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Autore: Pichichi    15/11/2012    0 recensioni
Una coppia sposata si reca in vacanza per la prima volta dopo molto tempo. Al rientro, Tommaso si accorge che c'è qualcosa che non va.
«Perché entri nel letto come se avessi paura che esploda una bomba o non so cosa ad un movimento troppo brusco?»
«Non mi piace lanciare le lenzuola all’aria.»
«Ma da quando, queste cose?»
«Da sempre.»
«No, non è vero!»
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutti i ringraziamenti alla mia mela preferita.

SIESTA

 

Tommaso rientrò in camera con le braccia cariche di asciugamani e una borsa di vimini in spalla. Lo scroscio dell’acqua si sovrapponeva al basso lavorio del condizionatore; sul letto giaceva un marasma di indumenti, pronti per essere spostati nel cesto dei panni sporchi. Lisa, sotto la doccia, aveva sentito la serratura scattare e domandò:

«Tommaso, sei tu?»

«Sì, sono io» rispose lui. Si fermò a fissare i sandali della moglie, abbandonati sulla moquette. «Stai facendo la doccia?»

«Sì.»

Tommaso aggiunse la borsa al mucchio di abiti; si sentì subito sollevato: il peso degli asciugamani e il manico rinforzato gli avevano procurato un segno rosso sulla spalla. Andò alla ricerca del suo accappatoio e della biancheria intima pulita, per poi occupare una poltrona di velluto.

Aveva desiderato con insistenza quella vacanza: prenotata in anticipo una settimana di ferie a metà Luglio, messa da parte una somma discreta, senza contare l’aver passato tutta la primavera a cercare di convincere sua moglie.

«Vedrai che ci farà bene» aveva detto, «farà bene a entrambi un po’ di riposo, staccare dal tran tran di tutti i giorni – ufficio, casa, casa, ufficio.»

«Ma sentiti! Smetti di dire sciocchezze.»

«Non dico sciocchezze! Sono serissimo.»

Era chiaro che a sua moglie l’idea della vacanza non andava giù e perciò non si sarebbe mai occupata della ricerca di un albergo e della preparazione dei bagagli. Lui non voleva né un villaggio turistico, né il campeggio nelle pinete e nemmeno tour sfiancanti in qualche pittoresca isola; non chiedeva altro che una settimana in un albergo che desse sul mare, una settimana chiusi in una camera con aria condizionata e un letto con cuscini morbidi in cui sprofondare, una settimana su una spiaggia qualsiasi a prendere quanto più sole possibile.

Aveva pianificato tutto con grande semplicità. Non avendo a disposizione un budget elevatissimo non aveva accampato pretese eccessive: aveva scelto una località marittima abbastanza distante da casa loro, che garantisse la leggerezza e la libertà della vacanza, e al contempo non molto frequentata; aveva preso accordi per una cifra conveniente, che potesse garantire un soggiorno piacevole, infine gettato alla rinfusa quattro costumi nella valigia assieme a qualche camicia a quadri, bermuda e infradito e messo sua moglie di fronte al fatto compiuto.

«Ho prenotato l’albergo, partiamo lunedì prossimo.»

«Hai prenotato l’albergo? Sul serio?»

«Sì, certo.»

«Ma ti sei fatto consigliare dall’agenzia?»

«No, ho fatto da solo. Perché dovrei servirmi dell’agenzia?»

«No, no, figurati! È solo che pensavo che ti annoiasse controllare i prezzi, verificare la disponibilità, telefonare…»

«Tranquilla, è tutto pronto. Ti piacerà, te lo prometto.»

Lisa si era convinta proprio in virtù di quella risolutezza. L’idea di quella vacanza le suonava così strana – campata per aria, diceva fra sé – che il pensiero che vi fosse dietro un qualche secondo fine le teneva compagnia fin dalla partenza.

Uscì dalla doccia facendo attenzione a non allagare il pavimento e si avvolse in un accappatoio bianco, premendosi la spugna sul viso e sui capelli. Non si lasciò coccolare a lungo dalla sensazione di benessere e annodò la cintura attorno alla vita con cura; assicuratasi di essere abbastanza coperta, fece scattare la serratura della porta.

«Hai finito, posso entrare io?» domandò Tommaso.

«Sì, vai pure.»

Lisa storse il naso nel notare i granellini di sabbia che le sue infradito lasciavano sulla moquette e sospirò quando lui si chiuse in bagno. Sapeva che Tommaso era contento di essere lì in vacanza e aveva perso il conto di quante volte le aveva domandato se non fosse altrettanto entusiasta.

«Sì, certo, tesoro» era la sua meccanica risposta.

«Abbiamo fatto proprio bene. Abbiamo fatto la scelta migliore.»

Tommaso doveva essersi accorto che qualcosa in lei non andava, ma ogni volta Lisa ringraziava la sua diplomazia, che gli impediva di porle domande troppo dirette e insistenti. La prassi dei loro rapporti escludeva le intrusioni nelle sfere private, l’analisi meticolosa dei cassetti, dei cellulari e delle tasche dei pantaloni al fine di scoprire misteriosi biglietti o ambigui messaggi; se ne stavano ognuno per i fatti propri, assolutamente certi dell’innocenza dell’altro e nemmeno così interessati a verificarla; l’importante era che non se ne facesse una questione pubblica, tale da compromettere i loro rapporti.

Lisa strinse i lembi dell’accappatoio per coprirsi il collo. Era meglio darsi una mossa e vestirsi, onde evitare che Tommaso rientrasse all’improvviso nella stanza: non le andava proprio di spogliarsi di fronte a lui. Alle due meno venti i coniugi si ritrovarono sulla soglia della loro stanza, vestiti e profumati, pronti per scendere le scale e recarsi nella sala ristorante, dove avrebbero consumato il pranzo.

Non parlarono molto durante il pasto, ma gradirono le pietanze a base di pesce accompagnate da un buon vino bianco, che li intorpidì tanto da far loro desiderare di risalire in camera, ma non abbastanza da farli crollare per il sonno appena toccato il materasso. Lisa fu la prima a sdraiarsi, tendendo il collo all’indietro e stiracchiando le braccia.

«Vieni.»

Tommaso raccolse l’invito e sprofondò con la faccia nel cuscino; sbadigliò un paio di volte prima di avvolgere il corpo della moglie con le sue braccia e poggiare la testa sotto l’ascella, respirando l’odore di bagnoschiuma. Lisa ricambiò l’abbraccio. Rimasero in silenzio per qualche secondo, sbadigliando alternativamente e carezzandosi a vicenda la schiena e i capelli. Entrambi precipitarono presto in uno stato di sonnolenza. Dopo aver provato a tenere gli occhi chiusi, nella speranza di cadere vittima dell’abbiocco pomeridiano, Lisa sentì il bisogno impellente di dire qualcosa, una cosa qualsiasi.

«L’acqua del rubinetto non dev’essere potabile.»

Riprovò, schiarendosi leggermente la gola:

«Non dev’essere potabile. Ha un sapore strano. Ogni volta che la bevo me la sento rimescolare nello stomaco.»

Tommaso schiuse gli occhi, racimolando le forze per replicare.

«Sì, hai ragione» disse, «ma è un bel posto. È un bel posto, no?»

«Sì, è un bel posto.»

«Abbiamo fatto bene a venire qui. Non avremmo trovato un posto migliore, abbiamo fatto bene.»

«Sì, hai fatto bene.»

Quella concessione produsse un grugnito soddisfatto da parte di lui, che tornò a chiudere gli occhi e infossare il viso fra il seno e la pancia della moglie.

«Sei contenta? Sei contenta che siamo in vacanza?» le domandò.

«Sì, sono contenta.»

«Non sembri convinta. È un bel posto.»

«È un bel posto, Tommaso, sta’ tranquillo. Riposati.»

Lisa ridacchiò fra sé, eccitata da un improvviso pensiero.

«Metti le mani qui» lo invitò ad infilarle sotto il vestito, «slacciami il reggiseno.»

Tommaso obbedì e sganciò l’indumento; Lisa gli prese la testa fra le mani e la posò sui seni, carezzandogli i capelli.

«Certo che sono contenta, tesoro. Sono felicissima. Hai fatto proprio bene.»

Continuò a passargli le mani fra i capelli, ridendo di se stessa e della situazione. Non capitava spesso che fossero così espansivi e Tommaso accolse con piacevole sorpresa le coccole della moglie; aveva la guancia premuta contro un seno ed ebbe voglia di risalire con la propria mano per accarezzarlo, ma di certo Lisa non gliel’avrebbe permesso. Cullato dalle sue dita e inebetito dal profumo del suo corpo chiuse gli occhi. Lisa invece continuò a tenere gli occhi aperti e passare le dita fra i capelli del marito quasi meccanicamente; piano piano sentì il suo respiro affievolirsi, finché non le sembrò proprio che fosse addormentato. Le si strinse lo stomaco: era il nervosismo che l’accompagnava da un paio di giorni.

«Tommaso?» lo chiamò.

Non ottenne risposta.

«Tommaso?»

Fermò la mano ed esitò un momento, poi si decise.

«L’altro giorno un uomo mi ha vista nuda.»

Restò per qualche attimo in silenzio, trattenendo il fiato per tutto il tempo necessario a liberarsi della paura che suo marito si svegliasse di colpo e le desse un ceffone. Il cuore le batteva più forte, ma il placido respiro di Tommaso la incoraggiò ad andare avanti.

«Ero andata a cambiare il costume, ricordi? Mi ero fatta aprire la cabina dal bagnino e mi stavo spogliando, solo che non sapevo dove poggiare i vestiti… alla fine li avevo appesi alla maniglia e stavo spiegando il costume pulito per infilarmelo.»

Fece una pausa, in cerca delle parole più adatte.

«Non so come sia potuto succedere. A un certo punto la porta si è aperta – forse per il vento, non saprei – e mi sono vista davanti quest’uomo, occhiali da sole e slip, che mi guardava. Pensa che nemmeno mi ero ricordata di essere nuda!» sorrise e si diede della scema. «Sul serio, mi chiedevo che cos’avesse da fissarmi così… poi ho notato che aveva una faccia strana e che stava lì immobile. Allora ho lanciato un urletto e mi sono coperta di scatto. Lui ha avuto la creanza di chiudere la porta.»

Aveva ripreso ad accarezzare i capelli del marito e gli parlava come se potesse sentirla. I suoi movimenti diventavano via via meno bruschi.

«Mi ha vista nuda, completamente nuda» ripeté.

Si strinse più forte a Tommaso, che non fece una piega.

«Ti amo tanto, Tommaso. Sul serio.»

Sapeva che suo marito stava dormendo della grossa, ma si sentiva sollevata; non che fosse successo dell’altro oltre quella scena bizzarra, ma Lisa aveva continuato a rimuginarci su e quel pensiero aveva portato con sé un senso di fastidio e colpevolezza. Sperava che far uscire quelle parole dalla propria bocca avrebbe placato la sua inquietudine.

Quella tranquillità interiore, tuttavia, durò giusto il tempo di capire che, avendo rivelato l’accaduto mentre Tommaso era profondamente addormentato, la sua confessione non aveva alcun valore. Inutile continuare a ripetersi di non aver nulla da nascondere, se non aveva atteso altro che il marito si addormentasse! Non disse più una parola riguardo l’incidente della cabina e l’assoluta indifferenza di Tommaso le dava la sicurezza che non avesse udito una sola parola di quel che gli aveva raccontato.

Tutto ciò avrebbe dovuto farle pensare all’incidente come a un qualcosa di estraneo, di lontano, ma Lisa finiva sempre per tornarci sopra e ripercorrere la scena da diverse prospettive.

Un uomo l’aveva vista nuda; Tommaso probabilmente non ricordava nemmeno che avesse un vistoso neo sul fianco sinistro. Dopo un po’ di tempo accantonò l’idea della colpevolezza e prese ad essere stizzita della sua ignoranza: in fondo le premeva la voglia di osservare la faccia che avrebbe fatto, accogliere con un perfido piacere la sua gelosia.

Eppure lui seguitava a far finta di niente. Lisa passò dallo stato in cui era certa dell’incoscienza di Tommaso e pertanto cercava di reprimere ogni impulso narcisistico, ad una fase intermedia caratterizzata dal sospetto che di qualcosa fosse a conoscenza, ma per delicatezza non ne facesse menzione, fino a convincersi che Tommaso sapeva tutto quanto e marciva di gelosia, ma non manifestava i suoi pensieri per non darle soddisfazione. Cominciò ad esserne ossessionata: rielaborava semplici convenevoli quali “vado a fare la spesa”, “oggi resto in ufficio fino a tardi”, “cos’hai preparato per cena?” arricchendoli di significati e allusioni riguardanti l’episodio della cabina; si convinse che Tommaso stesse solo cercando il modo migliore di fargliela pagare. Quell’idea, accarezzata con soddisfazione e cattiveria, la rese più che mai arrogante.

Tommaso non dava molto peso all’umore pensieroso ed enigmatico che sua moglie aveva assunto da un po’ di tempo a quella parte. S’interessava piuttosto di alcune strane variazioni nei suoi abituali comportamenti – capricci, così li chiamava.

«Come mai hai comprato delle scarpe nuove?» se ne uscì una sera, mentre mangiavano le rispettive porzioni di insalata e bistecca.

Lisa fece uno sforzo per non sorridere: era davvero ingenuo da parte sua.

«Quali scarpe, tesoro?» domandò, con aria indulgente.

«Ho visto una busta grande, in camera da letto» rispose Tommaso, più incerto. «Ho pensato che fossi stata a fare compere.»

Lisa assunse un’aria pensosa.

«Che busta? Non mi ricordo… ah sì! Vuoi dire quella busta, ho capito. Sì, ho comprato qualcosa. Forse anche delle scarpe, non so.»

Tommaso masticò un po’, chiedendosi se fosse il caso di continuare o meno la discussione; pensò che fosse una cosa davvero troppo strana perché potesse ignorarla, e che sarebbe venuta fuori comunque, perciò insistette.

«Hai comprato delle scarpe costose.»

«Come fai a saperlo?»

«Ho letto lo scontrino.»

La soddisfazione di Lisa aumentava esponenzialmente ogni secondo che passava. Si permise un sorriso che Tommaso interpretò come il sentore di una presa in giro.

«Ora ti metti a leggere gli scontrini?» gli domandò.

«Sì. Mi è sembrato strano… di solito fai un sacco di storie quando compro qualcosa di nuovo: il televisore, il portatile nuovo. Non volevi nemmeno venire in vacanza!»

Non c’era alcun dubbio: Tommaso sapeva eccome e non aspettava altro che un’occasione per tirar fuori il discorso.

«La vacanza mi è piaciuta. È stata molto rilassante e dovremmo rifarla.»

Tommaso aggrottò le sopracciglia, sorpreso, mentre lei chinava il capo sul suo piatto.

«Che cos’hai da sorridere?» chiese, sentendosi preso in giro.

«Niente, niente.»

«Come mai le scarpe?»

«Avevo voglia di comprare delle scarpe nuove. Ti dà fastidio?»

«No, non mi dà fastidio… mi sembra solo strano.»

«Se ti dà fastidio, ne possiamo parlare.»

Più la conversazione andava avanti e più Lisa sentiva avvicinarsi il momento della goduriosa confessione: Tommaso era sempre stato un tipo di poche parole e non le era mai capitato di essere l’oggetto della sua gelosia; quella prospettiva l’eccitava terribilmente.

«Non mi dà fastidio!»

Tommaso capiva che sua moglie aveva qualcosa in mente, ma non riusciva a immaginare di che cosa potesse trattarsi.

«Lo trovo solo strano, tutto qui.»

Non aveva voglia di litigare e lasciò cadere il discorso nel nulla. L’unica spiegazione plausibile era che Lisa fosse arrabbiata con lui per qualcosa e forse il suo intento, con quel costoso paio di scarpe, era di provocarlo; tuttavia non capiva che cosa avesse fatto per meritarsi quel trattamento. Non era mai rimasto in ufficio fino a tardi senza addurre una valida motivazione, non aveva mancato di fare la spesa quella settimana e si era abituato a non lasciare più biancheria sporca in giro da quando sua moglie gli aveva fatto notare quanto fosse noioso per lei doverla raccogliere. Tornò ad occuparsi dell’insalata e a far finta di nulla, sperando che le cose si risolvessero naturalmente o che, quantomeno, quel qualcosa che Lisa covava scemasse col tempo.

Le lasciò un ampio margine di vantaggio, in modo che potesse infilarsi il pigiama e addormentarsi prima che lui finisse di guardare la televisione. Quei sorrisi indisponenti e quell’atteggiamento non gli piacevano affatto: se si trattava di un gioco, non era affatto divertente. Fu perciò deluso quando la trovò intenta a disfare le coperte; come se non bastasse, si era messa a svolgere il lenzuolo con una cura tutta particolare; Tommaso non ci aveva mai fatto caso e rimase in piedi a guardarla, con aria piuttosto perplessa. Lisa si accorse che la stava fissando.

«Cosa c’è?» domandò.

«Come mai tutta questa premura?»

«Non capisco la domanda.»

Tommaso dovette fare uno sforzo per non arrabbiarsi.

«Perché entri nel letto come se avessi paura che esploda una bomba o non so cosa ad un movimento troppo brusco?»

«Non mi piace lanciare le lenzuola all’aria.»

«Ma da quando, queste cose?» sbottò.

«Da sempre.»

«No, non è vero!»

Di questo era sicuro, checché ne dicesse lei. Sua moglie si stava comportando in modo decisamente inusuale, doveva essere così, altrimenti non lo avrebbe notato.

«Forse te ne accorgi adesso per la prima volta» obiettò lei, dandogli le spalle, «ma non ci trovo niente di straordinario.»

Tommaso si sedette sul letto, incredulo. Certo che c’era qualcosa di straordinario in quel modo di infilarsi nel letto e nelle sue parole sibilline; anzi, se c’era un problema, stava proprio lì.

Provò ad addormentarsi spegnendo la lampada e mettendosi a pancia in giù, ma il tessuto del cuscino lo infastidiva e non riusciva a tener gli occhi chiusi; pensava e ripensava che cosa potesse significare quel comportamento. Si domandò se non fosse sul serio colpa sua e se Lisa gli stesse rinfacciando qualche mancanza; il sorriso strafottente che aveva tenuto su durante la cena non gli piaceva per nulla. Avrebbe voluto scuoterle la spalla e domandarle cosa ci fosse che non andava, ma non poteva chiederlo, non gli avrebbe mai risposto; avrebbe aggirato l’argomento, avrebbe finto di dormire. Tommaso si stupì di nuovo: non era in grado di domandare a sua moglie “Ma da quando, queste cose?” senza sentirsi stranito, fuori posto. Si dispiacque di essersi irritato e volle rimediare in qualche modo; gli venne in mente che, se si imbarazzava con le parole, poteva sempre abbracciarla o farle una carezza. Allungò le mani per cingerle la vita.

Lisa dormicchiava da un po’ e non reagì subito, ma quando Tommaso aderì contro la sua schiena si mosse, forse per la sorpresa o per il fastidio. Ritrasse le ginocchia al petto e protestò:

«Hai i piedi freddi.»

Tommaso provò a baciarle la nuca coperta dai capelli, ma lei si divincolò e, afferrando il cuscino, si allontanò dal suo corpo. Lui non chiese spiegazioni, ma si sentì molto triste e deluso. Non era riuscito a comunicarle un bel nulla. Si voltò dalla sua parte e cercò di addormentarsi ignorando quel senso di pesantezza.

L’indomani si svegliò col presentimento di essere in ritardo e la sveglia digitale posta sul comodino gli diede ragione. Calciò via le lenzuola con un gesto brusco e si accorse che sua moglie non c’era; non era a letto, non c’era traccia del suo pigiama e ciò significava che doveva essere sveglia da un po’ di tempo. Affrettandosi fra il bagno, la camera da letto e il salone la scorse di schiena, impegnata a far bollire il latte o il caffè.

«Buongiorno» tentò, la voce roca.

«Buongiorno» rimandò lei.

Aveva in mano una tazzina, se la portò alle labbra e la vuotò rapidamente. Tommaso diede un’occhiata in giro e notò con rammarico che non ne era stata preparata un’altra per lui.

«Porto fuori la spazzatura» fece lei.

Cogliendo l’occasione per farle una gentilezza, Tommaso propose:

«Ci vado io, tanto sto per uscire.»

Allungò la mano per ricevere il sacco, ma Lisa si ritrasse.

«No, no, vado io.»

Tommaso si spazientì: sembrava che lo facesse apposta e davvero non capiva perché dovesse comportarsi così.

«Perché dovresti andare tu, se sto per uscire?»

«Proprio perché devi uscire e sei in ritardo, vado io!»

Stringendo le labbra per impedirsi di replicare, lui spalancò la porta d’ingresso e le fece cenno di precederlo.

Tommaso prendeva l’auto per andare in ufficio e impiegava più o meno sei minuti per aprire la saracinesca del garage, tirar fuori la macchina e ripartire. Il bidone dell’immondizia si trovava sul vialetto opposto al loro portone e mentre si preparava a svoltare a sinistra e immettersi nella strada notò sua moglie alle prese con un tizio senza capelli e in pantofole; lo riconobbe come l’inquilino del terzo piano, quello che abitava assieme ad un cane dal pelo bianco ed usciva soltanto la mattina presto e all’ora del tramonto. Le stava urlando contro.

«Non deve buttare la spazzatura!» stava dicendo. «Non deve buttare la spazzatura!»

«Ma che dice, che vuole?»

Tommaso scese dall’automobile e si avvicinò ai due, preoccupato. Lisa non lo respinse, ma si lasciò circondare dal marito, continuando a fissare l’uomo davanti a sé.

«E tu che cazzo vuoi?» cominciò a dare addosso a Tommaso. «Che cazzo vuoi? Che cazzo vuoi? Vattene! Vattene!»

Ripeté una serie d’improperi tutti d’un fiato, alzando sempre più la voce. A quel punto una persiana del palazzo di fronte si aprì e comparvero i primi curiosi. L’uomo parve ad un tratto dimenticarsi di prendersela con Tommaso e si allungò in direzione di Lisa, che lasciò cadere la busta nera che aveva fra le dita per lo spavento. La cosa sembrò soddisfarlo, perché la raccolse e ci posò un piede sopra.

«Questo è pazzo» commentò sottovoce Tommaso, muovendo qualche piccolo passo all’indietro con l’intenzione di allontanarsi e portar via anche sua moglie.

«Ma che cosa fa?» gridò Lisa, che lo osservava ad occhi sbarrati.

L’uomo stava prendendo a calci il sacco, calciandolo contro il cassonetto, il muro, le auto circostanti, con tutte le sue forze. L’involucro nero non resistette a lungo e, dopo un volo in direzione del marciapiede, si strappò di colpo con un piccolo scoppio. Lisa sobbalzò, osservando sbigottita i rifiuti sparsi per terra: resti del pranzo, bucce di banana, bottiglie di plastica, cartoni di pizza.

«Vieni, facciamo finta di niente» le sussurrò Tommaso.

Le strinse la mano nella propria e la trascinò via, facendola entrare nell’automobile. Una volta che furono entrambi seduti lui accese il motore e si spostò più avanti di un centinaio di metri; fermò la macchina e si voltò per controllare se fosse ancora lì. La prima a parlare fu Lisa.

«Ma l’hai visto?»

«Sì, l’ho visto.»

Lei scuoteva la testa con aria incredula e le scappò una risata.

«C’è la nostra spazzatura per strada! La nostra… capisci? Assurdo.»

A un tratto Tommaso rise di gusto.

«Stavo pensando a quelle cosce di pollo che non si cuocevano.»

Anche Lisa si unì alla risata.

«Vero! E poi tutta la pasta che abbiamo buttato, la frutta… ha fatto scoppiare un sacco della spazzatura! Dico, l’hai sentito? Hai sentito che rumore ha fatto?»

«Per un momento ho temuto che sarebbe esploso e ci sarebbe finito tutto addosso.»

«E i polli! Le cosce di pollo col sangue!»

«Dio, quei fottuti polli!»

Continuarono a ridere finché non videro procedere nel senso opposto al loro il camion adibito allo smaltimento rifiuti; si fecero subito seri e lo osservarono per tutto il tragitto che compì fino ai loro bidoni.

«Il tizio se l’è squagliata» osservò Tommaso, scrutando nello specchietto retrovisore.

«Già. Penso sia meglio far finta di niente.»

Dopo una breve pausa, lui commentò:

«Non mi hai rimproverato prima. Ho detto una parolaccia.»

«Non importa.»

Lui sentì venir su un sorriso altrettanto dolce e non si preoccupò di reprimerlo. Era il momento giusto per dire qualcosa d’importante, quel qualcosa che non aveva avuto il coraggio di esprimere la sera prima; goffo e impacciato, allungò una mano per accarezzarle la spalla: sarebbe stato bello sporgersi e darle un bacio, ma si sentiva troppo imbarazzato. Lisa accolse quel suo tentativo con piacere.

«Devo dirti una cosa, Tom.»

«Tom?»

«Sì. Non ti ricordi più, ti chiamavo così una volta.»

Tommaso fu sul punto di dirle che no, non ricordava nulla del genere, ma il buonsenso gli suggerì di tacere. Si voltò nella sua direzione e la pregò di andare avanti.

«Sulla spiaggia, in vacanza, è successa una cosa.»

«Che cosa?»

Solo qualche ora prima Lisa aveva agognato il momento della confessione, bramato ardentemente vedere il suo volto corrucciarsi e incupirsi, forse accendersi di gelosia; ora si pentì di aver cominciato a raccontare e si dispiacque per la confusione suoi occhi, ma ormai era fatta e toccava dirgli tutto quanto. Prese un bel respiro.

«Mentre mi stavo cambiando il costume ho lasciato la porta della cabina aperta, per sbaglio. Un colpo di vento l’ha spalancata e un uomo mi ha vista nuda.»

Aveva scelto di fissare il cruscotto, ma non poté evitare di lanciargli una rapida occhiata. Tommaso rimase interdetto per un momento, poi batté le palpebre e disse:

«Tutto qui? C’è dell’altro?»

«No, niente. Tutto qui.»

«Un uomo ti ha vista nuda.»

«Un uomo mi ha vista nuda» ripeté lei.

Ci sarebbe stato da preoccuparsi, se nei suoi occhi ci fosse stata ancora quell’espressione arrogante di qualche ora prima. Tommaso sorrise.

«Perché ridi?» chiese lei.

«Perché è una cosa un po’ scema.»

Spostò la sua mano dalla spalla al braccio di lei e scivolò giù fino a stringere il pugno attorno a un suo dito.

«Hai ragione» Lisa sorrise e le si arrossarono le guance, «è una cosa scema.»

«Era per questo?»

Non si era mai sentita così in imbarazzo di fronte a lui. Per trarsi dall’impaccio di dare una risposta che entrambi conoscevano, si allungò e gli diede un bacio sulla guancia.

«Buona giornata, tesoro.»

Lui la lasciò andare, ma una volta che fu scesa dall’auto le disse:

«Sono felice che me ne hai parlato.»

«Sul serio?»

«Sì. Mi piace quando parliamo.»

Aveva pensato di dirle “non parliamo mai”, ma quella mattina sembrava essere particolarmente perspicace. La salutò con la mano e l’accompagnò con lo sguardo mentre attraversava la strada, poi accese il motore e inserì la marcia. Un pazzo gli aveva urlato contro e sparso i loro rifiuti sull’asfalto e lui quella mattina aveva fatto una carezza a sua moglie. Era anche questa una cosa un po’ scema, ma era contento.

   
 
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