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Autore: MaTiSsE    16/11/2012    8 recensioni
Londra, 1978.
Isabella Swan ha 17 anni. E' figlia di un diplomatico americano e di un' ex maestra d'asilo inglese, religiosa e moralista sino allo stremo. Frequenta con profitto una prestigiosa scuola privata ed i suoi amici fanno tutti parte di quella "Londra bene" che tanto piace a sua madre: eppure tollera poco l'etichetta dell'alta società cui appartiene e di nascosto ascolta i Sex Pistols.
La sua vita cambia il giorno in cui incontra Edward Cullen, un disadattato ragazzino della provincia inglese con un'unica passione: quella per la musica.
Perchè Edward, nonostante la vita burrascosa ed i mostri che si porta dietro, rappresenta tutto ciò che lei vorrebbe essere.
Rappresenta la ribellione, l'angoscia, quel desiderio di cambiare che si agita anche dentro di lei. E rappresenta quell'amore VERO che sta cercando da troppo tempo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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My Ugly Boy

 

 

 





 
POV EDWARD



 
Spalancai la porta di casa con una tale violenza che la stessa finì con lo sbattere e rimbalzare contro il muro, provocando un fracasso di proporzioni enormi. Mia madre sobbalzò per lo spavento mentre Alice gridò, scioccata.

Non m’importava, comunque. Per quanto bene volessi loro, alle donne della mia famiglia, in quel momento c’era una donna ancora più importante – una donna che costituiva la mia stessa vita – in pericolo; di certo, in quel frangente, non avevo tempo di badare all’educazione, ai modi compiti, al silenzio. Mia madre e mia sorella avrebbero compreso.


“Alice!” gridai “Alice!”
“Edward…” mia sorella scattò subito dalla sedia dov’era accomodata, mi venne incontro trafelata. Il suo sguardo diceva molto.
“Che è successo?!”
“Edward, tesoro…” la voce di mia madre s’incrinò leggermente, pronunciando il mio nome: non mi fu d’aiuto.
Con tutta l’ansia che mi stava trasmettendo, presi a immaginare scene apocalittiche di una Isabella rapita e torturata; come prevedibile, non si trattava di visioni incoraggianti e m’affannai ancora di più.
Rifiutai le braccia di Esme mentre mi veniva incontro: non avevo bisogno di coccole e carezze. Avevo bisogno di sapere come stavano le cose.

“Smettetela di guardarmi con quelle facce impietosite e ditemi che cazzo è successo!” urlai, sbattendo il pugno sul tavolo.

Col senno di poi, mi sarei reso conto che ero fuori da ogni controllo e che stavo sfoggiando una violenza che né mia sorella né mia madre meritavano; tuttavia, ero troppo spaventato e arrabbiato con me stesso per reagire diversamente.
Avrei dovuto sperare soltanto nel loro perdono e nella loro solidarietà, in seguito.

Probabilmente, comunque, mia madre e Alice già mi comprendevano senza che mi prodigassi in troppe spiegazioni;  si scambiarono un’occhiata eloquente, infatti, prima di tornare a parlarmi. Mia sorella mi sorrise, poi e, poggiandomi una mano sulla spalla, si affrettò a dirmi:

“Per prima cosa, tranquillizzati Edward. Non essere agitato o nervoso: Bella sta bene, se è questo che ti preme sapere. Ora siediti e lasciami spiegare”

“S-sta bene?” mormorai interdetto. Il terrore che mi aveva inchiodato negli ultimi tre quarti d’ora aveva cominciato a dissolversi come nebbia al sole non appena Alice aveva associato il concetto di “stare bene” al nome di Isabella. Tuttavia, non avevo ancora prove di quanto mi stava dicendo e, in ogni caso, ignoravo ancora le dinamiche che avevano portato a quell’aggressione ai danni della mia ragazza nonché alla sua presunta “liberazione”. A tutto questo, si sommava il senso di colpa perché sapevo che se Bella aveva corso quel pericolo, anche solo per pochi minuti, la colpa era solo ed esclusivamente la mia.
Non me lo sarei mai perdonato.

Sì, in definitiva ero molto confuso. Talmente tanto che traballai mentre Alice mi costringeva ad accomodarmi su di una sgangherata sedia della cucina, sotto lo sguardo vigile ma preoccupato di mia madre.
“Sì, sta bene Edward.”
“E allora c-cosa…?”

Alice mi fissò con insistenza, accomodandosi di fronte a me.
 
“Qualcuno l’ha aggredita” mi spiegò, stringendomi la mano e riproponendomi le stesse parole della nostra conversazione telefonica. Di nuovo lo stomaco mi si contorse per il disgusto e la rabbia  “Ma è riuscita a salvarsi.”
“Com’è successo? Dove”?
“A casa sua.”


A casa sua.
A casa Swan?

Non avevo parole.

Dunque, era colpa delle mie frequentazioni schifose, della mia vigliaccheria e del mio essere un emerito imbecille e pure sprovveduto, se adesso Isabella non poteva considerarsi più al sicuro neppure fra le mura domestiche?

Sì, era colpa mia. Sprofondai sotto terra, per miglia e miglia.
 
“Non so di preciso come siano andate le cose, chi l’abbia aggredita e perché. Tutto ciò che so è che Isabella si è praticamente salvata da sola. Ha gridato così tanto da attirare l’attenzione di una coppia di passanti fuori casa sua. Beh, ha avuto anche la fortuna che i malintenzionati che l’hanno aggredita avessero inavvertitamente lasciato aperta la porta d’ingresso, per cui le sue urla sono state captate abbastanza facilmente. Inoltre, l’uomo che l’ha soccorsa è un ispettore di polizia. Davvero, le è andata bene. Adesso è a casa, sotto choc, con i suoi genitori. Quindi puoi stare tranquillo anche tu.”
“Tranquillo?!” sbottai “Ma stai scherzando?! La mia fidanzata ha quasi rischiato… rischiato… non so neanche io cosa, e tu mi dici di star tranquillo?!”

“Edward” intervenne mia madre, cingendomi le spalle “Ciò che conta è che Isabella adesso stia bene, ti pare? Il resto verrà sistemato. Devi starle accanto, aiutarla a riprendersi da questo terribile spavento. Ha rischiato moltissimo, ma non è successo nulla di grave o irreparabile: pensa a questo.”
“La mamma ha ragione, Ed. Ciò che conta è che quei farabutti non siano riusciti a farle nulla di male. Ma cosa pretendevano?”
“Soldi, certamente. Isabella è figlia di un diplomatico, forse volevano rapirla e chiedere un riscatto.”
“E’ una cosa orribile! Spero che li arrestino e gettino via la chiave!”
 
 
Sequestri, riscatti.
Rapimenti.

Più le ascoltavo parlare, fare ipotesi e congetture, più storcevo il naso e mi sentivo male.
Pensavo a quanta responsabilità avessi in questa storia, al fatto che non fossi stato in grado di proteggere la mia stessa fidanzata, all’idea che uno sconosciuto l’avesse salvata, non io.

Niente di tutto quel che mia madre e mia sorella stavano considerando corrispondeva alla realtà; se Isabella era stata aggredita era solo colpa mia. Come avrebbero reagito se avessero conosciuto la verità dei fatti?
Rabbrividii.
 
“Come hai saputo di tutto questo?” trovai comunque la forza di domandare. Alice sorrise dolcemente.
“Quell’angioletto della sorellina di Bella è corsa a chiamare Angela, in lacrime. Era spaventatissima, ma ha pensato comunque che Isabella avesse voluto accanto un volto amico e ha telefonato ad Angie, pregandola, a sua volta, di avvisare te. È così sveglia, premurosa e intelligente! Incredibile, per una ragazzina della sua età.”
 
Finalmente trovai la forza di sorridere anche io: Beth era davvero un angelo. Mi voleva bene e io ne volevo a lei, indiscutibilmente. Mi commuoveva l’idea che avesse pensato a me, dopo quanto era successo, presa com’era dalla convinzione che mi spettasse di diritto conoscere per primo tutto ciò che accadeva a Bella, comprese le cose spiacevoli.
Per Beth io contavo qualcosa nella vita di sua sorella. Era questo che m’inteneriva, perché nessun adulto del suo stesso mondo – cominciando da Renèe Swan – avrebbe mai pensato lo stesso.
 
Passai una mano sulla fronte e sospirai; mi sentivo stanco, come se l’ansia e la rabbia per tutta quella situazione avessero prosciugato ogni forma di energia che mi restava.
Tuttavia, sentii di poter finalmente tirare un sospiro di sollievo; mia madre e mia sorella avevano ragione: era accaduto qualcosa di molto brutto alla mia Isabella, ma Dio, il destino o chissà che altro, avevano deciso diversamente per fortuna, e la mia Bella era adesso sana e salva a casa sua. Avrei dovuto concentrarmi su questo dettaglio per riprendere pieno possesso delle mie facoltà mentali e solo dopo avrei risolto tutto il mare di problemi che mi attanagliava.

Cercai di tranquillizzarmi: Isabella aveva bisogno di me in quanto fidanzato coraggioso pronto a confortarla, sostenerla e difenderla; certamente non aveva necessità di una pappamolla confusa e, in quanto tale, vulnerabile e disorganizzata.
Avrei dovuto calmarmi.
Ci provai. Non so se ci riuscii davvero.
Certo, tuttavia, riuscirono a distrarmi le parole che, di lì a poco mi rivolse mia sorella, carezzandomi il braccio.

“Edward?”
“Uh?”
“Preparati, coraggio.”
“Per fare cosa, Alice?” la guardai perplesso.
“Come per far cosa!” aggiunse mia madre “Per andare a trovare Isabella, ovvio!”

Andare. A. Trovare. Bella.
A casa sua?!


Con sua madre che mi guarderà male appena varcherò la porta d’ingresso, suo padre che si liscerà i baffi facendosi strane domande su chi io sia e cosa c’entri con sua figlia e con Beth che, per quanto amabile e dolcissima sia, certamente non riuscirà a tenere la bocca chiusa e spiattellerà ai quattro venti che io e Bella stiamo insieme?
No, no, no.
NO.

Troppo rischio. Renèe Watson mi avrebbe cacciato di casa a calci e addio Isabella!
 
“Non scherziamo Alice. Io non posso andare da Bella! O meglio, ci vado eccome, ma quando non c’è nessuno!” esclamai.
“Genio, ci sarà sempre qualcuno con Bella da oggi in poi, dopo quel che è successo. Quindi, che intenzioni hai? Restartene qui in casa per sempre e vivere un amore platonico? Dubito che Bella ti vorrà ancora se non ti farai vedere da lei neppure per un attimo, dopo la brutta disavventura che ha vissuto! Non pensi che voglia abbracciarti e farsi consolare un po’ da te?”
“Chi ti ha detto che non ci andrò?” risposi prontamente, risentito “Ho i miei metodi per vederla e questi metodi non contemplano la presenza di Renèe Watson!”
“Chi è Renèe Watson?” domandò mia madre con ingenuità.
“La mamma di Isabella, la reincarnazione stessa di Adolf Hitler!”
“Oh Edward, quanto sei melodrammatico!” commentò Esme, con un gesto della mano che evidenziasse ancor di più la stupidità delle mie parole “Ho conosciuto Isabella ed è una ragazza davvero dolce e carina. Non dubito che abbia preso da sua madre! Si tratterà di sicuro di una donna altrettanto buona e gentile. Quindi smettila di fare il fifone e va’ a prepararti… Devi andare a trovare la tua fidanzata!”

Buona e gentile?
Renèe Watson?


Guardai Alice sbigottito, ma non mi fu di alcun conforto: sghignazzava.
Cosicché sospirai, nella speranza di poter calmare questa nuova ansia che stava prendendo possesso di me.

Ora, intendiamoci: non è che non volessi andare a trovare la mia Isabella, ci mancherebbe! Tutt’altro: non vedevo l’ora di poterla stringere tra le mie braccia, dirle che tutto andava bene, assumermi le mie responsabilità e giurarle che mai più nessuno l’avrebbe toccata d’ora in avanti. Tuttavia, speravo di poterlo fare nel buio della notte, sfidando per l’ennesima volta la facciata della sua casa, arrampicandomi e raggiungendola nella sua stanza dove mi avrebbe aspettato a braccia aperte. Allora, saremmo stati noi due da soli e nessuno ci avrebbe disturbato. L’avrei cullata ripetendole che l’amavo, fino a farla addormentare tranquilla e serena e questo mi avrebbe consolato di essere un emerito imbecille. Perché lo ero, visti i guai in cui avevo cacciato la mia Isabella.
Ora, però, tutte queste belle scenette piene di amore e dolcezza non avrebbero certamente contemplato la presenza di una Renèe Watson – Swan sospettosa, scorbutica e poco incline all’incontro.
Al minimo mi avrebbe davvero cacciato di casa soltanto guardando al mio giubbotto di pelle e alle Converse sporche e sfilacciate.

“Alice” risposi allora “Non sono presentabile. La madre di Bella tiene molto alla…ehm… Forma, mettiamola così. Mi butterà fuori appena mi vedrà e, se permetti, vorrei risparmiare a Isabella certe scene, proprio adesso che è più provata. Ci vado stasera, stai tranquilla.”

“Non ho capito, Edward, che intenzioni hai? Intrufolarti in casa Swan di notte senza che la signora ne sia al corrente? Dici sul serio?” Esme si portò una mano alla bocca, sconcertata. “No, no, no! Non farmi mai più sentire cose del genere…”
“Ma, mamma!”
“Mamma cosa, Edward?! Oh, che vergogna! Se il tuo povero papà fosse qui ne sarebbe così mortificato! Non dirlo mai più, Edward, non pensare di intrufolarti mai più in casa d’altri come se fossi un ladro o mi sentirai, è chiaro?!”
Non vedevo mia madre così arrabbiata da tempo immemore. Probabilmente non l’avevo mai vista così. Sospirai di nuovo.

“D’accordo.”

Alice ci squadrò  ridendo.

“Bene. Visto che vi siete chiariti, adesso possiamo sistemarci, Edward? Se ci sbrighiamo arriveremo a casa di Bella per le sette, sette e mezza al massimo.”

“Non ho niente da mettermi, sorellina” commentai lapidario.
 
Alice sorrise.

“A questo ho già pensato io, stai tranquillo.”

Non concluse neppure la frase che già qualcuno suonava al campanello di casa.
Alice batté le mani, felice.

“Parli del diavolo e spuntano le corna. E’ arrivato il tuo vestiario!” cinguettò, mentre mamma correva ad aprire la porta d’ingresso lasciando entrare un Jasper ancora più confuso di me.

“Jazz, ma non eri alla Noyse Records?” domandai sgomento.
“Alice ha telefonato di nuovo mentre eri via, mi ha praticamente costretto a correre a casa per prenderti… queste.”

Mi allungò tre camicie di colore chiaro.
Lo guardai a bocca spalancata e mi parve mortificato.

“Mi dispiace, non ho giacche da prestarti.”
“Ma che dovrei farci con queste?”
“Vestirti, idiota! Vuoi renderti presentabile per Miss Swan oppure no? Mi dispiace ammetterlo, ma se mettiamo piede a casa di Bella con te conciato in questo modo…” mia sorella mi squadrò dall’alto in basso, disapprovando, per la prima volta, i jeans logori e la t-shirt sbrindellata che esibivo sotto al giubbotto di pelle “…Dubito che sarai il benvenuto. Ma questo lo sai già! Per questo, ho deciso di sistemarti io. E siccome non hai camicie decenti, ho dovuto chiedere il favore a Jasper di portarti le sue, per vedere quale ti sta meglio. Più o meno avrete la stessa taglia, quindi non dovrebbero esserci problemi” concluse infine, dando un’occhiata alla mercanzia che Jasper le aveva portato.

“Sul serio sei corso fin qui per questo, Jazz?”

Annuì.

“Non ci credo. Ti ha costretto.”
“Beh…”
“Ti ha costretto?”
“…”
“Con quale minaccia?”
“Dobbiamo proprio parlarne davanti a nostra madre?” bisbigliò Alice infastidita, allungandosi verso me e Jasper.
“Okay, non voglio saperlo.”
“Bene.”

“Se avete bisogno di una giacca ne ho io, ragazzi!” commentò infine mia madre, sino ad allora troppo concentrata a studiare la buona fattura delle camicie così gentilmente offerte da Jazz.

“Le giacche di papà?”
“Sì, le ho tutte conservate.”
“Speriamo di trovare anche un paio di pantaloni adatti!”
“Beh, certamente non può presentarsi con i suoi soliti jeans stracciati.”
“Dovresti proprio obbligarlo a vestirsi un po’ meglio, mamma.”
“Oh, Alice! Non ha mica due anni, come posso costringerlo?”
“Lo so, però vedi in che situazione siamo adesso! Abbiamo anche poco tempo…”
“Allora sbrighiamoci! Dobbiamo creare un abbinamento decente.”

Parlavano come se io non fossi stato presente. Come se fossi stato un manichino da vestire per la vetrina.
Davvero la cosa principale, con tutta la preoccupazione che provavo per Isabella in quel momento, era rendermi presentabile?
Ero sconcertato.

Mi voltai a guardare Jasper, incredulo, mentre mia madre e mia sorella si allontanavano verso quella che, un tempo, era stata la camera dei miei
genitori.
Il mio amico alzò le spalle.

“Jazz”
“Edward…”
“Jazz…” ripetei.
“E’ colpa di tua sorella” si giustificò.
“Okay. Ma tu le stai dando manforte”
“Sapresti dirle di no, al posto mio?”


Non risposi.

Il silenziò calò nella stanza. Jazz continuava a sbirciare l’orologio, io continuavo a pensare a Isabella. E all’incontro con Miss Swan che mi aspettava di lì a poco.

Dopo poco, Jasper tornò a guardarmi.

“Come sta Bella, Ed?” domandò allora.
Sospirai, prima di parlare.

“Sembra bene. Ma ciò non toglie che io sia…”
“Distrutto?”
“Più o meno, sì”
“Lo capisco. Mi sentirei uguale al posto tuo.”


Mi rivolse un’occhiata così dispiaciuta e mortificata che mi passò la voglia di rimproverarlo ancora. Anche se mi sarei sentito una specie di pinguino con quelle camicie addosso, l’avrei accettato, dopotutto, pur di vedere Bella.

“Ehi Jazz?”
“Sì, Edward.”
“Tranquillo per le camicie. In fondo, Alice ha ragione: devo presentarmi bene a casa Swan.”
“Grazie, Ed”
“Solo una cosa.”
“Sì?”
“Non tirarmi mai più un colpi così bassi che te la faccio pagare”

Rise con me mentre, dalla camera da letto, mamma e Alice mi chiamavano per invitarmi ad agghindarmi come un damerino.
 
 
 
 
 
“Tieni la schiena dritta”
“Cammina bene! Sembri un pinguino”
“Dio Mio, Ed, potresti smetterla di accendere e spegnere sigarette? Mangia queste mentine e finiscila di affumicarmi, per cortesia!”
“Su quel mento! Sii garbato. Porgi la mano alla signora Swan e mantieni un’aria professionale e distaccata.”
“Ed, aggiustati il colletto della camicia, muoviti!”
 
“Alice, mi stai stressando! È da quando siamo partiti da Brixton che non fai altro che ripetermi le stesse cose!”
 
Mi passai le mani tra i capelli, esasperato, e mia sorella strillò in un misto di disperazione e sconcerto. Diversi passanti si voltarono a guardarci con disapprovazione.
Eravamo ormai approdati a Gloucester Road – la fermata che conduceva a casa di Isabella – e la metro, a quell’ora, era piena zeppa di gente.
Mi sentii ancora più osservato; già mi vergognavo abbastanza di me stesso, sigillato com’ero in un paio di pantaloni classici che non avrei mai indossato se non per andare a un funerale, e una camicia che mi andava stretta sul torace; ci mancavano solo le moine di mia sorella, adesso, per farmi imbarazzare ancora di più.

“Io ti sto stressando?! E tu cosa, allora? Ho perso un quarto d’ora del mio preziosissimo tempo per sistemarti quei capelli da koala che ti ritrovi ed ecco che arrivi tu e rovini tutto! Disgraziato!”

Si avvicinò a me in gran fretta e, con uno scapaccione, mi costrinse ad abbassarmi verso di lei affinché potesse sistemarmi nuovamente quella chioma che, a suo dire, avevo sciupato con tanta facilità.

Dopo quell’ennesimo episodio, e considerando che avevo praticamente concesso a mia madre e a mia sorella di vestirmi e agghindarmi come un burattino fino a mezz’ora prima, mi resi conto definitivamente di aver perso ogni forma di dignità e credibilità come capofamiglia e fratello maggiore.
Probabilmente, anche come fidanzato.

“Non guardarmi con quell’aria da cane bastonato, Ed. Lo faccio per te: lo so anche io che sarà dura farsi benvolere da Miss Swan, anche solo come ospite. Ti ricordo che noi Cullen non godiamo di una buona reputazione, per quanto false possano essere le voci sul nostro conto. Dobbiamo mascherarla con dei bei vestiti; dobbiamo fare come fanno i ricchi: ingannare con le apparenze.”

“Ingannare? Che significa ingannare? Io non sono un delinquente!”
“E neanche uno stinco di santo, fratellino. Ammettilo” mi sorrise ed io con lei, perché era contagiosa, dopotutto. Avevo una sorella molto graziosa.

“”Comunque non è questo. Non è solo questo, perlomeno: oggi mi sento una specie di pupazzo, non sono buono a nulla!”
“Sei solo turbato, Edward. È per questo ed è comprensibile: la tua fidanzata è stata aggredita da degli sconosciuti! Jasper non sarebbe sconvolto quanto te, se tutto questo fosse successo a me anziché a Bella?”

Sconosciuti. Di nuovo.
Scossi la testa.

Frank e Royce King erano tutt’altro che sconosciuti.



“Non le accadrà mai più. Non lo permetterò.”
“Ben detto fratellino! Bella è in buone mani con te!”

Ne sei sicura, Alice?

“E adesso, vogliamo andare? Scommetto che farai un figurone con Miss Swan. Su, sbrighiamoci. E non dimenticarti di star dritto con la schiena, mi raccomando!”


Lanciai un’occhiata furtiva a mia sorella; sorrideva e canticchiava al mio fianco, prospettando un roseo futuro. Era commovente vedere quanta fiducia riponesse in me e nella mia capacità di far colpo sugli altri.
Peccato io non riponessi altrettanta fiducia in me stesso.

“Proprio un gran figurone. Farò una figuraccia, piuttosto!” commentai allora tra me e me, seguendo Alice attraverso la massa di gente che si affollava all’uscita della metro.
 


 
 
***

 
 
 
Renèe Watson, alias: la Lady di Ferro1.
Con quel suo sguardo raggelante, c’avrei scommesso, avrebbe messo ansia persino a Royce King.
Fu lei ad accoglierci alla porta di casa Swan e non si trattò assolutamente di un felice comitato di benvenuto.

“Ci conosciamo?” domandò piuttosto, in risposta al buonasera delizioso che le aveva rivolto mia sorella.
“Non ancora signora Swan, ma sono lieta di incontrarla!” Alice le allungò la mano, gentilmente “Sono una compagna di scuola di Isabella, mi chiamo Alice Cullen. Mentre lui…”

Si voltò nella mia direzione, assestandomi una gomitata di nascosto affinché tornassi in me. Ero troppo sconvolto dall’intera faccenda – l’aggressione a Bella prima, sua madre poi – per apparire realmente lucido.

“…Lui è mio fratello Edward. Mi ha accompagnato fin qui perché sa, per una ragazza è pericoloso camminare di notte per le strade di Londra!”

Miss Swan ci guardò con diffidenza, la bella bocca atteggiata in una smorfia di fastidio, avrei osato dire.

“Cullen dici, eh? Il vostro cognome non mi è nuovo”
“Infatti” annuì mia sorella, continuando a sfoggiare un atteggiamento diplomatico e gentile. Invidiavo la sua pazienza: io, di fronte a dei modi tanto scorbutici, avrei gettato la spugna già da un pezzo e non certamente in modo pacifico “E’ anche grazie al suo voto se il collegio dei genitori della Queen Elizabeth ha approvato la mia ammissione a scuola. La ringrazio di cuore per quel che ha fatto per me.”

“Ah, certo, ricordo. Sei una tra le tante di quelle che ci vengono a semiconvitto…”

L’espressione con cui ci guardò lasciava intendere enormemente la considerazione che doveva avere di noi due: per Renèe Watson noi Cullen eravamo reietti della società e null’altro. Non ero neppure certo che avesse realmente votato per l’ammissione di mia sorella in quel museo dell’orrore che era la Queen Elizabeth High School, ma tant’è: Alice avrebbe fatto di tutto per ingraziarsela, anche tributarle meriti che non aveva.

“E cosa volete alle otto di sera? Non cenate voi Cullen, a quest’ora?”

L’espressione di sconcerto mista a irritazione con la quale guardai Miss Swan fu talmente eloquente che mia sorella, la quale mi aveva guardato per un attimo solo con la coda dell’occhio, dovette assestarmi l’ennesima gomitata come monito a calmarmi e a non aprir bocca: avrei rovinato l’intera strategia diplomatica che aveva messo in atto sino ad allora.

“Lei ha ragione, Miss Swan, vero Edward? Però, vede… Abbiamo saputo molto tardi di quel che era successo a Isabella e io le sono così amica che non ho resistito alla tentazione di venire immediatamente a vedere come stava. Le ho anche portato dei fiori e i suoi biscotti preferiti. Davvero Miss Swan, se ci fa la cortesia di lasciarci entrare le prometto che disturberemo sua figlia soltanto per pochi minuti. La prego, sia gentile…”


Miss Swan ci guardò accigliata ancora per qualche istante; il suo sguardo severo, l’impeccabilità del suo vestiario, i capelli stretti in uno chignon fin troppo ordinato, tutto di lei parlava del suo essere rigida, irreprensibile, autoritaria e ligia al dovere. Adesso comprendevo –  se non del tutto, almeno in parte – perché Isabella temesse tanto sua madre. Al contempo, adesso riuscivo ad ammirarla ancora di più perché la mia dolce fidanzata, spesso e volentieri, mi aveva dimostrato di saper sfidare le ire di una mamma tanto burbera pur di conquistare quel briciolo di libertà che le spettava. Non tutti l’avrebbero fatto, i più avrebbero preferito piegarsi perché affrontare una donna dispotica e conservatrice come Renèe non sarebbe stato facile per nessuno.
Eppure, la mia piccola Bella ci riusciva. Mi scappò un sorrisetto e la donna tornò a rivolgermi uno sguardo diffidente.

“Sentite, apprezzo il vostro gesto, ma…”

Ecco, ci siamo, pensai.
Come sospettavo, neppure le moine di Alice avevano sortito l’effetto sperato; Renèe non aveva ancora finito di parlare, tuttavia quel suo “ma” appariva già molto eloquente: non ci avrebbe permesso di entrare, eravamo troppo poveri e malfamati per mettere piede nella sua casa immacolata.
Sbuffai.


“Fanculo, Miss Swan!” urlai allora nella mia testa “Io da Bella ci vado anche senza il tuo permesso!”
 
 
Già m’ingegnavo a pensare, dunque, all’orario più propizio per scavalcare la facciata di casa Swan senza far rumore e destare sospetto nei vicini – considerando che adesso l’intero quartiere doveva essere enormemente allarmato dopo l’aggressione a Isabella – quand’ecco che accadde il miracolo. Mentre ancora Alice preparava nuove, gentilissimi frasi di circostanza da propinare a quella megera per indurla a cambiare idea, un volto amico passò alle spalle della stessa tirandoci fuori dagli impicci.


“Edward! Edward e… Alice! Cari, è così bello vedervi!”


Odette. La nostra buona Odette!
Non una governante ma un’amica. Non un’istitutrice ma una seconda mamma per Isabella, un angelo per me.
Me lo stava dimostrando ancora una volta.
“Odette! Che bello rivedert… rivederla!”

Mi strizzò l’occhio, avvicinandosi ancora di più alla porta d’ingresso. Miss Swan si fece appena da parte per darle spazio; la guardava con sgomento.
Mia sorella Alice non esibiva un’espressione meno meravigliata, poiché, difatti, non sapeva neanche che faccia avesse Odette, eppure questa si comportava come se la conoscesse da tempo immemore. Ovviamente l’identità di Alice non le era sfuggita perché Bella le aveva sempre parlato molto bene di lei e la nostra somiglianza evidenziava chiaramente il fatto che fossimo fratello e sorella. Tuttavia, capii soltanto dopo che la recita messa in atto dalla governante serviva a tranquillizzare Renèe, a mostrarci ai suoi occhi come persone “di casa”, di cui potersi fidare.
Forse, in questo modo, ci avrebbe permesso di vedere Isabella?

Ci speravo, per quanto fremessi ancora troppo di rabbia per gioire di questa possibilità: mi sembrava assurdo dover montare un tale casino per vedere la mia ragazza.
 
“Odette, cara, conosci questi due… giovani?”
“Ma certo signora! La cara Alice ha studiato con Isabella un’estate intera! E’ stata una buona compagna. E Edward… caro! Ti trovo bene! Passavi ogni volta a prendere tua sorella, non l’hai mai lasciata tornare a casa da sola. Proprio un bravo fratello. Come sta la mamma, ragazzi?”
“Bene, grazie” risposi prontamente, mentre scambiavo un sorriso complice con Odette.

“Dunque, Odette…”
“Signora! Non vorrà lasciare questi due ragazzi fuori alla porta, vero? Comincia a far freddo! E poi, sono stati così carini… Addirittura dei fiori?”
“Sì, sono per Isabella” ammise Alice con un sorriso luminoso, a sua volta.

“No, no, certo che no…”

Renèe farfugliò quelle parole, confusa dall’accoglienza di Odette.
Se fosse stato per lei, com’era ormai chiaro, non ci avrebbe mai permessi di entrare. In primis, perché avevamo osato bussare alla sua porta a tarda ora, considerando i suoi standard. In secondo luogo perché eravamo degli emeriti sconosciuti e, ultimo ma non meno importante motivo, perché eravamo dei Cullen e, in quanto tali, dei poveracci indegni di varcare la porta di casa Swan.
Evidentemente, Renèe aveva scordato le nostre origini o forse ignorava proprio che abitassimo a Brixton, altrimenti avrebbe già chiamato la polizia per costringerci a sgomberare.
In ogni caso, davanti a Odette non le andava di apparire come la severa padrona di casa che scacciava gli amici della figlia, venuti così gentilmente a verificare il suo stato di salute: le sarebbe valsa una cattiva considerazione da parte di una donna della quale – era inequivocabile –aveva una grande stima. No, decisamente non sarebbe stata una mossa a suo favore.
Per cui, seppur riluttante, la mia cara presunta suocera – suocera? L’avevo detto sul serio? – tornò sui suoi passi e si fece da parte per lasciarci entrare.


“Accomodatevi” sputò infastidita. Alice batté le mani per la gioia e, varcando l’ingresso, osò addirittura stamparle un bacio sulla guancia. Miss Swan s’immobilizzò, furibonda ma troppo sorpresa e sconcertata per mostrarlo.
Io seguii mia sorella a ruota, ridendo.
Fu allora che incrociai lo sguardo di Odette, la mia cara Odette.

Così, le sillabai piano: “Grazie. Ti devo un favore”

Rispose con un sorriso, strizzando l’occhio:
“Anche due, tesoro.”
 
 
 





 

POV ISABELLA



“Allora, che ne facciamo di lei?”
“Tu che ne dici?”
“Sta’ buona, bambolina. Sei sola in casa, vedi? Ci siamo solo noi.”


Le voci di quegli uomini sconosciuti, così terrificanti e le loro risate sguaiate continuavano a vorticarmi nella testa, a risuonare nelle mie orecchie, a tormentarmi anche adesso che ero al sicuro, anche adesso che mia madre e mio padre giravano per casa senza lasciarmi da sola neppure per un minuto.
Ero terrorizzata.

Mia madre mi aveva chiesto di dormire un poco, per riprendermi dallo spavento e, per invogliarmi, aveva chiesto a Beth di accoccolarsi accanto a me. Come se ce ne fosse stato bisogno: la mia bambina non aspettava altro che starmi appiccicata per tutto il tempo che fosse stato necessario per consolarmi dalla brutta avventura. Le parole della mamma erano servite esclusivamente a cementificare un proposito che era già nato nella sua testolina, ma il risultato era stato soltanto quello di permettere alla mia bambina di addormentarsi accanto a me, stremata, dopo aver constatato che tutti i suoi sforzi per farmi sorridere erano valsi a poco. Avevo provato anche a rassicurarmi davanti a una tazza di tè, mentre Beth mi cantava una canzoncina che parlava di una principessa e di un orsetto in un mondo fatto di caramelle e mashmallows, ma non era servito a nulla. Ero sprofondata in una valle di lacrime, piuttosto, al telefono con Angie, e sempre piangendo avevo affrontato un breve interrogatorio con due agenti di polizia arrivati a casa dopo che mia madre ne aveva sollecitato l’intervento.
Lo so, non si trattava neanche vagamente di un atteggiamento coraggioso, ma davvero mi ero spaventata troppo. Tutto ciò che mi era accaduto aveva dell’assurdo e mi terrificava a tal punto che mi ero rifiutata di addormentarmi soltanto per la paura di poter rivivere quelle scene orribili anche nei miei sogni.
Ancora non riuscivo a capacitarmi del fatto che degli estranei avessero potuto intrufolarsi così facilmente in casa mia. Dunque, le mura domestiche non rappresentavano più un porto sicuro per me e la mia famiglia?

Cosa volevano da me quei tipi, esattamente? Come potevano conoscere Edward o avere informazioni riguardo i miei genitori?
Mi spiavano? Perché?
E cosa mi avrebbero fatto, dopo aver perso i sensi, se il mio santo in Paradiso non avesse inviato qualcuno in casa mia per aiutarmi? Mi avrebbero sequestrata, picchiata o… chissà cos’altro? Non volevo neanche pensarci.

Dovevo a Mister John Walker, oltre che alla mia ugola d’oro la mia salvezza; faticavo a ricordarmelo, ma sembrava che avessi urlato così tanto che il signor John, per l’appunto, era riuscito a sentirmi mentre passeggiava lungo il marciapiede fuori casa mia, insieme a sua moglie. Il buon uomo si era dunque precipitato verso l’ingresso – trovandolo già aperto – e probabilmente il suo arrivo aveva spaventato o, quantomeno, raffreddato le intenzioni dei miei aggressori che, sentendosi minacciati, erano fuggiti via a gambe levate lasciandomi priva di sensi sul pavimento del corridoio. Da quel che avevo origliato dalla conversazione tra Miss Walker e mio padre, erano almeno in tre; io non lo ricordavo, non potevo neppure saperlo giacché – da veri uomini d’onore – mi avevano assalito nel buio della mia casa vuota.


“Aspettavo di conoscerti da un po’, lo sai?”

La voce, quella voce. Il primo uomo che aveva parlato era lo stesso che mi aveva tenuta praticamente prigioniera e, a ricordarla, mi venivano ancora i brividi. Non l’avevo visto in faccia neanche per un istante, ma sapevo che viscido e disgustoso. Ne ero certa, lo sentivo; non era necessario averci a che fare di più per comprenderlo.

Perché voleva conoscere proprio me?

Non lo sapevo, ero confusa. Mi coprii il viso con le mani, sperando, col buio, di scacciare quelle immagini orribili dai miei occhi.
Non servì a nulla: ripresi a singhiozzare.

“Ehi, ehi, ehi tesoro, sshh! Calmati, va tutto bene…”

Senza neanche aprire gli occhi, riconobbi la voce della mia buona Odette e le allungai le braccia, cercando un porto sicuro dove rifugiarmi. Beth, accanto a me, continuava a dormire, accoccolata al mio fianco. Si mosse appena ed io, pur nella foga dell’abbraccio, cercai di muovermi il più piano possibile per non turbarla ulteriormente. Era molto provata anche lei.
Odette si era precipitata subito a casa mia, non appena aveva saputo: davvero, non potevo trovare una governante e un’amica migliore di lei.

“Oh, Odette!” bisbigliai sulla sua spalla, tenendola saldamente per la manica del maglioncino. Mi carezzò i capelli.

“Sshh tesoro, calmati. Calmati, c’è la mamma qui…”

Calcò sulla parola mamma per lasciar intendere di non mostrarmi così vulnerabile davanti a lei, sia per non farla preoccupare eccessivamente, sia per evitare di beccarmi qualche ramanzina perché ero troppo paurosa e una vera inglese, invece, esibisce sempre un cuor di leone.
 
Annuii.

“E poi, c’è una sorpresa. Qualcuno è venuto a trovarti, vuoi farti vedere così?”

Immagazzinai ogni singola parola senza capire.
Chi era venuto a trovarmi?

Mi staccai da Odette e mi affrettai a guardarla sorpresa: la scoprii sorridente e soddisfatta. Capii presto perché: alle sue spalle, fuori da ogni previsione, inaspettato e bello come il sole, c’era il mio Edward, vestito elegante, come mai l’avevo visto sino ad allora.
Era perfetto.

Mia madre era in casa, potevo anzi riconoscerne la figura rigida e severa sotto la porta d’ingresso della mia stanza. Da qualche parte ciondolava anche papà.
Eppure Edward era lì con noi. Era lì, con me.
Per me.

Mi guardò e in un solo istante, nei suoi occhi, lessi il dolore per quanto mi era accaduto, la paura di perdermi, l’angoscia e tanto, tantissimo amore.
Quanto poteva essermi mancato?

Gli sorrisi, o almeno fu quel che tentai di fare.
Mi sorrise, di rimando, e il mio mondo, sino ad allora confuso e inquietante, tornò al suo posto.

***




“Proprio una visita lampo, Isabella. Soltanto per vedere come stavi. Quando Angela mi ha raccontato sono stata così in pena per te!” Alice ripose la sua tazza di tè sul tavolinetto della mia camera, con estremo garbo: nessuno avrebbe mai potuto indovinare le sue origini di Brixton, era troppo elegante e compita. “Edward si è offerto subito di accompagnarmi, non è vero Ed?”

Edward, poggiato allo stipite della porta, mani in tasca, si limitò ad annuire. Ci guardammo negli occhi per un tempo infinitamente lungo, ma così breve che nessun altro – o almeno così mi parve – riuscì ad accorgersene. In quella stanza eravamo in sei – io, Beth, mia madre, Odette, Edward ed Alice – eppure per me eravamo solo noi due.

Mia madre, seduta sulla mia comoda poltrona di velluto, si versò dell’altro tè. Non aveva ancora cenato, a causa degli ospiti, ed era nervosa, mi sembrava abbastanza chiaro. Detestava le visite a sorpresa, ancor più quelle di gente sconosciuta e di dubbia estrazione sociale. Non capivo come si fosse poi convinta a farli entrare, ma sospettavo c’entrasse Odette.
Le rivolsi un’occhiata eloquente e lei strizzò l’occhio.

“Stai bene, Bella?”

Alice mi allungò la mano, in un gesto improvvisamente complice rispetto agli standard cui si era attenuta sino ad allora, in presenza di mia madre.

Era davvero preoccupata. Lo ero anche io.
Edward, sempre poggiato alla porta, s’irrigidì.

“Sì, sto bene Alice. Adesso sto bene, grazie”

Per qualche istante calò il silenzio nella mia stanza e anche Beth, che sino ad allora aveva continuato a canticchiare al mio fianco, felice per la presenza di Edward ma tanto intelligente da non mostrare troppo apertamente di conoscerlo bene, si arrestò.
Fu Odette la prima a parlare.

“Signora, cosa ne dice di mostrare ai ragazzi la splendida coltivazione di ibiscus che abbiamo qui, sul balconcino di Isabella?”
“Ma veramente…”
“Oh, coraggio signora Swan! I ragazzi tra poco andranno via, ma sono certa che alla signorina Alice farebbe piacere poter apprezzare i suoi sforzi! Sapete ragazzi, la signora Swan è una maga dei fiori! E’ capace di far crescere la foresta amazzonica sul davanzale di una finestra in piena Londra e in pieno inverno!”
“Oh beh, Odette, non esageriamo…”

Mia madre arrossì, pavoneggiandosi: se aveva un solo punto debole, quello era il giardinaggio.

“Signora, suvvia! Non sia così umile. Venite ragazzi, vi mostro l’ibiscus! Venga anche lei Miss Swan, si prenda i meriti del suo lavoro”

Mia madre si alzò in gran fretta, depositando la tazzina sul tavolo come se avesse dovuto scappare da un momento all’altro in un posto non ben decifrato. Si rassettò per bene la gonna, prima di avviarsi trionfante alla testa del piccolo corteo che si apprestava ad una noiosissima trasferta sul balconcino, per ammirare i gioielli floreali che lei stessa aveva tirato su con tanta cura.


“Bella, vieni anche tu?”

Prima di risponderle, guardai velocemente Odette che, alle sue spalle, scuoteva la testa strizzando l’occhio a me e a Edward.

“Se permetti, mamma” risposi allora “Preferirei starmene un altro po’ qui, sul divano. Sono molto stanca e conosco bene i tuoi fiori”
“Bene”

“Perfetto, andiamo allora! Venga signora… Beth, tesoro, dammi la mano. Alice, da questa parte! Edward…” Odette si voltò di nuovo a guardarci, gesticolando ampiamente per indicare a Ed di non seguirle. Mamma era già lontana, proiettata con orgoglio verso i suoi fiori sul terrazzo.

“Non azzardarti a venire con noi, resta con Bella. Quando ci sentirai tornare, fatti trovare fuori, sul balconcino” bisbigliò dunque in gran fretta, prima di correre via verso le altre.

Cara Odette! Ancora una volta era dalla nostra parte, con i suoi astuti stratagemmi per permettere a me e al mio ragazzo di stare un pochino soli, pur sotto lo stesso tetto di mia madre!
Non l’avrei mai ringraziata abbastanza.
 
Sentivo ancora i suoi tacchi risuonare fuori al balconcino, comunque, che Edward era già accanto a me. Mi persi nella sua stretta, aspirai il suo odore buonissimo e mi beai del calore delle sue braccia attorno a me. Mi baciò con trasporto e ricambiai subito: non aspettavo altro, per consolarmi.


“Ma come siamo eleganti, oggi” gli sussurrai all’orecchio, poggiandomi a lui.
“Alice pensava che dovessi sistemarmi adeguatamente per fare buona impressione su tua madre.”
“Ha pensato bene. Fai un’ottima impressione anche su di me”

Sorrisi, baciandogli il lobo dell’orecchio. Ma Edward no, non sorrise. Anzi, sembrava piuttosto Turbato.

“Ed?”


“Amore mio, mi dispiace. Mi dispiace così tanto”

La voce con cui mi sussurrò quelle poche parole aveva una nota di dolore così profonda che mi si strinse il cuore. Mi affrettai a guardarlo, carezzandogli il viso.

“Edward, di cosa ti dispiace? Va tutto bene adesso, amore. Perché mi dici così?”
“Non ti ho protetta come avrei dovuto”
Sorrisi.
“Io non voglio un cavalier servente, ma un fidanzato. Non voglio qualcuno che mi protegga ma qualcuno che mi ami. E tu mi ami tantissimo, lo so, lo sento. Di cosa ti fai una colpa?”

Si accomodò meglio al mio fianco, senza staccarsi da me. Mi baciò la spalla, poi più su, lungo il collo e la mascella.

“Quanto potresti odiarmi se conoscessi la verità? Non sono il principe azzurro, Bella, non lo sono mai stato.”
“Non ti seguo, amore mio.”
“Temo di conoscere le persone che ti hanno aggredita. Se non tutte almeno una.”

Il mio cuore perse un battito.

Com’è che aveva detto l’uomo che mi aveva aggredita per prima?


“…E il tuo coraggioso Edward non è qui. Dovrai arrangiarti. Certo che è stato proprio un idiota… Eppure io l’avevo avvertito!”


Oh. Mio. Dio.


“Ed, io… N- non… Non ti seguo ancora.”
“Isabella, sono stato un emerito coglione! Lui mi aveva avvisato e io non gli ho dato peso. Pensavo fosse una minaccia a vuoto e non volevo turbarti raccontandotela. E invece…”
“Edward, lui chi? Di chi parli?!” la voce salì di un’ottava.

“Frank. Il fratello di Marla. È tornato in città da poco, l’ho incontrato un paio di volte e in un’occasione mi aveva minacciato, chiedendomi di lasciarti e tornare con sua sorella, altrimenti ne avresti fatto le spese tu. Avrei dovuto capirlo che non stava scherzando, maledizione!” sferrò un pugnò sul cuscino del divano “Lui lavora per Royce King e io l’ho sottovalutato. Come ho potuto essere così stupido?!”


Royce King?
Quel Royce King?

Ero interdetta, eppure adesso tutto quadrava.

Guardai Edward: l’espressione del suo volto era indescrivibile. Sgomento, rabbia, terrore e rimorso si alternavano sul suo viso a fasi alterne.
;i si strinse il cuore.


“Ehi, ehi, ehi… Ed, calmati, per favore.”
“Bella, non devi essere tu a tranquillizzare me.”
“Sei sconvolto”
“Tu no? E poi non sono sconvolto, sono solo incazzato con me stesso! Avrei dovuto parlartene, metterti in guardia, risolvere la faccenda. Non lasciarti preda facile per quei quattro disgraziati!”
“Ed, ti prego, calmati e spiegami meglio. Quand’è accaduto tutto questo?”
“Meno di due settimane fa. Non te l’ho detto perché credevo di poter tenere sotto controllo la situazione, immaginavo che Frank avesse voluto soltanto spaventarmi con le sue minacce da quattro soldi, rivelandomi di essere uno scagnozzo di King. E invece… invece era tutto vero. È colpa della mia superficialità se oggi hai quasi rischiato la vita”

Deglutì lentamente e si voltò verso la porta, stringendo il pugno con tanta forza che le nocche impallidirono.
Era una visione da stringere davvero il cuore: non avevo mai visto Edward così scosso e vulnerabile. L’idea che qualcuno avesse tentato di aggredirmi lo sconvolgeva, questo era chiaro; il pensiero di poter essere responsabile in parte di quel che era accaduto, lo rendeva furioso. Considerando che il suo temperamento di base era già piuttosto collerico e poco incline alla diplomazia, si comprendeva facilmente perché non riuscisse a perdonarsi né a placare la propria rabbia.
Io, viceversa, avrei desiderato proprio questo: poterlo tranquillizzare. Ero anch’io molto confusa, soprattutto dopo aver ascoltato il suo racconto, e non riuscivo a capacitarmi del fatto che quell’uomo, quel Frank, desiderasse farmi del male soltanto per il gusto di farlo a Edward. L’idea che avesse provato a costringerlo a tornare con sua sorella mi dava l’orticaria.

Che razza di richiesta era quella?
E da quando il cuore poteva ubbidire a comando?
Questo Frank era mai stato innamorato?
E, soprattutto, si era mai fatto vedere da un bravo psichiatra? Perché non c’era altra spiegazione al suo gesto e a quella sua minaccia se non la follia! Andava curato, ovviamente.

In ogni caso, confusione, sconvolgimento, rabbia e paura a parte, la cosa che mi premeva di più in quel momento era vedere Edward di nuovo calmo e lucido. Più studiavo la sua espressione contrita e pensierosa, più stavo male per lui.
Era chiaro che non gli rimproverassi alcunché. Come avrei potuto? Voleva soltanto proteggermi, non potevo accusarlo di alcuna negligenza nei miei confronti! E poi, siamo seri: chi, al posto suo, avrebbe davvero dato credito alle minacce di un folle?
Io no di certo!

“Edward…” lo chiamai allora. Lo tirai per un braccio, costringendolo a guardarmi. Di nuovo gli carezzai il viso e poi mi avvicinai a lui, lasciandogli un bacio sulla guancia.

“Edward, non farti colpe che non hai. Tutta questa situazione ha del paradossale, neanche io avrei dato credito a questo Frank o come dannazione si chiama lui! Per favore, rilassati. Voglio che tu stia bene, non riesco a pensarti così.”

Mi abbracciò.

“Io voglio che tu stia bene, è così che deve essere”
“Promettimi che non ti colpevolizzerai più. Devi stare tranquillo, questo è un periodo importante della tua vita e non puoi permetterti di stressarti in questo modo. Io sono okay, sul serio, sana e salva. Non devi preoccuparti per me, ho sentito parlare mio padre con alcuni colleghi: dicevamo che avrebbero attuato un programma di  protezione per la mia famiglia, sia quando siamo in casa che quando siamo fuori. Non ci toccherà più nessuno, neanche Royce King sarebbe così stupido da mettersi contro l’ambasciata americana!”

Edward sospirò e sembrò calmarsi un pochino.

“Bene, sono contento che tuo padre stia già provvedendo… Ma non sarà il solo.”
“In che senso, tesoro?”
“Nel senso che non ho alcuna intenzione di lasciar correre la cosa, Bella. Quel gran bastardo di Frank ha giocato col fuoco. Crede davvero che io non reagisca? Sei la mia ragazza, Isabella, e Frank non doveva neanche lontanamente pensare di poterti toccare!”


Il cuore cominciò a battermi all’impazzata.
Che idee aveva Edward?
In che guaio voleva cacciarsi?

“Ed, che significa? Cosa vuoi fare? Niente sciocchezze, per favore! Vuoi farmi preoccupare?”

Mi carezzò i capelli.

“Non c’è niente di cui tu debba preoccuparti. Lascia fare a me e stai certa che a nessuno più di quella combriccola di farabutti verrà in testa di torcerti anche un solo capello”
“Ma ti ho detto che ci penserà mio padre!” protestai.
“Devo pensarci anche io. Forse io per primo”
“Oh Edward, ti prego…” lo supplicai “Lascia stare! Io sto bene, è tutto okay, non mi è accaduto nulla e non mi accadrà mai più nulla. Quella è gente pericolosa, non avvicinarti!”
“Credo di poter essere più pericoloso di loro.”
“Edward… Sii buono, per favore!”

Da fuori giunsero le voci della piccola comitiva riunita sul balconcino: stavano rientrando. I tacchi di mamma risuonavano nitidi sulle mattonelle della pavimentazione esterna.
Edward balzò in piedi, afferrando la borsetta e la giacca di Alice. Prima di scostarsi del tutto, si chinò per darmi un bacio a fior di labbra:

“Buono? E che significa essere buoni, amor mio?” mi sorrise “Lascia fare a me, non pensarci. Andrà tutto bene”

Non ebbi tempo per ribattere: Edward si allontanò definitivamente verso la porta e, nello stesso momento, la piccola comitiva rientrò in camera mia. Alla sua testa, ancora una volta, c’era mia madre: squadrò attentamente Edward e poi me.

“Non eri con noi?”
“Certo signora, ma solo per un attimo. Sono tornato subito per prendere le cose di mia sorella: dobbiamo scappare. È davvero tardi. Alice?”
“Sì, Edward, andiamo. Grazie per tutto Miss Swan”

Alice si profuse in un piccolo inchino. Mia madre appena accennò un movimento del capo, viceversa.
“Ciao Elisabeth, piccolo tesoro”
“Ciao Alice” Beth si sporse per abbracciarla.

“Bene. Andiamo allora”
“Lasciate che Odette vi accompagni” aggiunse mia madre.
“Oh, non si scomodi signora, stia tranquilla.”
“Insisto”
“Ma certo, Miss Swan ha ragione” Odette intervenne prontamente “Ragazzi, vi accompagno io.”

“Arrivederci signora. E complimenti per l’ibiscus, tenuto benissimo!” commentò infine Edward. A me venne da ridere, considerando che Edward doveva pure ignorare che forma avesse un fiore di ibiscus.

“Isabella…”

Mi salutò allora portandosi la mano alla fronte, come fanno i soldati. Il suo sguardo diceva molto e il mio cuore perse un battito.

Ancora i suoi passi e quelli di Alice risuonavano per le scale e io non accennavo a staccare gli occhi da quella porta da cui l’avevo visto scomparire.
Sembrava tutto così irreale – la mia aggressione, la visita di Edward, le minacce di Frank – che, per un attimo, pensai di sognare. O di vivere un incubo, a scelta, considerando che l’unico elemento positivo di tutta quella faccenda era Edward stesso e adesso mi dava preoccupazioni anche lui: che intenzioni aveva con Royce King e la sua combriccola? E se gli fosse accaduto qualcosa di grave?
Come avrei potuto fermarlo?

Respirai a fondo, allarmata. Non avevo avuto neanche un briciolo di tempo a mia disposizione per fargli cambiare idea e adesso Edward stava tornando a Brixton.
Sarebbe andato subito da Frank? Cosa gli avrebbe detto?
Avrebbe portato qualcuno con sé? Jazz? Emmett?
Sarebbero arrivati alle mani? Ma sì, certamente!

Sbuffai, angosciata. Mi voltai e così incontrai prima lo sguardo turbato della mia sorellina e poi quello sospettoso di mia madre.

“Che c’è?”
“Non mi piace come ti guarda quel ragazzo, quell’Edward. Non devi concedergli nessun tipo di confidenza!”

Sobbalzai, arrossendo.

“Ma cosa dici, mamma!”
“Che ci faceva qui dentro da solo con te?”
“Probabilmente si era stancato di ammirare i tuoi meravigliosi ibiscus ed è tornato dentro a prendere le cose di sua sorella. Mi ha chiesto se fosse tutto okay e basta così. Non farti strane idee”

Cercai di non balbettare per sembrare quanto più credibile possibile. Beth mi guardò e approvò.

“Cosa fa nella vita?”
“Oh, beh… studia, lavora, non lo so. Non lo conosco bene.”


Lo conosco benissimo.
E aggiungerei che suona e… fa a botte con la gente.
Ma forse questo non t’interessa, mamma.


“Uhmf. Va bene, Isabella, ma sia ben chiaro: non voglio che tu abbia mai più nulla a che fare con lui. Passi sua sorella, che almeno cerca di distinguersi, ma lui mi pare davvero un selvaggio. Sono stata chiara? E adesso dormi.”

“D’accordo mamma” acconsentii allora. Dentro di me fremevo e ancora continuavo a stringere convulsamente il plaid che mi copriva, quando mamma uscì dalla stanza, trascinandosi dietro una Beth ammutolita e dispiaciuta.

Non sopportavo che qualcuno parlasse male del mio amore, neanche se quel qualcuno fosse stato mia madre.
Eppure dovevo tacere, per il bene della nostra storia.
Non sopportavo, inoltre, che qualcuno potesse fargli del male.
Qualcuno come Frank o Royce King, per intenderci; avrei preferito essere aggredita altre mille volte, piuttosto che ritrovarmi Edward con un occhio nero per causa mia.

Eppure, anche in questo caso dovevo tacere. Non potevo far nulla per migliorare lo stato delle cose, per farle andare secondo i miei desideri.


Sospirai: ero impotente.
Ero soltanto una stupida ragazzina ricca di Kensington, che delle vita non sapeva proprio un bel niente: quel che stava accadendo me lo mostrava ancora una volta.




 








L’ufficio puzzava di fumo: non aveva fatto altro che spegnere e accendere sigarette.
Gli bruciavano gli occhi.

Camminò qualche passo in avanti poi tornò indietro. Continuava a farlo da almeno mezz’ora.
Perché lo stava facendo aspettare così tanto?

“Frank.”

Qualcuno, alla fine, varcò la porta d’ingresso.
Non qualcuno ma il suo capo.
Sospirò.

“Mister King…”
“Non accaparrarmi scuse strambe, Frank”

L’uomo si accomodò alla sua poltrona di pelle scura, dietro una scrivania costosa e piena zeppa di carte e posaceneri stracolme.

“Ti avevo detto che ero d’accordo a fargliela pagare a Edward Cullen, visto che ha conti in sospeso con entrambi, ma cosa ti è saltato in mente con quella ragazza?!”
“Capo…”
“Sta’ zitto! Non m’interessa quel che hai da dirmi, pensavo di essere stato chiaro. Se quel tipo, il poliziotto che ha salvato la ragazza, ti avesse acciuffato, quanto credi c’avrebbero messo per arrivare a me? Io ho un nome da salvare! Tu non sei nessuno, puoi permetterti la gattabuia, sai? Io no!”

Mister King batté violentemente la mano sul tavolo. Frank sobbalzò.

“Mister King, mi scusi. Stava andando tutto così bene e poi…”
“Poi cosa, Frank? Non hai messo in conto nessun imprevisto, vero? Sei un coglione!”

Di nuovo batté la mano, di nuovo Frank sobbalzò.
Quell’uomo lo terrorizzava: conosceva il suo potere, immaginava le sue punizioni.

“Tutti gli uomini che lavorano per me svolgono con efficienza le proprie mansioni, anche le più complesse. Chi non è capace viene mandato via, spero che tu sia consapevole di questo Frank. Non sarò magnanimo con te, non dopo che hai quasi messo in pericolo il mio nome e il mio lavoro aggredendo la figlia di un diplomatico americano. Sei un imbecille!”

Frank calò lo sguardo, mortificato.

“Miss King, la prego, mi dia un’altra possibilità. Questa volta non la deluderò. Mi permette di vendicarci entrambi di Edward Cullen.”
“Ancora?! Mi hai stancato, Frank!”
“La prego, Mister King! Sono stato avventato, lo ammetto. Ma ho un piano in mente e questo sarà infallibile! Ho capito qual è stato il mio errore, non lo ripeterò più.””

King rise, sadicamente.

“E quale sarebbe stato l’errore, genio?”
“Ho sbagliato il bersaglio, Mister King. Non dovevo puntare a Isabella Swan, appartiene a una famiglia troppo conosciuta e ben agganciata, non avrei mai dovuto pensare di potermela prendere con lei.”
“Ah, ci sei arrivato?”

Annuì.

“Sì. Adesso, però, ho capito dove ho sbagliato e so come muovermi. La prego, mi dia un’altra chance.”

King lo squadrò diffidente; poi, accese un sigaro e ne aspirò una lunga boccata.

“Perché dovrei farlo, Frank? Io non sono uomo da seconda chance”
“Perché abbiamo un obiettivo comune: quello di fargliela pagare a un mocciosetto che ha tentato di umiliarci. Nessun altro al di fuori di me può comprendere questa sua voglia di vendetta, Mister King. La prego, mi lasci fare, stavolta non la deluderò.”

King continuò ad osservarlo.

“Tutto questo solo perché ha lasciato tua sorella? Non ti sembra di esagerare?”
“No. Mia sorella è distrutta a causa di quel bamboccio. Non posso accettarlo, l’ho sempre vista soffrire: merita di potersi riscattare.”

King continuò a fumare e non aggiunse altro per qualche istante.
Frank, dal canto suo, non faceva altro che torcersi le mani, agitato. Avrebbe dato di tutto per poter convincere il suo boss a dargli ascolto, a concedergli un’altra chance.
Aveva fallito una volta, non sarebbe successo di nuovo. Aveva troppa voglia di vendicarsi di Edward.
Ogni volta che vedeva sua sorella piangere, guardare un negozio di abiti da sposa, soffermarsi sulle proprie foto con quell’imbusto, gli si stringeva il cuore.
Marlene aveva sofferto una vita intera, perché anche questo?
E, d’accordo, in parte era anche colpa sua se tante volte si era disperata e aveva pianto, chiedendosi dove fosse finito il suo fratello preferito, ma adesso era giunto il momento di smetterla. Marlene avrebbe avuto finalmente la felicità che si meritava, e Edward gliel’avrebbe concessa, che gli fosse piaciuto oppure no.
Lui, al contempo, si sarebbe riscattato agli occhi della sorella perché soltanto grazie al proprio intervento Edward sarebbe tornato.
Soltanto in questo modo avrebbe potuto far dimenticare a Marla tutti gli errori del passato e tutti quegli istanti della sua vita in cui lui non era stato presente:  restituendogli il ragazzo che amava.

Ormai era una sfida, per lui, e l’avrebbe vinta.

“Mi fai pena, Frank” esordì allora King, rompendo il silenzio “Sono quasi tentato di concedertela un’altra chance.”
“Sul serio?” il viso di Frank s’illuminò.
“Sei certo di avere un buon piano di riserva, come dici?”
“Sicuro, signore! E molto meglio del precedente. So con chi prendermela stavolta, per giocare un po’ con Edward Cullen.”
“Mmmh…” gli occhi di Royce si ridussero a due fessure “D’accordo allora, ragazzo. Ti concedo un’altra possibilità.”
“Grazie signore!”
“Aspetta a ringraziarmi. Bada bene:  se mi combini qualche guai sarai tu a pagarne le spese”

Frank annuì. Non aveva paura, era certo che non avrebbe più commesso alcun tipo di errore.

“E cerca di non tirare in ballo la diplomazia americana o te le suono personalmente!”
“Non accadrà, Mister King”

Frank sorrideva come un bambino cui avessero comprato dello zucchero filato: era al settimo cielo.
Mister Royce King gli aveva concesso un’altra possibilità: quell’avvenimento aveva del miracoloso!
Si sfregò le mani.

“Adesso puoi andare. Non farmi vedere più la tua brutta faccia, a meno che tu non abbia buone notizie da riportarmi.”
“Va bene signore!”

Frank lo salutò, quasi inchinandosi. Infine, gli volse le spalle, pronto a correre fuori.
Era già sotto la porta quando Royce lo richiamò.

“Ah, Frank?”
“Sì, signore.”
“Non azzardarti mai più a fumare nel mio ufficio quando non ci sono. Uomo avvisato mezzo salvato”

Frank sorrise di nuovo: dopo essersi mostrato così magnanimo, Royce avrebbe pure potuto minacciarlo di rompergli un braccio. L’avrebbe presa bene in ogni caso.
E poi aveva ragione: gli aveva affumicato lo studio.


“D’accordo boss, lo ricorderò” rispose dunque richiudendosi la porta alle proprie spalle.

 
 
 
 




 
1Lady di Ferro era il soprannome dato a Margaret Tatcher, primo ministro del Regno Unito dal ’79 al ’90.
 
 
 
 
Buonasera fanciulle!
L’ultima volta vi ho fatto aspettare 9 mesi per un aggiornamento, stavolta uno soltanto.
Faccio progressi! Abbiate fede in me ;)

Tra l’altro, è stato un periodo davvero, davvero brutto… Ho perso una micetta che stavo crescendo a causa di un incidente e, credetemi, sono stata e sto davvero male. Magari, per molti potrebbe trattarsi di un semplice “gatto”, per me era una bambina, la mia bambina. Mi manca tanto.
Anyway, non voglio annoiarmi e passiamo a noi. In questo capitolo, apparentemente, non succede nulla di che. In realtà… Vabbè, non aggiungo altro, ma sappiate che ho implicitamente detto una cosa molto importante! :-p
Prima che me ne dimentichi, visto che è una cosa fondamentale e ci tengo a dirla, volevo RINGRAZIARVI di vero CUORE per la comprensione che avete mostrato nei miei confronti lo scorso capitolo. Vi ho fatto aspettare, ma voi avete atteso e avete capito le mie motivazioni. In molte di voi mi hanno parlato sinceramente del fatto che fossero un po’ risentite del mio ritardo e del silenzio, ma l’avete fatto tutte con gentilezza, che è una cosa cui tengo molto, e non me lo dimenticherò.
Siete delle fantastiche lettrici, ragazze! Grazie davvero.
A tal proposito, volevo dirvi che devo ancora rispondere a un casino di recensioni. No, non me ne sono dimenticata, e GIURO che vi risponderò tutte. Ho pochissimo tempo e ho preferito aggiornare piuttosto che farvi aspettare ancora, ma vi prometto solennemente che, prima del prossimo aggiornamento, avrete ricevuto tutte la risposta ai vostri deliziosi commenti, anche quelli di due capitoli fa. Se non lo faccio vi autorizzo a riempirmi di parolacce :-p ma tranquille che non vi deluderò! ;)

Passiamo al sodo: avete visto BD2?
Io sì, il 14 sera e….. E’ fantastico! Io, che sono sempre stata così critica con i film – specie le parti grafiche le ho sempre tollerate molto poco – l’ho trovato spettacolare! Oddio, è vero, la Renesmee fatta al pc lascia un po’ a desiderare, così come l’inizio un po’ frettoloso, ma per il resto è davvero il finale epico che tutte ci aspettavamo. Mi è piaciuto tanto e non  vedo l’ora di rivederlo in streaming! ;)
Nel frattempo, sto consumando A Thousand Years di Christina Perri :’)
Per l’occasione, ho creato un banner per BD… Vi piace?



 




Se volete chiacchierare con me, avere spoiler, anticipazioni, vedere immagini, video e quant’altro, mi trovate qui:

In the Sky With Diamonds

E’ il mio angolino personale, dove sarete le benvenute <3

Inoltre, ho aperto un account su Ask. Fm.
Se volete potete farmi tutte le domande che vi pare a quest’indirizzo:

http://ask.fm/MatisseEfp

Vi aspetto, mi raccomando! Mi piace tanto rispondere :D

Vi ricordo che ho anche aggiornato la pagina autore su Efp, con tutte le info che possono interessarvi! :D
Spero di aver detto tutto… Ah, una cosa: il capitolo non è betato, quindi vi chiedo scusa di eventuali ORRORI. Il lavoro non mi dà tregua e non ho tanto tempo per star dietro a tutto LTra MUB e la mia originale, Piovre sotto Pelle (se volete farci un salto la trovate a questo link: Piovre Sotto Pelle… è una storia d’amore con un background molto particolare cui tengo molto ;D), e la vita vera e propria al di fuori di Fb ed Efp dovrei sdoppiarmi per star dietro a tutto! XD

Okay, ora smetto di sproloquiare. Grazie di tutto ragazzi, ci vediamo al prossimo aggiornamento!
La vostra Matisse

PS: anche il nuovo banner per MUB è mio. Sto pasticciando un sacco al PS, ultimamente! XD


 
   
 
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