Cena
Genere: Introspettivo, drammatico
Personaggi: Piton e Silente
Era: Harry a Hogwarts
Richiamo
paterno (Ida59)
Ha gli occhi chiusi ed il viso pallido e stanco, solcato da
rughe profonde che ne intagliano le linee spigolose, precocemente invecchiato
da strazianti rimorsi, profonde preoccupazioni ed un’eccessiva magrezza.
Il respiro è leggero, ma ogni tanto un lieve tremito gli
percorre il petto e distorce dolorosamente i suoi lineamenti; non sta dormendo,
non sono incubi, quelli: sono solo i suoi dannati ricordi, il passato che gli
impedisce di vivere il presente e sognare un futuro, le colpe maledette di un
giovane ingenuo cui un uomo non sa mettere riparo, non sa perdonare.
Abbandonato sulle sue gambe vi è un voluminoso libro di
pozioni: antichi veleni e filtri fatali il cui ricordo
si è spento nella notte dei tempi; macabre illustrazioni annunciano l’effetto
del liquido letale.
Colui che crede d’essere ancora il suo
Padrone pretende da lui un nuovo veleno, dai micidiali e dolorosi effetti.
Sa bene su quale terribile filtro dovrebbe cadere la sua
scelta, eppure non ha la forza di girare quella pagina, di scorrere quelle
mortali istruzioni.
Sospira piano mentre si morde le labbra in un accesso
d’inutile ira: è tutta colpa sua, solo sua e niente e nessuno può aiutarlo, né
può alleviare le sue pene.
Neppure Silente.
Lo sa, lo sa perfettamente che il vecchio Preside è lì, da
alcuni interminabili istanti, a fissarlo dalle fiamme del camino, il volto
impertinente a sorridergli dietro alle lenti a mezzaluna.
Silente l’ha perdonato e sa sorridergli: gli darebbe anche
una paterna pacca sulla spalla se solo lui sapesse permetterglielo.
La vorrebbe, quella benevola manata, ha
un dannato bisogno dell’abbraccio di quell’uomo che
ama come il padre che non ha mai avuto: ma sa anche che
non glielo permetterà mai, perché mai vorrà e potrà concedersi quella piccola
consolazione, quel minimo infinitesimale perdono di cui ha bisogno più
dell’aria che respira e del cibo che non riesce neppure più a trangugiare.
No, le urla strazianti delle sue vittime esploderebbero
dentro la sua testa e le loro mani scheletriche allontanerebbero il vecchio da
lui, ricordandogli ancora e per sempre che non ha diritto ad alcun perdono, ad
alcuna consolazione
E’ per questo che Severus finge di non vederlo e
tiene gli occhi serrati stretti.
Intanto, non ha per nulla fame, neppure un po’.
Ma il crepitio delle fiamme si fa
infine fastidioso ed il sorriso di Silente è troppo intensamente luminoso per
continuare ad ignorarlo: lo vede, anche con gli occhi chiusi, sente il suo
sguardo affettuoso su di sé e questo, anche contro la sua stessa volontà, gli
da consolazione e forza per continuare ad andare avanti.
Severus sospira profondamente e riapre gli occhi, fissandoli
sulla vecchia pergamena del pesante libro che tiene fra le mani: non girerà
quella pagina, non in questa sera e, forse, potrebbe anche riuscire a trovare
un antidoto. Non laverà le sue colpe passate ma potrebbe
aiutarlo ad evitare nuovi rimorsi.
Con uno scatto deciso chiude il libro e rialza lo sguardo,
nero e impenetrabile come sempre.
E’ tardissimo e in Sala Grande la cena è quasi finita: sa
bene perché il volto di Silente gli sorride impaziente tra le fiamme.
Ha capito, lo sa benissimo che il vecchio ha capito quale
straziante morte contiene quell’antico libro: glielo
ha letto nell’ombra cupa che per un breve istante ha appannato il suo sorriso.
E lui non ha fame, no, per nulla: ha
solo una grande e irrefrenabile nausea, una mano che gli stringe con violenza
la bocca dello stomaco. Cercare di cacciar giù qualcosa, per far contento il
vecchio, gli costerà uno sforzo immenso.
Ma lo farà, come sempre.
Ora, però, deve alzarsi, subito: deve impedirgli di parlare,
non deve permettergli di condividere le sue colpe, di rendere più leggero il
suo fardello.
Non sarebbe giusto, anche se in questo momento sente di
averne un infinito bisogno.
Appoggia il libro mortale sul ripiano e si alza mormorando
stizzito:
- Va bene, Albus, va bene: ora
arrivo! Stai mandando in giro scintille dappertutto: se non la
pianti finirai per dar fuoco al tappeto! –
Ma non mi sorridere, ti prego, non lo
fare: perché non lo merito, non merito nulla di tutto ciò che tu mi hai dato
fino ad ora e che ancora mi darai.
- Ma non pensare che intenda
abbuffarmi come fai tu! –
L’ultimo sorriso mentre il volto di Silente scompare dalle
fiamme.
Ora è solo e finalmente può lasciarsi andare: non sa più
sorridere al suo riflesso nello specchio, perché vede solo un assassino.
Ma al camino, sì, al camino vuoto ha
finalmente imparato a sorridere.
All’ombra impalpabile di un padre, all’uomo che ha saputo
riportalo alla vita: sì, a lui ha imparato a sorridere.
Anche se Albus non dovrà mai saperlo.
S’incammina nella tenue oscurità del sotterraneo,
preparandosi mentalmente alla luce, al calore ed al rumore che lo accoglieranno in Sala Grande.
Ed al cibo che dovrà mangiare, per
continuare a vivere, perché Silente vuole così; perché dice che, anche per un
assassino come lui, esiste ancora un futuro.