Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Sakyo_    07/06/2007    7 recensioni
«E' cieco»
«Cosa? Che stai dicendo?» questo presunto Dio femmina è totalmente fuori di testa.
«Il tuo cuore. E' cieco» dice, pacata. «Lo è sempre stato»
Una ragazza in punto di morte si ritrova a dover fare i conti con la sua coscienza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Finalmente, il momento è arrivato. Sono giunta sull’orlo di un precipizio.
Strano, avrei giurato che mi sarei ritrovata a dover percorrere il fantomatico tunnel illuminato da una luce divina e accecante, o che qualche creatura terrificante, alata o con un'ascia in mano, mi sarebbe venuta a prendere.
Beh, poco male. Sono mesi che aspetto questo. Non importa in che forma, il momento è arrivato.
Ora mi butto e la faccio finita.
Mi sporgo leggermente in avanti, pronta per il salto.
«Dove vai?»
Una voce femminile dal tono severo mi fa sussultare.
Ah, è arrivato Dio. Mi ero dimenticata di questa possibilità.
«Chiunque tu sia, non iniziare a farmi la predica, perderesti solo il tuo tempo» rispondo subito. Il mio tono di voce è deciso, ora che ci sono non voglio buttare tutto all'aria per nessuna ragione.
Silenzio.
Un momento. Ma allora Dio è una donna?
Passa un po' di tempo, precisamente non saprei dire quanto, ho come l'impressione di aver perso improvvisamente la cognizione spazio-temporale.
«Non ti farò alcuna predica. Devo solo mostrarti alcune cose. Vuoi ascoltarmi?»
Di riflesso alzo lo sguardo verso l'alto, come se da un momento all’altro potessi vedere qualcuno scendere dal cielo… Rabbrividisco. Il cielo non c'è. O meglio, mi accorgo che sopra di me non vi è assolutamente nulla.
Inquietante.
Cos’è che mi ha detto, quella voce? Deve farmi vedere qualcosa?
Immagino che questa specie di rito prima dell'atto finale sia comune a tutti, quindi dovrò pazientare ancora un poco e acconsentire alla sua richiesta.
«Va bene» mi limito a rispondere, e immediatamente mi ritrovo catapultata in un immenso spazio d’erba ricoperto di fiori dai colori tenui e arbusti di ogni tipo. Lanciando un'occhiata veloce in giro, mi sembra di scorgere anche un laghetto giù in fondo.
Wow. Sarà il paradiso?
Resto ferma, in attesa che la voce si manifesti nuovamente.
«Allora?» chiedo, leggermente seccata.
«Osserva»
«Osservare cosa? Non c’è niente di speciale qui!»
Per tutta risposta, ancora una volta la voce scompare. Questo silenzio sta diventando fastidioso.
Ma dato che non sento più nulla, tanto vale che mi dia da fare.
Inizio a camminare e a guardarmi intorno annoiata. Piante, alberi, fiori… Ma non finisce mai questo giardino? Noto il laghetto di prima, che scopro essere in realtà un piccolo stagno e decido di avvicinarmi. Mi sporgo piano in avanti e rimango di sasso quando mi accorgo che l'acqua non riflette la mia immagine.
Che sciocca, è normale. Qui sono solo un'anima vagante. O almeno credo.
Continuo ad andare avanti ma non riesco a trovare nulla che possa suscitare un minimo di interesse o per lo meno curiosità.
«Cos'è che dovrei osservare?»
Nessuna risposta.
«Ehi!»
Comincio a sentir crescere in me l'impazienza, ma proprio quando mi appresto a mandare al diavolo quella voce credendo che stia solamente prendendosi gioco di me, finalmente quella si degna di rispondermi.
«E' cieco»
«Cosa? Che stai dicendo?» questo presunto Dio femmina è totalmente fuori di testa.
«Il tuo cuore. E' cieco» dice, pacata. «Lo è sempre stato»
Benché non riesca a capire, quella frase mi colpisce. Ma faccio finta di nulla.
«Guarda la quercia alla tua destra»
Mi volto verso l'albero e lo guardo. «Beh?»
«Il ramoscello»
Cosa avrà di tanto interessante un misero ramoscello? Avvicinandomi strizzo un po' gli occhi per focalizzare meglio il punto che mi è stato indicato.
E vedo una farfalla. Una minuscola, banalissima farfalla bianca.
«Senti, non mi sono mai piaciuti i giri di parole» dico, esasperata. «E' una semplice farf...» ma la voce mi blocca prima che io possa terminare la frase.
«Sì, è una semplice farfalla. Un piccolo insetto a cui nessuno fa molto caso. Guardala»
Torno a osservarla e d'improvviso il mio cuore sussulta.
Ha le ali spezzate, trema, ma tenta di reggersi sulle esili zampette e di non cadere giù dal ramo.
«Hai visto? Sta lottando. E sai per cosa?»
Non rispondo, il mio sguardo resta fisso quella piccola creatura.
«Per vivere. Lotta con tutta se stessa per rimanere in vita. Sai qual è il suo ciclo di vita? Nasce dall'uovo, diventa bruco, muta in crisalide e infine si trasforma in farfalla. Tremendamente faticoso, non credi? E ora dimmi, sai quant'è la durata della sua vita?» dal tono della voce non traspare alcuna emozione.
«Il massimo... E' una settimana» rispondo, roca. Ricordo di averlo letto su un libro quando ero piccola.
«Proprio così. Una settimana. Ma lei, ignara di questo, ce la sta mettendo tutta. Puoi chiamarlo spirito di sopravvivenza»
Poi la voce scompare di nuovo, e resto sola con la farfalla. Quando mi volto verso il ramo però, non c'è più. Guardo intorno e la trovo per terra, nell'erba. Senza vita.
Per la seconda volta mi trovo catapultata in un altro luogo, una stradina di una città sconosciuta.
Che succede? Sto sognando?
«Questa è una qualunque città del mondo» dice una voce di ragazza.
Ah, allora era tutto vero!
«Ora apri gli occhi. Gli occhi del tuo cuore»
A quella frase percepisco un brivido freddo percorrermi tutta la schiena.
Mi metto in cammino, nonostante non abbia mai messo piede in questa città prima d'ora, sembra che io sappia già precisamente dove andare.
La gente intorno a me non si accorge della mia presenza. Forse non mi vedono... Anzi, è sicuramente così.
Ad un certo punto le mie gambe si fermano davanti ad un vicolo stretto e buio, dove decido di entrare.
Lì, in mezzo alla spazzatura si trova una piccola scatola di cartone umida e malridotta.
Mi ci avvicino e la apro.
Dentro c'è un gatto randagio, vecchio e spelacchiato. Una volta il colore naturale del pelo doveva essere bianco, ma ora la sporcizia l'ha reso completamente grigio.
Anche lui sembra non notare la mia presenza. Alza il muso e annusa piano l'aria, poi esce a fatica dalla scatola e inizia a leccare una spina di pesce lì vicino.
«Questo gatto ha sempre vissuto qui, da quando è nato. E come vedi, è costretto a una dieta ormai da troppo tempo forzata...»
Vedendolo leccare avidamente quel pezzo di spina, provo una pena infinita.
Ad un tratto alle mie spalle sento avvicinarsi dei deboli passi. Una vecchietta, coi capelli bianchi e un sorriso gentile sul viso solcato dalle rughe si fa strada tra la sporcizia. Si siede accanto all'animale, che subito si accoccola tra le sue gambe.
«Lei invece è una senzatetto. Ogni sera viene a coricarsi qui, vicino al gatto. Non hanno cibo e nulla per coprirsi quando fa freddo. Presto moriranno, ma sono felici»
«Sono felici?»
«Sì, perché l'uno ha donato un po' d'amore all'altra. Esclusi dal mondo, si sono cercati, trovati e accettati senza troppe morali»
Quelle parole entrano dentro di me lentamente ma in profondità, provocandomi la spiacevole sensazione di essere perforata da tante lame taglienti. Doloroso, decisamente doloroso.
Di nuovo lo sfondo cambia e ora mi ritrovo in una casa. Nel salotto ci sono una mamma, un papà e un bambino.
Quest'ultimo è seduto su una sedia a rotelle.
«Avvicinati»
Faccio come mi ordina la voce e mi siedo sul divano accanto alla donna, totalmente ignara della mia presenza.
Stanno discutendo vivacemente in una lingua che però non capisco.
«Questo bambino è affetto dalla nascita da una grave malattia. Nonostante ciò... Osserva i suoi occhi»
Mi volto verso di lui e rimango abbagliata da ciò che mostrano le sue iridi luminose... Speranza.
«Proprio così, speranza. Un sentimento che lo porta a credere nei sogni, come quello di diventare un pittore. Dice di voler girare il mondo per disegnare tutti i paesaggi esistenti» la voce fa una pausa, poi continua «Secondo i dottori gli rimangono due mesi di vita»
Le lame arrivano sempre più in profondità.
«I suoi sogni non si realizzeranno mai» rispondo, ma il tentativo di tenere un tono fermo e impassibile non convince neanche me stessa.
«Sì, invece. E sai perché? Lui possiede una cosa che tu ormai non hai più. Probabilmente non l'hai mai avuta»
«La speranza» mi ritrovo a sussurrare con un filo di voce.
Dopo la mia affermazione, improvvisamente tutto intorno a me sparisce come cancellato da una gomma invisibile e mi ritrovo in una camera d'ospedale che conosco fin troppo bene. Lì, sul letto, sono distesa io. Sono in coma da tre settimane.
Sento una presenza dietro di me, mi volto e mi ritrovo davanti un'altra me stessa.
«Tu sei...?»
«Sì, sono la voce che ti ha guidata. Puoi definirmi la tua coscienza, se vuoi»
«Io... Devo andare. Devo andare adesso. Riportami al precipizio» mi accorgo che mi trema la voce.
L'altra me sembra non aver sentito le mie parole e si avvicina al letto dove sto dormendo da molto tempo.
«Guarda» dice, indicando il mio viso immobile poggiato sul cuscino «L'elettrocardiogramma dice che sei ancora viva. Ma la tua espressione...»
«E' morta» mi ritrovo a concludere la frase. Rimango immobile.
«Morire è la risposta?» mi chiede. «La risposta ai tuoi problemi è davvero questa?»
«Lo sai»
«Pensi che esistano motivi davvero validi per morire?»
Non rispondo. I miei occhi sono fissi sul viso inerme della terza me stessa.

 

Forse...



«Hai diciassette anni. La vita per te non è ancora iniziata» il suo tono è talmente autoritario da incutermi timore.
I battiti del mio cuore segnati sull'apparecchio elettronico iniziano improvvisamente a diminuire.
«Il bambino, la barbona e il gatto, la farfalla... Loro volevano vivere»
«Non mi importa niente!» mento.

Forse...



«Non sai cosa ti riserverà il futuro»
Tum. Il cuore si ferma qualche istante. Fisso terrorizzata la macchina.
Riprende a battere.

Forse...



«Fammi vedere la tua forza di volontà! Fammi vedere che hai ancora la speranza!»
Ma è l'ultima frase che sento.
Il mio cuore è troppo debole. Sullo schermo dell'elettrocardiogramma le linee verticali scompaiono definitivamente, lasciando il posto ad una sola, lunga linea orizzontale.

No, è troppo tardi ormai.



«Hai perso.» 

  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Sakyo_