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Autore: Antony_    19/11/2012    2 recensioni
La mia storia inizia da una sfida.
Sfida che, stupidamente, ho accettato una noiosa mattinata di scuola.
Con la mia compagna di banco.
Ora che ci penso, quasi tornerei indietro. Quasi.
Avevo promesso qualcosa di pericoloso, estremamente pericoloso e avevo giurato che avrei combattuto per ciò in cui credevo, quello che propriamente, la maggior parte delle persone chiama il proprio ideale, comunque, avrei combattuto e, se fosse stato necessario, sarei morta.
Promessa da coglioni, vero? Me ne accorgo ora, ma ora è troppo tardi.
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 13

Era il giorno del concerto. Era il giorno del concerto! Debby, Guido, Diego... io.

Svegliati!– mi gridò qualcuno all'orecchio. Non appena vidi una cresta di capelli mi rigi­rai e infilai la testa sotto il cuscino producendo suoni biascicati.

Ronny, togliti questo coso, non capisco quello che dici!– disse Guido strappandomi il cu­scino dalle mani.

Non stavo dicendo niente. Ma te ne sarei grata se uscissi e mi lasciassi dormire per ancora dieci minuti– rise di cuore –sono felice di starti a cuore– scherzai.

Ma è lunedì! E c'è il concerto! Ed è tardi– mi riscossi, effettivamente non avevo modo di sapere che ore fossero realmente.

Che ora è?– chiesi sospettosa.

Tardi...–

Quanto tardi?– mi voltai e controllai la sveglia: le 4:00! –Guido ma vaffanculo!– urlai sal­tando sul letto e prendendolo a cuscinate. Si mise a farmi il solletico sotto i piedi e scoppiai a ridere in modo ben poco delicato.

Su, su, vatti a vestire che io mi devo re-laccare la cresta– disse con il fiatone.

Ok... senti un po', ma... che effetto ti fa Debby?–

Debby– ripeté il nome a bassa voce sussurrando –nessuno... si vede tanto che mi piace?– chiese preoccupato.

No, tranquillo– mentii –piaci anche a lei–

Davvero? È talmente bella– mormorò dolcemente.

Spostati romanticone, non voglio vomitare– brontolai mentre nella mia testa pensavo 'ma non poteva essere una racchia con i denti storti e un carattere orribile?'.

Che abiti dovevo mettermi? Non ero mai stata ad un concerto punk (Guido suonava il punk)... decisi che sarebbero andati bene quelli che indossavo per andare ai concerti rock. Ma c'erano solo magliette con i nomi delle band.

Guido!– urlai dal bagno con la porta della camera chiusa –Che vestiti devo indossare?–

Fammi entrare– disse lui. Mi arrotolai un asciugamano intorno al corpo e lo invitai ad en­trare. Frugò tra i miei pochi vestiti. Poi prese una maglietta lunga rossa e bianca con dei te­schi neri strappata su uno sfondo nero intatto. Era favolosa, me l'aveva prestata una mia amica tanto tempo fa, doveva avermela lasciata e io con un colpo di fortuna dovevo averla presa senza rendermene conto facendo la valigia per scappare da “casa mia”.

Dove la tenevi?– chiese Guido stupito.

Me l'ero dimenticata–

Hai qualcosa con cui metterla?–.

Cercai nell'archivio mentale... avevo dei pantacollant neri lucidi.

Perfetti e hai delle scarpe? Anfibi?–

Guido, spiacente, ma in quelli non ti posso aiutare, non li indosso–

Ti starebbero bene, davvero, che numero hai di piedini?– chiese riferendosi ai miei piedi che, in confronto ai suoi, erano minuscoli.

38... circa– risposi. Sorrise. Lasciai passare il tempo, mi vestii e incorniciai i miei occhi az­zurri di matita nera e mascara un po' più pesantemente del solito tracciando una virgola ai bordi degli occhi.

Dipinsi la mia bocca di rosso. Con la pelle scura, gli occhi neri e i capelli neri quel trucco stava benissimo ed era anche intonato con i vestiti.

Lanciai una rapida occhiata all'orologio, erano le sette, tra mezz'ora saremmo dovuti anda­re.

Guido entrò in camera. Mi guardò e mi posò ai piedi degli anfibi. Provai a calzarli, stavo bene... in qualche maniera, erano fantastici!

Wow, sono davvero belli–

Guido mi fissava a bocca aperta. Imbarazzata contemplai ammirata il lampadario, c'erano ben undici lampadine.

Sei... Diego... beh, ok– farfugliò.

A dire il vero mi sentivo ridicola, non per i vestiti, che di per sé erano splendidi, ma perché li portavo io. Non volevo farmi vedere da Mr. Cloud e da Aliviero. Presi in proposito l'idea di correre, ma ero abituata a farlo con le All Star, gli anfibi mi avrebbero solo fatta rovinare a terra. Così uscii allo scoperto sotto gli sguardi che tanto temevo.

Ronny... sei meravigliosa– disse Aliviero –manca qualcosa, però– continuò e restò impala­to a ragionare. Mr. Cloud che, come al solito, leggeva il quotidiano, appoggiò i gomiti sulla poltrona, bevve un sorso di latte e lo sputò sull'abito di Aliviero. Non potei trattenermi e mi spanciai dal ridere nel vedere la faccia contrariata di Aliviero che sbuffava scocciato e la tensione volò alta, come i miei sogni. Avevo fatto colpo?

Cloud!– sbraitò Aliviero –Ah, lasciamo stare, Ronny– disse rivolto a me –ho trovato cosa manca–.

Sparì dietro un muro e ricomparve con una spilla lunga e rossa in mano. Mi prese i capelli che stavano davanti a formare il ciuffo e me li fermò dietro con la spilla lasciandomi la fronte scoperta. Mi porse uno specchietto e m'ispezionai. Era un tocco di classe, gli occhi risaltavano molto meglio.

Secondo me Diego non ti fa uscire di casa– considerò Mr. Cloud –geloso com'è–.

Avvampai, mi sentivo nuda con la fronte scoperta.

Andammo a prendere Debby e la vidi: non esistevo più. Aveva un vestito corto e nero con tante borchie da rimanere spinati solo a guardarla. Le ballerine nere erano anch'esse co­perte di minuscole auree borchie. Si sapeva truccare davvero bene, il trucco sugli occhi era come il mio, ma lei aveva sfumato dell'ombretto oro sulla palpebra. Anche lei aveva messo il rossetto rosso e si era colorata le guance, alcune ciocche di capelli erano nere, quelli sciolti le arrivavano fino all'ombelico, poco più corti dei miei, scendevano in lievi e delicate onde.

Sei bellissima– mi disse. Credevo mi stesse prendendo in giro, ma poi ricordai che non aveva ancora sviluppato il mio sarcasmo e dissi: –Tu di più–.

Siete entrambe splendide– equilibrò Guido posizionandosi alla destra di Debby. Mi senti­vo falsa e invidiosa, tutto ciò che non ero mai stata. Poche volte mi era capitato di avere della seria competizione, sapevo di essere bella, non me ne facevo vanti, ma ne ero coscien­te. Falsa perché detestavo truccarmi così tanto, era come indossare una maschera. Io non ero così, non lo sopportavo.

Arrivammo al ritrovo, dove stavano allestendo il palcoscenico. Ovunque c'erano mie foto sulla statua al lago, com'ero naturale, com'ero io. Avvicinai una mano alla bocca per strofi­narla, ma, appena la sfiorai, mi accorsi che c'era il rossetto.

Debby! Ronny!– ci salutò Diego. Aveva salutato prima lei...

Non so cosa dire, chi le ha truccate così?– chiese rivolto a Guido con gli occhi che brilla­vano e guardavano Debby.

Hanno fatto tutto da sole, le nostre bamboline– mi si spense il sorriso falso che avevo te­nuto. Girai sui tacchi.

Ronny! Dove vai?– Diego mi seguì.

Lasciami stare!– ordinai.

Entrai nel bagno della sala, mi guardai e non mi riconobbi. Poteva essere un motivo futile, ma non stavo bene.

Mi struccai, rimisi solo il solito filo di matita che, anche se ci passavo la mano sopra, non se ne accorgeva nessuno e una striata di mascara.

Tenni i capelli indietro, mi piacevano così.

Salutai la nuova me e riabbracciai quella vecchia.

Ti sembro ancora una bambolina, Guido?–.

Mi squadrò stupito –Perché? Eri bellissima–

Ma non ero io. Non mi nascondo dietro il trucco–

Vai benissimo anche così–

Non ho bisogno che sia tu a dirmelo–.

Giornata no? Ero davvero acida e scontrosa. Più che altro, non volevo essere trattata come una fragile, non ero una bambolina, ero Ronny. Forse era grazie a questo che ero l'unica a poter vincere contro la Chiesa.

Debby, non è che potrei parlarti un attimo?– domandai gentile, sentendomi in colpa.

Certamente–.

Ci rifugiammo dietro le quinte e io ebbi l'occasione di vedere un tecnico che montava quel­l'incredibile intrico di tubi.

Prima che inizi ti volevo dire che...– emise un fischio –sei stata grande–.

Perché?–

Anch'io detesto truccarmi e questo trucco non lo sopporto, ma non avrei mai avuto il co­raggio di struccarmi come hai fatto tu–

Non ci vuole tanto–

Davvero? Non ci vuole tanto a prendere, urlare che nessuno ti comanda, correre via, tor­nare spoglia del trucco fiera della tua naturale bellezza sapendo che tantissime si sono truc­cate per prenderti il tuo ragazzo e rimanere implacabile?–

Non è andata proprio così...– farfugliai imbarazzata.

Sembra una cosa da poco, ma non lo fa nessuna e non è certo perché il trucco piace a tut­te– scherzò.

Io ero andata lì con l'intenzione di dirle di non fare tanto la bella con il mio ragazzo e che ero un'invidiosa e lei mi elogiava. Murphy, hai sempre ragione, maledetto te.

Mi strofinai il collo e mi liberai i capelli dallo spillone in un atto naturale.

Cosa volevi dirmi?–

Cosa... volevo... ah, sì, ehm... Diego ti guarda continuamente...– dissi a voce bassissima.

Diego che cosa? Ma... oh, tu sei l'unica per lui, ma ti sei vista?–

annuii –E ho visto anche te, devo ammettere che non sono proprio sicurissima di me, tu sei così... attraente, mi fai un po' paura– ammisi.

Oh, no! Credimi, Diego vuole te, non sai che faccia ha fatto quando ti ha vista tornare struccata–

Quale?– mi si accesero gli occhi.

Quella di qualcuno che aveva appena ritrovato dopo anni la donna che amava– rispose te­neramente.

Il cuore si rimise a battere e il respiro si liberò. Ero rimasta in tensione. Lo amavo. Lui mi voleva com'ero, non come la bambolina di Guido. Voleva Ronny. Risi e piansi.

Oh, mio Dio ti faccio sempre male in un modo o nell'altro–

–“Mio Dio” no, ti prego– la supplicai e ridemmo. Forse un giorno lo capirà che io non sono una persona normale. Forse un giorno lo capirò anch'io.

   
 
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