Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Phenex    18/11/2012    0 recensioni
Dahlia è una ragazza che non ha mai smesso di credere nei propri sogni e nella bontà del prossimo, affronta la vita con determinazione, senza mai perdersi d'animo. Sabrina invece è fredda, alterata da tutto ciò che la circonda, isolata in una realtà di cui lei ed i suoi desideri sono il centro assoluto ed indiscusso. Nel futuro della prima sta per abbattersi una forte tempesta di incontri e sorprese. Mentre nel passato della seconda si cela un orribile segreto.
Genere: Azione, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il piccolo Ozy.
Disegnato da: http://helen91.deviantart.com/

~ Seattle – Washington

 

 

Era una notte buia e silenziosa, senza nessuno nei paraggi. Gran parte della popolazione era già andata a dormire all'interno delle proprie case, mentre i classici tipi da strada si aggiravano furtivamente nelle zone più buie e pericolose. Era sconsigliato uscire di casa a quell'ora, tuttavia c'era sempre qualche temerario che, per follia o per puro sadismo, si trovava sempre lì a dare un'opportunità a qualche male intenzionato di compiere il suo ignobile lavoro. Ovviamente il più delle volte si tratta di sventurati con un orario di lavoro decisamente meschino, oppure di persone che, prese di mira dalla sventura, non hanno neppure una casa dove tornare. Questa volta però si trattava di due soggetti decisamente inusuali, che adesso si trovavano sotto la luce di un distributore automatico di lattine. Un ragazzo sulla ventina, piuttosto alto, dai capelli castani scompigliati ed arruffati, gli occhi del medesimo colore e con una lieve quantità di barba che gli marcava il viso da una basetta all'altra, quasi incorniciandolo. Il suo fisico piuttosto gracile e privo di un qualsiasi allenamento lasciava presupporre che non fosse un attacca brighe e che si trovasse li esclusivamente per prendere quella lattina di cola che adesso stringeva tra le magre dita. Ad accompagnare quella sorta di spaventapasseri notturno vi era una piccola figura, una bambina a prima vista, che aveva lineamenti molto simili a lui, tanto da poterla scambiare per una sorta di sorella minore. Persino gli occhi ed i capelli avevano lo stesso colore, con l'eccezione che quest'ultimi erano molto più lunghi e cadevano arricciandosi sulle spalle scoperte da una canottiera slargata divisa in due parti dai colori verde e blu.

Noah Burton era il nome di quel ragazzo. Non era originario di Seattle, si trovava semplicemente lì per una delle missioni che negli ultimi suoi anni di vita erano diventate parte integrante nella sua esistenza. Il suo lavoro era trovare delle persone particolari e per farlo sfruttava le capacità del suo piccolo compagno Ozy che, spesso e volentieri, tutti scambiavano per una bambina pestifera. Inutile dire quanto possa essere fastidioso per un bimbetto amante dei videogiochi violenti e degli anime giapponesi essere scambiato per una bambina da chiunque, accadeva infatti non rare volte che il piccolo Ozy si rifiutasse di compiere il suo mestiere facendo l'offeso.

< Non la prendi anche a me? >

Chiese il bambino, notando che Noah aveva ripreso a camminare una volta aperta la lattina di cola.

Quest'ultimo sembrò quasi ignorare la richiesta del piccolo compagno d'avventura e cominciò a sorseggiare una bevanda con una quasi sadica soddisfazione nei suoi confronti.

Noah non era affatto tranquillo però. Egli detestava i luoghi bui ed insicuri, il suo sguardo infatti saettava da destra a sinistra nel vano tentativo di tranquillizzarlo sull'assenza di probabili aggressori e quanto altro potesse riservargli una città come quella.

< Tu non ne hai bisogno. Dobbiamo tener conto dei soldi. >

Sbottò poi, portando una mano sulla maglietta a maniche corte con sopra disegnato un robot della serie “transformers”. Noah era solito indossare sempre indumenti, in particolar modo felpe e magliette, che illustrassero una qualche sua passione, adorava quando le persone notavano quel suo sgargiante modo di vestire così si era abituato a rendere l'immagine più visibile possibile, anche se non c'era nessuno.

< Neanche fossero i nostri. Stronzo. >

Ringhiò il bambino, incrociando le braccia e mettendo il broncio. Un ennesimo vano tentativo di ottenere quello che voleva dal suo fratellone dato che non avrebbe mantenuto un temperamento alterato per più di dieci secondi. Ozy era un bambino tremendamente allegro, forse anche troppo vivace per molti. Egli saltellava ovunque ed imitava gesta di super eroi anche se tutti lo stavano fissando, una spontaneità che Noah invidiava, forse per il semplice fatto che, molti anni addietro, anche lui non si vergognava di esprimere la propria fantasia, proprio come Ozy.

< Chi ti ha insegnato quella parolaccia? >

Chiese Noah, tornando con la mente all'effettiva motivazione per cui fosse uscito a quell'ora di notte. Il sonno e la stanchezza dovuti al viaggio erano come svaniti all'improvviso ed in un lampo si era vestito, pronto ad uscire dall'hotel, neanche si trattasse di una emergenza. Sapeva semplicemente di dover andare fuori, altro non era riuscito a comprendere era come se avesse agito contro la sua volontà e contro ogni buon senso.

< Murdoch. >

Rispose Ozy, superando il fratellone saltellando e mettendosi davanti a lui con il ritrovato sorriso. Quest'ultimo però non lo degnò neanche di uno sguardo, un rumore di passi aveva attirato la sua attenzione. Lentamente i passi divennero sempre più rapidi, sino a che non simularono perfettamente una corsa frenetica e disperata.

Dahlia stava scappando da diversi minuti, senza mai voltarsi. Il fiatone si era impadronito dei suoi polmoni che adesso stavano andando a fuoco come tizzoni ardenti, mentre i muscoli delle gambe avevano iniziato a farle male. Tuttavia, nonostante il dolore, non riusciva a fermarsi, anche se non sapeva esattamente se l'aggressore che aveva irrotto in casa sua la stesse seguendo o meno. Il suo sguardo piombò immediatamente su Noah ed Ozy che la stavano scrutando senza dire o fare nulla.

Lei tentò di avvertirli, di gridare aiuto, però la sua voce altro non riuscì ad emettere se non un gemito, era troppo spaventata anche per urlare? Avrebbe dovuto fermarsi per parlare, per chiedere soccorso, ma le sue gambe sembravano addirittura più spaventate di lei e non accennavano a rallentare. Avvenne così che il compito di arrestarsi si spostò dalla sua coscienza al piccolo Ozy che, non appena fu abbastanza vicina, la afferrò per una caviglia con una delle piccole mani facendola inesorabilmente cadere a terra. Il primo timore di Dahlia era stato di aver travolto letteralmente quella piccola bambina, si accorse poi che invece ad essere rovinosamente crollata sull'asfalto era stata lei e che la piccola la stava tenendo ancora per la caviglia, senza perdere il minimo equilibrio.

La stretta di Ozy, oltre ad essere terribilmente forte, era anche fredda come il marmo, cosa che fece subito balzare alla mente della ragazza tanto colta di storie terrificanti che ad averla catturata era una sorta di fantasma irrequieto. In fin dei conti non era un'opzione così scadente, dato che un pazzo vestito da sub le aveva praticamente invaso casa.

< Ozy? Perché?! >

Chiese alquanto stupefatto Noah, dopo averci impiegato un paio di secondi per realizzare cosa effettivamente fosse accaduto. Il bambino lo fissò per un secondo, poi squadrò la ragazza ed infine tornò al fratellone sorridendo allegramente.

< E' lei quella che stiamo cercando! >

Esclamò allegramente, lasciando sia Dahlia che Noah interdetti. Quest'ultimo afferrò il piccolo compagno per un orecchio e lo obbligò a mollare la presa sull'ancora più terrorizzata ragazza che in circa quindici minuti aveva visto le cose più strane della sua vita.

< Sei un maleducato, perché non sparargli direttamente la prossima volta?! >

Lo rimproverò, mentre il piccolo diavoletto si dimenava per liberarsi. La sua incredibile forza mostrata sino a poco prima sembrava come essere svanita nel nulla dal momento in cui Noah aveva iniziato a sgridarlo.

< Lasciami stronzo! Andava velocissima cosa dovevo fare?! Stronzo! Stronzo! >

< Smetti di ripetere quella parola poi. >

Aggiunse Noah, liberandosi della fastidiosa presenza della peste spingendola via. Il ragazzo riprese fiato poi, dopo una ennesima ed immotivata stiratura della maglietta con entrambe le mani, aiutò Dahlia a rialzarsi. Lei sembrava ancora titubante nel fidarsi, ma dovette accettare l'aiuto visto che le gambe oltre a farle un male incredibile avevano anche cominciato a tremarle.

< Ti chiedo scusa, il mio fratellino è un tipo molto maleducato. >

Si scusò Noah, pronunciando parole che però nella confusione che Dahlia aveva in testa sembrarono solo un ammasso di suoni senza senso. Quel tipo non sembrava una persona pericolosa, ma il fatto che se ne andasse in giro con un piccolo Hulk e che si comportasse come un bravo ragazzo erano motivi sufficienti per dubitare di lui.

< Lo avevo scambiato per una bambina. >

Disse lei, quasi senza accorgersene, sputando il primo pensiero che vagava nella sua mente sotto forma di parole che, non appena enunciate, non tardarono a scatenare la rabbia del piccoletto ancora intento a toccarsi l'orecchia tirata.

< Sono un maschio! Stronzo! >

La insultò Ozy, facendo tirare a Noah un sospiro formato in parte da ilarità ed in parte da rassegnazione.

< E' stronza al femminile Ozy. >

Lo corresse, accennando un lieve sorriso nel tentativo di rendere la situazione meno improbabile di quanto già non fosse. Successivamente, con un rapido riepilogo mentale diede fiato all'ennesimo discorso che presentava a tutti i così detti “obbiettivi” che aveva il dovere di cercare una volta trovati.

< Mi scuso ancora per quanto accaduto. Ad ogni modo, il mio nome è Noah Burton e, per quanto possa risultarti strano, sono venuto qui a Seattle per cercare te. Posso sapere il tuo nome? >

Quelle parole erano state pronunciate con una più che insolita naturalezza, vista la situazione, quasi come se stesse stringendo amicizia con un compagno di classe. Dahlia decise che era il caso di fare buon viso a cattivo gioco, ma proprio quando era riuscita e far cessare il tremore ed a mettere fine alla paura, il suo problema iniziale tornò a fare capolino con una sorta di sussurro demoniaco.

< Venus … >

Sibilò la voce del sommozzatore alle spalle di Ozy e Noah. Quest'ultimo fissò Dahlia che era intenta a scrutare l'immagine di un uomo che stava praticamente galleggiando nell'aria muovendo i piedi pinnati, quasi come se tutto fosse stato immerso nell'acqua.

< Prego... ? >

Chiese Noah incredulo, per poi finalmente capire che a parlare non era stata la ragazza, ma l'essere dietro di lui.

< La ferita... la ferita fa così male... non voglio morire... >

Mormorò il sommozzatore, muovendo il corpo per rimanere sospeso nel nulla con un fare quasi ipnotico. La luce emessa dal distributore di bevande poco distante cominciò a lampeggiare, sino a che il macchinario non iniziò ad accartocciarsi su se stesso sputando all'esterno anche alcune delle bevande contenute al suo interno. Nel vedere le numerose lattine di cola schizzare sull'asfalto Ozy emise una sorta di urlo di vittoria, mentre quella tenuta nella mano di Noah scivolò a terra rovesciando il proprio contenuto.

< Ozy? Codice I D K F A. >

Ordinò il ragazzo, pronunciando ogni lettera del codice singolarmente. Al termine di quella insolita sigla il bambino sembrò perdere la sua natura, gli occhi smisero di brillare di innocenza e si annebbiarono, mentre l'interesse per le lattine di cola si spostò sul sommozzatore che, in quell'esatto momento aveva iniziato a nuotare in picchiata verso Noah e Dahlia. Il suo attacco però non andò a buon fine perché il bambino lo colpì in pieno viso con un calcio. La forza mostruosa che aveva dimostrato poco prima nel fermare Dahlia sembrò essere tornata in vita ed il terrificante sub ne fu pienamente investito, venendo quindi spedito a scontrarsi contro una parete. L'essere quasi rimbalzò su di essa, rimanendo sospeso a mezz'aria a corpo morto in modo quasi ridicolo. La maschera da immersione era stata forata dal piede del bambino e da essa stava grondando un denso liquido bianco e luminoso, simile a quello usato all'interno dei bracciali luminosi al buio.

< Ma quel bambino...? >

Mormorò Dahlia, esterrefatta di fronte a quello che aveva appena visto. L'essere che tanto la aveva terrorizzata era stato praticamente preso a calci da un bambino di circa nove o dieci anni.

< Venus... >

Ripeté un ultima volta il sommozzatore, mentre la sua immagine si distorceva nell'oscurità fino a svanire nel buio da cui era precedentemente apparso.

< ...Lo ha ammazzato? >

Chiese Dahlia, stropicciandosi gli occhi quasi come se la smaterializzazione del sommozzatore le avesse fatto perdere qualche diottria o la avesse letteralmente accecata.

< Ozy: riavvio. >

Mormorò Noah, per poi voltarsi con un sorriso forzatissimo verso la ragazza. A quelle parole il piccolo guerriero si irrigidì e tornò ad essere il fastidioso bambino di poco prima che, vedendo le numerose lattine di cola a terra, si precipitò su di esse cercando di intascarne quante più poteva.

< Ma cosa ammazzato... >

Si lamentò poi, fissando il punto dove poco prima il sommozzatore era svanito e grattandosi la testa.

< Quello non si può ammazzare, nemmeno esiste. >

Spiegò caoticamente, cercando di forzare un secondo sorriso che la ragazza non considerò neppure. Cosa significava “nemmeno esiste”? Il sommozzatore aveva fatto irruzione in casa sua, la aveva inseguita, fluttuava nell'aria, proabilmente le avrebbe fatto qualcosa di orrendo se la avesse catturata.

< Non ha senso... mi stai dicendo che sono pazza? Oppure... mi dici “questo è un sogno” e mi ritrovo a letto? >

Chiese alquanto scossa ed incapace di mascherare una isterica risatina all'idea che la sua peggiore paura era stata presa a calci da un bambino drogato di coca cola e terribilmente fastidioso.

< Mettiamola così. Funziona come un sogno, domani ti sveglierai e ti sembrerà tutto più chiaro. >

Rispose Noah sollevando le mani e confondendola ancor di più.

< … anche se... >

Aggiunse sussurrando.

< … forse potrebbe trattarsi di un incubo. >

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~ Milano – Italia

 

 

 

Sabrina era tornata a casa da diverse ore. Non appena varcata la soglia si era sbrigata a togliersi i fastidiosi vestiti che la madre le aveva comprato per “sembrare una lady” ed aveva indossato una tuta di colore grigio, per poi abbandonarsi sul letto in compagnia di uno dei suoi numerosi libri. Adorava leggere, ogni volta che la tranquillità regnava si lasciava trasportare in quel mondo alternativo nascosto dalla carta e dall'inchiostro, accessibile solo per chi, come lei, sentiva il continuo bisogno di evadere dalla realtà opprimente. Tra le sue mani adesso vi era un racconto piuttosto tetro dal titolo “la ragnatela di Vendetta”. Era stata da tutti i lettori definita una storia molto triste, perché il protagonista veniva lentamente consumato dalla vendetta, se ne rendeva conto, ma non poteva fare niente per opporsi ad essa, come una farfalla intrappolata in una fitta tela appiccicosa. Sabrina trovava nauseante il fatto che una storia che rendeva così visibilmente il risentimento del protagonista verso chi gli faceva dei torti fosse così facilmente accomunata alla classica morale del “la vendetta è sbagliata”. Lei forse era una di quelle persone che preferivano il detto “la vendetta è un piatto che va gustato freddo.”, trovava meraviglioso infatti come il protagonista la facesse pagare ai suoi nemici, uno dopo l'altro, facendo quasi desiderare loro la morte poco prima di concedergliela. In fin dei conti, secondo Sabrina, perché attendere in una qualche provvidenza o movimento della giustizia quando si è in grado di riparare da soli ai propri torti, eliminando così gli ostacoli che ci dividono dai nostri sogni o che addirittura si sono permessi di rubarceli con la forza?

< Posso entrare? >

Chiese la madre, senza però attendere una riposta concreta e facendo capolino all'interno della stanza. Un tempo Miriam Taylor era stata una bella donna, ma il tempo la stava lentamente segnando con le rughe sul suo bel viso candido come quello della figlia e con la comparsa di numerosi capelli bianchi all'interno del suo manto corvino.

< Lo hai già fatto. >

La ammonì Sabrina, facendo un'orecchietta alla pagina del libro per non perdere il segno. Il volto della madre era sorridente, questo stava a significare che avesse qualcosa da chiedere. Per quanto potesse mentire a se stessa quella donna era ancora infelice e la sua infelicità era data dal comportamento della figlia, del tutto refrattario alle sue scelte. Realista e decisa come il suo defunto padre infatti, Sabrina non aveva mai concesso ne alla madre nel al patrigno nessuno soddisfazione affettiva, si era dedicata solo al proprio interesse, ma non per egoismo, semplicemente per pura e semplice vendetta. Loro la avevano allontanata dal suo sogno e dal luogo dove aveva più ricordi, perché avrebbe dovuto concedergli l'affetto di una famiglia se non per i loro sporchi comodi? Era una pretesa che non si reggeva in piedi da nessun punto di vista.

< Andrai alla festa che precede gli esami? Ne ho sentito parlare oggi da due madri al super mercato e... >

< No. >

La zittì la figlia, senza darle il tempo di andare oltre. Si era già dovuta sopportare l'invito da parte dell'ennesimo ragazzo con una forte attrazione ormonale verso di lei e non aveva la benché minima intensione di sopportare ancora quella richiesta.

< Stellina ascoltami qualche volta, non può estraniarti così dal mondo... >

Sabrina balzò in piedi, colta da una sorta di furia non controllata. Il libro scivolò sul pavimento e la madre non poté fare a meno di smettere di parlare ancora una volta.

< Non permetterti mai più di chiamarmi così, solo papà poteva. E papà è morto. In secondo piano non me ne importa un cazzo di questo posto, finiti questi maledetti esami me ne andrò a vivere con Zia Allyson in America. Tu e il tuo caro Mauro potete rimanere qui a sprecare la vostra esistenza, non mi riguarda, ma non ti azzardare a dirmi cosa devo fare della mia vita! Io so già cosa farmene e farò di sicuro meglio di te! >

Miriam rimase intontita da quella reazione quasi violenta della figlia, tanto che impiegò qualche secondo per realizzare cosa dire in risposta a tutto ciò che le era appena stato lanciato addosso.

< Ho telefonato io ad Allyson. Le ho proibito di tenerti con lei, questa è la tua casa Sabrina perché non vuoi accettarlo? Non ti facciamo mancare nulla eppure sei così... >

Per Sabrina quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Tentò di dare fiato alle corde vocali ma era troppo in collera per poter dire qualcosa di concreto, i suoi pugni si strinsero e la sua testa cominciò a farle male, sempre di più, sino a che i suoi occhi, posati sulla madre, non le fecero vedere qualcosa di innaturale. Le gambe cedettero, facendola cadere in ginocchio con le mani sulla testa.

< Vattene via! >

Riuscì ad urlare, tra un dolore atroce alla testa e l'altro. La donna, che era già in procinto di calarsi sulla figlia in difficoltà rimase interdetta per qualche secondo, poi un secondo urlo la costrinse ad allontanarsi senza dire nulla.

Sabrina stava sudando, si stava sentendo male, ma tutto il dolore era come soppresso da ciò che era sicura di aver visto. Per un attimo sul petto della madre si era generata come una massa di scintille, come quelle che agitano sempre i bambini capodanno. Non era stata la sua immaginazione, la aveva vista nell'esatto momento in cui aveva desiderato far sparire quella donna dalla sua vita.

Alla forte emicrania si aggiunse improvvisamente un forte conato di vomito che riuscì difficilmente a soffocare. Stava forse impazzendo? Il suo cervello aveva qualcosa che non andava? L'unica cosa che riusciva a pensare in quel momento era quell'ammasso di scintille che avrebbe tanto voluto trasformare in fiamme che avrebbero divorato il corpo della madre e non provava nessun rimorso in questo sentimento così malvagio. Cercò di rimettersi in piedi e lentamente, sforzandosi come un neonato ai primi passi, riuscì ad alzarsi. L'aria all'interno della stanza la stava soffocando, doveva uscire di lì, magari andare a fare quattro passi, per schiarirsi le idee. Raccogliendo le forze superò il passaggio dal corridoio all'esterno evitando un nuovo approccio con la madre e si ritrovò fuori casa.

Barcollando mosse i primi passi sul marciapiede. Il sole stava lentamente tramontando, ma lasciava ancora abbastanza luminosità da consentire anche alla sua vista temporaneamente annebbiata di darle una buona visione della strada. Con il passare del tempo tutti quegli insoliti sintomi se ne andarono, ma il ricordo di ciò che era appena accaduto era impossibile da rimuovere.

Sabrina continuava a pensare al fatto che la madre si era intromessa nei suoi progetti, quelli che aveva meditato da fin troppo tempo e che era prossima a realizzare. Non le avrebbe concesso di rovinare tutto così, non senza lottare. Avrebbe telefonato alla zia il prima possibile per mettere apposto le cose, in fin dei conti era ora mai maggiorenne e la madre non avrebbe potuto costringerla a restare. Restava solo da sperare che quest'ultima non avesse detto qualcosa di falso e spiacevole alla zia, cosa di cui Sabrina, visto il comportamento della madre, non dubitava.

La sua passeggiata continuò per più di un ora. Il tramonto smise di regalarle quelle piacevoli sfumature color arancio, facendo così spazio all'oscurità e, poco dopo, all'inizio di una pioggia scrosciante. Sabrina dedusse che non doveva essere affatto il suo giorno fortunato e cominciò a correre per raggiungere quanto prima casa, ma si prospettava una cosa infattibile visto l'aumento della pioggia. Mentre cercava con lo sguardo un luogo dove ripararsi momentaneamente il suo di un clacson la fece sobbalzare. Si voltò di scatto e notò che, all'interno della vettura che la aveva fatta spaventare, c'era Giacomo, il ragazzo che la aveva invitata alla festa quella mattina.

< Sabrina cosa ci fai sotto la pioggia? >

Chiese il ragazzo, abbassando il finestrino. Sabrina non rispose, anche perché non c'era una effettiva risposta a quella domanda.

< Sali, ti do un passaggio. >

Si offrì lui, togliendo la chiusura automatica dallo sportello del passeggero. Sabrina fu titubante, era solo un compagno di scuola certo, ma non le andava di farsi accompagnare, anche perché chissà quali storie sarebbe potuto andare a raccontare o quali idee avrebbe potuto farsi.

< Non sto andando alla festa. >

Ribatté lei, avendo intuito che senza dubbio Giacomo si trovava in quella zona per andare alla celebrazione a cui lui stesso la aveva invitata.

< Lo ho intuito da come sei vestita. Ti accompagno a casa, tranquilla. >

Disse ridendo e facendo ricordare a Sabrina di essere ancora in tuta. La ragazza sospirò, poi si affrettò ad entrare all'interno della vettura. A smuoverla fu anche lo stato di malessere che aveva provato dopo la discussione con la madre, forse non era il caso per lei di starsene fuori in quelle condizioni.

< Scusa per il disturbo, stavi andando alla festa? >

Chiese poi, quasi imbarazzata nell'approfittare di un passaggio dal ragazzo che aveva rifiutato quella mattina stessa. La macchina nel frattempo si mise in moto e fece inversione a U per dirigersi verso la strada dove si trovava la casa di Sabrina.

< Tranquilla, nessun disturbo, tanto sono in anticipo. >

Rispose lui scrutandola e facendosi tornare alla mente quanto avrebbe desiderato presentarsi a quella celebrazione assieme a Sabrina. Sapeva che era una delle ragazze più ambite all'interno della scuola, ma sapeva anche che nessuno era mai riuscito ad avvicinarla. Il carattere scontroso e distaccato di Sabrina le aveva infatti procurato molti nemici, anche se a lei non importava più di tanto, era in grado di ignorare tutti senza il benché minimo problema e ci era riuscita per sei lunghissimi anni.

< Nessun ripensamento? >

Chiese Giacomo, tentando di riuscire a vedere oltre l'incredibile quantità di pioggia che si abbatteva sul parabrezza.

< No. >

Sospirò Sabrina, portando lo sguardo sul finestrino alla sua destra. I suoi capelli si erano completamente bagnati, così come la parte superiore della tuta, una volta raggiunta casa avrebbe dovuto farsi una doccia. Nonostante l'insolito diluvio però il clima primaverile aveva ancora avuto la meglio lasciando una ingente quantità di calore che, mischiata ai vestiti bagnati, la stavano facendo letteralmente liquefare. A distrarla dalle condizioni climatiche fu l'improvvisa inchiodata della macchina che la fece sobbalzare dalla paura.

< Perché ti sei fermato? >

Chiese Sabrina confusa, cercando di riconoscere la zona dove si trovavano. Giacomo lasciò il volante e si abbandonò contro il sedile.

< Che strada devo prendere ora? >

Chiese poi sorridendo. Sabrina ricordò di non aver detto al ragazzo dove abitasse, la cosa risultò anche per lei piuttosto comica visto che all'inchiodare della macchina aveva già temuto di incappare in un qual si voglia incidente stradale.

< Hai ragione scusa... >

Sbottò, alzando la mano per indicare la strada da seguire attraverso la fitta pioggia. Il suo polso venne però improvvisamente afferrato dalla mano del ragazzo. Lei non ebbe neppure il tempo di realizzare cosa stesse accadendo che un'altra mano le afferrò la spalla spingendola contro la portiera. Il ragazzo si portò su di lei, schiacciandola con il suo peso. La prima cosa che tentò di fare fu urlare, ma la mano che precedentemente le aveva bloccato la spalla si piantò sulle sue labbra.

< Non ti agitare Sabrina, scommetto che piacerà anche a te. >

Sussurrò lui, impedendo ogni tentativo della sua vittima di opporsi. Con la mano schiacciata contro il sedile Sabrina riuscì a raggiungere la maniglia, ma quando la tirò non accadde nulla a causa della chiusura di sicurezza. In quel momento si accorse di non poter fare nulla per evitare quanto stava accadendo, non poteva ignorare come aveva sempre fatto, non poteva neanche rifugiarsi dentro la sua mente. Quel ragazzo aveva sfondato ogni sua barriera ed adesso si preparava a fare con lei tutto ciò che voleva, senza il minimo riguardo e rispetto. Con sempre maggiore velocità quel giorno tutte le persone che aveva sempre escluso e che si erano limitate a fare da contorno della strada per raggiungere i suoi sogni si erano intromesse nella sua vita, ferendola e cercando di privarla di ogni metodo che avesse per costruire la sua vita con soddisfazione.

Mentre sentiva il suo corpo venire toccato da mani sconosciute la paura veniva soppressa dalla rabbia, dal desiderio di farla pagare a chiunque si intromettesse nella sua vita ed a chiunque le avesse fatto un torto. Dalla rabbia fuoriuscì il desiderio di vendetta e proprio in quel momento Sabrina vide ancora una volta quell'ammasso di scintille, quella stella luccicante che brillava sul petto del suo aggressore. Mentre quest'ultimo sembrava totalmente ignaro di quanto stava per accadere Sabrina sentì l'impulso di muovere la mano libera, quando lo fece le numerose scintille cambiarono colore, divennero violacee e cambiarono forma. Giacomo non si muoveva più, una ragnatela di fiamme viola lo avvolgeva senza bruciarlo, ma impedendogli ogni movimento. Lei chiuse gli occhi, mentre un secondo impulso la spinse a chiudere la mano a pugno. Una luce scarlatta si accese all'interno dell'auto, per poi svanire subito dopo, come un lampo da temporale. All'interno della vettura, quando Sabrina riaprì gli occhi, non c'era più nessuno a volerla violare, a volerla privare dei suoi sogni, a voler infrangere il suo castello mentale in fase di costruzione, ma solo ceneri.

 

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Phenex