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Autore: Jerosy    12/06/2007    1 recensioni
Simone, 26 anni. Salvo, che di anni ne ha 20. Vite che si incrociano, vite che vanno allo sbando, vite che finiscono.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un urlo disturbò la quiete di quello squallido motel a tre stelle.

:” Ma come? Prima mi scopi e poi mi dici che è meglio non vederci più?”

abbottono i jeans e, con aria strafottente gli dico:” Dovevo farti un contratto prima di scoparti? Non ti ho costretto, no?” e sorrido, sorrido in modo odioso, me ne accorgo.
:” Pensavo di...”

:” Pensavi di essere speciale? Di farmi innamorare? Di potermi mettere in mostra? Voi froci siete così prevedibili...”
:” E voi che vi atteggiate a uomini così stronzi!”

:” Hai ragione ma nonostante lo sappiate bene ancora ci venite dietro.”

Faccio per andarmene ma mi trattiene per un braccio: “ Simone... Ti amo!”
e, con cattiveria, gli rispondo:” Non preoccuparti, lo dirai anche al prossimo che ti scoperai domani.”

Esco da quell’antro dove corpi di puttane, di adolescenti precoci, di uomini frustrati si avvinghiano e cercano di sentire. Sentire cosa poi? Un calore falso, un appagamento del corpo.

Pensai:” N’è valsa la pena spendere 20€ per la stanza?” e, ridendo, accesi una sigaretta: “ Ma sì, ne è valsa la pena!” e, soddisfatto, cavalcai la moto per tornare a casa.

È mattina, accendo lo stereo: una voce sofferta ma forte, intensa, limpida inizia a cantare.

Jeff Buckley, il mio mito da sempre :” Se solo trovassi uno che gli somigliasse lo sposerei, altro che scopate occasionali!” dicevo alle mie amiche quando lo ascoltavo. Alzo il volume al massimo e dopo quattro passi arrivo nella cucina del mio stretto monolocale.
Si, ho 26 anni e lavoro come barman in un pub e proprio per questo lavoro del cazzo ho litigato con la mia famiglia e non posso permettermi altro.

Mi volevano dottore, ingeniere, avvocato:” Sei l’ultimo figlio, almeno tu studia!” mi dicevano, ma odio le costrizioni e ho imparato solo quello che mi interessava, studiando da solo, navigando in internet. Preparo il caffè, lo bevo. Accendo una sigaretta, la fumo. Il tempo scorre lento, scorre così lentamente che ogni secondo sembra passare dopo un’ora.

Un trillo: è il telefono. Sobbalzo, abituato ormai al silenzio e rispondo ad Anna.

Anna, amica da una vita. Anna, compagna di dolori, di cazzate. Sempre allegra Anna, che non chiede mai niente anche quando dovrebbe farlo. La immagino, sorridente già alle 9 del mattino e vestita come se fosse sveglia da sei ore.
:” Ti sei appena svegliato, eh?”
:” Già, dimmi”
:” Che fai?”
:” Niente!” rispondo seccato.
Ho sempre odiato la domanda :“che fai?”, è prevedibile, è noiosa e anche se ti dico che cazzo faccio, che ti cambia? Arriva al punto in fretta Anna, almeno tu fallo, sai che odio le frasi di circostanza!
:” Senti, Simò, dovrei fare un colloquio di lavoro, ti dispiacerebbe accompagnarmi in moto?”

Ecco, è arrivata al dunque!
Ci penso un pò e le dico:” Ok, a che ora?”
:” Alle 10:30, va bene?”
:” Si, certo, ci vediamo tra poco. Ti busso, ok?”
:” Ok, ti amo!” dice ridendo, rispondo allo stesso modo e attacchiamo.

Faccio una doccia veloce e mi osservo allo specchio. Mi avvicino per vedere meglio i miei occhi verdi riflessi e faccio qualche faccia di cazzo. Mi lavo velocemente, senza voglia, ancora assonnato ed esco.

Arrivo sotto casa di Anna e citofono: si sta ancora truccando. Impaziente l’aspetto e la vedo: riccia, non bellissima si avvicina e mi da un bacio e si siede dietro. Arriviamo sul posto, un Call Center, e l’aspetto fuori. Inizio a pensare al lavoro, inizio a pensare se è il caso di iscrivermi all’università e fare felici i miei e facilitarmi la vita abitando in una casa ampia, ricevendo una quota settimanale che mi permettesse di fare come tutti e scialare e poi lo vedo.

Circondato da un’aura che lo estraniava riconobbi in lui il mio mito, quello con cui avrei voluto avere una storia se non fosse morto precocemente. Incantato lo fisso, mi accorgo della chitarra e poi mi guarda, mi sorride e lo vedo sparire tra la gente. Inizio a fantasticare e quando arrivo al giorno del matrimonio la faccia delusa di Anna sbuca dal Call Center: non l’hanno presa.
Vedo nei suoi occhi una delusione che non capisco: vive con i genitori, ha una situazione economica discreta.
:” Ma dai Anna, cos’è questa faccia? Non hai proprio bisogno di lavorare e poi come la metti con l’università?”

Piange, lentamente poi singhiozza:” Sono incinta” mi dice.

Rido e, con una pacca sul culo, le dico:”Troia!” e partiamo.

La sera la porto nel pub anche se non posso esserle di compagnia: un gruppo famoso, famoso almeno tra i punkettari montati in quella Piazza di pseudo-alternativi che non frequento da una vita, avrebbe suonato quella sera. Tutto quello che so è che fanno grunge stile Nirvana e che hanno un nome ridicolo: “Eat me baby”. Sono le 22 e la gente inizia ad arrivare, odiosa e falsa.
Inizio a muovermi tra i tavoli e svogliato prendo ordini, prendono tutti birre e ridono ai rutti finti, almeno quanto l’autografo dei Green Day su una delle loro maglie, degli amici.
Il batterista e il bassista del gruppo dal nome ridicolo finiscono di montare tutti gli strumenti e, armato di Gibson Les Paul nera, lo vedo, di nuovo.

Mi guarda e sembra riconoscermi, sorride e cala una strana tensione sessuale... Si, insomma: mi arrapo.

Un arpeggio malinconico: Mim; Do; Sim; Re. Una voce rauca, bassa, profonda: la sua.

“Don’t leave alone” cantava

“No, e chi ti lascia solo!” pensavo.

“Might be our last night”

“E che cavolo, almeno la prima!” continuavo a pensare, rincoglionito.

La voce di Michele, il mio capo, mi riportò all’esistenza e continuai a lavorare e, passeggiando tra i tavoli, incrociai più volte lo sguardo di Anna, uno sguardo che diceva più o meno
:” Stronzo, dobbiamo parlare della storia della mia gravidanza!”.

Si, avevo preferito non parlarne perchè, conoscendomi fin troppo bene, sapevo che mi sarei arrabbiato: conosco l’ingenuità di quella ragazza e mi scazza, troppo e Anna lo sa bene e l’ho presa a ridere per non urlarle contro, non era quello di cui aveva bisogno. Si, sono anche abbastanza sensibile, per quanto strano possa sembrare.

Ora, però, aspettavo con ansia la fine dell’esibizione del gruppo dal nome ridicolo per conoscere il cantante e, siccome penso che tutto il mondo è leggermente finocchio, avevo buone possibilità di fare colpo, anche perchè gli artisti, soprattutto quando sono usciti da poco dall’adolescenza, vogliono fare i trasgressivi per far vedere al mondo che sono giusti e, anche se odio questo comportamento, in questo caso, sarebbe andato a mio favore.

Almeno una scopata ne sarebbe uscita, detto più rudemente e, di certo, non mi sarebbe dispiaciuto.

  
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