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Autore: Whatadaph    23/11/2012    7 recensioni
Il Mondo Magico vive nella pace, almeno finché una serie di eventi misteriosi non giungono a sconvolgere l'equilibrio faticosamente ricostruito nel corso di lunghi anni.
Un Torneo Tremaghi, un incantesimo annullato, oggetti di grande valore trafugati senza un motivo apparente; inspiegabili avvenimenti ed enigmi irrisolti si sovrappongono, conditi con qualche segreto di troppo: segreti che forse sarebbe stato meglio svelare a tempo debito.
I ragazzi di una generazione felice sono destinati a scoprire a loro volta cosa significhi sentire il pericolo sulla propria pelle.
"Hai paura?"
"Sì. Una paura matta."
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Louis Weasley, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Metamorphosis'
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I reach out trying to love but I feel nothing

Yeah, my heart is numb.

OneRepublic

 

 

8 dicembre 2021

Torre di Corvonero, Hogwarts

Mattina

 

Quell’anno la neve era in ritardo.

Hugo se ne rese conto una mattina dei primi di dicembre, quando affacciandosi alla finestra del suo dormitorio poté ammirare la visione del lago di Hogwarts ridotto a una spessa lastra di ghiaccio, contro la quale premevano le acque turbolente. Il cielo sopra il castello era plumbeo, ma sui prati si era depositata solamente un po’ di brina e non si vedeva neanche un fiocco di neve.

Non seppe come prenderla. La neve non gli era mai piaciuta particolarmente – detestava l’inverno, con tutto quel freddo che intirizziva i muscoli, gelava le ossa e inibiva le facoltà intellettuali – ma chissà per quale motivo la cosa gli procurò una certa inquietudine. Insomma: la neve in ritardo? Un Natale senza neve? Non era normale

Avrebbe voluto davvero restare a Hogwarts, quell’anno. Aveva bisogno di tempo e solitudine per occuparsi della rete di mistero che ultimamente circondava la sua esistenza... e che sembrava decisa a farsi sempre più fitta.

Naturalmente, non era stato possibile. Il giorno di Natale a Hogwarts si sarebbe tenuto il Ballo del Ceppo, ma nonna Molly aveva preteso che almeno la Vigilia i nipoti la passassero tutti alla Tana. Risultato: una settimana lontano dalla biblioteca di Hogwarts.

Una settimana lontano da Eugène – insisteva una vocina dentro di lui. Ma nonostante tutto, Hugo non riusciva a estirpare una punta di sospetto. Non poteva essere stato un caso, il fatto che il francese si fosse presentato proprio nel momento in cui aveva bisogno di un aiuto, offrendo esattamente il libro che gli serviva. Possibile che anche lui avesse qualcosa a che fare con i simboli iconologici?

Possibile che ogni ragazzo che mi potrebbe interessare sembri essere invischiato con questa faccenda?

Era snervante. 

Poi c’era anche il fattore Hessler, naturalmente. Al momento, almeno nella testa di Hugo, il Serpeverde era il maggiore sospettato. Aveva origliato parte della sua conversazione con Eugéne. Gli aveva consegnato il biglietto che aveva portato all’ultimo indizio... il Gioco.

Gatto col topo... e io odio essere il topo.

Sospirò brevemente e si diresse a passi felpati verso il bagno. Non voleva svegliare i suoi compagni di dormitorio, rischiando domande inutili e commenti fastidiosi.

Ultimamente troppe cose gli sembravano fastidiose e irritanti. Non era una cosa che gli piaceva.

Si concesse una lunga doccia bollente, fregandosene del fatto che avrebbe probabilmente consumato tutta l’acqua calda. Una secchiata d’acqua gelida probabilmente avrebbe fatto solo bene ai neuroni catalettici dei suoi compagni di dormitorio.

Quel branco di idioti.

Si vestì con calma, sovrappensiero, indossando il maglione dell’uniforme ma lasciando la cravatta nell’armadio. Quel giorno era di vacanza, e perciò c’era un certo margine di libertà riguardo all’abbigliamento. Appuntò la spilla da Prefetto sul davanti del golf, studiando per un istante la propria immagine allo specchio. Si accorse di essere dimagrito – o forse era solo cresciuto di un’altra manciata di centimetri. Non prestò particolare attenzione alla cosa. 

Sospirò brevemente e afferrò la tracolla che di solito conteneva i libri di scuola. La vuotò fra le lenzuola sfatte del letto senza troppi complimenti, ficcandoci dentro alla rinfusa qualche pergamena, delle penne d’oca e una boccetta d’inchiostro. Quindi si guardò attorno con circospezione, e dopo essersi accertato che gli altri dormissero sollevò il bordo del materasso, sotto il quale aveva nascosto la lista dei sospettati con annessi e connessi. Naturalmente aveva gettato anche degli Incanti Dissimulatori sulle pergamene in questione: la prudenza non era mai troppa.

Mise in borsa le liste – assicurandosi che non ne mancasse nessuna – quindi abbandonò il dormitorio, scendendo la scala a chiocciola che conduceva alla Sala Comune.

Lo accolse uno scoppiare di risate allegre. Non si stupì nel vedere l’Alta Corte Corvonero – come lui stesso l’aveva battezzata – radunata sui morbidi divani dalle fodere di velluto blu notte che circondavano il caminetto acceso. 

“Ehi, Hugo!” Il suo flebile tentativo di passare inosservato fallì miseramente. “Mancavi solo tu!”

Si volse controvoglia verso il gruppetto di studenti che sedevano ordinatamente intorno al fuoco. Il solito gruppo di sempre, ossia quello che comprendeva i Corvonero con la media migliore: Fiona Beckett, Klaus Brooks, la minuscola undicenne Alice Bogart – fra l’altro sua lontana parente, nipote di un cugino Weasley di nonno Arthur; la noiosissima Teresa Grib e il suo ragazzo Vincent Greene. E i fratelli Menley, naturalmente, splendidi ed eleganti sul loro divano, con le identiche labbra mobili e carnose incurvate nello stesso sorriso.

Tony agitò la mano dopo averlo chiamato a gran voce, facendogli segno di venire a sedersi in mezzo a loro, mentre Georgia osservava la scena con aria vagamente divertita.

Hugo esitò, combattuto. Da una parte passare del tempo con i suoi amici l’avrebbe distratto per un po’ da tutta quell’ombra che continuava a infittirsi. Dall’altra, però, sentiva di non potersi più fidare di nessuno.

E poi mi sono già dato appuntamento con gli altri.

“Oggi non posso, Menley!” disse ad alta voce, nello stesso tono cameratesco dell’altro. “Ho preso un impegno con mia sorella.”

Per un momento, Tony parve adombrarsi, ma si riprese immediatamente. “D’accordo, d’accordo. Salutaci la campionessa.”

 “Sì,” Hugo annuì, leggermente a disagio. “D’accordo.”

 Si diresse verso l’uscita della Sala Comune, con la sgradevole sensazione di avere uno sguardo puntato addosso. 

Adesso sono anche in ritardo. Merda.

 

“Ce l’hai fatta, finalmente.”

 Hugo scoccò al cugino un’occhiataccia. Forse Albus non si rendeva conto di quanto stesse diventando petulante e fastidioso, negli ultimi tempi. O forse era lui a percepire i difetti degli altri in qualche modo accentuati. Non avrebbe saputo dire perché, ma si sentiva addosso una certa tensione. Come se nell’aria vi fosse un qualche elemento di disturbo. 

Ignorando Al, si pose a gettare contro la porta della solita aula inutilizzata i dovuti incantesimi di segretezza.

“... Muffliato.” Abbassò la bacchetta. “Bene,” proseguì dirigendosi verso la cattedra. “Ci sono novità?”

“No, professore,” si intromise Lily, con aria stranamente poco convinta. Non sembrava particolarmente entusiasta di prenderlo in giro, contrariamente al solito.

A dire il vero, anche la sua battuta non era particolarmente originale, né divertente.

Ma non è il momento di dedicarsi alle paturnie da quindicenne di Lils.

… A dire il vero, non è mai il momento di dedicarsi alle sue paturnie. Primadonna com’è, ci manca solo questo.

“Nessuna novità, almeno da parte mia.” Rose parlò in tono brusco, ma con più loquacità del solito. Sembrava che le parole che non pronunciava Lily le avesse rubate lei. “Ma, dal momento che tu hai indetto la riunione,” proseguì con fare formale, puntando l’indice verso suo fratello, “devo dedurre che delle novità ci siano.”

“Complimenti,” fece Lily, piatta.

Rose le scoccò uno sguardo sbiego, ma per il resto la ignorò. “Parla, Hugo.”

 “E sbrigati,” rincarò Albus, guardando l’orologio. “Ho gli allenamenti alle undici.”

 “Allenamenti?” sbottò Lily, con espressione quasi schifata. “Oggi?”

 Al roteò gli occhi. “Sai, Lily? Non ti succede niente se metti più di due parole attaccate l’una all’altra.”

La risposta fu una scrollata di spalle. Lily, scura in volto, si chiuse in un tetro mutismo.

“Davvero, Al,” fece Hugo. “Hai ricominciato ad allenare la squadra con un minimo di serietà?”

 “Credi davvero che lo verrei a dire proprio a te?” replicò il cugino seccamente. “Come se non sapessi che correresti subito a fare la spia ai tuoi amichetti Corvonero.”

Hugo roteò gli occhi. “Sei proprio un idiota, Al.”

“Non abbastanza da rivelarti le mie tattiche di gioco.” Albus sogghignò in una perfetta imitazione di Lily. “So che sei amico dei Menley, non mi freghi.”

 Rose sbuffò, richiamandoli all’ordine. 

Hugo sperò che nessuno si fosse accorto di come aveva sussultato sentendo nominare i Menley.

“Bene,” esordì. “Sono sempre più convinto che si tratti di Hessler. È... è la traccia più evidente. Il punto è, Lily,” si rivolse alla cugina, “che non puoi essere tu a pedinarlo.”

 La ragazza parve indignata. “Ehi, perché no?!” protestò, riemergendo dal suo silenzio tutto d’un colpo. “Non è giusto!”

“Hugo ha ragione,” tagliò corto Albus. “Sei stata attaccata, Lily. E non sappiamo perché. Potrebbe anche darsi che Hessler abbia capito le tue intenzioni e cercato di mettermi fuori gioco!”

 “Con uno Schiantesimo?” replicò Lily, scettica. “Non credo proprio. E poi poteva essere più furbo, no? Cancellarmi anche gli altri ricordi che riguardavano questa cosa.”

“Credo sia un pensiero unanime,” convenne Rose, categorica.

Lily aprì la bocca per ribattere e la richiuse, rassegnata. E, apparentemente, ancora più di cattivo umore.

Davvero. Sembra che abbia qualcosa che non va.

 

 

****

 

8 dicembre 2021

Sala Grande, Hogwarts

Ora di pranzo

 

“... Sarà magnifico,” sussurrò Amarillide estatica. “Ci pensate? Un ballo! Un vero ballo a Hogwarts. Non vedo l’ora!”

“Emozionante,” commentò Lily, sarcastica. Le amiche le scoccarono simultaneamente un’occhiata indignata. 

“Non fare l’uccellaccio del malaugurio,” la rimbeccò Swanilda. Lei roteò gli occhi. Non aveva voglia di ribattere. Non aveva voglia di fare proprio niente – o meglio, le sarebbe piaciuto rintanarsi in qualche angolo a fumare una sigaretta e piangersi addosso, ma questo non poteva farlo; non sopportava più le sue amiche, non sopportava più nessuno. 

Adesso Al e i cugini l’avevano anche prosciolta del suo incarico. Seguire quell’imbecille di Hessler avrebbe perlomeno riempito quell’inutile giornata di vacanza... e invece niente. L’incarico se l’era preso Hugo.

Neanche ha tirato fuori la scusa che deve studiare, il secchioncello. E poi era solo uno Schiantesimo. Per colpa di uno Schiantesimo devo annoiarmi a morte.

… Oh, credo di odiarli tutti.

Come se non bastasse, ci si metteva in mezzo anche il Ballo del Ceppo. Al solo pensiero il suo istinto primario era quello di cercare l’angolo più freddo e umido del parco per rintanarsi proprio

Che poi, l’idea in sé neanche le dispiaceva. Adorava la socializzazione e le occasioni mondane, le piaceva divertirsi e bere sfruttando il pass alcolici di qualcun altro. Non che le interessasse il Firewhiskey in sé, piuttosto la divertiva l’idea di riuscire a sfangarla sempre.

Devo solo riuscire a fregare il pass di Al.

Evitava con molta cura che i suoi pensieri finissero per deviare in una certa direzione, quando ascoltava i discorsi quasi isterici di Amarillide riguardo al Ballo. Soprattutto quando...

“... Con chi credi di andare, Lily?”

“Andare dove?” replicò, piatta, mentre il suo cervello lavorava furiosamente per inventare una scusa decente per strozzare Amarillide Stubbins lì. In piena Sala Grande, davanti agli occhi di centinaia di testimoni.

D’accordo, non era fattibile.

“Lo sai!” Amarillide alzò gli occhi al cielo. “Al Ballo. Dove, altrimenti?”

“Non so.” Lily le scoccò un’occhiataccia. “Potevi parlare di qualunque altra cosa.”

“No, non poteva,” le fece notare Swanilda. “Lo sai.”

Lei guardò da un’altra parte. “Oh, non rompere,” brontolò. Swanilda decise di soprassedere.

“Dicevi, Ama?” domandò all’amica.

Questa le rivolse un sorriso dolce. Uno di quei sorrisi dolci e privati che facevano sentire Lily un po’ invidiosa. “Chiedevo a Lily con chi andasse al Ballo.”

Swanilda le scoccò un’occhiata eloquente, cui lei rispose con uno sbuffo. “Non so,” si mantenne vaga. “Con l’individuo più convincente fra quelli che mi inviteranno.”

 “Sì,” fece Amarillide. “Ma intendevo... Chi credi ti inviterà?”

 Lei fece scorrere lo sguardo sul tavolo di Serpeverde, in difficoltà. Cercava di prendere tempo, disse a se stessa – ma quando Lily mentiva a se stessa, allora era nei guai; quando lo sguardo le cadde su una testa fin troppo familiare.

Non l’avevo calcolato. Affatto.

Una testa fin troppo familiare voltata verso di lei. Con espressione grave e sguardo fosco.

“Jacob? Jacob Greengrass?” Swanilda doveva aver seguito la traiettoria del suo sguardo.

“Certo che no,” replicò secca, distogliendo in fretta gli occhi. “Qualcuno di Beauxbatons,” inventò su due piedi. “Suppongo.”

“Perché, cos’hanno che non va i ragazzi di Hogwarts?” domandò Ama, maliziosa.

“Niente.” Lily deglutì, senza riuscire a evitare di lanciare un altro sguardo a Jacob – che adesso aveva abbassato gli occhi. Le sue sopracciglia erano aggrottate: la ragazza sentì una stretta al cuore. “C’è solo bisogno di... aria fresca.”

“Aria fresca?” Una voce familiare e leggermente roca risuonò alle sue spalle. “Ti senti poco bene, piccola Potter?”

 Lily si voltò di scatto, mascherando in fretta il suo stupore nel trovarsi Christine De Bourgh davanti così, improvvisamente.

“Sto benissimo.” Mise su un sorrisetto. “Adesso puoi pure andartene.”

 L’altra sembrò divertita. “Non credevo che ce l’avessi con me, sai?”

 “Non ce l’ho con te,” replicò Lily in fretta. “Per quello basta Lucy.”

La compagna di casa la studiò per un istante, poi ridacchiò. “Hai ragione.” Lanciò un’occhiata ad Amarillide e Swanilda. “Perdonatemi se vi rubo Lily. L’avete sentita anche voi. Ha bisogno di... aria fresca.”

Passare del tempo con Christine De Bourgh non era di certo il massimo delle sue aspettative; nonostante ciò, la compagna di Casa le aveva offerto un’allettante via di fuga da quegli scomodi discorsi, e Lily non indugiò a cogliere tale opportunità.

Si alzò in piedi. “Infatti,” annuì prontamente. “Non mi sento benissimo. Forse un po’ d’aria fresca mi farà bene.”

Christine accolse le sue parole con un sorrisetto sardonico, mentre Swanilda la guardava fisso con l’aria di non aver creduto a una sola parola. “Certo,” fece, laconica. “Ci vediamo dopo in Sala Comune.”

 “Rimettiti!” trillò Amarillide, che si era bevuta tutto.

Lily si sforzò di sorriderle, quindi scavalcò la panca e si pose accanto a Christine. Quest’ultima, dal canto suo, le circondò le spalle con costruita familiarità, prima di sospingerla con delicatezza lungo il corridoio fra il tavolo di Serpeverde e quello di Tassorosso. Lei ignorò il braccio dell'altra posato sulle proprie spalle finché non furono a distanza di sicurezza: quando Amarillide e Swanilda non poterono più vederle, si divincolò e proseguì per conto proprio fino alla Sala d'Ingresso. Christine accolse il suo gesto con uno sguardo imperturbabile e il solito sorrisetto di chi la sa lunga. Quel fastidioso sorriso che sembrava dire: tu non puoi esserne davvero certa, ma io riesco a leggere dentro di te anche senza essere una Legimante – non hai segreti, non per me.

E Lily ne aveva davvero abbastanza di persone che indagavano nella sua mente, fosse in senso letterale o figurato. 

“Allora? Questa boccata d’aria fresca?” Le labbra di Christine erano ancora incurvate nello stesso sorriso saccente, ma i suoi occhi sembravano mortalmente seri. Lily era infastidita dalla sua voce, flautata e lieve, con quella nota roca: forse quel timbro misterioso le ricordava troppo Dominique.

E non ho voglia di pensare a mia cugina adesso, grazie.

Non ci teneva, veramente. Non dopo aver avuto davanti agli occhi la prova concreta che il proprio ragazzo fosse ancora preso da lei.

… Che poi neanche è il mio ragazzo. Che nervi.

“Grazie per il... salvataggio,” replicò, imprimendo nella propria voce tutta la calma che riuscì a raccogliere. “Ma no, grazie. Preferisco stare per conto mio.”

 Lo sguardo scuro e insondabile di Christine non cedette di un millimetro. “Peccato che io avessi bisogno di parlarti.”

Lily percepì i battiti del proprio cuore accellerare lievemente. “Peccato che io non abbia voglia di ascoltarti,” ribatté sullo stesso tono.

“Non sta a te decidere.” La voce dell’altra suonò melodiosa, ma anche terribilmente irritante.

“Tu dici?” replicò lei, brusca, e fece per andarsene.

Christine la trattenne, afferrandole il gomito. “Davvero, Lily. Devo parlarti.”

Lily aggrottò le sopracciglia. "Sappi che non mi interessa quello che–"

"Probabilmente non ti interessa," convenne Christine, osservandola con un curioso luccichio negli occhi. "Ma ti interesserebbe, se sapessi di cosa si tratta."

Maledetta, rimuginò fra sé. La stronza aveva fatto leva sulla sua curiosità – bella mossa, non c'era che dire; sapeva quello che faceva. Lo sapeva fin troppo bene, e a quanto pareva conosceva Lily più di quanto lei stessa non pensasse.

Rimase ferma lì dove si trovava, la postura rilassata ma l'espressione rigida. 

"Parla," disse freddamente, lapidaria. Non voleva dare alla stronza così soddisfazione – le sarebbe dovuto bastare l'averla incastrata; non sopportava l'idea di vedere la De Bourgh gongolare per averla raggirata con tanta facilità. "E in fretta, non ho tutto questo tempo," aggiunse, giusto per darsi un tono.

Naturalmente, Christine non parve minimamente sfiorata dal suo atteggiamento. Appariva persino divertita, a dirla tutta. 

"Il tuo… atteggiamento delle ultime settimane." Malgrado tutto, la Serpeverde aveva finito per mostrare il primo segno di indecisione. Quasi un passo falso, quella latente difficoltà nel trovare le parole giuste.

Lily era perplessa: non si sarebbe mai aspettata insicurezza da parte di Christine De Bourgh. 

… Questo, almeno, finché non comprese. Era solo un bluff.

E lei non aveva intenzione di lasciarsi fregare.

Sostenne lo sguardo dell'altra, imponendo alla propria maschera di bronzo di non cedere di un millimetro. Il sorriso sulle labbra dell'altra si gelò solo appena.

"Beh?" la esortò sbrigativamente.

Christine parve quasi indispettirsi. Assottigliò gli occhi. "Imitare tua cugina non ha senso." Le sue parole erano più taglienti della lama del coltello. "Così non gli piacerai certo di più."

Fu un colpo basso. Lily ebbe la netta sensazione di aver ricevuto un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco. Gli occhi presero improvvisamente a pizzicarle e dovette davvero fare un enorme sforzo per impedire al proprio mento di tremolare stupidamente. 

Avrebbe dovuto aspettarselo, pensò, che Christine sapesse di lei e Jake – e che non avrebbe tardato a giocare anche quella carta.

"Sei patologica," si ritrovò a sbottare. 

Christine inarcò le sopracciglia, visibilmente perplessa. "Sono patoche?!"

Termine Babbano. Ovvio che non lo conosca, da brava Stronza Purosangue.

"Significa che sei malata." Sibilò guardandola rabbiosa. "Il tuo bisogno di attenzione è malato."

L'altra sostenne il suo sguardo per alcuni istanti, poi diede in una risata cristallina. 

Fu davvero troppo per Lily. Si voltò di scatto e si allontanò a lunghi passi oltre il battente socchiuso dell'enorme portone di quercia, facendosi strada nel parco gelido e deserto. Neanche indossava il mantello: si strinse nel golfino dell'uniforme, avvolgendosi più stretta la sciarpa verde-argento intorno al collo. 

Albus l'avrebbe ammazzata. Da quando era stata aggredita, le aveva intimato almeno duecento volte di non allontanarsi mai dal castello da sola. Ma in fondo se n'era sempre fregata di quel che diceva Albus – oltretutto, aveva la netta sensazione che la Stronza l'avrebbe seguita; e per di più aveva veramente bisogno di fumare una sigaretta in santa pace.

Aveva preso il vizio quasi di proposito, da circa un anno. Le piaceva quel senso di languida rilassatezza che provava aspirando e lasciando che il sapore leggermente acre della sigaretta si diffondesse nella sua gola, per poi soffiare il fumo delicatamente fra le labbra e osservarlo mentre saliva in dolci spirali verso il cielo. Le piaceva così tanto che adesso non riusciva più a farne a meno.

Questo è il mio problema, con le cose. Quando mi piacciono troppo finiscono per farmi male.

Percepì uno strano senso di calore negli occhi, mentre il resto del suo corpo era scosso da brividi di freddo. 

Il vento, Lily. Non stai piangendo, è solo il vento che ti fa lacrimare gli occhi.

Raggiunse un posto ben nascosto, dietro le serre. Si raggomitolò contro la parete di vetro – piacevolmente tiepida grazie agli Incantesimi Riscaldanti che il professor Paciock aveva posto all'interno per non far ibernare le piante; nonostante il lieve tepore, le sue spalle esili continuarono a tremare dal freddo, mentre la sua pelle era percorsa dalla pelle d'oca in ogni singolo centimetro che i refoli gelati riuscissero a raggiungere. 

Armeggiò con le dita ossute e malferme – chissà se per il gelo o per l'agitazione, anche se si sarebbe vergognata ad ammetterlo – e riuscì a estrarre un pacchetto di sigarette Babbane dalla minuscola borsetta a tracolla che aveva portato con sé quella mattina. Non si sprecò neanche a frugare ulteriormente per cercare un accendino: generò una fiammella dalla sua bacchetta magica e accese la sigaretta direttamente da lì. 

Mentre aspirava la prima boccata di fumo, il mento le iniziò a tremare senza che riuscisse più a controllarsi. Delle grosse lacrime presero a rotolarle giù per le guance. Sollevò un braccio e se le asciugò con rabbia, con il dorso della mano.

Le sembrava di avere perso qualche frammento di sé per strada, come se avesse smarrito qua e là pezzi della propria esistenza. Non c'era più niente che andasse come avrebbe dovuto, e faceva davvero tanto male.

Non era giusto che facesse così male, non era giusto che una persona le potesse piacere così tanto e al tempo stesso avere qualcun'altra in testa.

Bisognerebbe innamorarsi solo di chi ti può ricambiare.

E Christine. Perché aveva dovuto dirle quelle parole? Era solo colpa sua.

Udì dei passi avvicinarsi. Si asciugò l'unica lacrima superstite, pregando che i suoi occhi non fossero troppo rossi – anche se avrebbe sempre potuto dar la colpa al freddo. Da quando era passata dallo stato di lattante a quello di creatura autosufficiente, non ricordava di aver mai versato lacrime davanti a qualcun altro, fuorché in situazioni estreme – come quella volta in cui, a otto anni, era caduta dalla scopa da due metri d'altezza e si era fratturata la clavicola. 

Anche quando i passi si fermarono a neanche un metro da lei, continuò a fissare ostinatamente davanti a sé, continuando a fumare la sua sigaretta, scrutando il cielo come se fosse stata alla ricerca di eventuali fiocchi di neve.

Ma non aveva ancora nevicato. Neanche una spruzzata di nevischio.

Poi percepì chiaramente un tramestio, il tonfo leggero di qualcuno che si sedeva per terra accanto a lei. Con la coda dell'occhio aveva intravisto dei capelli scuri raccolti in una treccia morbida e una sciarpa identica alla sua.

"Vattene," sbottò con voce smorzata. "Hai già fatto abbastanza."

"Mi dispiace."

"Eh?!" Si voltò di scatto, talmente incredula all'udire quelle parole che non riuscì a frenarsi. 

Christine De Bourgh mise su l'ennesimo sorrisetto. Solo che era diverso, questa volta. Come se fosse più sincero.

Ma non è come se ci credessi, insomma.

"Ho detto che mi dispiace," ripeté l'altra con voce più chiara. 

Lily la soppesò con lo sguardo per un istante. "Non me ne faccio nulla del tuo dispiacere."

"Greengrass non è più innamorato di tua cugina."

Ebbe la sensazione dell'ennesima pugnalata in mezzo alle costole. Tuttavia, si limitò a sbirciare Christine, cercando di immettere nel proprio sguardo tutto il disgusto possibile. "Tu non sei proprio in grado di farti gli affari tuoi, vero?" replicò gelidamente.

"Trovo che gli affari degli altri siano… interessanti," convenne l'altra con aria di assoluta serenità, ammiccando. 

"Non ti sei mai chiesta perché tutti ti odiano, De Bourgh?"

"Forse non mi importa?"

"Forse perché sei una stronza."

Christine rispose con un istante di ritardo. "Ad ogni modo, non è vero che tutti mi odiano." Un istante solo. Per Lily fu sufficiente.

Mise su un sorrisetto vuoto e fasullo. "In effetti io non ti odio. Mi fai un po' pena, se devo essere sincera."

L'altra aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse – quasi che il vento le avesse ghiacciato le parole nella gola. 

"Forse dovresti lavorare un po' su te stessa," proseguì Lily, pungente. "Te l'ho detto: hai un patologico bisogno di attenzione. Vivi del rovinare le esistenze altrui. Possibile che tu non ti renda conto di essere terribilmente patetica?"

Negli occhi di Christine guizzò un bagliore. Un bagliore infuriato.

Lily sogghignò: la Stronza iniziava ad arrabbiarsi, lei iniziava a sentirsi soddisfatta.

"Forse non te ne rendi conto," infierì ancora, giusto per il gusto di provocarla, "ma la maggior parte di coloro che ti circondano ti commisera."

"Stai attenta, Potter." La voce di Christine uscì simile a un basso ringhio. "Potresti pentirti di ogni singola parola."

"Potrei." Lily convenne, rendendosi improvvisamente conto di aver alzato la voce. "Ma non lo farò. Perché potresti anche avere mille armi per colpirmi… ma io non sono Lucy. Io sono perfettamente in grado di difendermi, e lo sai perché? Perché delle conseguenze non mi importa un accidente!"

L'eco delle sue ultime parole risuonò appena nel parco deserto. 

Ci furono alcuni istanti di silenzio in cui si fissarono dritte negli occhi, Christine irrigidita e Lily – che era scattata in piedi chissà quando – ancora tremante e in una postura aggressiva, come un gatto che stesse per attaccare una preda. 

Poi Christine distolse bruscamente lo sguardo da lei e parve rilassarsi, mentre Lily raddrizzava la schiena. Con voce squillante e uno stupido sorrisetto in faccia, le disse: "Hai finito lo sfogo? Spero che adesso tu ti senta meglio."

Lily per un momento fu combattuta. Non sapeva se prenderla a schiaffi o…

Scoppiò a ridere di gusto. "Sai, De Bourgh? Non sei male come si potrebbe pensare, se si tiene conto che sei umana."

Dall'espressione di Christine De Bourgh, si sarebbe detto che avesse ricevuto una secchiate d'acqua gelida in pieno volto. La sua mascella subì uno spasmo leggero, come se anche lei fosse lì lì per scoppiare a ridere. Ma riuscì a trattenersi. "Mi… mi offriresti una sigaretta? A buon rendere." Era una domanda fatta tanto per fare, giusto per cambiare discorso. Christine sembrava a metà fra il contrariato e il divertito.

"D'accordo," concesse Lily in tono leggero, porgendole il pacchetto. Christine estrasse una sigaretta e glielo riconsegnò, dunque aspirò la prima boccata dopo averla accesa come aveva fatto lei, con la bacchetta magica. 

"Grazie." Fece, formale. "Nevica."

"Oh." Lily alzò la testa verso il cielo. "Hai ragione."

Piccoli fiocchi di neve avevano iniziato a cadere delicati verso il suolo. Volteggiavano nell'aria, in lontananza indistinti e poi sempre più nitidi. Lily provò a sceglierne uno e seguire il suo percorso verso terra, ma naturalmente era impossibile – lo confuse con milioni di altri. 

Improvvisamente, sentì il proprio cuore come inzuppato di una gioia irrazionale. 

Le sue mani erano gelate e tremava sempre di più, i capelli che iniziavano a inumidirsi. "Forse dovrei rientrare," annunciò serafica.

"Forse," convenne Christine roteando gli occhi. "Hai vinto questa volta, piccola Potter. Non ci sarà un bis. Ma questo lo sai, vero?"

"Certo." Fece Lily, ascoltandola solo a metà. Non riusciva a prenderla del tutto sul serio – forse perché Christine stessa non era del tutto seria. 

La compagna di Casa l'accompagnò lungo la strada che conduceva al castello. 

"Potter." La richiamò prima che si separassero, in Sala d'Ingresso. 

Lily si voltò lentamente. "Sì?"

"Non mentivo. Greengrass non ama più tua cugina."

Sospirò. "Non ho bisogno di essere consolata da te."

"Certo." Christine sollevò gli occhi al cielo. "Ovviamente."

Le venne da ridere, ma si trattenne. Scuotendo la testa, salutò con la mano e si avviò verso i sotterranei.

Forse la De Bourgh aveva ragione. Si sentiva meglio, adesso che si era sfogata… abbastanza bene da agire invece che continuare a piangersi addosso. 

Era giunto il momento che Jacob Greengrass si rendesse conto di ciò che stava perdendo. 

 

 

****

 

 

8 dicembre 2021

Sala Comune di Serpeverde, Hogwarts

Ora del tè

 

"Chi pensate di invitare al Ballo?"

Questa non era una domanda che gli piaceva. Insomma, così… su due piedi. In piena Sala Comune.

Come se quest'ultima non fosse già stata abbastanza piena di ochette starnazzanti e – almeno negli ultimi tempi – apparentemente in grado di parlare di un solo, unico argomento. 

Ovvero lo stramaledetto Ballo dello stramaledetto Ceppo.

A Bernie non piaceva parlarne. Da una parte lo imbarazzava da morire l'idea di fare qualcosa di tanto formale e stupido come invitare una ragazza al Ballo. In fondo, era come invitare qualcuna a passare una serata fuori. Si sarebbe ballato e mangiato, con probabile bacio ed eventuale dessert. Insomma, non era poi nulla di che.

Peccato che questa fosse solo la sua opinione, poiché a quanto pareva per la maggior parte della popolazione femminile il Ballo del Ceppo aveva un livello di importanza del tutto diverso rispetto a una qualunque uscita a Hogsmeade. Essere invitate al Ballo costituiva praticamente uno status sociale. 

Le ragazze non gli erano mai sembrate così tante in tutta la sua vita. Erano maledettamente troppe

Percorrere i corridoi era diventato quasi impraticabile. Soprattutto a causa delle ragazze del terzo anno, che avrebbero potuto partecipare al Ballo solo se invitate. A quanto pareva, loro del settimo erano considerati quelli maggiormente papabili, e gruppi piuttosto consistenti di tredici-quattordicenni tendevano a convergere in continuazione nelle loro vicinanze, ostacolando i loro movimenti. Naturalmente, non tutti ne erano infastiditi. Alcuni – come Albus o quel Chris McGregory – si accarezzavano i baffi e gonfiavano i muscoli come stupidi pavoni soddisfatti. Sorprendentemente, Jacob era del tutto indifferente alla faccenda. Si limitava a degnare di un'occhiata sufficiente chiunque fosse nei paraggi.

Anche se, a dire il vero, Jake era sorprendentemente di cattivo umore, negli ultimi tempi. Sembrava aver avuto una ricaduta dei postumi di Dominique. 

Scorpius ignorava la faccenda con molta classe. Bernie si sentiva imbarazzato da morire, anche se riusciva a non darlo a vedere senza troppa difficoltà.

Essere un Serpeverde ha i suoi lati positivi, qualche volta.

"Allora?" insisté Albus, come al solito ospite della loro Sala Comune e spaparanzato sul divano. "Chi volete invitare."

Jacob scrollò le spalle, lo sguardo fosco puntato sul fuoco acceso nel caminetto e un'espressione decisamente truce.

Il festino che ha organizzato la Parkinson stasera gli farà bene.

O forse no: sarà pieno di alcool. Noi Serpeverde facciamo sempre le cose per bene.

"Non distoglierlo dal suo mutismo, per favore," intervenne Scorpius in tono distaccato. "Le conseguenze non sono piacevoli."

Jake gli scoccò un'occhiata non dissimile da quella che avrebbe rivoltò a una mosca molesta, quindi tornò a fissare il fuoco.

La solita primadonna.

"Tu, Scorpius?" insisté Albus. "Chi pensi di invitare?"

"Già fatto," fece l'altro. "Tua cugina."

"Mia cugina?" Albus aggrottò le sopracciglia. "Hai invitato Lucy?"

Scorpius scosse la testa. "No. Io–"

"Ha invitato Rose," intervenne Bernie, pacato. 

"Come amici," si affrettò a precisare il giovane Malfoy.

Bernard non credeva affatto a questa storia di una sana e sincera amicizia, ma d'altronde aveva scoperto che non gli importava poi così tanto – insomma, quella per Rose era sempre stata una stupida cotta da preadolescente. Forse pomiciare con Agnes Cardmaker aveva contribuito a risollevargli il morale: la quattordicenne aveva delle labbra estremamente morbide e carnose, ed era stato magnifico stare con lei nello spogliatoio ancora umido dei vapori delle docce, dopo gli allenamenti di Quidditch. Specie perché poi non c'era stato bisogno di dirlo a nessuno. Agnes era un tipo abbastanza riservato, per fortuna: non un'oca starnazzante che sarebbe corsa a dirlo ai quattro venti.

A dire il vero, Bernie aveva anche pensato di invitarla al ballo, prima di scoprire che ci sarebbe andata con un tipo belloccio del sesto anno di Tassorosso.

Non gli importava nulla, solo che adesso non aveva idea di chi invitare. Per le ragazze quel ballo era importante, non voleva andarci con qualcuna che magari si sarebbe aspettata da lui qualcosa… qualcosa di più che sesso nello spogliatoio di Quidditch, insomma. 

Jake glielo diceva sempre, che si preoccupava troppo per gli altri per essere un Serpeverde.

"Non sapevo che foste diventati amici," stava dicendo nel frattempo Albus. "Rose non è propriamente socievole, insomma."

"Siamo amici," ripeté Scorpius, tagliando corto. Era chiaro quanto quel discorso lo mettesse a disagio.

O forse lo mette a disagio parlare di Rose davanti a me, pensò Bernie, sentendosi improvvisamente fuori posto.

"Devo andare." Si alzò bruscamente. "Credo sia ora della mia ronda."

Ultimamente usava quella scusa un po' troppo spesso. 

Gettò un'occhiata a Jake, che fissava ancora il fuoco. Decise di trarlo in salvo e lasciare Albus e Scorpius a parlare di Rose Weasley in santa pace.

"Vieni, Jake." Ordinò perentorio. "Il Caposcuola prescrive aria fresca."

"Non sei mica un Guaritore," mugugnò Jacob, ma si alzò senza fare troppe storie.

Bernie si sentiva un po' meglio. Una finta ronda in compagnia di un amico immusonito era sempre meglio di una finta ronda in compagnia del proprio malumore.

Mal comune, mezzo gaudio.

Basta puntare sul mezzo gaudio.

Jacob non disse una parola per tutto il percorso. Bernie procedeva un po' a caso, e i suoi passi lo condussero nel parco deserto, già affondato nel buio. Durante la giornata si era depositato uno strato di neve su tutto il perimetro, e il Caposcuola doveva ammettere che il parco gli piaceva da morire, ammantato di bianco a quella maniera. Aveva qualcosa di fiabesco, che gli ricordava la sua infanzia e i primi anni a Hogwarts – gli anni in cui non c'era da preoccuparsi per le ragazze o per aggressori sconosciuti. Si chiese in quale punto delle loro esistenze qualcosa fosse andato storto. Sembrava che si fossero persi per strada un pezzo del puzzle, e che adesso fosse troppo tardi perché calzasse perfettamente al posto che gli spettava.

Faceva davvero freddo: il fiato si condensava davanti alle loro labbra e il gelo strisciava sotto i mantelli, fin quasi alle ossa. 

Improvvisamente, riprese a fioccare. Guardò il cielo e gli venne un improvviso desiderio di volare, sebbene si sarebbe fatto troppo buio ancor prima che potesse raggiungere la rimessa delle scope, e per giunta volare nel mezzo di una nevicata era sconsigliabile. 

Si soffio sulle mani gelate, in un vano tentativo di scaldarsi.

"Allora?" La voce di Jake squarciò il silenzio. "Con la Cardmaker?"

"Con la Cardmaker… Cosa?!" Bernie sgranò gli occhi, esterrefatto. "Tu…"

Jake guardò in direzione della Foresta Proibita, pensieroso. "No, non me l'ha detto nessuno." La sua voce suonò estremamente piatta. "Sì, l'ho capito da solo. No, non è poi così palese."

Bernie emise un piccolo sospiro di sollievo, stupendosi appena di come l'amico avesse eluso una dopo l'altra tutte e tre le domande che gli erano balzate per la testa. Un sospetto improvviso lo colse. "Mi… Stai diventando un Legimante, Jacob?"

L'altro scosse la testa. "Sei tu. Hai sempre le cose scritte in faccia."

"Ah." Sbuffò, seccato. "Beh, se lo dici tu."

"Forse dovresti imparare un po' di Occlumanzia."

"Oh, taci."

Jake piegò le labbra in una sorta di sogghigno sghembo. La cosa più simile a un sorriso che si potesse ottenere da lui, quando era in quello stato d'animo. 

"Come è successo, ad ogni modo?"

Bernie scrollò le spalle. "Niente di che. Lei mi lanciava certi sguardi eloquenti… Mi sono limitato a raccogliere le sue provocazioni."

"Te la sei fatta." Lo vide ghignare, gli occhi che scintillavano nella penombra del parco.

Arrossì appena. "Ecco, se vuoi metterla in questi termini… Insomma, sì."

"Quindi il capitolo Rose Weasley è definitivamente chiuso."

Sospirò amaramente. "Ho mai avuto speranze?"

Jacob non rispose. Quel breve exploit di buon umore doveva essersi già esaurito. Tuttavia, dopo alcuni istanti di silenzio, riprese la parola, rauco. "Pensi di invitarla al ballo?"

Bernie aggrottò le sopracciglia. "Chi, Agnes?"

"Proprio lei."

"Ci va con Justin Canon."

Jacob annuì, pensoso. "Mi spiace, amico." Gli assestò una cameratesca pacca sulla spalla. 

"Fa nulla." Bernie sospirò. "Non è che ci tenessi particolarmente. Solo che adesso non so chi invitare."

"Come ti capisco," replicò l'altro in un mormorio.

Bernard aggrottò le sopracciglia, dispiaciuto. "Jake, non dirmi che pensi ancora a–"

"Non penso a Dominique, se è questo che intendi." Chiaramente a disagio, Jacob si frugò in tasca, finché non trovò un pacchetto di sigarette Babbane.

"Dovresti smetterla con quelle cose." Bernie ritenne doveroso redarguirlo. "Ti fanno male, lo sai?"

L'unica cosa che si guadagnò fu un occhiataccia da parte di Jacob, che per il resto lo ignorò completamente. Accese la sigaretta e aspirò una lunga boccata, rimanendo a osservare il fumo che si disperdeva quasi impercettibilmente nell'aria gelida; le sue sopracciglia erano aggrottate e lo sguardo più fosco che mai.

"Ne sei sicuro?" Bernie esitò. "So che è venuta a vedere la prima prova."

"L'ho incontrata," ammise l'altro. "Ma non è questo il punto… non solo."

Lo osservò per qualche istante, scrutando attentamente la sua espressione. "Qual'è il punto, allora?"

Jacob liberò il fumo che aveva aspirato, quindi strinse appena le labbra. "Sai tenere un segreto, Bootie?"

 

 

****

 

8 dicembre 2021

Gelateria Florian Fortebraccio, Diagon Alley

Pomeriggio

 

Ellen scoppiò a ridere. A dire il vero, lei e Marcus ridevano già da un pezzo: il ragazzo poteva apparire presuntuoso e arrogante, con quel suo modo di fare così vanesio e spocchioso, ma – come aveva scoperto – era anche estremamente auto ironico. E divertente. 

Il loro si sarebbe potuto dire l'appuntamento perfetto. Il tè aveva un gusto delicato, nella caffetteria di Fortebraccio c'era un bel tepore e il clima fra loro due era sereno e complice. Peccato che non fosse Marcus la persona con cui avrebbe voluto avere un appuntamento. 

Si sentiva un po' in colpa, a dire il vero. Flint le era simpatico, non voleva rischiare da suscitargli false impressioni. Il fatto era che Ellen non era particolarmente pratica di queste cose. Non era stata in grado di rifiutare l'invito, e adesso non era in grado di mettere in chiaro le cose.

"Guarda che l'ho capito che non ti piaccio," fece Marcus una volta che le loro risa si furono placate, quasi le avesse letto nel pensiero.

Ellen sussultò. "Di cosa stai parlando?" chiese in un filo di voce.

Il ragazzo sorrise bonario. "Ti rendi conto di non essere minimamente in grado di mentire, vero?"

"Ehm."

"Dai, non c'è problema. Anche tu non piaci a me." Marcus incrociò le braccia dietro la testa e si rilassò all'indietro, lo sguardo fisso verso l'alto e l'espressione pensosa.

Ellen bevve un sorso del proprio tè. "Perché mi hai invitata a uscire, se non ti piaccio?" Si sentiva in imbarazzo: di certo non era una situazione comune.

Marcus tornò a guardarla. "Volevo far contenta mia madre. Sai, non è esattamente entusiasta del fatto che io passi molto tempo all'estero e faccia un lavoro tanto pericoloso."

Lei sospirò. "Visto che siamo in tema di confessioni," ammise passandosi una mano sulla fronte, "anche io ho detto di sì per far contenta mia madre. Era così felice che finalmente avessi un appuntamento."

"Perché, non ti capita spesso?" Marcus sembrava davvero perplesso. "Ellen, sei… davvero bella. Com'è possibile?"

Ellen fece spallucce. "Sono sempre stata piuttosto timida." Come giustificazione era piuttosto banale, ma passabile.

"Certo." Il ragazzo roteò gli occhi. "Avanti, confessa. Come si chiama lui?"

"Lei." Ellen si accorse di ciò che aveva detto solo qualche istante dopo aver pronunciato quella parola. Arrossì di botto e si premette le mani sulla bocca, orripilata.

Marcus sembrò interdetto solo per un istante, poi si ricompose. "Allora, come si chiama lei?" riformulò la domanda come se nulla fosse.

Decise di rispondere sulla stessa lunghezza d'onda. "Hera," rispose con più naturalezza possibile, nonostante avesse il sospetto che la sua faccia stesse raggiungendo l'esatta tonalità di un pomodoro maturo. 

"State insieme?" Il tono di Marcus suonò esageratamente professionale.

La cosa la divertì e riuscì a metterla di nuovo a proprio agio. "No. Ci limitiamo a–"

"Flirtare?"

"Esatto." Annuì. "Flirtare è la parola giusta."

Marcus non dispose, si limitò a scoccarle una strana occhiata densa. 

Improvvisamente, capì.

"E tu?" Ammiccò. "Come si chiama la tua… o il tuo, ecco. Insomma, hai capito."

"Lei non si chiama. E comunque non mi vuole."

"Dai, non puoi esserne certo!" A giudicare dallo sguardo che le lanciò, Marcus non doveva essere dello stesso avviso. 

"Lei non si chiama. Vuol dire… Non c'è nessuna lei."

Lo studiò per alcuni istanti. "Eri un Serpeverde, Marcus. Dovresti essere in grado di mentire."

Il ragazzo sospirò teatralmente. "Non sto mentendo, maledetta Grifondoro."

Lei inarcò le sopracciglia scettica. "Dai. Sai che puoi dirmelo."

Marcus sbuffò. "Lei è un Auror. E mi odia."

"Auror." Ellen ci mise qualche secondo a registrare. "E ti odia."

"Pensa che io sia un perfetto cretino. Me lo ripete quotidianamente dai tempi di Hogwarts."

Ellen poggiò entrambi i gomiti sul tavolo e accomodò la testa fra i palmi delle mani, pensierosa. "Andava a Hogwarts più o meno contemporaneamente a te e ti odiava. Quindi dovrei conoscerla, almeno di vista. Era un tipo popolare?"

"Direi." Marcus sospirò e si affrettò a nascondere il volto nella sua tazza di tè. Lei trattenne una risatina con una certa difficoltà: Marcus Flint Jr era un ragazzone grande e grosso, con spalle larghe e un torace imponente – difficilmente qualcosa l'avrebbe nascosto, figurarsi una tazza da tè. 

"Mmh." Emise un breve sbuffo. "Una ragazza che a Hogwarts era popolare e adesso è un Auror. Ti odiava… Rivale di Quidditch?"

"Fuochino," borbottò il ragazzo di rimando.

"Grifondoro, probabilmente." Sentenziò ancora Ellen. "Non potrà es– Ho capito!" esclamò, trionfante, colta da un'improvvisa illuminazione. "Holly Wynne Greengrass."

"Già." Marcus la guardò, derelitto. "Non fa altro che darmi dell'idiota ogni giorno da dieci anni a questa parte."

"Hai mai provato a farti avanti?" Ellen non era un asso in cose simili. Si sentiva terribilmente inadatta a dare consigli di questo genere, ma in un simile frangente non sapeva cosa altro fare.

"Ripetutamente." Sbuffò. "Ma non mi ha mai preso sul serio, credo. Anche se non credo di farle così schifo… Le sue reazioni con me sono sempre esagerato. A dire il vero, ero sempre stato convinto di piacerle, sotto sotto."

"Ma… ?"

Il ragazzo le lanciò un'occhiata mogia. Sembrava davvero demoralizzato. "Te l'ho detto, non mi prende sul serio."

"Hai pensato di provare a farla ingelosire?" L'idea le era balenata in mente così, all'improvviso. Le dispiaceva così tanto per Marcus – il quale, nonostante il suo modo di fare in principio così vanesio, era davvero un caro ragazzo – che sentiva un bisogno istintivo di aiutarlo. Qualcosa dentro di sé le suggeriva che il suo nuovo amico meritava davvero di essere felice.

Cosa dicevano i veri Grifondoro? Mai ignorare l'istinto.

"Ci ho pensato, in effetti. Ma come?"

Dannazione, Marcus. Sei un Serpeverde: sbaglio o voi ottenete sempre quello che volete?

Ellen aggrottò le sopracciglia, incerta sul da farsi. "Usciamo di qui?" propose.

L'altro si rivelò d'accordo. Raggiunsero la cassa, e il ragazzo insistette molto cortesemente per essere lui a offrire. "Insomma, è pur sempre un appuntamento," si giustificò in un mugugno.

Una volta che si furono ritrovati all'aperto in Diagon Alley, Ellen si sentì subito meglio, come se l'aria gelida avesse prontamente schiarito il suo cervello. Aveva ripreso a nevicare leggermente sull'acciottolato già imbiancato ai margini – il centro della strada era stato precedentemente liberato con un paio di Incanti Spazzaneve. 

Si strinse nel suo cappottino grigio, e Marcus le circondò le spalle con un braccio, come una coppia di fidanzati.

Il vento gelido faceva sferzare nell'aria la sciarpa rossa e gialla di Ellen. Anche se non era più a Hogwarts, le piaceva indossare – più o meno – i colori di Grifondoro, qualche volta. Lei e Marcus camminarono fianco a fianco per un paio di isolati, finché il ragazzo non si arrestò improvvisamente, sbiancando. 

"Merda," bofonchiò. "C'è Holly."

Ellen seguì la traiettoria del suo sguardo. Dalla parte opposta della strada, vide la figura sottile di una graziosa ragazza dai capelli biondi, che indossava la divisa da Auror e aveva un'espressione tenace. Lei non si limitava a indossare i colori di quella che a Hogwarts era stata la sua Casa, ma addirittura indossava la sciarpa Grifondoro dei tempi della scuola.

Patriottismo puro.

O fanatismo, a seconda dei punti di vista.

Lo sguardo di Holly Wynne Greengrass si posò su di loro – o meglio, su Marcus – e i suoi occhi si assottigliarono pericolosamente, come alla vista di qualcosa di profondamente sgradito.

Ellen capì che bisognava di cogliere l'attimo.

"Marcus," disse in fretta. "Baciami."

L'altro sgranò gli occhi. "Che cosa?!"

"Adesso." Sibilò lei, rivolgendogli la perfetta imitazione di un sorriso zuccheroso.

Marcus capì. 

Posò una mano grande e calda alla base della sua schiena, con l'altra raccolse il suo volto, chinandosi su di lei, e la baciò.

Anche le labbra di Marcus erano calde, ed era piacevole sentirle muoversi con decisione contro le proprie. La sua lingua sapeva del tè dolce che entrambi avevano bevuto e le piaceva stringersi a quel modo al corpo di qualcun altro, ma c'era qualcosa… qualcosa che non andava. Forse il fatto che le guance di Marcus fossero così ruvide e che la sua barba rasata pizzicasse leggermente contro il mento di Ellen. O forse che quel corpo fosse così grande e robusto, privo di morbidezze. Il bacio di Marcus era dolce, ma il modo in cui dall'alto della sua mole lui incombeva su di lei non le piacque affatto. 

Poi, così com'era iniziato, il bacio finì.

Si staccarono ed Ellen si accorse di essere senza fiato, ma anche di aver appena avuto l'ennesima prova che non fosse questo ciò che davvero desiderava.

Marcus tolse la mano dalla sua schiena e fece scivolare casualmente intorno alle sue spalle quella che aveva poggiato sul suo viso. Ellen si sollevò in punta di piedi e gli schioccò un bacio sulla guancia, continuando a recitare la parte della fidanzata perfetta. 

Sembrò funzionare. Gettò casualmente uno sguardo in direzione di Holly, che li fissava basita.

"Non la guardare," avvisò Marcus. "Altrimenti capirà tutto."

Holly Wynne Greengrass scoccò loro un'altra occhiata furente, dunque si allontanò di gran carriera.

"Beh," commentò. "Credo proprio che abbia funzionato a meraviglia."

 

 

****

 

8 dicembre 2021

Sala Comune di Serpeverde, Hogwarts

Tarda sera

 

 

You believe there's something else

To relieve your emptiness…

 

Rose si stava divertendo. 

Non l'avrebbe mai ammesso con Christine e Gwyneth, certo, nonostante tutto quell'impegno da parte loro nell'organizzare una festa in suo onore l'avesse fatta sentire bene, ma la serata si stava rivelando estremamente piacevole. Le compagne di dormitorio avevano avuto occhio nel non coinvolgere nessuno che appartenesse ad altre Case – neanche Hugo o Albus – perché in tal caso si sarebbe indubbiamente formata una ressa inverosimile, e questo a Rose non sarebbe affatto piaciuto. Il risultato era stato un festino abbastanza ristretto: erano stati coinvolti solo gli studenti degli ultimi anni, con alcune eccezioni come Lily Potter e Agnes Cardmaker – tutti rigorosamente Serpeverde.

Ovviamente, come in ogni festa che si rispetti, c'era dell'alcool – Rose sospettava lo zampino di Greengrass, maestro di contrabbando; era abbastanza di buon umore da sopportare persino Jacob di buon grado, il che era tutto dire. Si sentiva abbastanza su di giri da fare cose piuttosto stupide e avere una parlantina insolitamente sciolta.

Forse era a causa del Firewhiskey, già. Se non fosse stata così brilla, non avrebbe mai accettato di partecipare a un'iniziativa tanto demenziale.

L'aveva proposto Christine, naturalmente, con un sogghigno divertito e uno scintillio tentatore in fondo agli occhi scuri, e in quella stanza erano tutti troppo allegri per pensare che lei fosse la De Bourgh, per Merlino, e che davvero non c'era da fidarsi di lei perché forse poteva essere la vera identità di Gossip Witch.

Però Rose sapeva che erano tutte sciocchezze, insomma. Di Christine in fondo ci si poteva fidare – o meglio, lei poteva; fatto sta che adesso l'altra le aveva buttato un braccio intorno alle spalle e Rose le aveva circondato la vita con il proprio, e questo la faceva sentire in qualche modo sicura. La sensazione era piacevole, perché Christine non voleva farle del male – non a lei. Avrebbe cacciato i mostri, se si fossero avvicinati.

E poi Rose era così brilla e i pensieri si riallacciavano confusi l'uno all'altro, nella sua testa, ma non si sentiva male – si sentiva bene.

Rose stava vicino a Chris e stringeva un bicchiere pieno di Firewhiskey nella mano libera. Erano tutti seduti in cerchio e Christine si sporgeva in avanti per far ruotare una bottiglia. Una bottiglia.

Era la balorda proposta di Christine, quella di giocare ad Obbligo o Verità, e tutti avevano acconsentito – chi con entusiasmo, chi con più o meno vera reticenza.

Lo sguardo di Rose incrociò quello di Scorpius. Lui non era del gruppo degli entusiasti e neanche di quello dei reticenti: si era limitato ad accogliere la proposta con tiepida rassegnazione.

Non erano riusciti a parlare per più di trenta secondi di fila, quella sera, ma non era stato poi così brutto – forse perché i loro sguardi si erano trovati spesso, e ogni volta Scorpius le aveva rivolto un sorriso rassicurante e felice per lei. Questo l'aveva fatta sentire ancor meglio di tutto il resto: sapere che la loro amicizia non si sarebbe sgretolata da un momento all'altro come un castello di sabbia.

Cominciò Christine. Si sporse verso il centro del cerchio e fece ruotare la bottiglia vuota di Ogden Stravecchio con un gesto sicuro. La bottiglia girò velocissima per alcuni istanti, poi cominciò a rallentare fino a fermarsi, il collo diretto verso Bernard Boot. 

Liliane Durbuy-Delacour – la quale chissà come era riuscita a imbucarsi – scoppiò in una risata fragorosa.

"Bene, bene…" Christine sorrise, guardando Bernie come se lo stesse soppesando. Nei suoi occhi c'era una scintilla strana. "Obbligo o Verità?"

Boot ricambiò con un'occhiata sospettosa, prima di borbottare: "Verità."

"Delizioso!" Il sorriso di Christine divenne se possibile ancor più largo. "Vediamo… Chi è l'ultima persona con cui sei stato a letto?"

Il ragazzo arrossì appena, forse più per il fastidio che per l'imbarazzo. Quindi gettò un'occhiata in tralice alla Cardmaker prima di biascicare un indistinto: "Agnes."

La ragazza, dal canto suo, non parve minimamente imbarazzata – o se lo era, lo nascose bene.

"Però non funziona così!" protestò Amarillide Stubbins ad alta voce. "Non è giusto che siamo costretti a dire i nostri segreti."

"Dovremmo giocare alla bottiglia e basta," chiarì Swanilda Simpson. "Ama voleva dire questo."

Christine accolse le proteste con quello che parve a Rose un sorrisino soddisfatto più che condiscendente. "Che cosa intendete?" domandò candidamente. "Che prima si stabilisca l'obbligo e poi si faccia girare la bottiglia?"

Amarillide sorrise a quarantadue denti. "Sì, dicevo proprio questo!" annuì con entusiasmo.

"D'accordo," acconsentì Chris in tono leggero. "Facciamo così."

"Ehi, non è giusto!" protestò Bernie, veemente. "Io la mia verità ho dovuto dirla!"

"Mi spiace Boot," fece Christine, sorridendogli. "Mi faro perdonare, te lo prometto."

Lui aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse quando la ragazza si sporse di nuovo in avanti – i suoi lunghi capelli scuri le scivolarono davanti alle spalle – e fece girare  la bottiglia. "Bacio." Stabilì. "Sulle labbra."

Di nuovo diede una secca botta di polso, e di nuovo la bottiglia girò, per fermarsi in direzione di Gwyneth, che scosse una ciocca di capelli dietro la spalla e sorrise. "Chi devo baciare, Chris?" La compagna di dormitorio le fece l'occhiolino, quindi roteò ancora la bottiglia, che si fermò in direzione di Herman Hessler. Quest'ultimo non parve particolarmente entusiasta, sorprendentemente, mentre Gwyneth si sporgeva in avanti e sfiorava le sue labbra con le proprie.

Rose si ritrovò a ridacchiare. Era tutto così stupido e infantile… ma era bello prendere tutto poco sul serio, per una volta. 

Era il turno di Gwyneth per ruotare la bottiglia. "Bacio," riecheggiò le parole di Christine. "Ma questa volta con la lingua."

L'atmosfera era ancora più trepidante di prima quando Gwyneth fece ruotare la bottiglia, che girò e girò fino a puntare… su Scorpius. Esattamente su di lui.

Rose provò uno strano senso di fastidio. 

Gwyneth girò ancora la bottiglia – Rose fece tanto d'occhi, quando si fermò dritta su di lei.

Restò immobile.

Baciare Scorpius?! 

E perché no?, rispose una vocina dentro di lei. Questo è solo un gioco, e voi siete amici. Probabilmente, domattina non ricorderete nulla di qualunque cosa possa succedere stasera.

Ma desiderava fermare il tempo, desiderava fermare se stessa. Lo desiderava disperatamente.

Nonostante ciò, si mosse. Scorpius – che aveva negli occhi una strana espressione intensa – fece lo stesso, poggiando una mano in terra e sporgendosi verso il centro. Anche Rose gli si accostò, finché non furono talmente vicini che solo pochi millimetri separavano la punta del suo naso dal viso di Scorpius. Per qualche istante rimasero immobili e Rose si accorse solo in quel momento che il suo cuore batteva furiosamente, rimbombandole nelle orecchie. 

Poi Scorpius annullò anche l'ultima distanza, chinandosi verso di lei e posando le labbra sulle sue.

 

We will always have the chance 

We can do this one more time...

 

La stava baciando. Stava baciando Rose Weasley.

Le stava sollevando il mento con una mano e teneva gli occhi chiusi, e le mani di Rose si erano aggrappate al bavero della sua camicia e…

… e le labbra. Merlino, le labbra! Le labbra che erano premute contro le sue e sembravano così soffici, così familiari… Forse aveva bevuto troppo, perché sentiva il cuore in gola e uno strano senso di vuoto sordo nelle orecchie. 

Poi le labbra di Rose si schiusero e il loro bacio divenne più profondo – Questa volta con la lingua!, la voce di Gwyneth Parkinson risuonò nella sua testa come da un ricordo molto lontano; e Scorpius non riusciva a pensare ad altro che a Rose, a quanto quel momento sembrasse assolutamente perfetto, al modo in cui stava ricambiando il suo bacio, a quanto avrebbe voluto slacciarle la camicetta, sfilarle quelle sue calze smagliate e poi… e poi finì. 

Improvvisamente, Rose si staccò da lui, e Scorpius ebbe l'impressione che venisse a mancargli l'aria. Gli sembrava di non aver fatto altro che pensare di baciarla per tutta la vita e che baciarla una sola volta non fosse abbastanza, non fosse sufficiente.

Si guardarono per un lungo istante – gli occhi della ragazza erano lucidi e lei gli parve bellissima – poi Rose si voltò in fretta e tornò al proprio posto.

Scorpius si ritrasse a propria volta. Era incredibile che il mondo si fosse rovesciato e gli altri non si fossero accorti di nulla.

Realizzò improvvisamente che quel bacio non era stato niente – che era stato solo un gioco.

Per tutti meno che per lui.

"Un… un bicchiere di Firewhiskey, tutto in un sorso," biascicò, facendo ruotare la bottiglia.

Subito si levò un coro di proteste. "Ma che razza di obbligo è!" protestò Leopold Higgs, sesto anno. "Che c'è di divertente?!"

"Infantile," commentò la Stubbins con aria altezzosa, del tutto a sproposito.

Scorpius colse Rose che lo sbirciava di sottecchi. Nel frattempo, la bottiglia si era fermata su Liliane, che come al solito aveva trovato il modo di imbucarsi. La ragazza scolò il bicchiere di Firewhiskey come prescritto, dunque sorrise sardonica e annunciò: "Bacio con la lingua!"

La bottiglia girò ancora, rallentò e si fermò in direzione di Lily Potter.

Scorpius gettò un'occhiata a Jacob: la sua unica reazione fu un leggero spasmo alla mascella, ma era chiaro che si stesse impegnando al massimo per controllarsi.

"La piccola Lily!" trillò Liliane, deliziata. "Chissà chi dovrai baciare."

"Molto divertente." Lily emise un sorriso gelido, mentre Liliane faceva roteare ancora la bottiglia, che si fermò in direzione di… Leopold Higgs.

Scorpius fu sicuro di aver visto il pugno di Jacob contrarsi spasmodicamente. Se mai aveva avuto dubbi sul fatto che l'amico provasse sentimenti per Lily, quello fu il momento in cui ogni dubbio svanì.

Per di più, con quello sbruffone di Leopold Higgs non era mai andato d'accordo. Nessuno di loro era mai andato d'accordo con lui.

Lily inarcò le sopracciglia per un istante, poi incurvò le labbra in una specie di sorrisetto e si sporse in avanti. Leopold fece lo stesso, la sua espressione tutto fuorché dispiaciuta. Si incontrarono a metà del cerchio, e Lily lo baciò senza esitare.

Il ragazzo ricambiò immediatamente e con entusiasmo, posandole le mani sui fianchi e chinandosi su di lei, che aveva poggiato lievemente le dita sulla sua mascella.

Doveva essere durato solo pochi istanti, ma a Scorpius parvero secoli, forse perché per tutto il tempo non era riuscito a non prestare attenzione a Jacob – che dal canto suo non aveva distolto gli occhi neanche per una frazione di secondo, mentre il suo sguardo si faceva sempre più fosco e la sua espressione sempre più visibilmente tetra. Quando Lily si scostò – fissando Leopold negli occhi con espressione ammiccante – Higgs le rivolse un sorriso storto e sollevò la mano per accarezzarle leggermente la guancia. Lei non disse niente, limitandosi a tirarsi indietro e girare la bottiglia. 

"Bacio… senza lingua," sentenziò in fretta, quindi gettò a Jake un'occhiata fugace che a Scorpius sarebbe probabilmente sfuggita se non fosse stato così attento. Jacob invece non la guardava, bensì fissava il punto opposto della sala con espressione nera.

Il fatto è che Lily non poteva proprio rifiutarsi di farlo, o sarebbe parso sospetto. Oh, Jake… perché non hai detto nulla ad Al?

La bottiglia si fermò in direzione di Bernie. Lily la fece girare di nuovo, e questa volta toccò a Christine.

"Te l'avevo detto, Boot, che mi sarei fatta perdonare!" rise la ragazza, quindi si sporse in avanti e premette le labbra su quelle di Bernie prima ancora che il ragazzo avesse il tempo di avvicinarsi a propria volta.

Bernie stabilì un altro bicchiere di Firewhiskey per il turno successivo, che per una qualche beffa del destino toccò a Jacob.

Che poi è l'unico ad averne davvero bisogno.

Ma, in fondo, sapeva che non era così. Sapeva come si sarebbe sentito il giorno dopo, quando avrebbe ricordato di aver baciato Rose, ma che era stato tutto un gioco.

 

 

****

 

Ormai era notte fonda. 

Hugo rientrò nel dormitorio dopo l'ultima ronda, stremato. Si stropicciò gli occhi e sfilò la bacchetta di tasca, poggiandola sul comodino. Quindi scalciò via le scarpe e si spogliò in fretta, gettando i vestiti in fondo al letto e infilandosi i vecchi pantaloni di tuta e la maglietta che usava per dormire.

Sbadigliò e si stiracchiò come un gatto, prima di sollevare come sua consuetudine il bordo del materasso, per controllare che le pergamene con le liste dei sospettati fossero ancora al proprio posto.

Gli ci volle qualche istante prima di riuscire a realizzare che erano sparite.

Improvvisamente in allarme, si mise a frugare freneticamente dappertutto. Svuotò la borsa sul letto, ma ne uscirono solo libri di Incantesimi e un quaderno per gli appunti, più diverse penne d'oca e una boccetta d'inchiostro che si rovesciò, sgocciolando sul pavimento.

Spalancò tutti i cassetti, ogni anta dell'armadio. Svuotò in terra l'intero contenuto del suo baule.

Alla fine, disperato, si mise le mani nei capelli.

Delle pergamene nessuna traccia.

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’Autrice

 

ALLELUJA! ALLELUJA! ALLELUJA! No, non ho l’ADSL. No, niente Wi-fi.

Mi sono attaccata alla nuova (e già detestata) Vodafone Station con il cavo Ethernet e ho il portatile sulle ginocchia (sono seduta sullo sgabello del pianoforte). Ma sono qui <3

Mi scuso enormemente per questo ritardo ingiustificabile (anche se ‘sto capitolone è di 17 pagine non è una giustificazione).

Prima ho avuto problemi di organizzazione. Poi internet è partito. Insomma, è stata una serie di sfortunati eventi.

Alla fine sono qua, però!

Vi amo tutti quanti, e spero che questa storia recupererà i followers persi. Capisco che abbiamo tutti problemi di tempo (credetemi, lo capisco) ma un po’ di feedback fa sempre piacere ;)

Anyway, grazie <3 

Luv u so much!

Daphne

   
 
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