Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: RadioHysteriaBK    23/11/2012    3 recensioni
"Di nuovo quella strana sensazione. La pelle d'oca e un piccolo brivido freddo in fondo alla schiena. Mi voltai a guardarmi indietro. Sentivo che qualcuno mi stava spiando. Ma da dove? La strada era deserta: nemmeno una macchina. Osservai le finestra per vedere se qualche tendina si muoveva e il mio sguardo si fermò sul numero 483."
Questa è la storia di una ragazza, di nome Ashley che decide di traslocare da sola a Berlino, per prima e senza i suoi genitori. Una storia che si racconterà in modo un pò strano, ovvero: Dalla parte di Lei, e contemporaneamente dalla parte di Lui. Ashley incontrerà nuovi amici e persone che cambieranno per sempre la sua vita... to be continued ;)
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Hallo, Leute! rieccomi tornata con un nuovo capitoletto! Lo so, avevo detto che sarei stata lenta ma essendo che non ho un gran chè da fare durante il giorno, o leggo o scrivo, quindi... (i miei come avrete poi notato sono capitoli brevi, più che scorrevoli..ovviamente se la storia vi stà prendendo ;-) ) ahaha vediamo cosa succederà questa volta! In attesa di un vostro commento, vi lascio alla lettura, e come sempre, spero che sia di vostro gradimento! :-)

to be continued....


xoxo, RadioHysteriaBK,


3°capitolo: Keep Calm!

dalla parte di Lei…


 

[***]

 


Il giorno dopo mi svegliai al buio e per un attimo non capii dov’ero. Poi vidi un raggio di luce filtrare attraverso una fessura fra le assi. Che ora era? Probabilmente tardi. Era il mio primo giorno di scuola. E oltretutto ero in ritardo di più di una settimana, perché la West High College aveva cominciato il trimestre dieci giorni prima. Avevo solo… accidenti! Un quarto d’ora per arrivarci! Sapevo che la scuola era vicina, ma non  avevo ben chiaro dove si trovava.

Mi infilai i vestiti un po’ a caso, maledicendomi per non aver studiato la piantina la sera prima. Una vecchia bici che avevo trovato nel retro mi sembrava una buona idea! Avrei dimezzato i tempi. Vedi, mamma, che a volte sono intelligente anch’io? Non avevo bisogno di lavarmi, dopo la doccia gelida di ieri sera, e poi non c’era tempo. Una rapida passata ai denti, e poi via. Prima colazione? No.

Mi sedetti sull’ultimo gradino delle scale per allacciarmi le scarpe da ginnastica. Poi mi diedi un’ultima sistematina ai capelli. Ora l’Iphod.: senza non andavo da nessuna parte, e c’era dentro la mia ultima compilation, “Tokio Hotel”, roba che ti sveglia. Ok, mondo! Arrivo.

La nostra tranquilla stradina era deserta. Per fortuna dovevo aver mancato l’ora di punta. Guardai a destra e a sinistra, accesi l’iphod e partii. Sulla pista ciclabile c’erano degli avvallamenti in corrispondenza di ogni cancello, e affrontarli su quella bici un poco male andata era un suicidio vero e proprio. La cosa migliore era prendere la strada.

Ero quasi arrivata all’incrocio alla fine di Karlsplatz, quando un fruttivendolo impazzito svoltò l’angolo con il suo furgoncino. Ragazzi, un maniaco omicida! Mi veniva addosso facendo cenni convulsi, senza nemmeno accennare a fermarsi.

Così frenai di colpo.

E per poco una macchina non mi investì da dietro! Ragazzi, c’erano un bel po’ di matti, da queste parti. L’auto apparsa dal nulla era guidata da una donna. Feci una mezza sterzata e ci mancò poco che le finissi sotto le ruote.

Mi tolsi le cuffiette dalla orecchie, e per qualche secondo ancora non riuscii a sentire quello che mi diceva. Poi vidi il ragazzino seduto sul sedile posteriore. Piegato in due dalle risate. Ovviamente non era l’unico, ma i vetri di quell’auto erano talmente oscurati che a stento riuscì a riconoscervi le persone a bordo… se non uno in particolare per un colore dei capelli piuttosto acceso. Ma niente di più. Solo colore.

Cercai di riprendere il controllo  e dissi la prima cosa che mi venne in mente.

-       Sa dirmi la strada per la West High College?

Ma la donna cominciò a blaterare qualcosa a proposito della strada per il cimitero. Tentai di calmarla con un po’ di ironia. Insomma, dopotutto era lei che mi aveva quasi investita!

Non doveva avere il minimo senso dell’umorismo, perché disse che la prossima volta mi avrebbe messo sotto. Ragazzi, non si poteva di certo dire che tutti i crucchi fossero amichevoli.

Così feci una gran riverenza e mi scostai per lasciarla passare. Qualcuno da dietro fece un cenno con la mano, ma a stento riuscì a intravedere.

-       E buona giornata anche a te! – le gridai dietro. Probabilmente non mi sentì.

Dopo essermi un attimo ripresa, mi venne un flashback. Io avevo già visto quella donna da qualche parte. Forza Ashley, spremi le meningi. Ma certo! No. Non poteva essere, forse ero ancora un po’ sotto shock per lo spavento… no. Quella non poteva essere proprio lei, Simone. Eppure la mia vocina interiore continuava a gridarmi che sì, quella donna era proprio la madre dei gemelli Kaulitz. Che figuraccia – pensai. E se quella donna fosse stata davvero lei, allora quella chioma biondo platino era veramente lui? Ma no. Cosa ci faceva qui a Berlino, proprio adesso; decisamente confusa e un poco turbata decisi di continuare. Non potevo ritardare ancora.

Il fruttivendolo mi indicò la strada per la West High College, e poi mi fece una predica su quanto è pericoloso andare in bici in mezzo alla strada con l’iphod acceso. Così ritornai su quella maledetta pista ciclabile, perlomeno finchè lui non scomparve dietro l’angolo. Ma non rimisi le cuffiette: su questo aveva ragione.

La West High College era un casermone di mattoni rossi. C’erano ragazzi che arrivavano da tutte le direzioni, e capii alla prima occhiata che avevo avuto ragione:  non somigliava per niente a una scuola. La metà dei ragazzi sembravano abbastanza  grandi per essere mio padre o mia madre, e non ce n’erano  molti del mio colore. Un vero shock culturale, dopo  Londra. La seconda occhiata mi rivelò che il posto non sembrava neppure a un college americano. Sembrava piuttosto una prigione: c’erano sbarre dappertutto. Quando provai ad entrare, un tipo mi fermò davanti a una sbarra.

-       Documento?  - mi chiese.
-       Prego?
-       Hai perso il tesserino?
-       Non ne ho mai avuto uno, amico. Sono nuova.

Un paio di ragazze passarono una tessera magnetica in una macchinetta, la sbarra si alzò e, dopo avermi lanciato un’occhiata, entrarono tranquillamente. Una era veramente carina, alta con lunghi capelli biondi ondulati. Aveva un piercing al lobo sinistro, con una catenina che arrivava fino all’orecchino in alto, all’apice dell’orecchio.

-       Quella devi metterla via… - il tipo della macchinetta stava indicando la catena col lucchetto della mia bici. Cosa diavolo pensava che potessi farci?!. -  Mi sedetti sul muretto esterno e la misi nello zaino. Ferme due metri più in là, le due ragazze chiacchieravano e ogni tanto mi lanciavano un’occhiata.
-       Ok, vai in segreteria a farti registrare. Primo piano, e poi segui i cartelli.

Attraversai l’ingresso, sentendomi tutti gli occhi addosso. Il posto rimbombava di rumori: passi, porte che sbattevano, voci. Sembrava di essere in una piscina coperta. C’erano cartelli dappertutto, ma nessuno che indicasse la segreteria. Intorno a me tutti si salutavano con delle grandi pacche e un sacco di “Ehi, bello” e “Ciao, amico”…

Mi sembrava di essere l’unica a non saper dove andare e mi sentivo una stupida. Accidenti, ma dov’erano le scale?

-       Ti sei persa? – era la ragazza con la catenina.
-       Sapete come si va al primo piano…?
-       E’ il tuo giorno fortunato: stiamo proprio andando da quella parte. Vuoi venire? – disse l’altra, sbattendo le ciglia.
-       Grazie.

Le due ragazze si incamminarono davanti a me. L’ascensore era in un angolo dell’atrio: non so come avevo fatto a non vederlo. Ci entrammo, e le due ragazze si appoggiarono alle pareti, squadrandomi dalla testa ai piedi.

-       Non ti ho mai vista in giro. – Alla catenina era appesa una pietruzza azzurra, che dondolava quando lei parlava.
-       Ho saltato la prima settimana. Sono appena tornata dall’estero…

L’ascensore si fermò al primo piano.

-       All’estero dove?
-       Dappertutto. Francia, Italia, Grecia…
-       Una giramondo, eh’ devi avere un sacco di soldi – disse con aria provocante.
-       Non esattamente. Un po’ li ho guadagnati, e il resto me li ha dati mio padre…
-       Abiti da queste parti? – mi chiese l’altra ragazza
-       Con il tuo generoso paparino’ – aggiunse, facendo il verso al mio accento londinese. Mi sentii arrossire.
-       No. Vivo da sola – dissi in tono dignitoso.

La cosa le fece una certa impressione. La ragazza tolse il dito dal pulsante e le porte si aprirono.

-       Ci vediamo… - disse, mandandomi un bacio. Poi entrambe si incamminarono lungo il corridoio, con la tipica camminata delle ragazze che sanno di essere osservate.

La segretaria ci mise un secolo, per trovare i miei dati sul computer. Pareva che la combinazione fra “nuovo iscritto” e “ingresso in ritardo” fosse tale da mettere in crisi il sistema. Alla fine le suggerii di scrivere il mio nome e provare con “trova file”. Funzionò.

-       Sei veramente forte col computer! – disse lei. Era grande, grossa e nera, e quando rideva tremolava tutta. – Chiamami Angelika. Sono quella che verrà a prenderti per un orecchio appena combinerai un pasticcio.
-       Di solito “trova file” funziona sempre – dissi. Speravo che non dovesse mai succedermi, di venir presa per le orecchie in un posto del genere. Era l’ultima cosa di cui avevo bisogno mi sentivo già abbastanza al centro dell’attenzione.
-       Scherzavo, tesoro. Ora ti disegno una piantina per trovare la tua classe. Qui la gente si perde sempre, all’inizio. Ecco un dépliant con tutti gli orari, i corsi e le regole: leggilo bene. E poi vorrei che leggessi anche questi…
 Mi diede un po’ di dépliant dai titoli più disparati: Droga, Aids Igiene e Salute. – Ah, e questa è la chiave del tuo armadietto. Mi devi lasciare un deposito. E stammi a sentire: non lasciarci mai niente dentro, a meno di inchiodarcelo , o non lo ritroverai mai più. Per il tesserino magnetico ci vogliono due foto. Devi averlo sempre con te. Serve per entrare e uscire, in modo da tenere alla larga  gli indesiderabili….

A giudicare da quel che avevo visto, di indesiderabili ce n’erano già parecchi dentro la scuola; ma non feci commenti.

-       Allora siamo a posto. Per qualunque problema c’è uno psicologo scolastico. Ma viene solo l’ultimo venerdì del mese, dalle tre alle sei.
-       Credo di potermela cavare senza… comunque, grazie

Affrontai il labirinto di corridoi con l’aiuto della piantina di Angelika e finalmente trovai la stanza 104, dove si tenevano le lezioni di Letteratura Inglese, la mia specialità. Mi aspettavo che gli studenti del corso fossero tipi tranquilli, o magari tutti ragazze.
Mi bastò un’occhiata dal vetro della porta per capire che “tranquilli” non era l’aggettivo adatto per descrivere i ragazzi seduti in quell’aula. Esitai un attimo, non sapendo se bussare o entrare direttamente. Ehi… in prima fila c’era la ragazza bionda con la catenina, che mi indicava alla sua amica. La Prof si girò, mi vide e venne alla porta.

-       Buongiorno. Posso aiutarti?
-       È questo il corso di inglese?
-       Sì.
-       Dovrei far parte della classe.
-       Non sei sul mio registro.
-       Non sono ancora su nessun registro: pare che ci sia stato un intoppo in segreteria….
-       E oltretutto sei in ritardo di una settimana.
-       Lo so. Ero all’estero…

La classe cominciava ad agitarsi. Pareva che apprezzassero  la distrazione. Il mare di facce era in movimento: tutti si scambiavano opinioni, e non ci voleva un genio per capire su che cosa. A giudicare dalle espressioni, non tutti i commenti erano positivi, soprattutto quelli delle ragazze.  – stupida gelosia.. troverò mai un’amica vera qui dentro? – pensai fra me.

-       Va bene. Ci penseremo poi. C’è un posto libero qui in prima fila. Hai una copia del testo?

Indicò l’Amleto.
Scossi la testa.

-       Allora dovrai leggere con qualcuno. Hellen?

Mrs. Catenina, ovvero Hellen, mi si avvicinò e si sedette accanto a me.

-       Ciao – disse, girando il libro verso di me.
-       Puoi presentarti alla classe – disse la prof.
-       Ashley – borbottai, imbarazzata.
-       Ehi, bella, non ti ho sentita – disse qualcuno in fondo alla classe.
-       Mi chiamo Ashley. Ashley Lopkow – dissi, aumentando notevolmente il volume.

E cominciarono a fare mille domande.

-       Di dove sei?
-       Di Londra
-       E dov’è? Chiese uno.  - Stava scherzando, spero!
-       A Nord.
-       Nel Palazzo Reale della regina, yuppiiii!  - C’era qualcuno che faceva lo scemo.
-       Qualcun altro cominciò a fischiettare…
-       Ti piace Berlino, Ashley?
-       Vuoi sapere dove si compra la roba?
-       Vuoi che ti presenti il mio socio?
-       Basta così…  - La signora Brooks diede un colpo sulla cattedra. – torniamo all’Amleto. Allora, Will stava dicendo qualcosa di interessate a proposito di Ofelia. Will?
 Un ragazzo magro con due labbra alla Mick Jagger le rispose con aria seccata.

-       Ofelia è una gallina…. Lei è una gallina e lui è un demente.. sai che bella coppia…
-       Bene. Questo è il tuo punto di vista. Nessuno ha altri commenti da fare?
-       Will si sbaglia. Non è per niente così…

Disse un ragazzo magro e capelli lunghi che sembravano lavati con la candeggina. Aveva un tale accento dei quartieri alti che dovetti guardarlo due volte, per essere sicuro che quella voce fosse proprio la sua.

-       Sì, Josh?
-       Sono due vittime delle circostanze…
-       Cioè, vuoi dire che quello sballato di Amleto, non sballava, se non gli uccidevano il padre? – chiese un altro ragazzo.
-       Già, e se Ofelia non era frigida, allora cosa sarebbe successo?
-       Ma prof, questo non c’entra niente con la storia – intervenne un ragazza.
-       Bene. E’ un’idea interessante. Fino a che punto ci si può spingere con la critica? Qualcuno ha un’opinione?

A questo punto si misero a parlare tutti insieme. La maggio parte dei commenti riguardavano le potenzialità sessuali della storia fra Amleto e Ofelia…
Approfittai del caos generale per studiare moda. Ragazzi, erano veramente dei bruti. Che ci facevano in un corso di letteratura? La metà sembravano usciti da Trainspotting.

C’era un tipo con la testa rasata sui lati e i capelli solo in cima, a fungo, e un’espressione fissa che potrei descrivere solo come… spaventosa. Il dente rotto che si vedeva quando apriva la bocca non lo aiutava, per niente. Ero l’unica persona in tutta l’aula a non avere tatuaggi o piercing.
Dovevo ammettere che la signora Brooks se la cavava in modo egregio. Al culmine del caos trovava sempre il modo di agganciarsi a una frase utile e rilanciava la discussione.

Io me ne stavo zitta, cercando di non dare troppo nell’occhio. Ma era chiaro che Will mi aveva notata e mi trovava interessante, potevo dedurlo dalle mosse che faceva nella mia direzione. Continuava a tormentarsi il labbro col piercing e fissarmi. Due file più indietro, qualcuno aveva notato queste manovre. Era quello con la testa rasata, che continuava a lanciare occhiate a Mr. Labbra da Mick Jagger, e girava le pagine del libro come se volesse strapparle. Guai in vista.
Nell’istante in cui suonò la campanella e la signora Brooks uscì, mi si avvicinò.

-       Bella la borsetta… - Mormorò, fissandola.

Poi, con uno scatto rapidissimo, diede uno strattone alla tracolla facendo uscire le mie riviste di moda. Schizzai verso quello più vicino a me, ma l’avevano già lanciata a un ragazzo dell’ultima fila. Era come un gioco, e tutti partecipavano. Più mi sforzavo di intercettare la borsetta, più loro si divertivano. Dai quattro angoli della dell’aula venivano urla di incoraggiamento e fischi. – Ok, o qui i ragazzi fanno tutti così per attirare l’attenzione su una ragazza o mi trovo a che fare con dei veri idioti!- pensai…

Poi, di colpo, mi voltai e non c’era più nessuno, nemmeno la mia borsetta. Non sapevo chi si fosse portato via il trofeo: ero sola in mezzo all’aula vuota, e sentivo le loro urla che si allontanavano lungo il corridoio. Mi accasciai sulla mi sedia e allungai una mano verso l’Iphod. L’phod! Mi avevano rubato anche quello!
Uscii dall’aula. Cosa bisognava fare in una situazione del genere? Denunciare l’incidente alla presidenza? L’istinto mi diceva che non era  una buona idea. Potevo rivolgermi ad Angelika, ma era sempre un canale ufficiale. Quanto a far leva sui loro istinti più bassi, ovvero supplicarli…

Quanto gli sarebbe piaciuto! Insomma, decisi che la migliore linea d’azione era sopportare l’affronto con dignità e far finta di nulla.
Ma dov’erano finiti tutti quanti?

Seguendo il crescendo livello di decibel, arrivai alla mensa. In una metà c’era un fumo così denso che quasi non ci vedevi. L’altra metà era protetta da un lurido cartello di “vietato fumare”, e ospitava qualche sparuto gruppetto di non fumatori. Mi presi un caffè dalla macchinetta e mi piazzai a un tavolo vuoto al confine della zona fumatori. Mi sentivo leggermente osservata. Bevvi il caffè sfogliando i dépliant che Angelika mi aveva dato e cercando di apparire tranquilla.

Alle mie spalle due ragazzi stavano discutendo di musica. Uno trinciava giudizi  e l’altro gli dava spago, come se pensasse di avere davanti un genio. O forse no.. forse lo stava solo prendendo in giro in modo molto sottile… era difficile dirlo.
Ridevo sotto i baffi. Era chiaro che lo sputasentenze non ne capiva un’acca, di musica, anche se voleva passare per un esperto.

-       Quella roba non è House, è Rock, bello. Devi chiarirti le idee.
-       Ehi, grande esperto, spiegami la differenza allora.

Cambiai sedia per vederli in faccia. Ehi il cosiddetto esperto lo conoscevo. Era Will. L’altro tipo aveva una testa fitta di treccine rasta e un’aria… be’, feroce.

-       Dai, spiegami. Davvero: voglio capire – insisteva.

Non avevo ancora ben capito se quello con le treccine stesse prendendo in giro Will, o no.

-       La differenza? – disse Will con quel suo tono volutamente annoiato. – l’House è generico. Invece il Rock… è come un derivato. Ma se non capisci la differenza, bello, è un problema tuo. E poi ormai è roba che non va più. È diventata commerciale… è roba morta, bello.
-       Ok, se è roba morta che ne parliamo a fare?
-       Già. Che ne parliamo a fare?
-       È solo che volevo capire la differenza.
-       È come ti ho detto. L’House è generico…. – Will si stava ripetendo, come fanno quelli che non sono tanto sicuri del fatto loro e non vogliono ammetterlo.
Mi sporsi verso di loro. Non c’è la facevo più. – La differenza è che l’House è suono puro, anche se il Rock ha più vocalità ed è una scena che si muove ancora, amico, dipende solo da come lo vuoi usare…
-       E chi ti ha chiesto niente? – disse Will, seccatissimo perché l’avevo smascherato.

Alzai le spalle. – E’ che non mi va di stare a sentire la gente che dice male della musica, tanto per dire qualcosa. Ok, è vero, la scena cambia, ma questo non vuol dire che tutto quello che c’è stato prima è da buttare.

-       Sono d’accordo – disse il tipo che faceva il finto tonto. Ci guardammo negli occhi per un attimo. Fu solo un attimo, ma capimmo che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Will alzò le spalle e si alzò, dicendo: - Bè, me ne vado, prima che voi due attacchiate a parlare di Frank Sinatra – e se ne andò. Che idiota, pensai.
Il ragazzo con le treccine mi guardò in faccia. – Da dove spunti? Non ti ho mai vista in giro… sei forte!.
-       Forse perché non ero in giro.
-       Mi chiamo Matt – disse Treccine, tendendomi una mano. Era uno dei ragazzi più grossi che avessi mai visto. Le mani erano grandi come piatti da portata, e, a un certo punto della loro storia, i capelli intrecciati erano stati schiariti e poi avevano continuato a crescere selvaggiamente, per cui ora apparivano bicolori. Era molto proporzionato, con bicipiti enormi e la faccia feroce, ma bastava che sorridesse perché tutta la sua aria di cattiveria sparisse. Aveva due fossette buffissime.

Parlammo a lungo  e alla fine gli confessai il mio problema più urgente, ovvero il fatto che i miei beni più preziosi, l’Iphod e le mie riviste, fossero spariti.
Matt disse che ci avrebbe pensato lui.
 
 

♦ Quando trovi un amico, trovi un tesoro…

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: RadioHysteriaBK