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Autore: 6PinkLady6    16/11/2012    2 recensioni
«Ritsu, mi stai ascoltando?»
Ci sono cose che non si possono decidere.
«Ti sembra logico sprecare soldi al telefono se non mi ascolti?»
Avvenimenti che non possono essere cambiati.
«Scusa, stavo ripensando a un’esperienza che vorrei non aver vissuto.»
Amicizie indissolubili.
«E’ la stessa che ti tormenta da un anno? Lo sai che puoi parlarmene, vero?»
Disposizioni che non possono essere ignorate.
«Sì, ma quest’anno abbiamo gli esami e non voglio distrarti coi miei problemi.»
«Siamo amiche, devi condividere con me i tuoi problemi. Un anno fa…» iniziò la mora.
«Non parliamone più, ti prego»
«No! Un anno fa quando sei scomparsa, io sono morta!»
«Ti ho già chiesto scusa…»
«Poi torni e ti comporti in modo strano. E quando ti chiedo cos’è accaduto, mi rispondi “niente”!»
«Voglio solo dimenticare?!»
«Non ti avranno stuprata?» chiese sottovoce.
«Ma che dici Sawa!»
Sensazioni che non possono essere ignorate.
«E’ solo che... mi sento vuota.»
Futuri incerti.
«Come se una parte di me fosse rimasta in quel dannato posto.»
Ribellioni che non possono essere contenute.
«Devo riappropriarmi della mia vita.»
Ci sono cose che non si possono dimenticare.
«Cosa intendi?»
«Non capisci?! Devo porre rimedio ai miei sbagli»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'My Rain'
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Mi scuso per il ritardo ;P 
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«Ritsu, mi stai ascoltando?»
Ci sono cose che non si possono decidere.
«Ti sembra logico sprecare soldi al telefono se poi non mi ascolti?»
Avvenimenti che non possono essere cambiati.
«Scusa, stavo ripensando a un’esperienza che vorrei non aver mai vissuto.»
Amicizie indissolubili.
«E’ la stessa che ti tormenta da un anno a questa parte? Lo sai che puoi parlarmene, vero?»
Disposizioni che non possono essere ignorate.
«Sì, ma non è questo il punto. Quest’anno abbiamo gli esami e non voglio distrarti con i miei problemi» disse la ragazza dai capelli castani.
«Siamo amiche, tu devi condividere con me i tuoi problemi. Un anno fa…» iniziò la mora.
«Non parliamone più, ti prego»
«No! Un anno fa quando sei scomparsa, anche se per un giorno solo, io sono morta!»
«Ti ho già chiesto scusa per quello…»
«Poi torni e fai come se nulla fosse successo! Inizi a comportarti in modo più strano del solito e quando ti chiedo cos’è accaduto, mi rispondi “niente”!»
«Non capisci che voglio solo dimenticare?!»
«Non ti avranno stuprata?» chiese sottovoce la mora.
«Ma che dici Sawa!» rispose disgustata Ritsu.
Sensazioni che non possono essere ignorate.
«E’ solo che…» continuò, «da quando sono tornata, mi sento vuota…»
Futuri incerti.
«Come se una parte di me fosse rimasta in quel dannato posto.»
Ribellioni che non possono essere contenute.
«Devo assolutamente fare qualcosa per riappropriarmi della mia vita.»
Ci sono cose che non si possono dimenticare.
«Cosa intendi?»
«Non capisci? Non posso vivere la mia vita passivamente! Né però posso viverla felice e contenta sapendo quello che ho combinato!» urlò nel microfono. «Devo porre rimedio ai miei sbagli» disse chiudendo la comunicazione.
 «Ritsu!» gridò Sawa correndo.

Erano le 7:45 del mattino di una giornata primaverile e due amiche si stavano avviando tranquillamente verso scuola. “Tranquillamente”… La prima dovette correre per raggiungere l’altra. Erano al quinto anno del liceo linguistico e ogni giorno dovevano portarsi dietro un vocabolario pesante come un mattone, quindi non è facile immaginarsi una delle due correre tranquillamente lungo una strada piena di buche e in discesa.
«Ciao Sawa» salutò Ritsu.
«Ti hanno picchiata?!» esclamò l’amica.
«Non ho dormito» rispose fiacca.
«Siamo in due allora.»
Proseguirono in silenzio per il mezzo chilometro che separava la stazione dalla scuola, poi Sawa non poté più trattenersi: «Senti, riguardo quello che hai detto ieri…»
«Non iniziare già di prima mattina…»
«Ma è a causa di quello che non ho chiuso occhio! Me lo devi» tagliò corto.
«E io che pensavo avessi fatto nottata per studiare per il test della quinta ora…»
«Cavolo il test!»
«Sapevo che l’avevi dimenticato. Ecco perché non volevo dirti nulla»
«Ma tu ancora non mi hai detto nulla!» esclamò irritata.
«Dovrai attendere la fine di scuola» disse Ritsu.
«Non puoi farmi morire d’angoscia fino a giugno!» protestò.
«Intendevo la fine di scuola di questa giornata» puntualizzò dandole un buffetto sulla guancia.
La mattinata passò in fretta e alla fine il professore che avrebbe dovuto tenere la verifica in classe si assentò. Durante la pausa delle undici, Sawa cercò di far sputare il rospo all’amica, senza alcun risultato però; insisteva tanto perché era preoccupata, ma anche perché era curiosa e non sopportava l’idea che Ritsu avesse dei segreti, o che non la tenesse in considerazione. Dopo essere state insieme sia alle elementari che alle medie, e ora alle superiori, non poteva credere che la loro amicizia si fosse affievolita. Aveva visto così tanti lati del carattere di Ritsu che ormai niente la sorprendeva, ma dall’incidente dell’anno precedente, non la riconosceva più. Aveva sempre avuto delle giornate no, in cui non parlava e scoppiava a piangere per un nonnulla, ma la maggior parte delle volte era solare e sempre pronta a regalare un sorriso a chi le stava intorno. Ultimamente però guardava sempre nel vuoto con occhi spenti, il suo sorriso si vedeva solo in foto e quando le si stava vicini, si veniva contagiati dal suo sconforto. Più di ogni altra cosa al mondo, Sawa voleva conoscere il motivo della sua depressione per poterle essere d’aiuto, così da ridonarle il buon’umore.
«Allora?» chiese Sawa appena fuori scuola. «Cosa ti è successo l’anno scorso?»
«Perché ho smesso le lezioni di piano…» si rammaricò Ritsu alzando gli occhi al cielo.
«Ti piacerebbe poter scappare con quella scusa come ai vecchi tempi, eh?»
Appena riapparve dal nulla, Ritsu mise in chiaro le cose con Sarah, la sua ex insegnante di piano, la quale si rifiutò di insegnare a una ragazza maleducata che faceva sempre tardi alle lezioni. Da allora Ritsu decise di abbandonare definitivamente la musica, la sua vera passione: coprì il piano con un lenzuolo e lo fece portare nello scantinato di casa sua, si dedicò anima e corpo allo studio delle lingue scolastiche e rese orgogliosi i genitori.
«Se ti va di accompagnarmi a casa, ti racconto tutto» disse Ritsu con voce triste.
«Ero già pronta a farlo. Sospettavo si trattasse di una storia abbastanza lunga…»
Si avviarono verso la stazione in tutta calma.

«Allora…» iniziò Ritsu, prendendo un bel respiro. «Ti ricordi quel ragazzo moro con gli occhi verdi che mi venne addosso davanti scuola?»
«Chi? Quello alto e robusto? Quel gran bel pezzo di figliuolo?»
«Sì, lui» confermò Ritsu.
«L’ho cercato in tutte le classi, sai? Mi sono stupita quando non l’ho trovato. Deve per forza frequentare un liceo qui intorno, o magari si è già diplomato… in tal caso dovrò estendere l’aria di ricerca» rifletté.
«Non lo troverai. Non abita qui»
«Allora che ci faceva davanti scuola nostra? Aspetta! E tu che ne sai?»
«Cercava me»
«Te l’avevo detto io che era un incontro del destino!» esclamò dandole una pacca sulle spalle.
«E io ti ho già detto che non credo nel destino. Ora per favore fammi parlare. È già difficile di suo, non ti ci mettere anche te»
«Ok, va bene» acconsentì vedendo che l’amica stava davvero facendo fatica nell’affrontare vecchi ricordi.
«Mi seguì fino a casa e mi disse di chiamarsi Huthor… o meglio, Huthor-sama»
Mentre lo disse, aveva l’espressione di chi rievoca un piacevole ricordo, e Sawa non poté non pensare che questo Huthor dovesse essere stato una persona importante nella vita dell’amica.
«Era un principe, il padre stava morendo e presto sarebbe diventato re. Veniva da un pianeta chiamato Shinki. Mi spiegò che questo nome significa “i tre grandi tesori”: la spada, i gioielli e lo specchio. Mi raccontò la triste storia del suo mondo e poi mi ci condusse.»
Fece una pausa per lasciare a Sawa il tempo di elaborare e vedere se aveva domande. Non ne fece, quindi proseguì.
«All’inizio ero terrorizzata, e l’unica cosa che avrei voluto fare era scappare via; ma lungo la strada verso la capitale del suo regno, ho preso confidenza con quello che mi circondava e non sarei mai voluta andare via. Quel posto rispecchia così tanto il mio modo di essere, le mie emozioni…»
Si voltò verso Sawa per vedere la sua reazione a quello che stava dicendo: era piuttosto calma nonostante le stesse parlando di cose surreali. Forse aveva sbagliato a pensare che non le avrebbe creduto.

Quando giunsero alla stazione, Ritsu aveva appena finito di comporre una melodia soave del pianeta dove l’aveva portata Huthor. Si soffermò soprattutto nella descrizione dei luoghi, degli animali che aveva visto, degli oggetti che si trovavano in giro e della gente che lo abitava; parlò dei re e delle regine che aveva conosciuto e di una leggenda che si narra da tempo immemorabile.
Colse la mezz’ora di viaggio in treno per rispondere alle domande e ai dubbi di Sawa. Ogni tanto ancora si domandava se l’amica le credesse del tutto o se stesse prendendo tutto come una barzelletta. Se ci fosse stata lei al suo posto, non avrebbe dato retta a questa storiella da quattro soldi, avrebbe chiamato il manicomio per sapere se c’erano posti liberi, e poi ci avrebbe portato l’amica uscita di senno. Le era grata per questo; per non aver agito come chiunque altro avrebbe fatto.
Scese dal treno, si avviarono per una salita che portava in cima a una collina dove c’erano solo due case: quella di Ritsu e del suo vicino ultra ottantenne.
«Tutto quello che mi hai detto finora, è bello» iniziò Sawa, «ma non credo sia questa la causa del tuo cambiamento, vero?»
«No, non lo è» ammise Ritsu.
«Ha a che fare col fatto che hai sempre parlato di questo Huthor al passato?»
Evidentemente colse nel segno, giacché Ritsu trasalì palesemente e abbassò lo sguardo con un sorriso amaro sul volto.
«È morto?» chiese riluttante.
«Non lo so» sussurrò Ritsu. «L’ultima volta che l’ho visto, era in un mare di sangue»
Sawa si fermò per abbracciarla, ma fu gentilmente scansata.
«Sto bene; davvero» disse riprendendo a camminare. «Ho smesso di piangere da mesi ormai»
«C’entra qualcosa quello che mi hai detto ieri al telefono?»
«Sì. Vieni, passiamo dal retro.»
Erano arrivate davanti al cancello di casa.
«Ma tu non hai un “retro”» disse Sawa.
Aggirarono il muro che circondava la villa e si fermarono davanti a un buco grande come una porta che dava al giardino di Ritsu. Vedendola indecisa, Sawa chiese preoccupata: «Non entriamo?»
«Prima ti ho detto che quel pianeta rispecchia le mie emozioni, ricordi?»
Rispose annuendo e Ritsu proseguì: «In realtà è qualcosa di più grande… Se io sono triste, lì piove; se sono arrabbiata, c’è il temporale… se sono felice, smette di piovere. Capisci ora cosa intendevo ieri sera quando ho detto che devo rimediare ai miei sbagli?»
Iniziò ad armeggiare con il buco, cercando di fare chissà cosa.
«Senti…» iniziò Sawa. «Ti sono stata ad ascoltare finora, ma sei sicura che quel giorno non ti abbiano semplicemente rapita, drogata e derubata, o violentata…» disse titubante. «E nel frattempo, tu hai sognato tutta questa… roba?» chiese incerta su che termine usare alla fine.
«Per quanto tu mi possa essere amica, sapevo che non mi avresti creduto. Ecco perché ti ho portato qui con me» disse indicando il buco. «Come pensi ci si arrivi su Shinki?»
«Sono sicura che neanche esiste»
«L’anno scorso mi è, letteralmente, caduto dal cielo un diamante che poi ha aperto la “porta”, chiamiamola così. Chissà se riesco a farla ricomparire…» disse più a se stessa che a Sawa.
Passarono dieci minuti, poi mezz’ora, un’ora… niente diamante, niente porta. Sawa si stufò e disse che di lì a quindici minuti se ne sarebbe tornata a casa, perché stava morendo di freddo. Essendo primavera, erano uscite di casa, quella mattina, con solo una maglia a mezze maniche. Ora erano le sette passate e stava iniziando ad alzarsi un leggero venticello; diciamo che un giacchetto non avrebbe guastato, né l’avrebbe fatto una bevanda calda…
Vide Ritsu portare le mani alla bocca e la sentì farfugliare qualcosa. Quando le sembrò stesse iniziando a piangere, ci fu un’esplosione luminosa vicino il volto dell’amica.
«Ecco fatto» disse Ritsu asciugandosi le lacrime dagli occhi.
Nel buco del muretto era comparso un velo di sapone. Sawa si avvicinò incuriosita, probabilmente voleva toccarlo.
«Come hai fatto?»
«Come ho fatto a fare cosa?» chiese facendo finta di non capire.
«È stupendo…»
«Sì, come no» rispose Ritsu allontanandosi in gran fretta.
All’improvviso il velo di sapone esplose senza emettere alcun suono. Sawa venne scaraventata a terra, stordita, mentre l’amica si piegava dalle risate. Il velo di sapone si era trasformato in uno specchio d’acqua, un sottile foglio d’acqua. Ritsu andò a toccarlo e invitò Sawa a fare lo stesso.
«Infila la testa e guarda.»
Dopo un momento di esitazione e tenendo la mano dell’amica, Sawa fece come le era stato suggerito. Quello che vide bastò a convincerla che il racconto irreale era vero.
«Va bene ora basta» annunciò Ritsu tirandola verso di sé. «Ti basta come prova?»
Sawa annuì vigorosamente.
«Sono contenta» disse facendo per entrare nello specchio.
«Aspetta!» esclamò fermandola. «Cosa intendi fare?»
«Andare dall’altra parte, cercare Huthor e trovare un modo, che non includa la mia morte, per far smettere di piovere. Come ho detto ieri sera, non posso starmene con le mani in mano, sapendo che lì soffrono per causa mia»
«L-La tua morte?!»
«Non preoccuparti. Se riesco a trovare i miei amici, non permetteranno che accada di nuovo»
«Allora fammi venire con te…» supplicò Sawa.
«Mi dispiace, ma è una cosa che devo fare da sola. E poi mi serve qualcuno qui che copra la mia scomparsa» disse sorridendo debolmente.
Ritsu prese un respiro profondo e passò dall’altra parte. Lo specchio si richiuse dietro di lei, lasciando Sawa al silenzio, in un giardino che non era il suo e con un terribile presentimento nel petto.
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Spero vi sia piaciuto. La seconda e ultima parte arriverà presto (spero)... Abbiate pazienza.
  
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