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Autore: Out of this world    10/06/2007    11 recensioni
Molte volte mi chiesi come poteva essere Edward da umano...
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi! Che dire? Grazie come al solito ai miei recensori di fiducia XD. Siete fantastici, ogni volta mi incoraggiate con i vostri commenti! Grazie infinite!
Quindi, eccoci al primo capitolo! Spero non sia troppo noioso, diciamo che la parte più interessante arriverà nel prossimo capitolo. Bè, vi invito a leggere!
Ciao ciao!

Minako-Lore

 

~ A Beautiful Mortal - Chicago 1918
capitolo 1: gli avvenimenti del passato.


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×

Quando riaprii gli occhi non seppi dirmi con precisione dove mi trovavo. Sapevo solo che mi sentivo leggera, leggera come una piuma. Impossibile sentirsi meglio di come mi trovavo in quel momento. Lentamente aprii gli occhi, e subito notai con sorpresa una coperta sopra il mio corpo disteso. Respirai a pieni polmoni, cercando di capire dov’ero. Poi vidi qualcosa di nero accanto a me. Ancora spaesata dal quella situazione del tutto nuova, protesi una mano verso quell’ombra scura che incombeva vicino a me prepotentemente. E allora sobbalzai, quando mi resi conto che si muoveva.
« Bella! » mi chiamò una voce lontana ma che, inspiegabilmente, arrivò chiara e limpida alle mie orecchie. Mi misi a sedere, e immediatamente mi girò la testa.

« Sta giù, non sei abituata. » continuò. E allora la riconobbi: era la voce di Alice.

« Alice? » chiesi confusa, portandomi una mano alla testa. Iniziava a non girarmi più. E finalmente la misi a fuoco: i capelli neri, più spettinati del solito, ricadevano scomposti sul viso e sulle occhiaie simili a bruciature, proprio sotto ai suoi occhi. Neri. Neri come la pece.

« Bentornata fra noi Bells. » disse accennando un sorriso, squadrandomi da capo a piedi. Sospirai e mi misi a sedere su quel corpo morbido. E lo riconobbi: era il divano di pelle di Edward. Così come anche la stanza in cui mi trovavo era la sua. Ma non mi ricordavo… cos’era accaduto?

« Che è successo? » chiesi, mentre lei – da per terra dove si trovava – si spostava a sedersi vicino a me, circondandomi con quelle braccia graciline che si ritrovava.

« Non ricordi? » mi chiese, mentre mi lasciavo andare contro il suo petto freddo. Ma come mai non lo trovavo più così gelido come ricordavo? Cercai comunque di non badare a quella piccolezza, e di passare invece al setaccio dei miei ultimi ricordi chiari. Chiusi gli occhi, concentrandomi. Una strada, un semaforo verde, una camion e…

Mi allontanai come una furia da lei, cadendo per terra.

« Bells! »

Si precipitò verso di me, aiutandomi a rimettermi seduta. Ma io ero troppo sconvolta per poter risponderle.

« I-il cam-mion, Alice. » balbettai stralunata. Ora mi ricordavo: quella mattina andando a scuola ero stata investita da un camion. Come dimenticare quelle luci abbaglianti e quel dolore lancinante quando mi sbatteva per terra?
Però… però… insomma… se mi aveva investito – perché lo aveva fatto – perché ero li senza il minimo graffio?
« Sono incolume… ma io mi ricordo che quel camion mi ha investito! E c’era sangue… tanto sangue! »
Vidi negli occhi di Alice una scintilla di malinconia. E lo stomaco mi si chiuse in una morsa. E qualche rivelazione si insinuò nella mia testa…
« Alice… non dirmi che… »
Mi guardai le mani. E lì persi quel minimo di lucidità che avevo ritrovato. Era bianca.
Non pallida, ma bianca come il gesso. Senza la minima imperfezione, spiccava accanto alla maglia scura che indossavo.
Alzai gli occhi verso Alice, a bocca aperta. Mi fissava in silenzio, come in attesa. Vedevo che non sapeva cosa fare. Da un lato aveva un sorrisetto sulle labbra da non poco, ma gli occhi rimanevano vigili.
Iniziai a respirare a fatica, mentre cominciavo a toccare con la mano destra quella sinistra. Era dura e… fredda. Fredda come quella di Edward o Alice. Ma allora… era vero? Ero davvero un…

« … vampiro. » mormorai a me stessa. Alzai nuovamente lo sguardo sulla mia migliore amica, e la vidi ancora agitata. E fu allora che sorrisi. La felicità mi cresceva in tutto il corpo, investendomi come un fiume in piena. L’adrenalina mi arrivava al cervello a intervalli irregolari, come a singhiozzo. E in un lampo mi lanciai su Alice, ridendo a crepapelle. L’abbracciai e anche lei si mise a ridere.

« MIO DIO! » urlai in preda ad una crisi di risa, mentre cercavo di controllarmi.

« Edward mi ha morso! »

Forse non dovevo dirlo. Forse la mia era stata una reazione esagerata. Fatto sta che Alice si immobilizzò sul posto, fissandomi con i suoi grandi occhioni scuri, segno che non faceva una battuta di caccia da un po’.

« … non mi ha morso Edward, vero? » mormorai. Che stupida. In fondo, lui quel giorno era andato a caccia con Emmett e Jasper. Ma allora…?

Alice parve notare il mio turbamento, così mi prese per mano.

« Andiamo da Carlisle. » mormorò con cautela, facendomi alzare. Vidi che anche lei era turbata. Sospirai, confusa da tutte quelle informazioni avute così in fretta. Ero un vampiro. Un vampiro!
Sorrisi fra me come una stupida, mentre notavo come mi risultava facile camminare velocemente al fianco di Alice. Comunque, non mi resi conto della mia situazione finchè non mi guardai alla specchio del corridoio. Allora mi immobilizzai. Sentii al mio fianco Alice guardarmi stupita, mentre mi toccavo il viso spaesata.
Ero sempre me stessa, fin li nulla da ridire. I tratti del mio viso erano sempre quelli, forse leggermente più decisi; ma gli occhi… gli occhi erano la vera rivelazione!

Erano scuri, come l’onice. Guardandomeli mi veniva in mente Edward. E poi ero… bella. Sì. Forse per la prima volta in vita mia, guardando quel viso ben proporzionato, quegli occhi profondi e quella pelle di gesso mi sentivo… normale.
Alice mi accarezzò una spalla, e io lo interpretai come un invito a seguirla. Lo feci, e attraversammo la scalinata, arrivando fino al soggiorno.

Lì mi fermai. Così come i membri nel soggiorno smisero di fare quello che stavano compiendo fino a quando non ero comparsa in cima alle scale.

« Bella! » esclamò Esme, la prima a riprendersi. Io finì di scendere la scalinata e mi lasciai abbracciare da lei.
« Come ti senti piccola? » mi chiese accarezzandomi il volto. Feci un sorriso forzato. All’improvviso non mi sentii più molto bene. Avevo notato, infatti, che nel salone fra i presenti non spiccavano i capelli rossi di Edward…dov’era?
« Bene. Devo ancora ingerire la notizia, ma è tutto okay. » risposi, sospirando. Lei parve soddisfatta della spiegazione e, prendendomi per mano, mi accompagnò fino al divano. Lì mi fece sedere accanto a lei, e rivolsi l’attenzione ad ognuno di loro. Poi, la curiosità e la necessità di informazioni prese il sopravvento.

« Dov’è Edward? »

In quel momento, non uno dei Cullen mi degnò di una risposta. E iniziai a temere il peggio. Se ne era andato? Non mi voleva più? Qualcuno gli aveva fatto del male?

Buffo.
A volte il cervello elabora così tante informazioni nell’arco di pochi secondi che alla fine ti ritrovi con la testa pesante. Troppo, troppo, pesante!

Ma non ci diedi peso. Iniziai a fissare Carlisle che, sapevo, era l’unico che mi avrebbe fornito una risposta degna di essere chiamata con quel nome. Lui mi capì.

E subito si alzò in piedi, porgendomi dolcemente un braccetto, che accettai impacciata. Allora mi sollevai e mi portò nel suo studio. A cosa andavo incontro? Non lo sapevo…

Il suo studio era imponente. La prima volta che ero stata li l’avevo paragonato ad un ufficio di un preside. Tuttavia mi ricredetti quando Carlisle, con i suoi capelli chiari e il volto giovanile, si sedette dietro alla sua massiccia scrivania di legno scuro.

« Cosa ti ricordi, Bella? » mi chiese tranquillo, fissandomi dolcemente. Sospirai.

« Ricordo il camion… e il dolore che ho provato. E mi ricordo che c’era tanto sangue… il mio. »

Annuì più volte, portandosi le mani sotto il mento.

« Okay… poi? Nient’altro, vero? » chiese. Io negai.

« No… il resto è oscurato dal dolore che ho provato. » mormorai. Fino ad allora non avevo più pensato al dolore della trasformazione… indicibile…

Mi costrinsi a non pensarci. Quei momenti di assoluta agonia erano troppo freschi per sopportarli ulteriormente.
« Allora… vedi Bella, quando quel camion ti ha investita mi hanno subito chiamato all’ospedale. Nell’ambulanza che è venuta a prenderti c’ero pure io. » sospirò. « Ho avuto paura, lo ammetto. Eri in una pozza di sangue. Ho provato in ogni mezzo di rifarti prendere conoscenza. Ma tu non aprivi gli occhi. »

D’istinto mi venne la pelle d’oca.

« Quando siamo arrivati all’ospedale non riuscivi neanche più a respirare regolarmente. Se continuavi in quella maniera avresti potuto morire da un momento all’altro. »
Sembrava più stanco del solito. Quella discussione gli doveva far spendere parecchie forze.
« Non sai che odissea è stata farti credere morta. Mi sono occupato di tutto io. Moduli, carte, prove. Però era difficile portarti qui. Tuttavia ce l’ho fatta. »

Seguivo concentrata ogni sua parola. La testa vuota, il corpo leggero…

« Ti ho portata in camera di Edward e senza perdere un secondo ti ho morsa. Solo in seguito mi sono reso conto di ciò che ho fatto. E iniziai ad aver paura del ritorno di Edward. Cosa avrei potuto dirgli? Avrebbe accettato il mio gesto? »

Sospirò malinconicamente.
« Ti dico la verità Bella. Non l’ha presa bene. »
Ecco. Quella voragine, tanto odiata e tanto detestata, era tornata a impedirmi di respirare irregolarmente.
« Dimmi tutto. » mormorai. Sospirò nuovamente, alzandosi dalla sua sedia per avvicinarsi a me cauto.
« Quando è rientrato dalla caccia ha capito subito che qualcosa non andava. Non è stupido. Mi si è avvicinato e mi ha chiesto cosa succedeva. Gli ho raccontato tutto. »
« Come ha reagito? »

« Appena lo ha saputo è corso da te. Ma stavi già iniziando ad urlare dal dolore. Non ha sopportato tutto quello… è corso via, urlandomi contro che non aveva nessun diritto di fare tutto quello. Ce l’ha con me, temo. In questi tre giorni è stato tutto il tempo nel bosco. »
Mio dio… Edward!
Mi portai una mano alla testa, sconvolta.
« Devo parlargli! » esclamai, alzandomi di botto. « Voglio vederlo! »

Carlisle mi fissò accigliato. Poi annuì.
« Penso sia giusto. E’ ai piedi dei monti Olimpici, dove abbiamo giocato l’ultima volta a baseball. » mormorò più spossato che mai.
Mi diressi verso la porta. Tuttavia, il mio istinto mi precedette. Mi voltai indietro e corsi contro a Carlisle, abbracciandolo forte.
« Grazie. »
« Ti ho reso un mostro Bella, non mi devi ringraziare. »

« Non ti sto ringraziando per avermi reso un mostro, ma di avermi permesso di entrare nella tua famiglia di mostri. » sorrisi debolmente, mentre mi posava un bacio sulla fronte.
« Ci sai arrivare da sola? »

Annuì, e uscì dalla porta accompagnata da un religioso silenzio.

Lo vidi subito. Come non notarlo?
Era seduto per terra, a occhi chiusi, con la schiena appoggiata ad un albero. Una bellissima statua Greca.
Mi avvicinai cauta, piano e all’erta. Sapeva che ero lì? Mi aveva sentita?
Ma non dovetti aspettare per saperlo.
« Ti sei svegliata. »

Non era una domanda. La sua voce mi arrivò debole e malinconica. E potei notare come la sua fronte si fosse corrugata notevolmente.
« Edward? »
Volevo che aprisse quei suoi maledetti occhi. Volevo che mi venisse incontro eliminando quei pochi passi che ci separavano e che mi iniziasse a baciare il viso felice. Felice… sì, è cosi che volevo Edward.
« Mi dispiace. »
Ripresi contatto con la realtà, e lo fissai delusa. E allora non mi importò più se quello che volevo era che mi venisse incontro abbracciandomi. No.
In quel momento, angosciata e delusa, mi buttai io fra le sue braccia, mentre apriva gli occhi stremato.
« Ti prego, non fare così! » dissi, mentre appoggiavo la testa contro il suo petto « Non pensare sia colpa tua! »
« Come non posso pensarlo? » mormorò contro il mio collo, facendomi venire i brividi lungo la schiena.
« Edward, io… »
Ma mi fermai. Di scatto mi allontanai un po’ da lui, guardandolo in volto. Ma prima che potessi dire qualcosa le palpebre mi si abbassarono pesantemente. Potei sentire solo le sue braccia avvolgermi e le sue labbra a poca distanza da me pronunciare il mio nome. Poi, il buio.


Stavo volando. A occhi chiusi, sentivo il vento scompigliarmi i capelli. Una sensazione di libertà si spalancò dentro di me, facendomi volteggiare ancora di più.
Poi, sentii delle voci.
« Signor Swan… l’abbiamo subito portata qui. Ma… vede… mi dispiace tanto. »
Aprii gli occhi giusto in tempo per guardare mio padre gemere disperato, aggrappandosi al camice del dottore di fronte a lui. Allora mi sentii mancare, e posai un piede a terra. Tutto ad un tratto intorno a me parve prendere forma. Mi trovavo in ospedale. Ma la cosa strana era che a poca distanza da me c’era mio padre, ma pareva non accorgersi di me. Continuava a urlare e a gemere, mormorando parole sconnesse. Fra quelle sentii indistintamente, però, una cosa che mi fece accapponare la pelle…
« Bella… non può essere morta! »
Come se qualcuno mi avesse colpito forte al cuore, sobbalzai impetuosamente, mentre qualcosa mi tirava verso l’altro. E iniziai a urlare… a urlare tanto…


« BELLA! »
Con un singhiozzo aprii gli occhi sconvolta, tirandomi a sedere dove mi trovavo. Tutto girava furiosamente.
« Bella! Ti prego, dimmi come stai! »
La voce di Edward vicino al mio orecchio mi fece sperdere ancora di più. Mi aggrappai a quelle che riconobbi come le sue spalle, iniziando a balbettare frasi sconnesse.
« Papà… » sbiascicai impaurita, nascondendo il mio viso nel suo petto.
Sentii le mani di Edward incominciare ad accarezzarmi piano la schiena… salendo e scendendo… salendo e scendendo…
Piano piano mi calmai, e alzai il volto per appoggiare il naso sotto il suo mento.

« Bella… va meglio? » mi chiese, baciandomi la fronte, aderendo le sue labbra alla mia pelle.
« Ho tanta confusione… » sbiascicai… l’ospedale, mio padre, il medico… ma cos’era successo?
« E’ stato come se mi fossi catapultata da un’altra parte… c’era mio padre e un dottore… Charlie diceva che ero morta… »
Lo sento irrigidirsi, per poi guardarmi stralunato
« Con che dottore parlava? » chiese paziente. Cercai di ricordarmelo.

« Aveva i capelli scuri. Molto alto. » dissi fissandolo a mia volta. Lo vidi sbiancare.
« Dobbiamo tornare a casa. »
In un batter d’occhio si alzò, trascinandomi con se. E allora si bloccò a fissarmi.
Mi scrutò minuziosamente il viso, per poi portare lentamente una mano sulla mia bocca. Chiusi gli occhi al suo tocco, mentre continuava ad accarezzarmi stavolta il viso.
« Sei diversa. » mormorò. Aprii gli occhi e lo vidi malinconico.
« Portami a casa. » risposti io infelice. Mi stava guardando come se fossi diversa, come se non mi conoscesse. E mi dava fastidio. Lui annuì solamente, posando la mano sul suo fianco.
Se fossi stata umana, mi sarei messa a piangere. E questo dovette capirlo pure lui, perché mi fissò un attimo indeciso.
Stanca di quei giochi di sguardi, lo sorpassai, camminando senza forze. Incapace di stare in piedi, feci per crollare rovinosamente a terra. Ma subito le sue braccia mi bloccarono. E senza che io potessi impedirlo, posò le sue labbra sulla mie con prepotenza. E non potei non restituire il bacio, mentre dolcemente mi accarezzava la schiena.
« Sei uno stupido! » mormorai isterica contro le sue labbra, mentre respiravo irregolarmente. Lui appoggiò la fronte sulla mia.
« Ti prego, non parlare. Non parlare di quello che ti ho fatto. » mormorò con voce rotta. « Stavi morendo, senza di me al tuo fianco. Senza poterti salvare. »
« Smettila di fare la vittima! Smettila di incolparti di tutto. » dissi più dura di quanto volessi. Lui parve non gradire.
« Se mi mordevi come volevo io non avrei rischiato la vita. E se quel camion investendomi mi ha regalato quello che volevo allora non sentirti in colpa per non avermi salvato, ma per non esserti dato una mossa prima. »
E con quelle parole, posai le mie labbra nuovamente sulle sue, cercando un briciolo di amore che arrivò poco dopo.

Mi portò in spalla fino a casa sua. La mia risposta secca e il suo umore già cupo fece calare fra noi un silenzio rumoroso. Ma, mentre correva con me aggrappata a lui, non potei che posargli un bacio sul collo.
« Cosa pensi mi sia successo? » chiesi stanca, mentre mi faceva scendere e mi apriva la porta di casa.
« Ho una congettura. Ma bisogna parlare con Carlisle prima. » disse solamente, appoggiando una mano sul mio fianco. Allora lo bloccai un attimo, fissandolo negli occhi.
« Ti amo. Non mi importa ciò che pensi. » dissi piano, mentre le rughe sul suo viso si facevano più vivide che mai.
« Anch’io ti amo. Ti amo più della mia esistenza. Ti amo e sempre ti amerò. Quello che non amo è ciò che ti ho fatto diventare. »
Volevo rispondergli, fargli capire che era uno sciocco, ma proprio in quel momento in cima alle scale comparve Carlisle.
« Ti dobbiamo parlare. » incominciò Edward. Subito ci fu accanto.
« Dimmi. » lo incitò suo padre. Sospirò.
« Prima Bella mi è svenuta fra le braccia. » incominciò. « Papà, penso che abbia acquisito un qualche potere. » aggiunse veloce. Sobbalzai stupita da quella rivelazione.
« E quale? »
« Quello di poter vedere gli avvenimenti del passato. »

  
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