.
Lei sorrise, scoprendo una chiostra di denti perfetti, e allungò la mano destra.
- Annie Brown, la tua nuova menager. –


- Caffé nero. - sentenziò Annie, quando Orlando uscì dal bagno con addosso un accappatoio immacolato e un’espressione che definire corrucciata era poco. – Ottima scelta, quando hai fatto le ore piccole. -
- Bevo solo caffé nero. - brontolò il ragazzo, superando la giovane e afferrando un maglione a collo alto e un paio di jeans dal borsone che aveva lanciato qualche giorno prima su un divanetto davanti ad un gigantesco schermo al plasma.
- Caffeinomane anche tu, dunque. - proseguì lei, accavallando le gambe e puntando gli occhi sulla schiena del ragazzo. – Ne avrai bisogno, vista la giornatina che ti aspetta. -
Orlando la guardò, mentre prendeva fuori da una borsa scamosciata un’agenda in pelle nera e ne sfogliava le pagine.
La luce dell’alba scivolava sui capelli color porpora, che cadevano morbidi ad incorniciarle il volto pallido nonostante l’ombra di terra sulle guance.
- Annie, vero? - le chiese, fermandosi davanti al carello con la sua colazione.
Ingurgitò un sorso di caffé e addentò la brioches, andando poi a sedersi davanti alla donna, che non alzò il viso.
- Esattamente. -
- E’ una tua abitudine quella di comparire così all’improvviso nel bagno delle persone mentre fanno la doccia? - la aggredì lui, sporgendosi in avanti sulla poltroncina.
Lei non fece una piega, scribacchiando qualche parole su una pagina.
- No, in genere no. -
Orlando inarcò le sopracciglia, distogliendo lo sguardo dalla ragazza, che proseguì, alzando gli occhi e piantandoli in quelli dell’attore.
- Solitamente mi infilo direttamente nella doccia, ma sono arrivata tardi oggi. -
La guardò spiazzato per qualche attimo. Lei ricambiò lo sguardo, prima di scoppiare a ridere di gusto.
Una risata roca, gaffiata, come la sua voce.
- Cielo, come sei ingenuo! - esclamò tra una risata e l’altra –sarà divertente lavorare per te. – Si alzò in piedi, infilando l’agenda nella borsa e strattonando leggermente la giacca. – Avevi già appuntamenti, per la giornata? - chiese perdendo ogni traccia di ilarità.
- Se non lo sai tu.. - bonfichiò lui, con la bocca piena di brioches e crema – Non sono io il menager qui. -
- Non sono certo io che ho fatto venire un esaurimento nervoso alla mia precedente menager che ha fuso il portatile con dentro tutti gli appuntamenti che aveva preso per te. - lo rimbeccò lei, gelida, spiazzandolo.
Prima che potesse dir nulla, alzò la mano destra, portando la sinistra alla fronte. Chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie
- Non importa. Vado a fare qualche telefonata, tu fatti trovare pronto alle sette e trenta nella hall, con tanto di borsa. D’accordo? -
Orlando annuì, inghiottendo l’ultimo boccone di brioches mentre lei raggiungeva la porta e l’apriva.
- Ah, quasi dimenticavo. – aggiunse candida prima di scivolare fuori dalla stanza – Non si parla con la bocca piena, cafone.-
E prima che il ragazzo potesse in alcun modo replicare, lei aveva già chiuso delicatamente la porta dietro di se.


Annie aspettò di arrivare in fondo al corridoio e di svoltare l’angolo, prima di appoggiarsi alla parete e accasciarsi a terra, con il volto nascosto tra le mani.
Era rossa in volto, come dopo una lunga corsa, e il cuore le batteva talmente forte che credeva sarebbe esploso nel giro di pochi secondi.
Orlando Bloom.
Non era niente di quello che si era aspettata, fantasticando nelle ore di volo che aveva trascorso insonne, mentre attraversava il continente.
Armata di portatile e quelli che lei chiamava “giornali-spazzatura”, aveva cercato più informazioni possibili sul suo nuovo protetto.
Wikipedia, fanclub, siti contro l’attore.
Nulla era sfuggito ai suoi occhi stanchi, vogliosi di sonno.
Orlando Bloom.
Aveva immaginato un ragazzino viziato, con ancora qualche brufolo accuratamente nascosto da chili di fondotinta nelle foto ufficiali e non, un fisico magro senza muscoli, e non quel giovane uomo che aveva sorpreso nel bagno pieno di vapore. Che poi, come diavolo le era venuto in mente di infilarsi la dentro e prendere l’asciugamano?
Le sfuggì una risatina, subito soffocata da un pugno morso senza troppa convinzione. D’accordo, si, avrebbe comunque dovuto piombargli in camera e svegliarlo all’alba per quell’intervista radiofonica alle nove e che comunque lo avebbe probabilmente beccato in una qualche situazione imbarazzante – Dio solo sapeva che avrebbe fatto se lo avesse beccato con una qualche ragazza! - ma questa... questa era stata una delle genialate più infami che le fossero ai venute in mente.
Se solo avesse avuto una macchina fotografica. Si riscoprì a rievocare l’immagine di lui appena uscito dalla doccia, con il corpo lucido di vapore, una sagoma appena accennata ai suoi occhi. Le gocce d’acqua sui suoi bicipiti. I capelli sul volto dai lineamenti sottili.
“Basta, BASTA!” si rimproverò severamente, tirandosi qualche leggero schiaffetto sulle guance bollenti e alzandosi in piedi.
Si sistemò la gonna, che era salita scoprendo metà delle cosce sottili, fasciate in un paio di autoreggenti color carne.
- Bene. - si disse, riprendendo a camminare per il corridoio, imboccando le scale di servizio. – Bene. - ripetè con aria più convinta, mentre il sangue defluiva dalle guance.
Su una cosa, però, non poteva proprio tacere: era dannatamente bello. E lei era stata dannatamente stronza.


Alle sette e tranta precise, le porte dell’ascensore si aprirono senza un solo rumore, e un assonnatissimo Orlando Bloom fece capolino nella hall dell’albergo. Annie alzò gli occhi dalla sua eterna agenda e li puntò sul viso dell’attore. Il ragazzo la raggiunse, aggrottando la fronte.
E adesso? si chiese, adesso che le passa per la testa? Mi hanno mandato una pazza isterica, non una menager.
Ricambiò lo sguardo sfrontatamente, notando con piacere che, dopo un po’, fu lei ad abbassare gli occhi, quasi imbarazzata.
- Ma allora sei umana! - commentò con un largo sorriso, lasciando cadere il borsone sportivo a terra, ai suoi piedi.
Lo seguì con gli occhi, senza perdere l’occasione di squadrare da capo a piedi la giovane donna, con il risultato di confermare la sua precedente idea: bella, molto bella.
- Molto più che umana, mio caro. - gli rispose lei, con gli occhi ancora bassi.
Aggiunse qualche nota sull’agenda, qualche parola che l’attore non riuscì a capire nonostante la calligrafia rotonda, quasi infantile. Dopo aver chiuso con uno scatto il diario, si alzò in piedi e recuperò la borsa.
- Bene, sei pronto? - chiese, incamminandosi verso la reception seza aspettare risposta – Ti ho fissato un’intervista radiofonica per le dieci, e già che ci siamo ci fermeremo lungo la strada per inaugurare un centro per ragazzi, una specie di ricreatorio. -
- Un che? - chiese Orlando sorpreso – Non ho mai fatto una cosa del genere! - protestò seccato.
- Lo so, - replicò lei candida – ma una buona azione come questa sarà una buona pubblicità, per te. Fidati. E ora andiamo, il tempo vola! -
Annie si incamminò, davanti al ragazzo, che agguantò al volo la sua borsa e infilò un paio di Ray-Ban classici, con le lenti verdi, prima di seguirla attraverso le porte scorrevoli dell’albergo, dentro un fuoristrada metallizzato con i vetri oscurati. La donna era alla guida.
Alla vista dell’espressione perplessa dell’attore, sogghignò.
- Paura, baby? - chiese infilando un paio di occhiali su cui spiccava il logo della Dolce&Gabbana e afferrando il volante con entrambe le mani.
- Che domande. - sbuffò lui allacciandosi la cintura di sicurezza e guardando fuori dal finestrino, con aria annoiata.
- E tu saresti un attore? Tesoro, non convinci nessuno. - sogghingò di nuovo, sporgendosi verso di lui e posandogli una mano sulla coscia – Ma non ti preoccupare... - lo rassicurò abbassando il tono della voce ad un sussurro – ...non ho mai ucciso nessuno. -
- Ah beh.. - commenò Orlando, continuando a guardare fuori dal finestrino per non mostrare il turbamento che quella mano sottile gli causava – Se lo dici tu. -
- Lo dico io. - ripeté lei, spostando la mano alla chiave e avviando il motore – Lo dico io. -
Premette sull’acceleratore, rilasciò la frizione e la macchina scivolò in avanti, immettendosi in breve nel traffico mattutino della metropoli.

   
 
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