Era estate, già perché le cose brutte accadono sempre in estate, quando se esci e non torni fino sera la mamma non si preoccupa, quando nessuno si accorge che qualcosa non va. In più se sei una ranocchietta di otto anni, nessuno penserà che il mondo ti sta crollando addosso.  Uscendo il signore della porta accanto mi fermò. “Lilly corri qua, il gatto sta male e non so cosa fare”  Continuo a ricordare con che ingenuità gli ho creduto.. Se ti sta crepando il gatto, non chiedi aiuto ad una bimba, chiami il veterinario. Ma quella bimbetta gli credette, e gli corse incontro. Il vecchio le disse che era in camera, il micio, a riposare, e magari con le sue attenzioni femminili si sarebbe sentito meglio. Ora capisco, che ogni particolare di quella prima volta lo aveva organizzato e premeditato, con che cura aveva scelto ogni singola parola. Il “gatto” lo feci resuscitare, peccato che aveva la forma fallica ed era il pene del vicino che stavo succhiando, costretta contro la parete. Io sapevo a malapena cosa stessi facendo, sapevo che era sbagliato, ma pensavo fosse colpa mia, un peccato inconfessabile. Così quando, dopo essermi venuto in faccia, mi disse di non dirlo a nessuno io annuì, con gli occhi lucidi, pulendomi come potevo con le mie piccole manine, che ormai, non sarebbero più state le stesse. Per tutta l’estate la scena si ripetè: uscivo, lui mi chiamava, andavamo da lui, facevo ciò che dovevo fare e poi correvo al parco, laddove nessuno poteva dirmi niente. In quei tre mesi imparai a succhiare, leccare, strofinare, e fare qualunque altra cosa lo eccitasse, alla perfezione.
Poi iniziò la scuola, e io lo dimenticai.