Ai
sogni infranti.
A mia sorella.
The (he)art of the streap VIDEO.
Dieci.
Una
settimana, quattro chili, sei confezioni di fazzoletti dopo, ero
finalmente guarita e potevo tornare a lavoro; in realtà
avevo la tosse, quella brutta e grassa, ma almeno avevo smesso di
starnutire, vomitare e avere sbalzi di temperatura. Non potevo
rischiare, comunque, una ricaduta, perciò indossai degli
abiti pesanti e, dopo aver messo sciarpa e cappello di lana,
uscii dal mio appartamento: avevo disdetto l'appuntamento con
il dottor Rossi perché avevo perso troppi giorni di lavoro e
non potevo permettermi altre due ore di nullafacenza pensando a mio
padre, la mia famiglia, il mio passato e al mio grosso problema con gli
uomini.
Avevo
miliardi di cose da fare, una tra quelle mandare un'altra email a mia
sorella, dicendole quanto
fosse stata stronza a non
rispondermi: forse era morta in qualche disastro aereo o attentato
americano, ma in quel caso avrei sentito i
telegiornali parlarne, forse. Sull'autobus c'era molta
più gente del previsto a causa del blocco del
traffico e dovetti spiaccicarmi al finestrino tra un ventenne
con dei fantastici occhi chiari e un vecchietto che non smetteva di
fissarmi il sedere: se fosse stato più giovane gli
avrei mollato una sberla. Ci impiegai circa un minuto per scendere,
rischiando di perdere la coincidenza per arrivare in ufficio: odiavo i
mezzi pubblici, tutta quella gente che toccava e spingeva, quel
contatto fisico con degli estranei mi mandava fuori di testa, ma era
l'unico modo per spostarmi, dato che la mia auto mi aveva abbandonata e
non avevo i soldi per comprarne una nuova.
Arrivai
in ufficio già stanca, Mina e Giulia non c'erano ancora o
forse erano già uscite per degli appuntamenti o
sopralluoghi. Abbracciai la mia scrivania e mi lasciai cadere felice
sulla sedia girevole di tessuto blu: mi era mancato tanto quel
luogo così familiare e casalingo,
la verità era che trascorrevo più tempo tra
quelle quattro mura piuttosto che a casa quindi mi sentivo
più a mio agio lì e, dopo quella settimana a
letto o sul divano e a vomitare qualsiasi cosa,
volevo stare il più lontana possibile dal mio appartamento.
-
Ben tornata. - Carla aprì di scatto la
porta, facendomi sussultare. – Ho tanto da proporti.
- Rubò una sedia dall'angolo della stanza e si sedette
accanto a me, con una strana espressione sul viso e il suo
sorriso non prometteva niente di buono. In più indossava una
foulard rosa: lei odiava quel colore, doveva esserci sotto qualcosa.
-
Ciao anche a te, Carla, sto bene. Grazie per averlo chiesto.
Scherzai
e lei mi guardò perplessa per qualche secondo, poi riprese a
parlare. - Dunque, in questa settimana abbiamo avuto molto da fare e so
che, nonostante la tua malattia...
-
Febbre.- Non le piaceva essere interrotta, ma dovevo spiegarle
o comunque ricordarle che non avevo avuto una malattia grave, solo una
stupida febbre. - Non mi hanno ricoverato d'urgenza al Gemelli per un
caso strano o incurabile: avevo una brutta influenza, tutto qui.
-
Ciò non cambia che sei rimasta a casa e arrivi al mio
discorso. - Con Carla era inutile parlare, girava la frittata a modo
suo per avere ragione, perciò me ne stetti buona e zitta,
annuendo di tanto in tanto, ad ascoltare i dettagli dei matrimoni di
cui si stava occupando e – Degli addii al nubilato che
organizzeremo.
-
Interessante. - Lanciai un'occhiata all'orologio, sperando che qualche
cliente suonasse il campanello, salvandomi dalla
situazione: non riuscivo a stare del tutto attenta a causa
della sua parlantina veloce e del vizio che aveva di inserire, ogni tre
- quattro parole, la frase “perché voglio
dire” o ancora “capisci che”.
Perciò annuivo distratta e stufa di starla a sentire, fin
quando non disse qualcosa che attirò la mia attenzione,
completamente.
-
Come, scusa?
-
E' una buona idea, vero? Sapevo saresti stata d'accordo. -
Frugò nella sua Gucci in finta pelle di coccodrillo arancio
per qualche secondo e tirò fuori qualcosa: sorrideva peggio
di prima – Ho qui il biglietto da visita con il numero del
locale, dovresti chiamare e...
-
No, no no. Carla rallenta; mi sono distratta un attimo e ho capito
male, puoi ripetere, per favore?
-
Devi chiamare questo numero... - Lo disse con più calma, ma
le feci capire che avevo ben compreso quella parte, avevo bisogno che
mi ripetesse ciò che aveva detto prima ancora. - Ci
metteremo in affari con il Ladies Night, quel locale che conosci
bene; organizzeremo gli addii al nubilato delle nostre spose
lì quindi ho bisogno che tu li chiami e parli con il
proprietario per fissare un appuntamento. Dobbiamo stipulare questo
accordo e non vedo l'ora.
Si
alzò cinguettando e, sgambettando, tornò nel suo
ufficio. Improvvisamente desiderai tornare a casa, avere la febbre ed
essere disoccupata: non volevo chiamare quel tizio e cosa
più ovvia, non volevo che la nostra agenzia matrimoniale si
mettesse in affari con il Ladies Night, perché avrebbe
significato trascorrere tanto, molto, troppo, tempo con Geremia
cioè, Pietro.
Non
era proprio possibile che stesse succedendo a me, tra tanti locali del
genere che c'erano a Roma, perché proprio quello?
-
Ehi febbricitante: ben tornata. - Fissai lo sguardo su
Mina, ma non mi mossi dalla mia posizione. - Stai di nuovo
male? E' morto qualcuno? Ti hanno fatto una proposta di matrimonio?
Dimmi cosa è successo perché hai una faccia che
spaventa.
-
Quella ce l'ha sempre. - Giulia fece il suo ingresso trionfale. -
Buongiorno, belle donne. Oddio Emily, c'hai na faccia: t'è
morto l'uccello?
-
Diciamo che non le era mai nato.
Risero
dandosi il cinque, non mi preoccupai neanche di dire qualcosa o di
difendermi: ero ancora sconvolta dalla notizia di Carla; loro due se ne
accorsero e preoccupate mi furono vicino. Come al solito Giulia si
sedette sulla scrivania e Mina si appoggiò semplicemente,
incrociando le braccia sotto al seno aspettando che iniziassi a parlare.
-
Carla mi ha dato la peggior notizia della mia vita.
Mina
scattò in avanti, spaventandomi – Ti ha
licenziata?
-
Certo che no, ma che vai a pensare?
-
Beh – Si intromise la rossa, Giulia era tornata al suo colore
di capelli naturale, come quando l'avevo conosciuta e non me ne ero
neanche accorta. - Hai detto “peggior notizia” e ci
hai fatto prendere un colpo. Cosa può essere di
così grave da farti impallidire e schockare in questo modo?
Sospirai
poggiando la fronte sulla scrivania: l'avrei sbattuta
volentieri più volte se fosse servito a qualcosa. Sbuffai
irritata e ciondolai il capo verso le mie amiche, poi mi decisi a
parlare – Ci metteremo in affari con il Ladies Night.
Alla
mia frase seguirono alcuni secondi di silenzio: dal basso
della mia postazione fissavo Mina che a sua volta lanciava strane
occhiate a Giulia. Quando poi si decisero a parlare, mi rimisi
seduta composta con la schiena poggiata alla sedia e le braccia
incrociate: ero visibilmente scocciata.
-
E' una cosa fighissima, perché questo teatrino?
Mina
spinse l'altra con delicatezza, era una pacca amichevole –
Ogni tanto mi sembri più scema di lei. E' per Mr. Panna no?
Non vorrà vederlo, stare con lui, scambiarsi affettuosi
sguardi d'amore e tutta quella roba lì a cui lei non crede.
Feci
spallucce – Anche se in modo sgarbato e sbagliato, Mina ha
detto la verità. Non voglio stare con quello, stare vicina a
lui mi manda in...
-
Estasi?
Pietrificai
Giulia con lo sguardo – In paranoia! E devi smetterla di
completare le mie frasi, perché lo fai in modo sbagliato.
Mina
fece un cenno a Giulia e si sedette accanto a lei sulla scrivania.
Quest'ultima poi mi obbligò a guardarla e ascoltarla con
attenzione e ciò significava che stava per farmi uno dei
suoi discorsi seri e ispirati; mi faceva paura quando diventava
improvvisamente troppo seria e non avevo voglia di stare lì
ed essere accusata di qualcosa che non avevo fatto o essere additata
come quella senza cuore e senza sentimenti.
-
Ems, ascoltami bene perché non ripeterò
più quello che sto per dirti. - Sospirammo nello stesso
momento e sorrisi, ma questo scomparì dalle mie labbra non
appena incontrai il suo sguardo serio – Devi smettere di
avere paura, devi imparare a fidarti degli altri
perché, se continui a essere come
sei, finirai con il rimanere sola. Butta giù quel
muro che hai intorno al cuore e impara ad amare perché non
è con l'amore che si soffre ma senza.
Provai
a parlare ma le parole non vennero fuori, mi accorsi di avere un groppo
in gola e le guance bagnate: stavo piangendo. Asciugai con un gesto
veloce e arrabbiato le lacrime e mi sedetti composta.
-
Emily.
Fu
Mina a parlare, forse aveva capito che le parole di Giulia avevano
fatto centro, che mi avevano colpita dritta al cuore e fatto male; la
guardai negli occhi e non so cosa lesse nel mio sguardo, ma, dopo
qualche secondo, insieme alla rossa, si alzò e in silenzio
tornò alla sua scrivania, lasciandomi al mio lavoro. Cercavo
di non pensare a nulla, solo al matrimonio di Giada e Ilaria: al
catering da chiamare, al fioraio e alla nuove composizioni: il
discorso di Giulia era tabù.
-
Lo so che avevo detto ostriche per antipasto ma... - Mi massaggiai le
tempie mettendo da parte il cordless, evitando di stare a
sentire il responsabile del catering dall'altro capo del telefono che
non smetteva di urlare e ripetermi quanto fossi maleducata a disdire e
cambiare il menu dall'inizio alla fine. - Se per favore mi
ascoltasse... - Parlare non aveva senso, quindi lo lasciai sfogare
ancora un po' e poi, con voce ferma, lo interruppi e una volta
per tutte e gli spiegai la situazione, mettendolo a tacere e
dettandogli l'ipotetico nuovo menu: ci saremmo visti in settimana per
assaggiarlo e, nel caso, confermarlo.
Mi
stirai la schiena per stendere i muscoli, era una cosa che mi rilassava
fin da bambina, lo facevo anche appena sveglia come se, con quel gesto,
si svegliasse tutto il mio corpo; Carla entrò proprio quando
stavo scrocchiando le ossa del collo e del busto.
-
Novità?
Sbarrai
gli occhi: il Ladies Night! Lo avevo dimenticato.
-
Prima non ha risposto nessuno, quindi ho fatto altro e non ho ancora
richiamato.
-
Richiamali allora. - Si sedette come qualche ora prima, incrociando le
gambe e tamburellando, paziente, le dita sul legno della scrivania; per
fortuna mi aveva creduto o a quest'ora mi avrebbe urlato contro. -
Emily, cosa aspetti, che il locale fallisca?
Non
era una brutta idea – No, ovvio. E' che non capisco il
bisogno di metterci in affari con loro.
-
Stanno aprendo tante agenzie matrimoniali Ems, certo non offrono i
migliori servizi come i nostri, ma sono economiche ed
è a questo che la gente punta con la crisi di adesso, ma...
- Avvicinò la sedia di qualche centimetro, i suoi occhi si
fecero più intensi, tanto che potei vedere delle sfumature
grigie in quelle distese verdi – Cosa desiderano le donne
oltre al denaro, più di questo? - Ci pensai qualche secondo
e prima che potessi rispondere lei continuò – Il
sesso Emily, il sesso.
- Scandì bene ogni lettera, come se, in quel modo, volesse
rendermi chiaro un concetto. - E noi dobbiamo accontentarle, noi
dobbiamo essere le migliori e daremo loro tutto ciò che
vogliono: un matrimonio da favola e un addio al nubilato indimenticabile.
Carla
mi faceva davvero molta paura; composi il numero sotto il suo sguardo
attento, eccitato e non so cos'altro, non capivo perché non
potesse essere lei stessa a chiamare ma chiederlo mi sarebbe costato un
altro di quei discorsi strani sulle clienti e il loro essere ninfomani,
perciò evitai e mi misi d'accordo con qualcuno al telefono:
a volte mi sembrava d'essere una segretaria, non una wedding
planner.
-
Andiamo a mangiare qualcosa fuori? - Mina ce lo propose mentre tutte e
tre stavamo uscendo dall'ufficio dopo una lunga ed estenuante giornata
di lavoro. - Finalmente domani la mia coppia si sposa e ho bisogno di
una serata tra donne per rilassarmi.
-
Io ci sto, oggi ho lavorato troppo e mi farebbe bene la vostra
compagnia. - Giulia ci regalò uno dei suoi sorrisi e mi
guardò in attesa di una risposta. Io ero indecisa: da un
lato volevo andare con loro e lasciarmi quella brutta giornata alle
spalle, dall'altro ero così stanca da voler solo mettermi a
letto e dormire. - Dai Ems, sei stata tutta la settimana a casa e non
esci mai con noi.
Sospirai
facendo spallucce – D'accordo ma non facciamo troppo tardi,
ho la testa che mi scoppia.
-
Sì, nonnina.
Risi
insieme a loro e andammo al locale più vicino, quello dove
il barista ormai ci conosceva e ci faceva lo sconto sulle birre.
Uscire
con quelle due matte era sempre una buona cosa perché mi
mettevano di buon umore, perché erano le mie due migliori
amiche e grazie a loro mettevo da parte ogni brutto pensiero
divertendomi, perché con loro non dovevo nascondermi o
erigere un muro, potevo essere un po' più me stessa senza
soffrire.
Il sabato era il nostro giorno libero perciò potevo
prendermela comoda e fare ciò che volevo, come
finire il libro che avevo iniziato mesi e mesi prima e che non avevo
mai il tempo di leggere, pulire e sistemare casa che stava diventando
un immondezzaio e, sopratutto, prendermi cura di me stessa
perché ero quasi peggio di un uomo.
Misi a scaldare la cera mentre, sulle note del nuovo singolo dei
Negramaro, passavo l'aspirapolvere in cucina, salotto e nel piccolo
corridoio; avevo finito di spolverare i mobili in camera da letto e RTL
aveva appena trasmesso il giornale orario, quando mi ricordai della
cera che per fortuna era quella con il rullo
elettrico perciò non c'era il rischio di bruciarla o di
appiccare un incendio in casa.
Preparai l'occorrente e, armata di coraggio e buona volontà,
iniziai a fare la ceretta prima alle gambe e poi alle
cosce: per l'inguine avrei chiamato qualcuno o, al
limite, mi sarei ubriacata per non sentire dolore; per fortuna
c'era la musica a distrarmi e, di tanto in tanto, cantavo a voce alta.
Era un ottimo rimedio e anestetico.
Avevo appena posato la striscia sul lato destro
dell'inguine, quando il mio cellulare iniziò a
squillare: andai in panico, non sapevo cosa fare prima, se strappare la
striscia di colpo, abbassare il volume della
tv o rispondere; presi un respiro per riflettere,
risposi a telefono e con un gesto secco tolsi la striscia, mordendomi
il labbro per non imprecare. Non avevo neanche controllato il mittente
che se ne stava in silenzio in attesa di un cenno: eravamo zitti
entrambi, non sapevo chi fosse più cretino tra i due.
- Pronto? - Dissi infine. - C'è nessuno?
-
Oh, pensavo fosse caduta la linea.
- Ma chi parla?
-
Il fantasma formaggino: tua sorella, chi vuoi che parli.
Ero sicura di avere un'espressione sorpresa, imbambolata, sconvolta e
molto altro. - Elle?
La senti sghignazzare – Hai
altre sorelle e non ne sono a conoscenza? Sì sono io, Lilly.
Come stai?
Avrei
voluto riattaccare, urlare un po' e poi richiamarla ma ero troppo
contenta di sentire la sua voce dopo tutti quegli anni, – Io
sto bene, tu come stai? Dove sei e che stai facendo? Perché
non ti sei fatta sentire...
Rise
di nuovo e mi si scaldò il cuore.
La sua risata mi rilassò e mi fece sentire
al sicuro come quando eravamo bambine. Rispose a tutte le mie domande e
mi raccontò della sua nuova vita a New York, del suo
fidanzato famoso, del suo lavoro impegnativo ma sempre bello ed
emozionante, di come ogni tanto le
mancasse la Francia , ma che, sopra ogni cosa, le mancavo io:
la sua famiglia, la sua vera casa.
Parlare
con lei, sentire la sua voce, i suoi gridolini e le sue risa, pur se
distante mille miglia, mi aveva fatto tornare quella di un
tempo: lei mi faceva sentire protetta, come se niente e
nessuno potessero farmi del male.
-
Ti sei innamorata di uno spogliarellista. -
Me la immaginai piegata in due per le risate, con i lunghi capelli
castano scuro a coprirle il viso.-
Se lo sapesse la mamma ti ucciderebbe.
- Non mi sono innamorata, io quel tipo lo odio.
-
Lilly, te l'ho detto miliardi di volte: “Dall’amore
all’odio c'è solo un passo.” * Quindi
è inutile che ti ostini a tenerti lontana
dall'amore e a proteggerti da esso, tanto Amore è
più forte di noi, perché, come dice Shakespeare
“ciò che Amore vuole...” - Stette
in silenzio per qualche secondo perché si aspettava che io
terminassi la frase, poi parlò di nuovo - Continua
la frase Emily!
-
“Amore osa”- Feci come aveva detto o non
mi avrebbe lasciata in pace.
Eléonore
era molto determinata, testarda e innamorata della vita, dell'amore: da
piccola aveva tantissimi corteggiatori e un solo fidanzatino
perché diceva che bisognava amare solo uno per volta e in
modo assoluto, che lei era fatta così.
Donava tutta se stessa e poi, se stava male, non lo dava a
vedere, voltava pagina e ricominciava ad amare con più
intensità, cercando la persona giusta, quella che avrebbe
ricambiato il suo grande e folle affetto.
A
volte la invidiavo per questo, perché aveva il coraggio di
provare, perché aveva la forza di rialzarsi.
-
E' tornato Simone. – Mi
parve di vederla sorridere come quando, da piccole, i nostri genitori
ci portavano al Luna Park e ci lasciavano libere. -
Ti prometto di farmi sentire più spesso.
- Non fare promesse che non puoi mantenere Elle, lo so che sei
impegnata, non ti preoccupare.
Sentii dei bisbigli e forse dei baci e roteai gli occhi: era sempre la
stessa. -
D'accordo ma tu, cara la mia sorellina, devi smettere di fare la dura e
lasciarti andare: Amore è lì che ti aspetta ad
ali spiegate per farti volare con lui.
- Ma che cosa stai dicendo? - Se fosse stata con me le avrei tirato un
cuscino in faccia
-
E il tuo bel spogliarellista ti aspetta con la panna addosso per
leccargliela via.
Scoppiai a ridere e non potei risponderle perché era caduta
la linea, ma sentirla per quel breve istante mi aveva
rinvigorita: ero pronta per affrontare il resto del sabato e
per fare l'altro lato dell'inguine.
Il
lunedì, quando tornai a lavoro, ero emotivamente distrutta:
avevo trascorso il fine settimana a leggere il libro e, arrivata alla
fine, avevo pianto come mai in vita mia. Non riuscivo ancora a
riprendermi dallo shock e dalla depressione, camminavo in ufficio come
fossi un automa, pensando alla protagonista e al suo cuore rotto in
mille pezzi. Giulia se ne accorse e mi chiese, da buon amica, se mi
fosse successo qualcosa e, quando seppe la
verità, mi scoppiò a ridere in faccia,
confessandomi poi che anche lei aveva avuto più o meno
quella reazione.
-
Non vedo l'ora che esca al cinema. - Era l'ora di pranzo, tutte e tre
eravamo in mensa a mangiare qualcosa; anche Mina aveva letto il libro,
finendolo prima di tutte e trattenendosi dallo spoilerarlo e
ora aveva bisogno di commentarlo con noi. - Ho letto su
internet che il cast sarà stellare.
Ingoiai
la mia insalata. – Più che il cast è
sempre un film di Nolan e sono curiosa di vederlo.
-
Sei un po' fissata con lui. – Annuii a Giulia che intanto
mangiava la sua carne – Ma devo darti ragione, i suoi film
sono grandiosi.
-
Spero solo che non sia complicato come Inception.
Mina
si intromise, lei preferiva i libri ai film, diceva che al cinema, sul
grande schermo, si perdeva l'originalità, la purezza e
bellezza; leggendo ci si poteva immergere nelle situazioni e immaginare
ogni cosa. Guardando il film, invece, era tutto servito e spiattellato
così come voleva il regista.
-
Inception non è complicato. - Le risposi, rubandole l'ultimo
sorso di coca-cola. – Sei tu che non capisci i film.
Si
finse offesa e mi fece una linguaccia che ci fece ridere: mi
era mancato trascorrere del tempo con loro, ma la febbre, il
matrimonio delle grandi amiche e gli altri impegni mi avevano tenuta
troppo impegnata. Per fortuna stavo recuperando a poco a poco.
Il
divertimento durò poco, Carla mi chiamò sul
cellulare, obbligandomi a tornare in ufficio prima del
previsto. Dovevamo fare tantissime cose, parlare con il proprietario
del Ladies Night e Dio sapeva cos'altro voleva da me quella donna. La
trovai seduta di fronte alla mia scrivania, troppo
occupata a scrivere qualcosa per accorgersi che ero entrata nella
stanza. Poggiai una mano sulla sua spalla e
lei si spaventò, intimandomi di non farlo mai
più, che era bella ed
elegante, ma aveva pur sempre una certa età e non
poteva rischiare dei malori.
-
Cosa posso fare per te, Carla? - Ignorai i suoi discorsi e mi sedetti
al mio posto, pensando al caffè che non avevo bevuto e ai
cinque minuti di pausa pranzo che avevo saltato.
-
Dunque, dobbiamo chiamare il signor Maurizio e decidere per il pranzo.
-
E il signor Maurizio sarebbe?
-
Il proprietario del locale, Emily. Chiama e vedi se è
disponibile per domani.
-
E se parlassi direttamente tu, insomma, è qualcosa di
ufficiale tra proprietari e...
I
suoi grandi occhi verdi si ridussero a due fessure: di solito
faceva in quel modo quando stava pensando a qualcosa. - Hai ragione,
fai il numero e poi me lo passi.
Per
fortuna aveva deciso di fare a modo mio, non mi andava di essere la sua
segretaria, stare lì a telefono con quel Maurizio che
neanche conoscevo e prendere appuntamento per lei, avevo altro da fare
ed era già tanto che facessi quel numero al posto suo.
-
Ecco.
-
Cosa fai? - Rifiutò la cornetta. - Devi essere sicura che
risponda lui a telefono prima di passarmelo.
Quello
era il colmo! Tentai di dirle qualcosa ma dall'altro lato una voce mi
anticipò e mi affrettai a rispondere prima che
riattaccassero o di fare la figura dell'idiota.
-
Buongiorno, chiamo da parte dell'agenzia matrimoniale W&W ** di
Carla Solari, parlo con Maurizio?
-
No, Maurizio non è qui al momento, può dire a me
se vuole.
Non sapevo che fare, ecco perché non volevo occuparmene. -
Aspetti un momento. - Riferii a Carla quanto mi era stato detto e,
ovviamente, mi rispose che non voleva parlare con quel ragazzo; mi
trattenni dall'ucciderla. - Dunque il mio capo vorrebbe pranzare con il
signor Maurizio domani, se è possibile.
-
Io non so se è possibile, Maurizio è sempre in
giro per Roma e non lo si becca mai.
- Non potrebbe chiamarlo o scriverlo in agenda?
Lo sentii sghignazzare facendomi innervosire ancora di
più – Non
sono il suo segretario, richiami più tardi e se lo trova
buon per lei.
- Senta
– Respirai spazientita; avrei urlato anche contro
quell'idiota che mi ero ritrovata come interlocutore, se fosse
servito a risolvere la situazione. – E' un pranzo di
lavoro, non di piacere, rientra negli interessi delle nostre
attività.
-
D'accordo, cosa devo dirgli?
Per fortuna anche i cretini erano in grado di usare il cervello ogni
tanto. – Che l'agenzia matrimoniale ha chiamato e che
aspettiamo una conferma per domani.
-
Vedrò cosa posso fare. A presto, Madame.
Carla
mi guardava in attesa di una risposta che non tardai a
darle, aggiungendo che non ero la sua segretaria e che la
prossima volta avrebbe dovuto chiamare da sola perché io non
volevo avere niente a che fare con quel locale, proprietari e
dipendenti.
- E non vuoi neanche accompagnarmi domani al pranzo?
- Perché dovrei? - Digitai un messaggio a Mina, dicendole di
portarmi un caffè ristretto ,perché ne avevo
bisogno. - Sembra quasi che tu abbia paura di entrare in contatto con
quel mondo: non mangiano, stai tranquilla.
- Io non ho paura, Emily, ti sto solo osservando e istruendo. - La mia
curiosità la spinse a continuare – Prima o poi
dovrò ritirarmi dal mondo del lavoro e lasciare questa
agenzia nelle mani di qualcuno, non posso di certo farlo al primo che
passa, perché la W&W è mia figlia, l'ho
fatta nascere e l'ho cresciuta con le mie sole forze. Poi siete
arrivate voi ragazze che mi avete aiutata e non immagini neanche quanto
avevo bisogno di voi: siete fantastiche ma tu più di tutte.
- Davvero?
- Non sai quanto Ems. Hai una dedizione e una capacità
incredibile, riesci a mettere d'accordo tutti, a far combaciare gli
appuntamenti e nessuno è mai deluso del tuo lavoro. Le spose
sono sempre soddisfatte e tornano o chiamano per ringraziarti. Non so
se questo dipenda dai tuoi anni di studio o dal tuo non credere
nell'amore e nel matrimonio e, detto con sincerità, non mi
interessa perché ti fa essere la migliore.
- Non so che dire... Carla, grazie. - Le sue parole mi avevano stupita,
non credevo pensasse quelle cose di me.
- Ti ho chiesto di organizzare questo incontro non per farmi da
segretaria ma per renderti partecipe, come se fossi tu a capo di questa
baracca, perché vorrei lasciare a te le redini dell'agenzia
un giorno.
- UOU, cosa? Non pensi sia affrettato ed esagerato?
- Cos'è esagerato? - Le ragazze entrarono in quel momento
– Tieni il caffè Em, lo volevi anche tu Carla?
- No tesoro, grazie. - Le sorrise, mentre si alzava dalla
sedia e la rimetteva a posto. - Continueremo il discorso un'altra volta
Emily e se hai notizie di Maurizio fammi sapere, mi trovi nel mio
ufficio.
- E'
successo qualcosa?
- Mi è sembrata più strana del normale.
Negai e bevvi il caffè in pace, ripensando
però alle parole di Carla: mi reputava
così brava e in gamba da volermi lasciare la sua agenzia,
sua figlia,
come l'aveva chiamata lei stessa. Per quanto mi sentissi
onorata, non ero sicura di volere quel posto in futuro, in
fondo anni prima avevo accettato quel lavoro solo come occupazione
part-time fin quando non avrei capito cosa volevo fare davvero nella
mia vita. Che poi non lo avessi ancora capito era un altro
paio di maniche, ma certo non volevo ancora organizzare matrimoni alle
coppie felici per sentirgli dire che aveva paura di essere tradite o
altro.
Volevo trovare un altro lavoro che mi rendesse davvero contenta, volevo
andare a letto stanca la sera, ma felice di esserlo
perché avevo un lavoro che mi appagava, volevo svegliarmi al
mattino e sorridere allo specchio perché ero soddisfatta e
sapevo che tutto questo non l'avrei raggiunto continuando a organizzare
matrimoni, ma, purtroppo, non avrei mai trovato altro.
Carla mi aveva incastrato a quel pranzo di
lavoro, perciò ero obbligata a vestirmi maniera
adeguata per fare una figura decente agli occhi di Maurizio; mia madre
mi aveva sempre insegnato che nei momenti importanti l'abbigliamento
era molto decisivo e influenzava il giudizio degli altri, quindi decisi
di abbandonare jeans e scarpe comode e optai per un completo un po'
più elegante sul beige, giubbino e scarpe nere e, per un
tocco di classe, la mia inseparabile Chanel che mi aveva spedito mia
sorella da New York per Natale. Controllai d'aver preso tutto e uscii
di casa più nervosa che mai: sapevo
che Carla era in macchina ad aspettarmi, era passata a prendermi
perché non voleva arrivare da sola, aveva paura che
quell'uomo potesse farle qualcosa: “E' sempre qualcuno che ha
aperto un locale del genere”, aveva detto quando mi aveva
chiamata per dirmi che mi avrebbe dato un passaggio. Gliene ero molto
grata perché in quel modo mi aveva risparmiato quasi
mezz'ora di sbattimento sui mezzi pubblici, ma, in tutta
sincerità, avrei preferito non andare e stare a casa a
guardare una puntata di qualche telefilm.
Arrestò
la sua C3 cabrio nel posteggio riservato ai clienti del ristorante e,
dopo aver respirato più volte per darmi coraggio, scesi
dall'auto cercando di elencare dei buoni motivi per non uccidere Carla.
- Buongiorno signore. - Quello doveva essere Maurizio, non ricordavo il
suo viso, in fondo lo avevo visto una volta di sfuggita al locale. -
Siete splendide, accomodatevi.
Spostò la sedia del mio capo per farla sedere e, prima che
potesse fare lo stesso con me, provai a sedermi: non volevo
nessuna attenzione da parte di nessun uomo,
ma, proprio quando stavo per spostare la sedia, qualcuno da dietro la
avvicinò. Maurizio era ancora intento a parlare con Carla,
mi voltai per vedere chi potesse essere stato e sbarrai occhi e bocca
stupita.
- Eccoti qui Pietro, aspettavamo solo te.
I suoi occhi non lasciarono i miei. - Scusate il ritardo. -
Inclinò le labbra in un sorriso sbieco: non capivo
perché non riuscissi a dire nulla, non era la prima volta
che lo vedevo sorridere, eppure in quel momento era così
diverso e io così stupida. - Lei deve essere Carla,
è un piacere conoscerla.
Le si avvicinò fingendo un baciamano e scossi la testa
rassegnata: era il solito leccaculo. Quando si sedette accanto a me
andai in panico.
- Aspetta, tu pranzi con noi?
- Certo.
Sorrise di nuovo e, se prima ero imbambolata, in quel momento
mi venne voglia di prenderlo a cazzotti. Era tornato quello di sempre:
arrogante, impertinente, sgarbato e bello.
Mi morsi la lingua – E come mai?
- Pietro è un socio onorario, più o meno. Volevo
averlo al mio fianco.
Fu Maurizio a interrompere quel breve dibattito, come se qualcuno lo
avesse interpellato; mi salirono i nervi ancora di
più, Lo sapevo che dovevo rimanere a casa quel giorno. Carla
batté le mani estasiata spiegando che più o meno
era la stessa situazione con me e io la fulminai con
lo sguardo perché lei non doveva dare nessuna informazione
su di me davanti a quell'energumeno tutto muscoli
senza cervello, con quegli occhi tanto azzurri da fare concorrenza
all'orizzonte del mare, con la barba sexy e incolta e le labbra da
baciare.
Maledizione, cosa mi succedeva?
- Che ne dite se ordiniamo? - Ancora quel Maurizio a parlare. - Direi
di cominciare con degli antipasti e un ottimo vino...
- Ma io. - Tentai di dire che non volevo gli antipasti e che era un
gran maleducato a decidere per tutti, ma Carla mi
pestò un piede e dovetti rimangiare le mie parole. - Sono
d'accordissimo.
Il mio sorriso falso e di circostanza attirò l'attenzione di
Ger-Pietro che trattenne una risata e, quando il cameriere
portò la bottiglia di vino bianco che il gentile Maurizio
aveva ordinato, alzò un bicchiere
verso di me sorridendo ancora: complice, fastidioso e
sfacciato.
Quel pranzo sarebbe stato più difficile del previsto.
*****
*Entro
ballando e cantando sulle note di Some Nights*
Ieri
ho visto Glee
e sono ancora su di giri: MA CIAO BELLEZZE! Come state? Spero bene,
dato che io sono raffreddata e ho un po' d'influenza (che palle) Come
procede la vostra vita? Pff, io sono tornata da una brevissima
vacanza e adesso sto studiando come una pazza perché il 4 ho
un
esame, stupida università.
Bene,
bando alle ciance: SCUSATE IL
RITARDO, ma tra lo studio, la vacanza e la pigrizia non ho avuto
molto tempo per scrivere e devo anche dire che il capitolo non mi
ispirava molto... Avete notato anche voi che è noioso, vero?
Non
succede nulla di importante:
-
Emily e il suo lavoro.
-
Emily e
sua sorella
-
Emily e le sue amiche.
Che
fine ha fatto
Geremia/Pietro? Ohhh eccolo alla fine, che fa un'entrata
“trionfale”
da gentiluomo, MA VAH, NON FA PER TE CARO MIO! XD
Con
questo
capitolo volevo svelarvi qualche altro dettaglio della vita di Emily,
i rapporti che ha con Mina e Giulia e soprattutto con sua sorella
(che amo e adoro!)
Qualche
appunto noioso:
*Frase
originale:
Dall'amore
all'odio non c'è che un passo
di Giovanni
Soriano, Maldetti. Pensieri in soluzione acida, 2007
** W&W :
Ovviamente non esiste e ho immaginato che si dica “VU AND
VU” che
significa “White and Wedding”
Il libro di cui parla Emily,
come al solito, non esiste.
Inception,
invece, è un film bellissimo a parer mio di C.
Nolan che vi consiglio di vedere.
Per chi volesse vedere il
SET abiti di Emily, può farlo QUI
Infine,
ringrazio
tutte coloro che hanno recensito la scorsa volta e chi continua ad
aggiungere la storia tra le varie categorie: grazie millissime, mi
riempite il cuore di gioia, amore e pace. <3
Grazie,
ovviamente, a Ellina
e al suo tocco rosa.
Vi ricordo, per chi volesse, l'esistenza del
gruppo facebook
e
del mio canale youtube.
Grazie ancora e che la panna sia con voi.
Alla prossima.