Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Segui la storia  |       
Autore: Ronnie02    20/11/2012    3 recensioni
(Sequel "One Day Maybe We'll Meet Again)
Ormai le famiglie dei nostri pazzi marziani sono stabilite e la normalità regna nella loro vita. Tra famiglia, album e concerti, però Jeremy, come l'ultima volta, si ritrova a sfogliare un vecchio album fotografico. Cosa scoprirà attraverso quelle foto? Che ricordi nascondo quegli scatti?
*slide of life della storia principale*
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'One Day Maybe We'll Meet Again'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Arriva in punta di piedi per la seconda volta....... OK, SPARATEMI ME LO MERITO! *piange*
Allora sentite, lo so lo so lo so mi dispiace! Ho balzato di nuovo una settimana ma date la colpa a questa dannata scuola! E' da due settimane che sto studiando praticamente solo biologia perchè interroga ad ogni lezione (mercoledì ovviamente -.-) e gli altri giorni non è meglio.
Mi spiace avervi fatto aspettare, ma almeno stavolta il capitolo è lungo :D

però stanno scendendo un pò le recensioni... cos'è non vi piace? Ditemelo vi prego, così mi regolo un attimo. 
Grazie comunque come sempre, ora vi lascio alla lettura :)





Chapter 8. When I was seventeen…

 




‘School sucks’.
Wow, Jared si era veramente impegnato stavolta… pessimo. Non lo credevo possibile che avessi un fratello così idiota.
Aveva sedici anni ma era davvero un bambino.
“Wow, ti credi tanto figo a portare quella maglietta al ballo della scuola?”, gli chiesi mentre sotto metteva dei jeans neri e le delle Converse dello stesso colore.
Ok, entrambi odiavano quelle stupide feste e nessuno dei due, sebbene quasi tutta parte femminile della scuola ce l’avesse chiesto, avevamo deciso di andarci da soli, bere qualcosa e scappare via con i nostri amici per farci un giro al fiume.
Però almeno io non esibivo magliette dall’originalità di un pesce rosso mezzo morto.
“Non rompere le palle, fratello. Ma ti sei visto tu?”, mi chiese. Niente di male, camicia e pantaloni, ero… anonimo. Come se uno di voi Leto potesse essere anonimi!, aveva ridacchiato Jessie un giorno, mentre ripetevo questo stesso aggettivo.
“Finiscila”.
Lui alzò gli occhi al cielo e mi fece segno di uscire dalla sua camera un secondo. Che palle! Dieci anni e sarebbe diventato un maniaco dell’ordine, ci avrei giurato.
Mamma forse si era fumata qualcosa prima di concepirci ed era rimasta confusa. Sebbene non fossimo gemelli, avevamo poco tempo di distanza, un anno, e invece di avere metà pregi e metà difetti per ognuno, eravamo ai poli.
Lui era perfettino, non dava a vedere mai ciò che provava, la sua vita privata o familiare era un mistero per tutti tranne che per chi faceva parte di quella vita e stava spesso e volentieri da solo, sebbene uscisse con molte ragazze e avesse molti amici. Come facesse era un enigma anche per me.
Io invece ero un casino sia fuori che dentro. Camera mia era sempre piena di vestiti in giro, cuscini per terra, fogli ovunque, bacchette della batteria dimenticate chissà dove, tamburi negli angoli e via dicendo. In più entravo in casa mia solo per dormire e stavo fuori con chiunque capitasse. Amici, ragazze, persone conosciute in giro della mia età che sembravano simpatiche. Non importava.
La mia vita era sempre sulla bocca di tutti, ormai avevo perso la voglia di fermare i pettegolezzi e tutto quello che Jared non voleva dire io lo facevo passare senza dire però che ciò per lui era zona rossa.
Al contrario mio, che non m’ interessava, lui aveva dei segreti che nessuno al mondo doveva scoprire e li aveva rinchiusi in questa zona rossa, una linea inventata nella nostra testa. Nessuno avrebbe dovuto prendere i ricordi dietro quella linea, a meno che non si voleva passare ore a subirsi la sua ira e giorni senza che lui parlasse.
Una volta era successo. E per quello non mi aveva più parlato per due mesi ed ero stato malissimo.
Per quanto facesse il cretino e qualche volta lo odiassi, stare senza la sua compagnia e la sua voce per due mesi era stata la cosa più terribile al mondo. Per perdonarmi dovetti fare un mese di pulizie da solo, dire di me qualcosa di così ridicolo da far dimenticare lo scoop che aveva fatto il suo triste segreto e scusarmi nel modo in cui solo noi potevamo comunicare: la musica.
Appena aveva sentito la canzone, aveva capito che non l’avevo fatto per ferirlo e così mi aveva perdonato, a patto però che facessi anche tutte le altre cose.
“BU!”, mi urlò nell’orecchio quando scese in cucina, perfetto come sempre con i suoi occhioni azzurri. Mannaggia a lui! “Sei vivo?”.
“Certo che sono vivo, che problemi hai?”, chiesi alzandomi dalla sedia. Guardai l’orologio: 20.15. Eravamo in perfetto orario… per la prima volta nella nostra vita.
“Io? Sei tu che ti imbamboli per mezz’ora senza ne muoverti ne parlare!”, ridacchiò mentre andavamo verso l’uscita della casa. Uscimmo e chiudemmo a chiave. “Mamma ha le chiavi, giusto?”.
“Lo spero, perché io non torno a casa”, dissi cominciando a camminare verso la scuola. Mamma… mamma era nel pieno momento post-luna di miele perenne.
Da quanto si era risposata, ovvero un bel po’ di anni prima, era rimasta innamorata cotta e non realizzava la vera realtà. Niente di male, il suo nuovo marito era fantastico e avevamo preso il suo cognome visto che il nostro vero padre l’aveva abbandonata dopo la nascita di Jared.
Non ricordavo granché di lui e Jared men che meno. Avevo memorizzato soltanto la faccia di mia madre: triste e completamente sola. Ovvero tutto il contrario di adesso.
Infatti quella sera erano andati a cena fuori per festeggiare non sapevo cosa, così noi avevamo via libera per divertirci.
In pochi minuti arrivammo a casa di Jessie e Coline, delle nostre amiche, e le vedemmo fuori dalla porta di casa. Coline, con i suoi capelli  mori e ricci, era vestita in un abito celeste accompagnato da un tacco altissimo mentre Jessie era in top rosso e pantaloncini di jeans neri, con le solite sneakers.
“Ottimo look, Jessie”, la prese in giro Jared mentre loro uscivano sulla strada. Lei gli fece la linguaccia e salutò me con la mano.
Coline aveva un anno in meno di Jared e avrebbe decisamente voluto andare al ballo con lui, ma non c’era stato modo di convincerlo. Era sua amica e in più non aveva nessuna voglia di passare la serata nella palestra della scuola a farsi sbavare dietro.
Così lei appena ci vide cercò di evitare Jared e cominciò a camminare svelta. Jessie la guardò un attimo, scosse la testa e poi la lasciò andare con un sorriso.
Lei aveva la mia età ed era esattamente come noi. Infatti per quanto fosse una delle ragazze più belle del liceo – con i suoi capelli biondissimi e lunghi fino alla fine della schiena e i suoi occhi azzurro-grigi, alta un metro e settanta e gambe da favola – non aveva accettato nessun invito e ci aveva obbligato a portarla con noi in giro.
A volte era davvero strano averla sempre tra i piedi, ma in fondo era così maschiaccio che tutti la consideravano una di noi. Lei odiava lo shopping o qualsiasi cosa di appariscente, ma al contrario amava partecipare i nostri scherzi colossali.
Tutte le ragazze erano gelose di lei per la sua evidente bellezza, ma a parer mio avrebbero dovuto essere più gelose del suo carattere.
“Hey Leto, ti sei addormentato?”, mi chiese mentre attraversavamo il campo da football della scuola. Ancora?! No, ero sveglissimo!
Vidi i miei amici, poco più avanti di noi due, avvicinarsi a Jared e cominciando a scherzare con lui, con le solite stupide battutine. Il programma lo sapevano anche loro, quindi non si erano vestiti eleganti apposta. Tutti i jeans e t-shirt… in effetti ero l’unico in camicia e la cosa mi stava cominciando a dare fastidio.
“No, ci sono, tranquilla”, risposi un po’ in ritardo alla domanda della bionda. Sentii Jared chiamarmi e velocizzai il passo, mentre sentivo la musica da discoteca arrivare dalla palestra.
La scelta di quell’anno: anni ’50. Bleah, sarebbe stato meglio abolirlo del tutto. Era un insulto a quell’epoca! L’unico motivo per cui esisteva quella festa era perché le ragazze trovassero il modo di fare colpo su ragazzi adocchiati da tempo e i ragazzi avessero la possibilità di portasele a letto a fine serata.
In effetti la maggior parte delle volte ci andavamo anche per quello ma quella sera ci saremmo divertiti in un altro modo.
“Shannon qui la musica è uno scempio, fa veramente schifo”, mi chiese mio fratello, trovandomi pienamente d’accordo. “Jason ha lo stereo in macchina e Walter ha saputo di una piccola festa con un falò sulla spiaggia. Che te ne pare?”.
Nel mentre gli altri annuivano quindi accettai anche io. “Sì, sembra piuttosto divertente”, risposi in fretta, prima che Jessie prendesse parola.
“Molto divertente. Poi potremmo fare un bagno di mezzanotte… se avete il coraggio”, osò sfidare tutti la bionda, ridendo. O merda!
Uno dei difetti di Jessie era proprio non rendersi conto delle conseguenze che potevano portare le sue parole e le sue sfide.
“Primo”, cominciò Jared, seriamente offeso mentre gli altri la guardavano come se fosse la solita ragazzina che non sapeva con chi aveva a che fare. Sebbene la conoscessero da tempo, ogni volta la guardavano sempre allo stesso modo. “Il coraggio è l’ultima cosa che non ho. E secondo, nessuno ti ha invitato, bellezza”.
“Già, piccola serata tra uomini!”, rise Fred, scherzando con Jason.
“Se! Uomini… voi?! Ma per piacere”, ridacchiò in risposta. Poi guardò me. “E comunque Shannon mi ha detto che potevo venire”.
“Cosa?!”, urlammo sia io che mio fratello. Gli altri rimasero scioccati, anche perché di solito nessuno sa dove andiamo nelle nostre uscite notturne. Nessuno tranne Jessie.
“Jessie, non ti ho mai detto nulla del genere”, continuai io fissandola male. Questa me l’avrebbe pagata cara.
“Ok, sei sempre più antipatico”, disse facendo il muso. Oh, grazie al cielo! “Vorrà dire che te lo chiederò ora: Shannon posso venire?”.
Dal muso passò al labbruccio barra faccia da cucciolo abbandonato e mi guardò con quegli occhi color del ghiaccio.
“Merda!”, sussurrai per non farmi sentire. Poi alzai la voce e chiesi aiuto a mio fratello. “Jared?”.
“Non l’ho chiesto a Jared, Shannon”, mi rispose tra l’annoiato e il deluso la biondina.
Non la considerai e aspettai che mio fratello guardasse gli altri e decidesse sul da farsi.
“Va bene, ragazza. Ma sappi che non è una compagnia di preti”, l’avviso Jared mentre io sorridevo della sua seconda frase.
“Jared, sono uscita con voi centinaia di volte, la vostra reputazione è conosciuta in tutto l’intero universo”, disse Jessie indicando tutti noi. “So chi siete e cosa fate, quindi risparmiami la predica”.
Gioco di parole tra preti e predica. Me lo sarei aspettato; Jessie era brava a scherzare quanto noi.
“Bene!”, replicò infatti Jared, prima di fare segno a tutti di partire.
 
“Sei il solito bastardo, Leto!”, mi prese in giro quando cercai di affogarla per scherzo.  “La prossima volta che mi tocchi ti ammazzo, figlio di tua madre!”.
“Figlio di tua madre?”, chiesi ridendo. “Come sei permalosa!”.
“Non mi va di insultare quella santa donna di Constance”, replicò lei togliendosi le gocce d’acqua dagli occhi. “E permalosa, sto cazzo, stronzo!”.
“Io? Ma se io sono un così bravo bambino!”, risi guardandola socchiudere gli occhi arrabbiata. “Come osi insultare un bimbo indifeso come me?”.
Jared nel mentre stava picchiando per finta Derek in acqua; sentivo le sue risate mischiate a quelle degli altri. Era meglio tenerlo d’occhio, a  volte sapeva esagerare in maniera negativa.
“Tu? Un bambino indifeso?”, rispose con una risata ironica per poi finire in una veloce linguaccia. “Sì, certo! Quando mi proclameranno regina d’Inghilterra!”.
“So God save the queen!”, dissi con un finto e pesante accento inglese, così ridicolo da farmi sembrare ancora più coglione di quando già non fossi di mio.
Fece una smorfia di disgusto e andò sott’acqua per sistemarsi i capelli, così io me ne andai in giro a nuotare un po’. Non era un posto enorme, ma ci si divertiva tranquillamente.
In più ormai i ragazzi con cui eravamo stati prima, quelli del parlato grande falò, se n’erano già andati da un pezzo, così eravamo da soli.
“Non ti libererai di me così in fretta, Leto!”, urlò Jessie arrivando di colpo sulle mie spalle e facendomi affogare e bere un po’. Bleah, che schifo!
“Jessie!”, le urlai addosso, cercando di scrollarmela via. Bene, era finita la pacchia, mi toccava sopportarla ancora per un po’.
“Sì, i miei genitori mi hanno chiamato così all’anagrafe. Puoi controllare se proprio vuoi essere sicuro”, fece la simpatica, prima di tuffarsi dalle mie spalle all’indietro e finendo con la schiena in acqua. Tornò a galla con i capelli bagnati e in un secondo notai dei tremolii di freddo sulla sua pelle.
“Bene, ma direi che è meglio andare ad asciugarci o ci prendiamo un raffreddore mai visto”, dissi cominciando a uscire dall’acqua. “Dai, è l’una meno un quarto, hai nuotato abbastanza!”.
“No, non voglio uscire!”, fece la bambina cattiva scuotendo la testa. Sbuffai e provai a prenderle le mani per spingerla fuori ma saltellava in giro troppo in fretta. Alla fine, dopo qualche tentativo, le afferrai i polsi, ma continuava comunque a muoversi. “No, no, no, no, no, no! Non voglio uscire! Jared, aiuto!”.
Tutti si spaventarono e mio fratello si girò curioso. Scosse la testa e sorrise mentre Jessie si muoveva ancora.
“Basta nuotare”, decretai.
“Shannon, per favore, dai! Non voglio uscire, non voglio, non voglio, non voglio! No, no, no, no, no, no!”, si lamentò ancora mentre io ridevo. A  volte era così snervante!
“O esci, o esci. A te l’ardua scelta, Jessie”, le diedi una finta possibilità, pensando a come farla stare zitta.
“No, no, no, no, no! No. Assolut…”, disse prima che evitassi che disturbasse la quiete pubblica. Senza pensare le presi il viso tra le mani e la baciai, lasciandole le altre parole in gola.
Non l’avevo fatto con l’intenzione di farle provare qualcosa per me o rivelarle qualcosa che provavo io per lei. La storia di avere una ragazza… erano minchiate liceali e basta.
L’amore non faceva per me e nemmeno avevo mai provato a cercarlo. Come se la mia anima gemella fosse davvero seduta sui banchi della mia stessa scuola!
Però… però per un attimo di tempo rispose al bacio, cercando di farsi stringere di più dalle mie braccia.
“No”, sussurrò in seguito, staccandosi di colpo, frantumando ogni mia possibilità di però. “Non posso, Shannon. Mi dispiace, davvero”.
All’improvviso, per la prima volta da quando la conoscevo, la sua faccia si fece subito seria. Si staccò da me del tutto e se ne andò sulla riva, prendendo le sue cose e scappando via, mentre io realizzavo ancora il tutto.
 
“E come finì?”, chiesi a zio Shannon mentre passeggiavamo vicino allo stesso fiume di cui mi aveva appena parlato, a Bossier City.
“Che dimenticammo tutto e tornammo ad essere gli amici di sempre. Poi, dopo due mesi, lei si trasferì a Toronto, in Canada, con i suoi”, mi rispose con un sorriso malinconico. “Non so se fu per quello che scappò via quella sera. Ma alla fine persi sia la possibilità di una storia seria, ma anche e soprattutto quella che consideravo la mia migliore amica”.
Ci fermammo e ci sedemmo su dei sassoni, di fianco al fiume. Ne presi uno piccolo, sott’acqua,e lo lasciai a qualche metro di distanza. Un rimbalzo, due, e poi la corrente lo abbandonò al suolo.
“Ma con zia Andy?”, chiesi.
“Tua zia è quello che non cercavo al liceo, l’anima gemella, se così vogliamo definirla. Jessie non era e non sarebbe mai stata nulla al suo confronto”, rise con lo sguardo perso. “Ma non fu facile lasciarla andar via”.
“Rinunceresti alla tua vita con Andy per lei?”.
“Mai. Perché dovrei? Andy è tutto ciò di cui ho bisogno”, mi guardò sorridendo. “E’ il mio sogno fatto a realtà”.
E in quel momento capii che aveva già detto quella frase, con lo stesso sorriso e lo sguardo perso nel passato.
 
Dire che ero stanca era fare un eufemismo. Vero mi aveva proprio uccisa!
Avrei voluto dormire per tutto il giorno, ma la ragazza me l’aveva proibito. La principessina del mare non aveva voglia di starsene sdraiata sul letto a fare niente, dopo un’intera giornata sulla spiaggia.
“Ti prego, Vero, lasciami qui a morire di sonno, lo preferisco”, chiesi stanca buttandomi sul letto mentre lei, con la musica al massimo, sistemava le cose del mare.
“You make me wanna die, Andy! Non il contrario”, sbuffò ridendo e saltellando in giro. Dove trovasse la forza lo sapeva solo lei!
“Tu scherzi, ma io davvero potrei rimanerci secca un giorno di questi a starti dietro”, esclamai sfinita. Mi misi seduta e la guardai mentre scuoteva la testa a ritmo e camminava seguendo la grancassa della batteria. Era così pazza!
Oggi aveva dei pantaloncini cortissimi versi con una canottiera bianca, con la scritta Bitch, life is great!. I capelli rossi erano diventati un unico boccolo bagnato dentro lo chignon post bagno in mare e la pelle era diventata color caramello per l’abbronzatura.
“Che hai?”, mi chiese guardandomi. Alzò un sopracciglio e poi scoppiò a ridere, mentre io le facevo la linguaccia.
“Len dice che si farebbe volentieri una strafiga come te”, confessai un segreto noto a tutti tranne che a lei nella nostra compagnia. “Anzi non vede l’ora di farti ubriacare con lei per dare la colpa all’alcol”.
“Len è fidanzata da due anni con Federico. Non lo vedo possibile, Miss Sono Troppo Stanca E Rompiscatole”, disse ammiccando e facendomi ridere.
“Dice che in realtà non sarebbe un vero tradimento visto che… ehm… non sei un maschio, diciamo”, ridacchiai ricordando il discorso della nostra amica, mentre lei sbuffava. “E Federico non si tirerebbe certo indietro per una cosa a tre”.
Toccò a lei ridere sta volta. “Due troie, ecco cosa sono quei due! Ci credo che stanno bene insieme”. Scosse la testa e dopo qualche secondo continuò. “E comunque ti sembro il tipo che accetterebbe?”.
“Perché no? Ti sono sempre piaciute le sfide”, ammiccai. E sapevo che sfidarla non era mai una cosa intelligente da fare.
“Ah sì?”, chiese lasciando perdere lo specchio con cui stava lavorando per rifarsi il make-up, lasciando un occhio perfettamente truccato e l’altro a metà. Venne verso di me, si appiattì come un gatto a caccia e si fece strada sulle lenzuola con uno sguardo strano. “Credi davvero che abbia voglia di scoparmi Len, magari insieme a Federico?”.
“Sì, Vero”, le dissi convinta, sapendo di farla incazzare. Per quanto tutti le dessero della stronza perché amava canottiere e pantaloncini corti, nessun ragazzo – o ragazza se si vuole specificare – l’aveva mai toccata. E dirle il contrario così apertamente la faceva uscire dai gangheri.
Un attimo dopo lei ridacchiò e mi capottò dalle coperte, mettendosi vicino a me, in ginocchio, e cominciare a farmi il solletico. Quando mi dimenai lasciò perdere e mi tirò un pungo indolore sul braccio.
“Non faccio sesso alla cazzo solo perché ho due gambe da paura e so aprirle grazie alla danza, chiaro?”, specificò. Appunto.
“Lo so, ma chi sono io per dirti di non andare con una ragazza?”, la presi in giro.
Lei si alzò e mi diede una pacca sul sedere, come tutte facevamo nel nostro gruppo mentre scherzavamo.
“I maschi danno più soddisfazione… credo”, alzò e spalle e tornò al suo specchio per sistemare l’occhio dimenticato. “E poi l’hai detto tu: mi piacciono le sfide. Che sfida sarebbe guardare qualcosa che conosco dalla mia nascita?”.
“Pervertita”, feci una smorfia di divertimento.
“Sei tu che hai iniziato. E poi sai che novità, Len è bisex e si farebbe anche quella povera di Natalia”, disse ricordandomi della povera ragazza che tutti evitavano. “Una volta ci ha provato pure con te”.
“Questo te lo sei inventato!”, ribadii puntandole l’indice contro.
“No! Ti sei già scordata la festa di Wendy dell’anno scorso? Ti stava pulendo con il suo corpo da quanto ti si strusciava addosso”, disse ridendo. Che incubo! La prima e ultima volta che avevo bevuto abbastanza da non capire più molto bene il resto del mondo.
Il giorno dopo, saputo cosa Len voleva fare con me, mi dovettero trattenere per non permettermi di picchiarla. Niente contro i suoi gusti, non ero una persona che giudicava per queste cose, ma non doveva permettersi di farlo con me.
“Non ero cosciente”.
“Infatti non sto dando la colpa a te, lo sai. Dio se è cornuto quel ragazzo!”, ridacchiò.
“Ma perché non la molla, scusa?”.
“Sono due troie, te l’ho detto. Se Len lo tradisce lo fa con delle ragazze e così Federico la perdona sperando che si decida per un tre”, concluse schifata dalla mentalità malata di quei due.
“Obbrobrioso”, commentai.
“Non potrei essere più d’accordo”, disse, per poi cambiare decisamente argomento. “Ora possiamo andare a festeggiare?”.
“Che palle!”, dissi alzandomi di malavoglia dal letto. A volte era insopportabile!
 
Mare. Per Vero non esisteva altro che mare.
Alla fine era riuscita a trascinarmi in città, ma poi avevamo deciso di andarcene a fare una passeggiata sul bagnasciuga, a rilassarci un po’ con il rumore del mare.
“Guarda Marte”, mi disse alzando la mano e indicando un piccolo pezzo di cielo. Il pianeta rosso brillava come poche volte e faceva sognare mondi sconosciuti e avventure supergalattiche. “E lì c’è Venere”.
“Sono così  belli”, sussurrai guardando anche l’altro pianeta, che splendeva come l’altro.
“I greci dicevano che Marte era innamorato di Venere, ma poi la cosa non funzionò. Lui era troppo ossessionato dalla guerra e del suo immenso giardino governato da rose, mentre Venere era in constante ricerca di attenzioni”, raccontò come se quei due pianeti fossero persone realmente esistite. “Non ricordo la fine della storia e del mito, ma credo non esista una morale.
Forse dopo tante ossessioni che la mettevano in secondo piano, Venere decise di lasciare Marte e lui rimase così addolorato da restare solo. Scelse solo due consiglieri e soldati fidati, che rimasero per sempre vicino a lui, sebbene le loro storie fossero altrettanto tristi”.
“Phobos e Deimos”, li chiamai. Gli strani satelliti del pianeta rosso, che lo accompagnavano sempre.
“Li immagino giovani e belli, guerrieri così formidabili da sostenere un amico come Marte, il dio che li guidava. Ma nel frattempo anche loro avevano i loro problemi.
Sempre percossi da un passato orribile da cui traggono perfino i loro nomi. Paura e Terrore, la sola cosa che Marte accetta di avvicinare dopo il suo immenso dolore”, raccontò.
“E Venere che fine fece?”, chiesi curiosa, guardandola sdraiarsi su uno scoglio e chiudere gli occhi, lasciando che le sue parole venissero trascinate dal vento. Feci lo stesso, ma continuai a guardare le stelle.
“Non lo so. Penso se ne sia andata in cerca del suo vero amore. Ma forse non riuscì mai a trovarlo, cosicché decide di prendersela con i mortali, combinando i guai omerici”.
“Tutti i disastri e le guerre cominciano per amore”, commentai.
“Già. L’amore rende l’essere umano debole, cieco e pazzo. Quell’uomo potrebbe essere il tuo migliore amico, ma nel momento in cui ama una donna diventa il peggiore degli animali e la difende con tutto se stesso”, lo descrisse come se conoscesse l’amore da tutta una vita. “Non avvicinarti alla donna che l’uomo veramente ama, o Marte si ricorderà di Venere e scaglierà contro di te l’odio del tuo amico”.
“E la religione?”.
“Credo sia sempre una sorta di amore. Forse peggiore perché non puoi davvero sopportare che qualcuno ti convinca ad avere dubbi su quello che credi”, sussurrò.
“Non so più se credere, a volte…”, dissi io cercano la luna e vedendola splendente come sempre. Era troppo bella per essersi creata da sola.
“Io sì. Insomma qualcosa deve pur esserci. Voglio dire, andare in chiesa, fare la brava ragazza… va bene se ci tieni, ma poi?”, si chiese quasi da sola. “Da piccola ho visto morire il padre di una bambina. Suicida. Era ed è ovvio che io pensi che deve essere pur andato da qualche parte. Non possiamo essere qui solo per morire”.
“Forse non aveva speranza nemmeno nell’aldilà”.
“Tutti abbiamo una speranza e delle possibilità. Basta solo saperle cogliere e convincersi che arriveranno presto”, concluse.
E dopo questo non parlammo più. Restammo sedute o sdraiate su quei sassi a sentire il mare andare e venire  il vento soffiarci dolcemente contro. Ricordai le discussioni che avevamo avuto quel giorno, quella e quella del pomeriggio.
Vero non era mai stata normale. Sapeva dividere allegria con serietà e decideva sempre il modo migliore per affrontare un discorso. Vidi il polso brillare e una linea più bianca dell’abbronzatura si fece lucente. Il mio gatto, era stata la sua scusa dopo che ero andata a trovarla da sua nonna. Ma la cosa non quadrava molto…
Ma sapevo che sarebbe stata lei a parlarmene e non volevo entrare nella sua privacy. Distolsi lo sguardo e fissai le stelle. E con Marte e Venere brillanti insieme alla Luna chiusi gli occhi in ascolto della natura.


...
Note dell'autrice:
La faticaccia a scrivere Vero e non Ronnie è da ricordare per l'eternità! ahaha continuavo a sbagliare!
Cooooooooooooomunque: per la parte sui Leto nulla da dire, credo, tutto regolare nel "io non li conosco questa è solo la mia fantasia non prendetela per vera".
Per la parte di Ronnie... bè, io sono esattamente come lei riguardo al mare. Se mi portate in vacanza al mare sappiate che vi stresserò fino alla morte tra tuffi, divertimenti e anche serate sotto le stelle. *-*
E per quando riguarda Venere e Marte... il mito è vero fino a che Ronnie non dice "Secondo me...." perchè da lì non ho trovato niente ed è pura mia immaginazione. Spero vi sia piaciuto, 
taaaaaaaaaaaaaaaaaaanto affetto,
Ronnie02
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: Ronnie02