Word #661: Year.
Una foto sul comodino sorrideva imperterrita nel vuoto, testimone
involontaria di quel passato che ormai era solo passato.
Nel buio della stanza, velato dalle tende che la riparavano dalla
luce invasiva della luna, quei denti bianchi sulla carta stampata sembravano
piccole luci, piccole lanterne che, giorno per giorno, ferivano costantemente
il cuore della non-più-ragazzina che dormiva lì.
La foto non aveva nulla di particolare, se non la si guardava bene, ma ciò che
la rendeva tremendamente unica era il fatto che, se si prestava abbastanza
attenzione, il volto pallido incorniciato dai capelli scuri del ragazzino
sembrava il volto di un ragazzino, e non quello di un adulto.
Il gruppo sette, trentuno milioni e cinquecentotrentaseimila
secondi prima, era formato da ragazzini.
Trentuno milioni e cinquecentotrentaseimila secondi prima, lui
era stato un ragazzino. Aveva insultato il suo compagno di squadra, lo aveva
punzecchiato per faccende del tutto banali e di minima importanza, come solo i
ragazzini sanno fare.
Cinquecentoventicinquemila e seicento minuti prima, l’altro
era stato un ragazzino. Sicuro di sé nel presentarsi al mondo con quella sua
vistosa maschera di trucco che si era dipinto in volto, deciso a rendere quella
foto memorabile – ostinato come solo i ragazzini possono essere.
Ottomila e settecentosessanta ore prima, lei era stata una
ragazzina. Mentre lui lo teneva fermo, lei con il latte detergente gli
strofinava la faccia, ignorando le sue lamentele. Gli aveva dato un pugno sulla
testa, lamentandosi di quanto fosse stupido e fastidioso – dicendo cose
orribili senza malizia, come solo i ragazzini sanno fare.
Trecentosessantacinque giorni prima, loro erano
stati dei ragazzini. Lui si era imbronciato quando lei gli aveva preso il
braccio, e si era rifiutato di guardare la macchina fotografica. L’altro si era
imbronciato quando lei si era rifiutata di prenderlo a braccetto come aveva
fatto con lui.
Lei li aveva trascinati nella foto, ridendo – e nella foto, infatti, era
l’unica a ridere.
Questo non significava che non fossero felici,
trecentosessantacinque giorni prima.
Cinquantadue settimane dopo, però, lui era cresciuto. Non
voleva perdere tempo, come lo perdono i ragazzini. Non aveva intenzione di
continuare a rimanere con loro, perché loro erano inutili e non lo avrebbero
affatto aiutato in ciò che voleva.
Dodici mesi dopo, però, l’altro era cresciuto. Era
distrutto e scottato dalla realtà, e non poteva più continuare ad essere un
ragazzino. Guardandola piangere, le aveva promesso che – per tutta la vita –
avrebbe provato a riportarlo a casa.
Un anno dopo, però, lei era cresciuta. Non credeva più
nelle favole, come una ragazzina. Aveva capito che il suo amore era stato
tremendamente inutile ed egoista, ed aveva conosciuto il dolore ed il colore
dell’abbandono – e che la persona che per sempre le sarebbe rimasta vicina, era
un’altra e non lui.
Un anno dopo, tutto ciò che rimaneva di loro e del gruppo
sette, era solo una foto sul comodino.
Che, imperterrita, sorrideva nel vuoto.
A/N. Ah, scritta in quindici minuti netti. Forse sedici.
Comunque sia, non ho potuto più ritoccarla. E’ una sfida che ho trovato su
un sito, nel mio tentativo di uccidere
il blocco dello scrittore. Prompt di una parola, 15 minuti per scrivere la fic.
Quindi, perdono se è un po’ forzata e tutto. O banale. Ho notato che quindici
minuti sono piuttosto… problematici, per scrivere. Ma avevo bisogno di una
challenge. Chissà che non mi torni voglia di scrivere.
P.S. PEr la domanda sul come ho fatto a fare i calcoli... con la calcolatrice di windows °_° 365x24x60x60. Non sono neanche sicura siano giusti, ne, ma chi se accorge? >_>"