3. In the lost and found of my heart.
“Papà, quando torniamo a casa?”
Quella domanda era stata una costante nei primi anni di vita di Ranma. Aveva capito presto che quel viaggio, iniziato come un gioco, era destinato a durare molto più di quanto credesse.
“Presto, Ranma. Presto.”
“Ma presto quando?”
“Te l’ho già detto, presto.”
“Ma io voglio tornare dalla mamma!”
“Non è ancora il momento, Ranma. Torneremo da lei quando sarai finalmente un vero uomo!”
Ranma non capiva cosa il padre intendesse dire, né perché fosse così importante che fino ad allora non avrebbe potuto rivedere la mamma. Sapeva solo che iniziava a non piacergli più quel viaggio.
Odiava dover vagare di città in città, senza un posto fisso dove stare, senza poter avere degli amici.
Trovava tutto questo crudele. Lui voleva solo tornare a casa, ma papà non capiva.
“Mi dispiace, signor Tendo…”
“Oh tranquillo figliolo, non l’hai fatto apposta… di nuovo…”
“Ugh…”
“Suvvia, siete giovani e nel pieno dell’adolescenza, avete tanta energia da scaricare! Può capitare che ogni tanto qualche parete del dojo crolli sotto il peso del vostro vigore…”
La frecciatina al vetriolo del signor Tendo non è ovviamente sfuggita a Ranma, intento a crogiolarsi nel senso di colpa.
Il povero Tendo ovviamente ha tutte le ragioni del mondo ad essere adirato con lui; tra i suoi litigi con Akane e le visite occasionali di amici e sfidanti, quel povero dojo si regge in piedi per puro caso – oltre che per le ormai allenate doti di carpentiere di Ranma.
Doti che, anche questa volta, mette in pratica senza fiatare – esclusi i soliti botta e risposta con Akane, che stavolta cerca di contenere per evitare danni ancora peggiori alla palestra già malmessa.
In fondo gli dispiace sul serio causare tutti quei danni ai Tendo, e non solo per una mera questione pratica.
Per uno come lui, abituato a viaggiare senza mettere mai radici, avere un posto da poter chiamare casa è qualcosa che lo fa sentire… bene. Amato, benvoluto. Fin da subito i Tendo hanno cercato di metterlo a proprio agio, e con loro Ranma ha finalmente trovato una casa, il calore di una famiglia, persino una fidanzata – benché maschiaccio, poco gentile e non voluta. Almeno all’inizio.
Mentre fissa delle assi di legno al muro, Ranma pensa che in quel dojo ci ha davvero lasciato il cuore, e che gli dispiacerebbe dover andare via.
“Che cos’hai da sorridere? Ti diverte fare il muratore?”
Ranma lancia un’occhiata alla fidanzata, intenta a stuccare una parete, e ghigna.
“Oh in effetti potrei, ma non sarei mai alla tua altezza” commenta “le tue doti di mastro falegname superano di gran lunga le mie, maschiaccio…”
Dalla palestra giunge un urlo, un rumore di ossa rotte e di assi di legno spaccate su qualcuno.
Soun Tendo rabbrividisce e torna a leggere il giornale, chiedendosi cosa sarebbe capace di combinare quel ragazzo se detestasse vivere lì con loro. Perché se quella è la dimostrazione di quanto gli piaccia vivere in casa Tendo, davvero preferisce non saperlo.
Terzo, sofferto capitolo, basato sul prompt 119. Cuore di bambino del 500themes_ita. Mi ha creato non poche difficoltà, e ammetto di avere ancora qualche dubbio… non so, poca introspezione temo.
Però ammetto che la virata fluff finale mi piaceva, e così l’ho lasciata. I’m weak.
Spero la gradirete comunque :>
Mana