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Autore: IoNarrante    26/11/2012    3 recensioni
Seguito della storia a quattro mani scritta insieme a _Shantel
Il sogno di ogni ragazza è stato sempre quello di incontrare il principe azzurro: bello, ricco, sensuale e fantastico, e quale migliore rappresentazione moderna di questo ideale c’è oggigiorno? Ma un calciatore, chi sennò?
Celeste Fiore non è d’accordo. Lei sogna l’amore, quello vero, quello epico e quello che ha smosso mari e monti per secoli. Non si sognerebbe mai di stare con un rinoceronte senza cervello.
Leonardo Sogno, invece, del calcio, ne fa la sua vita. È il bomber della Magica, l’idolo del momento, il ragazzo più sexy d’Italia. Ama divertirsi e non pensare al domani, ma soprattutto l’amore non sa nemmeno cosa sia.
Ma, ahimé, si sa che le vie dell’amore sono infinite e cosa succederebbe se Celeste e Leonardo, per un caso fortuito, si incontrassero?
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il Sogno chiama...'
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CAPITOLO 18
betato da nes_sie
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Come in un Sogno
Mi svegliai a causa del sole che fece prepotentemente capolino al di là delle pesanti tende che adornavano le finestre di quella stanza d’albergo. Sbadigliai e cercai conforto nel calore morbido che sentivo alle mie spalle.
Sorrisi.
Leonardo dormiva come un bambino, con tanto di rivolo di bava sul cuscino a completare quell’opera davvero buffa. I capelli ricci completamente spettinati e il respiro pesante.
La voglia di tendere le dita per accarezzarlo era troppa, forse sarei stata troppo ingorda a non privarmi di quel gesto, e sicuramente lo avrei svegliato interrompendo quella sorta di magia.
 
«C-Che cosa vuoi fare?» disse, fissandomi strana.
«One step closer…» continuai a canticchiare, facendolo stendere sotto di me e montandogli sopra a cavalcioni.
 
Sicuramente, quando avevo lasciato Roma, non avrei mai messo in conto tutto quello. La verità è che era successo tutto troppo in fretta e in qualche modo mi ero lasciata trasportare da un paese nuovo, da una nuova avventura, da gente attorno a me che si riscopriva, si amava per la prima volta oppure di nuovo.
Come Romeo e Anna.
Leonardo borbottò qualcosa nel sonno e si agitò.
Le tende si erano scostate abbastanza da far filtrare quasi per interezza la luce del giorno e temetti che prima o poi anche lui si sarebbe svegliato, mettendo fine alle mie riflessioni. Con cautela, mi alzai dal letto e in punta di piedi cercai di sigillare le pesanti tende scozzesi.
Lo sguardo mi cadde su un quadernetto che avevo abbandonato sulla scrivania di quella stanza.
Mi avvicinai e ne sfiorai la superficie con la punta delle dita.
Lanciai uno sguardo a Leo che era ancora immerso nel mondo dei sogni, così afferrai quelle pagine con mano ferma, aprendo il quaderno e impugnando la biro quasi fosse stata un’arma. E lo era.
Da sempre la scrittura si era rivelata un mezzo potente per diffondere una notizia, come mezzo d’informazione, attraverso il giornalismo, ma adesso mi serviva soltanto per mettere in ordine alcune idee.
 
«Sei sicura?» mormorò incerto.
La premura con cui mi si rivolgeva era quasi commovente, così mi ritrovai a fissare i suoi occhi verdi intensamente. Gli accarezzai una guancia, anche se eravamo mezzi nudi. Mi presi tutto il mio tempo per assaporare quello che sarebbe stato uno dei miei più vividi ricordi.
«No, non sono affatto sicura,» mormorai, con voce tremante. «Eppure sento di doverlo fare. Di fidarmi ancora, ancora una volta…»
 
I ricordi di quella stanza erano talmente vividi che sembravano intrappolati nelle pareti. Era come se la carta da parati fosse impregnata dei nostri gemiti, delle urla e delle preghiere rivolte al cielo. La penna scorreva su quelle pagine di carta bianca quasi fosse guidata da una forza invisibile e ad ogni sospiro di Leonardo, il mio cuore faceva una capriola.
Vederlo dormire era come vegliare su di lui, proteggendolo dal mondo esterno. Da quel mondo che lo aveva costretto a crescere troppo in fretta, a non godersi affatto le gioie di un’adolescenza che aveva forgiato i nostri caratteri.
“Nostri”, delle persone normali.
Sentii il bisogno improvviso di specchiarmi nei suoi occhi verdi, immensi come praterie d’estate, ma repressi quell’egoistico desiderio per godere ancora della sua figura inerme e addormentata.
Avevo indossato la sua maglietta e il profumo della sua pelle mi avvolgeva come in un caldo abbraccio.
Ricominciai a scrivere e mi accorsi che le parole si materializzavano da sole, con una semplicità che per giorni avevo tentato di emulare. Era come se aver ritrovato la serenità con Leonardo, avesse permesso al mio animo di scrittrice di liberarsi dalle catene che lo bloccavano, che mi impedivano di esprimermi come avrei desiderato.
Era proprio vero quando si diceva che bisognava viverle, le emozioni, per poi trascriverle su carta.
 
«È una cosa… mera… ah… meravigliosa.»
 
La sua voce roca e accaldata ancora risuonava nelle mie orecchie, facendomi rabbrividire. Era stata una notte intensa, forse una delle più emozionanti della mia vita. Anche se in passato avevo già donato il mio cuore a qualcuno, che me lo aveva ridato completamente a brandelli, questa volta c’era stato uno scambio equo.
Ero sicura che se avessi scavato più a fondo, lì dentro il mio petto, avrei visto battere non solo la metà del mio, ma anche un pezzetto del cuore di Leo. Di quel ragazzo che conobbi per caso, di quella storia che sentivo ancora di dover raccontare.
 
Quando scendemmo per fare colazione, dopo che Leonardo si era svegliato in una piena crisi di panico perché non mi aveva vista al suo fianco, trovammo quasi tutta la truppa seduta ad un immensa tavolata.
«Non farlo mai più,» mi ammonì per la quattordicesima volta.
Lo fissai di sbieco. «Ora non posso nemmeno andare in bagno senza il tuo permesso? Me la stavo facendo sotto!» sbottai.
Gli occhi verdi di Leonardo si allargarono nel più genuino stupore. «Lo so, ma non capisci che trauma che è stato per me non trovarti… pensavo mi avessi scaricato lì.»
Certe volte si comportava ancora come un bambino, un cucciolo che stava appena imparando a muovere i primi passi nella vita. Mi fece troppa tenerezza e non riuscii a tenergli il broncio per molto.
«Okay, ti chiedo scusa. La prossima volta ti sveglio anche se devo andare a pettinarmi i capelli,» sorrisi.
Leo fece quel suo solito sorrisetto furbo. «Quindi… a quando la prossima volta?» ridacchiò divertito.
Sbuffai sonoramente, fingendo di essere infastidita, ma dentro di me sentivo chiaramente il cuore che batteva forte nel petto. Era quasi umiliante, ma dovevo ammettere che era come se mi fossi innamorata per la seconda volta, come se si trattasse ancora delle prime uscite, dei primi timidi approcci, dei baci appena accennati.
Lo stomaco mi faceva le stesse capriole.
Anche perché non hai mai provato questo genere di sensazioni con lui, ti faceva solo incazzare.
Aveva ragione il mio subconscio.
La nostra storia era immediatamente iniziata col piede sbagliato, con l’orgoglio da parte mia e il pregiudizio, sul fatto che Leonardo fosse il solito belloccio senza alcun briciolo di cervello e sentimento. Poi c’erano state le menzogne, i sotterfugi, le collaborazioni segrete con i miei migliori amici ed infine il mondo intero mi era crollato addosso.
Cercai di scacciare via quei brutti pensieri, ma le cicatrici erano ancora troppo fresche per non far male.
«Ehi piccioncini, siete spariti ieri sera…» ghignò uno dei compagni di squadra di Leonardo. Marco si chiamava? Sinceramente non ricordavo…
Lo vidi irrigidirsi come uno stoccafisso. «Celeste aveva sonno,» mentì quasi… imbarazzato.
Era troppo divertente vederlo annaspare in cerca d’aria, quando notai che il suo viso si stava tingendo lievemente di rosso. Aveva mentito, ma alla fine era piuttosto divertente vederlo tentare inutilmente di mantenere una certa dignità.
«Sì, e io mi chiamo Julio!» ridacchiò il biondo, quello con la barba da Gandalf.
Il resto della squadra si mise a ridacchiare, scambiandosi di tanto in tanto delle battutine poco piacevoli. Sentii la mano di Leonardo stringersi attorno alla mia, nervosamente.
«Scusami. Se vuoi possiamo chiamare il servizio in camera…» mi disse, temendo che mi stessi offendendo a causa di tutti quei commenti.
Lasciai la sua stretta e incrociai le braccia al petto, sfoderando un sorriso. «A me non da nessun fastidio, semmai quello imbarazzato mi sembri tu.»
«Boooooo! La ragazza ha tirato fuori le palle!» e uno scroscio di applausi si levò dalla tavolata dove il testosterone regnava sovrano.
Leonardo, se possibile, divenne ancora più color pomodoro.
«Io mi vado a sedere vicino Ven, non ti dispiace, vero?» chiesi.
Lui mi sorrise e annuì, poi si fiondò letteralmente addosso a quei suoi due compagni che si erano presi gioco di lui sino a quel momento.
Sorrisi. Era bello sentirsi parte di qualcosa, di nuovo.
«Buon giorno, principessa,» ridacchiò la mia migliore amica, riferendosi all’orario poco mattiniero in cui avevo deciso di farmi vedere da tutti quanti.
Sbadigliai composta. «Leonardo ci ha messo un po’ per svegliarsi, poi gli è preso tipo il panico quando non mi ha vista accanto a lui,» sogghignai.
«Magari avrà pensato di aver sognato tutto…» ipotizzò Romeo.
«Chissà tu quante volte ti sei svegliato sudato e bagnato pensando a chissà quale corpo femminile che ti si era miracolosamente concesso,» ironizzò Venera.
«Ehi!» gli corse in aiuto Annalisa. «Non capisco il tuo bisogno di offenderlo in qualsiasi momento!»
«Calma, è fatta così. Al posto del sangue, nelle vene le scorre l’acido muriatico,» ringhiò Romeo.
Presi una fetta di pane tostato e avvicinai la marmellata, cominciando a spalmarcela sopra. Quelle liti mi lasciavano piuttosto indifferente perché da quando li conoscevo, Venera e Robbeo si erano sempre presi a parolacce.
C’era ben poco da fare.
«Invece a te non scorre nulla, perché sei un’ameba,» rispose la mia migliore amica.
Non c’era verso di farli smettere. Litigavano di continuo per qualsiasi sciocchezza ed io, alle volte, mi sentivo quasi di troppo.
Inoltre, notai che Annalisa lanciava strani sguardi a Ven, quasi se stesse sondando il modo in cui si rivolgeva a Romeo. Dapprima non ci diedi molto peso, poi, quando volarono offese più pesanti, gli occhi verdi di Anna diventarono quasi d’oro per il fuoco che vi ardeva dentro.
«Ragazzi, quando pensiamo di tornare?» chiesi, interrompendo la lite.
Romeo fece spallucce.
Venera sospirò. «Il più presto possibile, visto che devo rimettermi a studiare se voglio quantomeno entrare nei primi dieci del mio corso. Se ci riesco, potrei vincere una borsa di studio completamente spesata per andare a fare un master a Londra. Sarebbe un sogno.»
«Secchiona.»
«Microcefalo.»
«Se continui di questo passo, ti sposerai uno dei tuoi libri polverosi!»
«Non tutti sentono la necessità di scoparsi la prima cosa vivente che incontrano. Senza offese per la tua “ragazza”,» e mimò le virgolette con enfasi.
Non capivo tutto quell’astio da cosa fosse scaturito, ma ben presto mi accorsi che Ven stava esagerando. Le diedi un colpetto al gomito e la redarguii con uno sguardo gelido.
«Che c’è?» sbottò infastidita.
«Credo che dovresti finirla di offendere. Certe volte superi il limite…» le spiegai.
Venera era fatta così. Il suo cinismo e la sua ironia, spesso e volentieri abbastanza divertente, alle volte sfiorava l’insopportabile. Le sue battute finivano col diventare delle pesanti offese, spesso lanciante in difesa a qualche brutta parola che le era stata rivolta.
Al contrario di me, lei non riusciva mai a fidarsi completamente di una persona.
Nel corso degli anni, si era costruita attorno un muro così spesso e solido, che non sarebbe mai riuscito a crollare. Di tanto in tanto mi lasciava scavalcare quella parete, fatta di cinismo e acidità, ma soltanto per poco.
Quando tentavo di scavare più a fondo, di risolvere il problema alla radice, lei mi ributtava fuori, cambiando discorso, respingendo anche l’ancora di salvezza che le avevo lanciato in più di un’occasione.
I suoi occhi azzurri cercarono i miei, ma rimasero quasi del tutto impassibili.
Era come se quel mio ammonimento non l’avesse minimamente toccata e dalla sua espressione sembrava dire “tanto farò comunque come mi pare”.
Venera era così: o prendevi tutto il pacchetto in dotazione, oppure lo rifiutavi. E se accettavi di essere sua amica, dovevi esserlo con tutta te stessa perché lei non concedeva mai sconti.
Quando finimmo di fare colazione, Leonardo andò con il resto della squadra al ritiro post-partita che avrebbe avuto luogo in una delle sale per le riunioni dell’albergo, così io mi ritrovai nella hall, mentre Venera era tornata in camera nostra a prendere un cambio di vestiti.
Si era arrabbiata molto per il fatto che l’avessi praticamente chiusa fuori dalla nostra stanza.
Aveva addirittura blaterato sul fatto che il cugino di Leonardo l’aveva quasi invitata a casa sua per passare la notte.
Come se questo fosse possibile. Venera lo avrebbe sbranato a morsi.
Romeo, invece, era stato chiamato da Mr. Cavalli e si era quasi precipitato da lui come un cagnolino obbediente.
Annalisa era rimasta.
Eravamo sedute l’una di fronte all’altra, ma sembravamo quasi delle estranee. Come potevo rivolgermi a lei, quando aveva tentato in più di un’occasione di allontanarmi da Leonardo solo per un suo tornaconto?
Pensai che, alla fine, ero circondata da persone che adesso si definivano “amiche”, ma che in passato mi avevano fatto più torti che un nemico giurato.
Leonardo mi aveva mentito sulla sua identità e sulla sua carriera.
Romeo lo aveva coperto, raccontandomi un mucchio di bugie.
Ero più che sicura che anche Venera sapesse, ma come al solito si era tenuto tutto per lei.
Annalisa… beh, lei era stata quasi sincera a dirla tutta.
«Non capisco se la tua amica ce l’abbia o meno con me,» disse all’improvviso, cercando il mio sguardo.
Cercai di riordinare le idee per capire a cosa si riferisse. «Scusami?»
Annalisa si spostò una ciocca di capelli ramati dietro l’orecchio. «È come se provasse qualcosa nei confronti di Romeo, anche se lo prende sempre a male parole,» soffiò confusa.
Aveva le mani raccolte in grembo e continuava a torturarsi le dita.
Per poco non scoppiai a ridere. «Davvero, io li conosco da quando avevamo dodici anni e se ci fosse stata una qualche chimica tra di loro, me ne sarei accorta…» affermai.
«Già, sei famosa per la tua perspicacia,» insinuò.
Evidentemente si riferiva al fatto che non avessi capito sin da subito le bugie che Leonardo continuava a raccontarmi. «Scusami, non volevo,» aggiunse poi. «È che questa cosa mi sta torturando. Io non ho niente contro la tua amica, anche se è davvero odiosa, però mi infastidisce il modo in cui offende Romeo.»
«Scusami tu, ma fino a qualche settimana fa lo sfruttavi neanche fosse il tuo schiavo,» le risposi.
Tanto valeva scoprire le carte.
Sentivo che era molto cambiata da quando c’eravamo viste l’ultima volta, ma non poteva permettersi di sparare sentenze quando lei era stata la prima a comportarsi in modo scorretto sia con me, che con il mio migliore amico.
Sorrise e annuì. «Sono stata una vera stronza,» ammise.
«Nemmeno poco!» ridacchiai, avvicinandomi a lei e sedendomi al suo fianco. Presi le sue mani nelle mie per impedirle di rovinarsi ancora.
I suoi occhi verdi si specchiarono nei miei. «Stai tranquilla. Venera e Romeo hanno uno strano modo di raffrontarsi, però sono sicurissima che non si tratta di quello che pensi tu. Per quanto io possa essere stata ingenua con Leonardo, posso dire che il sentimento che provavo per lui mi ha reso cieca, però quando si tratta di Romeo, per cui non provo assolutamente niente,» mi sentii in dovere di sottolineare, visto che il mio migliore amico mi aveva confessato di aver avuto sempre una specie di cotta per me. «Ti direi di non crucciarti. È soltanto nella tua testa, non c’è nulla tra quei due.»
Annalisa sembrò tirare un sospiro di sollievo e tranquillizzarsi, finalmente.
Strinse anche lei le mie mani, rafforzando in qualche modo quello strano legame di amicizia che si era creata tra di noi.
«Non vorrei sembrare ancora più stronza di quanto sono già, ma la tua amica ha qualche problema?» chiese imbarazzata. «Ne ho vista passare tanta di gente sotto i miei occhi, soprattutto se frequenti le feste dell’alta società, ma un’acidità del genere è rara da trovare. Le è successo qualcosa in passato? Okay, non sono affari miei…» aggiunse subito, alzando le mani.
Quella domanda mi colse impreparata. Per quanto conoscessi Ven, non sapevo quasi nulla della sua vita privata perché non mi lasciava mai entrare. Snocciolava sì qualche particolare, di tanto in tanto, ma erano come briciole di pane ed io mi sentivo tanto la piccola Gretel che le seguiva obbediente sino alla casa della strega.
«Non ti scusare,» le dissi come prima cosa. «Parlare di Venera non è mai semplice. Diciamo che per quanto tu possa conoscerla, anche se sono passati anni, non saprai mai nulla di lei se non è lei stessa che vuole fartelo sapere. È abbastanza riservata su se stessa.»
E mi ci era voluta Annalisa per capire chi la mia migliore amica fosse in realtà.
«L’importante è che tutto si sia risolto per il meglio, no?» mi disse sorridendo.
«Già,» asserii.
Passò qualche minuto di silenzio in cui non seppi cos’altro aggiungere e sperai con tutta me stessa che Romeo o chi per lui interrompesse quel momento d’imbarazzo. Annalisa si era rivelata una persona con molta più sostanza di quanto mi sarei mai immaginata, ma dall’odiarla a diventare amiche intime richiedeva molto più tempo.
Per fortuna, la nostra vacanza poteva definirsi conclusa.
 
***
 
Eravamo sul volo delle 18.30 che avrebbe lasciato l’aeroporto di Heatrow in perfetto orario, alla volta della Capitale. Non so con quale tipo di magheggio o di arte oscura, Annalisa era riuscita ad includere sul boeing privato 876 della British Airways anche Celeste e i suoi due amici.
Quella ragazza ne sapeva una più del diavolo, dannazione.
Infatti, non appena la squadra si era messa comoda sulle poltrone ampie della prima classe, lei sparì di punto in bianco, portandosi dietro quel poveraccio di Romeo che ormai la seguiva come un’ombra.
Sospirai e pensai a quello che era successo la notte scorsa con Celeste. Sorrisi.
Di certo non potevo biasimare la Cavalli, perché in fin dei conti ciò che avevamo desiderato più di ogni altra cosa al mondo si era avverato proprio lì, in Inghilterra, grazie a tre meravigliosi biglietti spediti da un anonimo benefattore. O benefattrice.
Accanto a me era seduto Ruben, intento a leggere uno strano libro che parlava di bilancio.
Ora. Non seppi precisamente che differenza ci fosse tra “annuale”, “trimestrale” o bilanciere, ma lui sembrava abbastanza assorto che non mi andava di disturbarlo.
Anche se avevo un certo sospetto.
Celeste non sapeva chi avesse spedito quei biglietti, e per quanto potevo saperne, di sicuro non era stato Simone. Punto primo, non gliene fregava niente del sottoscritto, anzi, se Celeste non fosse giunta all’Emirates, di sicuro avremmo perso la partita. Punto secondo, era troppo coglione. Punto terzo, non ci sarebbe stato nessun guadagno da parte sua, allora perché scomodarsi?
Mi arrovellai il cervello tentando di capire chi avesse potuto davvero farmi un favore così grande, ma ogni opzione sembrava poco valida. C’erano Marco e Daniele, ma a loro non avevo detto nemmeno come si chiamava la ragazza di cui mi ero innamorato, come avrebbero potuto reperire il suo indirizzo o quello del Rosso?
E poi perché far venire anche Romeo e la tappa dal nome strambo?
Posai la testa sul bracciolo della poltrona e fissai la moquette che rivestiva il pavimento dell’aereo. C’era qualcosa che mi sfuggiva, qualcosa di davvero importante.
Innanzitutto, il misterioso benefattore doveva quantomeno conoscere l’indirizzo di casa di Celeste e quindi potevo escludere tutte quelle persone a cui non avevo mai parlato di lei. Praticamente avevo fatto fuori l’intera squadra della Magica.
Facendo mente locale, contai i rimanenti. C’era ovviamente Annalisa che, anche se aveva giurato su tutte le lentiggini di Romeo che lei non ne sapeva assolutamente niente, non potevo fidarmi. In fondo, aveva i mezzi per pagare quei biglietti, per farli recapitare senza che nessuno sospettasse nulla…
Troppe coincidenze.
I miei compagni di squadra li avevo già esclusi. Nessuno mi conosceva abbastanza bene da fare una cosa del genere.
Ruben mi sfiorò accidentalmente il braccio e fu in quel momento che ebbi un’epilessia.
Epifania.
È uguale!
«Sei per caso a conoscenza di tre biglietti d’aereo per Londra recapitati all’indirizzo di Celeste e Romeo?» chiesi al mio migliore amico, con il naso premuto all’interno del libro che stava leggendo.
Ruben s’irrigidì e non rispose.
Almeno non subito.
«N-No…» balbettò, come suo solito. «N-Non cr-cre-credo d-di a-ave-avrer m-mai p-pre-p-prenotato d-de-dei big-biglietti p-pe-per Lo-Lon-Lo-… la capitale I-Inglese,» concluse, senza mai staccare gli occhi dal suo volume.
Gatta ci cova. Sentivo chiaramente il puzzo di bugia da almeno due chilometri di distanza, anche perché, a conti fatti, Ruben era davvero l’unico in grado di spedire quei biglietti. Conosceva Celeste, sapeva dove abitava, era molto legato al sottoscritto, tanto da rischiare un’operazione del genere pur di risollevare la mia storia con lei.
Sprofondai ancor di più nella poltrona dell’aereo.
In fondo, cosa me ne sarei fatto della sua confessione scritta? In fin dei conti, chiunque avesse spedito quei biglietti d’aereo, mi aveva soltanto fatto un immenso favore e mi aveva davvero salvato il culo, per non usare altri termini.
«Grazie,» mormorai solamente, senza spiegarne il motivo.
Che fosse stato Ruben o meno, lo dovevo ringraziare. Era il mio migliore amico da sempre, il fratello che non avevo mai avuto, il cugino che avrei desiderato avere, al posto di quel deficiente di Simone, perciò gli sarei stato riconoscente in ogni caso.
Ruben sorrise e a me bastò solo quello.
«Come sta Sofia?» gli chiesi, cercando di prenderlo sovrappensiero.
Il mio migliore amico sfogliò un’altra pagina aiutandosi con un po’ di saliva e si sistemò meglio gli occhiali sul viso. «Bene,» rispose, quasi senza ragionarci su.
Sorrisi.
«L’hai salutata prima di partire, vero?» insistetti.
«Certo.»
Non balbettava. Quando si parlava di Sofia, di lavoro o dell’AS Roma, Ruben non balbettava mai ed era questa la cosa più sconcertante. Avevo il sospetto che tra quei due ci fosse qualcosa, del tenero, ma né Simone né Gabriele mi avevano mai detto nulla.
«Quindi, quando conti di dirmi che voi due state assieme?» sparai.
Tanto valeva consumare tutte le cartucce subito, senza esitare. Ruben sembrava abbastanza disponibile ad aprirsi in quel momento.
Lo vidi scattare sulla poltroncina dell’aereo e finalmente abbassare quel dannatissimo libro.
«C-Co-Co-Che?» farfugliò rosso in volto.
In quel preciso istante arrivò Celeste, che si sedette di malagrazia sulle mie ginocchia interrompendo l’interrogatorio con un profondo bacio che mi distrasse a sufficienza.
«Ehi…» soffiò ridacchiando sulle mie labbra.
Le posai le mani sui fianchi e sorrisi a mia volta. «Ehi.»
«C-Credo che a-andrò un attimo a-alla toil-toil- al bagno,» disse Ruben, alzandosi in fretta e furia e inciampando sulle sue stesse scarpe.
Celeste lo fissò impensierita. «Il tuo amico Ruben cos’ha?» s’informò, sottolineando il nome come se facesse ancora fatica a distinguerci.
Per lei eravamo sempre stati gli opposti. Io Ruben e lui Leonardo.
Questa cosa mi faceva ancora male, ma non glielo dissi.
«Ho il forte sospetto che abbia qualcosa in porto con mia cugina Sofia, ma non so il perché non vuole parlarmene,» le confessai.
Magari Celeste avrebbe potuto darmi qualche consiglio utile.
Sorrise. Era sempre bella quando sorrideva.
«E ci sarebbe qualcosa di sbagliato se stessero insieme?» mi domandò.
Effettivamente non avevo mai pensato a questo. Insomma, Sofia era la mia piccola cuginetta, non ancora maggiorenne ma non per questo immatura. Ruben era il mio migliore amico da sempre.
«No,» scossi la testa. «Non ci sarebbe nulla di male, anzi.»
«Però…?» incalzò lei, come se sentisse da qualche parte, forse in fondo allo stomaco, che c’era ancora qualcosa che non avevo chiarito.
Ci pensai su un attimo, mentre giocherellavo con le dita di lei.
«Però Sofia è una Sogno…» dissi, come se quel cognome, inevitabilmente, portasse dei guai alla nostra famiglia. «E sta scalando lentamente le classifiche londinesi con una sua nuova hit. La fama fa parte integrante della nostra famiglia,» le confessai.
Lei mi osservò tranquilla, infilando una mano nei miei capelli e accarezzandoli. «Ruben questo lo sa, è amico tuo da secoli. Alla fine è anche tuo manager, è abituato a intrattenere rapporti con persone famose.»
«Il fatto è che noi ci conosciamo sin da piccoli, da quando non eravamo altro che ragazzini impauriti dalla nostra stessa ombra,» aggiunsi. «E se per caso andasse male tra di loro? Se alla fine mi venisse chiesto di scegliere tra la mia famiglia e il mio migliore amico?»
Già, forse la stavo buttando troppo sul tragico. Celeste mi sorrise, rassicurandomi.
«Stai correndo troppo. Secondo me non ti chiederebbero mai di scegliere, soprattutto se sono veri amici come lo è Ruben.» Stavolta il nome lo disse con più naturalezza ed io mi sentii stranamente più leggero.
Le cose stavano cambiando, tutto si stava lentamente aggiustando come un vecchio carillon dimenticato.
«Hai ragione,» asserii.
«Come sempre!» ridacchiò lei, pungolandomi con l’indice sul petto, mentre Ruben tornò strascicando i piedi sulla moquette e ciondolando, indeciso se tornare al suo posto ed interrompere un nostro momento idilliaco oppure far finta di niente.
«Ehi amico, vieni qui,» gli dissi, e lui sorrise imbarazzato.
«Io vado da Ven, ragazzi. Credo non si senta tanto bene sull’aereo,» disse Celeste, alzandosi e lasciandomi al famoso “discorso” che avrei dovuto fare al mio migliore amico.
Si chinò leggermente per sfiorare le mie labbra in un timido bacio, poi svanì nei posti dietro ed io rimasi a contemplare la trama della moquette.
Ruben nel frattempo prese di nuovo posto al mio fianco, agguantando il libro.
È in quel momento che lo trattengo, impedendogli di aprire la pagina.
«Secondo me, non saresti dovuto salire su questo aereo,» mi venne da dire, forse un po’ troppo avventatamente.
Ruben, infatti, sgranò gli occhi preoccupato e da dietro le spesse lenti le sue iridi castane sembrarono ancora più enormi. Quasi come quelle di un cucciolo di cerbiatto.
«C-Ci-Cioè? H-Ho f-fa-fat-fatto qualcosa d-di sba-sbagliato?» s’informò, tremante.
Subito cercai di rassicurarlo. «No, no, tranquillo. Non ti sto licenziando di certo,» lo calmai. «È solo che, beh, forse saresti dovuto rimanere a Londra…» incespicai. «…rimanere da Sofia.»
Il mio migliore amico sgranò gli occhi.
C’era qualcosa di realmente profondo radicato in lui, lo potevo leggere attraverso le sue iridi così grandi. Non mi ero mai accorto di quanto tenesse a mia cugina: possibile che fossi stato così cieco?
Beh, in questo periodo sei stato piuttosto impegnato…
In effetti.
Gli diedi una pacca sulla spalla. «Credo che voi due sareste proprio una bella coppia,» conclusi, dandogli il mio benestare, anche se non ero né il fratello maggiore né il padre di Sofia.
Inoltre, sapevo alla perfezione che Simone non sopportava Ruben, quindi averlo come quasi-cognato lo avrebbe mandato lentamente ai pazzi e quella cosa mi faceva sorridere parecchio.
«G-Grazie m-ma…» tentò di aggiungere, senza trovare le parole adatte.
«Cosa?» chiesi.
Lui mi fissò ancor più imbarazzato. Non potevo credere che la pelle umana potesse raggiungere quel livello di rossore.
«N-Non c-cre-credo d-di i-inte-interess-interessarle p-poi t-ta-tanto…» commentò.
Fissai il mio migliore amico intensamente. C’era qualcosa in Ruben che lo faceva sempre dubitare di sé stesso, anche quando le cose erano piuttosto evidenti.
«Perché dici questo?» gli domandai, allora.
Avrei dovuto farlo ragionare, almeno per dargli qualche speranza in più. Con Sofia io non parlavo molto, diciamo che era la più piccola della famiglia ed io l’avevo sempre vista come una sorella minore. Non sapevo come comportarmi riguardo a questioni del genere.
Ruben si sistemò meglio gli occhiali sul naso. Deglutì a fatica, imbarazzato.
«I-Io n-non ho m-mo-mol-tanto successo co-con le r-ra-ragazze…» sussurrò. «P-Po-Poi S-Sofi…» e lasciò la frase sospesa, come a intendere che lei era ben più di una semplice ragazza.
«Ruben, ascolta,» dissi coinciso. «Io non sono nessuno per dirti quello che mia cugina prova nei tuoi confronti, però, da quel poco che ho visto quella sera a Soho… diciamo che ho notato qualcosa effettivamente,» confessai.
Era del tutto vero, visto che avevo avuto il sospetto.
Gli occhi castani di Ruben si aprirono in un genuino stupore. «D-Di-Dici davvero?» pigolò.
Una pacca sulla spalla e un sorriso. «Puoi starne certo, amico,» ridacchiai.
Ripensandoci, mia cugina Sofia era stata sempre un tipo esuberante, espansivo. Sorrideva a tutto e a tutti, senza differenze, e capire chi o cosa le interessasse per davvero era dannatamente difficile. Di una cosa, però, ero certo: era una Sogno, e, come tale, sapeva mascherare bene i suoi sentimenti.
Ruben sembrava molto più tranquillo adesso, come il sottoscritto.
Visto la sua malleabilità, decisi che avrei almeno dovuto tentare di indagare sulla questione dei biglietti.
«Senti ma…» iniziai, evasivo. «Ho notato sui movimenti del tuo conto, una certa somma che hai speso per tre biglietti Roma – Londra, o sbaglio?» buttai là.
Il mio migliore amico s’irrigidì. «Q-Qua-Quando h-ha-hai v-vi-visto l’e-l’estratto-conto?»
E cadde puntualmente nella trappola.
Gli sorrisi. Alla fine il mio sospetto era fondato, ma farlo confessare era stato tremendamente divertente. «Non l’ho visto,» ridacchiai.
Ruben s’incurvò, mogio, affondando la testa nelle spalle. «M-Mi d-di-dispiace…» smozzicò.
Lo tranquillizzai subito. «Altro che “mi dispiace”,» dissi sincero. «Dovrei esserti riconoscente per tutto il resto della mia vita.»
E Ruben mi sorrise. Era davvero tornato tutto come prima.
 
***
 
L’aereo atterrò all’aeroporto di Fiumicino verso le 9.00 di quella stessa sera. L’intera squadra afferrò i propri bagagli a mano e si diresse verso l’uscita, mentre io aspettai che Leonardo e gli altri miei amici si preparassero.
«Allora? È finita questa vacanza, eh?» ridacchiò Venera, che sembrava quella più sollevata di essere finalmente tornata a casa.
Non che odiasse Londra, anzi. Mi aveva più volte detto che, se ne avesse avuta la possibilità, ci si sarebbe trasferita senza alcun indugio. Diciamo che era allergica alle squadre di calcio e in quei tre giorni di permanenza aveva fatto indigestione.
«Si torna alla vita di sempre…» piagnucolò Robbeo.
«Alla tua vita sfigata di sempre,» aggiunse Ven punzecchiandolo.
«Taci, nana!»
«Tappati quella fogna caccolosa, prospero
Annalisa si avvinghiò subito al braccio di Romeo per trascinarlo lontano da lì il più velocemente possibile, prima che ci fosse una strage.
Sorrisi.
Anche se, in fin dei conti, la mia vita era totalmente cambiata, le piccole cose rimanevano sempre le stesse. I miei amici ci sarebbero stati sempre, così come i miei genitori.
Una mano grande e ruvida strinse la mia.
E Leonardo.
Lui, adesso, faceva parte integrante della mia vita e ci sarebbe rimasto. Gli sorrisi e cominciammo a camminare lungo il corridoio dell’aereo. Le nostre dita intrecciate saldamente. Nessuno dei due che voleva perdere quel contatto per paura di dimenticare anche dell’altro.
Era come se fossimo aggrappati a quell’aereo, come se Londra fosse stato solo un sogno e che prima o poi ci saremmo dovuti svegliare, di nuovo da soli.
«Ehi…» mi disse lui.
«Ehi,» gli sorrisi.
Salutammo le hostess e ci dirigemmo verso il ritiro bagagli. La squadra procedeva dritta davanti a noi, mentre una folla di curiosi cominciava ad addensarsi nelle vicinanze. Quando giungemmo al rullo 9, quello corrispondente al nostro volo, c’era la ressa.
Rimasi allibita vedendo la polizia tentare di lasciare lo spazio tra una folla di tifosi che gridava di gioia e il resto della squadra che li salutava imbarazzati.
«Hai paura?» mi domandò Leo, vedendomi trasalire quando uno di quegli uomini tentava in tutti i modi di scavalcare la sorveglianza per fiondarsi addosso a Daniele, credo.
Scossi la testa, ma non ne ero poi tanto sicura.
Se stare insieme ad un calciatore famoso, significava dove fare a pugni con tutta quella gente… non ero abituata a tutto quello.
Leonardo cercò di nuovo la mia mano e la strinse.
Sapevo di essere una sciocca, che chiunque avrebbe fatto carte false per essere al mio posto, eppure non riuscivo ancora a capacitarmi di tutta quella “fama”.
«Ehi Leona’, sei un grosso!»
«A bello, vie’ qua! N’autografo!»
«Chi è lei, campio’? ‘A ragazza tua? Posso favve ‘na foto?»
Erano i tifosi che urlavano al di là del muro di uomini della polizia che si era creato tra il corridoio e il rullo dei bagagli. Mi sentivo quasi braccata.
Afferrammo i bagagli, poi seguimmo uno della security che ci indicò la strada per il pullman della squadra che ci avrebbe ricondotti a casa dall’aeroporto.
Lanciai un ultimo sguardo verso la folla dei tifosi e rabbrividii.
Mi immaginai per un attimo io e Leonardo a fare una passeggiata per negozi, a via del Corso, o magari in un centro commerciale. Girare per le vetrine, mano nella mano, per poi venir assaliti da ragazzi che chiedevano una foto con lui, o un autografo oppure una ciocca dei suoi capelli.
«Manca poco a casa,» mi sorrise Leonardo ed io ricambiai quel gesto un po’ stiracchiato.
Già, mancava poco alla mia vecchia vita, al mio appartamento, alle mie lezioni. Cosa avrei fatto ora che frequentavo abitualmente una persona famosa?
Sarebbe davvero cambiata la mia vita?
«Tutto a posto, sis?» mi chiese Ven, accostandosi con il suo trolley.
Annuii un po’ titubante. Non la si faceva facilmente in barba alla mia migliore amica. Sapeva leggerti dentro in un modo che nemmeno riuscivo a fare con me stessa.
«Sicura?»
«Forse…» tentai.
Una volta avvistata la porta scorrevole dell’uscita, fui invasa dal terrore. Appostati ai lati di un nastro che divideva la squadra dal resto del mondo, c’erano una marea di giornalisti con microfoni e registratori alla mano, con telecamere, macchine fotografiche.
Rimasi quasi paralizzata dal terrore.
Non ce la posso fare.
Strinsi spasmodicamente la mano di Leonardo e lui si accorse che stavo tremando. Mi guardò come se fossi in pericolo di vita e dentro quegli occhi verdi lessi tanta tristezza.
Si tolse il giaccone e me lo avvolse sulle spalle, tirando su bene il cappuccio, poi ci incamminammo verso il pullman senza dar retta a nessun giornalista. Il percorso che ci divideva dal mezzo non era tanto, durò pochi secondi, ma furono i più interminabili di tutta la mia vita.
«Ehi campione, solo una parola?»
«Cosa puoi dirmi sulla partita?»
«Avete vinto, è stato un bene per la squadra averti come attaccante?»
«È vero che hai giocato contro tuo cugino?»
Tutte domande che rimasero senza risposta. Ci fermammo solo quando raggiungemmo i gradini del pullman e Leonardo mi tirò giù il cappuccio del giaccone.
Mi sorrise di nuovo, ma era un sorriso amaro il suo.
«Mi dispiace,» disse.
Salimmo sul mezzo per poi accomodarci nei sedili posteriori.
Fissai lo sguardo fuori dal finestrino, pensierosa, per poi vedere un omino con una macchina fotografica che cominciava a scattarmi delle fotografie. L’insistenza di quel flash negli occhi mi costrinse a chiuderli, riparandomi come potevo con le mani.
«Che pezzo di merda!» imprecò Leonardo, tirando la tendina del pullman e coprendomi con un braccio. Mi strinse a sé, al suo petto, sussurrandomi ancora che gli dispiaceva.

Come al solito sono in ritardo, ormai non vi chiedo più nemmeno scusa ç_ç
Ultimamente ho il tempo ridottissimo causa real!life e gli altri 13.000 impegni che ho preso e che mi tocca rispettare. Mi domando per quale diavolo di motivo io debba segnarmi a millemila contest e poi realizzo di non aver tempo di fare un tubo. e_e
Comunque! Tornando alla nostra storia, Leonardo e Celeste ormai sembrano aver definitivamente superato questa "crisi" anche grazie a LonTra e tutto il paesaggio che io amo  alla follia (non si era capito?). Un capitolo sommariamente di passaggio, tranne con qualche risvolto verso il finale.
Aggiungo qui, nelle righe commentose, che questo sarà il penultimo capitolo, quindi il prossimo sarà il capitolo finale - al massimo seguito da un piccolo epilogo (devo decidere). Mi raccomando non vi commuovete, prima o poi doveva finire T_T
Beh, spero che comunque sia stato di vostro gradimento. Tanto c'è sempre Simo da seguire **
Detto ciò, vi saluto con tanto, tantissimo affetto e vi invito a seguirci nel gruppo di facebook.

Bacioni, Marty

   
 
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