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Autore: Aika Morgan    27/11/2012    8 recensioni
Michael ama giocare con le stelle: le osserva, traccia i loro contorni e poi aiuta Andy ad orientarsi e a trovare se stesso.
Vivono in un mondo tutto loro, come se appartenessero ad una costellazione fatta di due sole stelle.
E quando all'improvviso una delle due stelle muore, l'altra diventa una stella perduta, che continua a vagare nell'universo alla ricerca di qualche motivo per continuare a splendere.
Questa introduzione ha partecipato e vinto il contest " La trama di una storia." di DearJulietefp
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stelle perdute'
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Andy – I giorni più strani.


 

Andy ha sempre avuto uno strano rapporto con i pranzi in famiglia.

Da piccolo li detestava con tutto il suo cuore, visto che ogni volta era costretto a rimanere seduto a tavola mentre tutti quei grandi, spesso e volentieri colleghi di suo padre, parlavano di lavoro e di cose che lui non riusciva a capire.

In quelle occasioni si sentiva un pesce fuor d'acqua, e si annoiava terribilmente, finendo per stringere i pugni sotto al tavolo nella speranza di poter compiere chissà quale magia e far terminare tutto nel più breve tempo possibile.

Col passare degli anni, le cose non erano affatto migliorate e, anzi, alla noia si era anche aggiunta un po' di insofferenza per tutte le volte che era costretto a tornare a casa dall'università per un motivo o per un altro e gli toccava sorbirsi quei pranzi interminabili.

Paradossalmente, è stato quando ha litigato con suo padre che ha cominciato a sentire la mancanza di quelle noiose giornate. In fin dei conti si trattava di un rituale che in qualche modo contribuiva a ricordargli che una famiglia – per quanto molte volte vi si trovasse a disagio – ce l'aveva.

Le domeniche sono diventate improvvisamente vuote, senza quelle scuse da inventare per saltare un qualsiasi pranzo, senza Michael che lo prendeva in giro per quel suo continuo brontolare e ostinarsi a protestare ogni volta che non aveva voglia di andare dai suoi genitori.

Senza Michael.

Quando sua madre, al telefono, lo ha invitato a tornare a casa per due giorni – O tutto il tempo che vorrai, si è premurata di aggiungere subito dopo – Andy non si è subito reso conto di quale fosse la domenica che gli aveva chiesto di trascorrere insieme.

Solo dopo aver riagganciato, gettando uno sguardo al calendario, ha visto un numero cerchiato di rosso.

Dodici settembre.

Ha imparato ad odiare quel numero, ad evitare di pensarlo, di collegarlo in qualche modo a Michael. Ogni dodici del mese, ad eccezione di quando c'era Elena con lui, l'ha trascorso sdraiato sul divano a leggere un libro, fissando il vuoto e rivivendo attimo per attimo quelli che dovevano essere stati gli ultimi istanti di vita di Michael, tre mesi prima.

Sembrano tanti, tre mesi.

Se li conta in giorni diventano novanta, e sembrano crescere ancora.

Eppure, per Andy, non saranno mai abbastanza gli anni, i mesi e i giorni, non pensa di potersi davvero abituare al fatto che Michael non c'è più.

O forse sì, si è reso amaramente conto del fatto che pian piano non avrà più nulla da voler per forza raccontare a Michael, che in qualche modo non sarà più necessario mandargli un messaggio per chiedergli di andarlo a prendere all'uscita dal tirocinio.

Imparerà a fare a meno della necessità di averlo accanto, anche se ci saranno sempre i giorni in cui il dolore si farà sentire più forte delle altre volte e si lascerà trasportare dai ricordi.

Forse è questo, quello che fanno le ferite quando si rimarginano, cercano di fare a meno di quel poco di pelle saltata via, ma il segno delle cicatrici è sempre lì a ricordare qualcosa di diverso c'è.

Tre mesi letteralmente scivolati dalle dita, come un soffio, come un niente. Tre mesi che Michael non è più tornato a casa e tre mesi che Andy sente di vivere solo a metà.

Le ultime due settimane sono passate in fretta, scandite dalle telefonate di sua madre, dal suo continuo aggiornarlo sulle condizioni di salute del padre e dal suo sintetico resoconto di giornate divise fra il lavoro e gli ultimi ritocchi alla tesi.

– Stai bene, Andy? Non sarai troppo stanco? – chiedeva la donna con voce preoccupata.

– Sto meglio, mamma, tranquilla. – rispondeva lui, sbuffando e poi sorridendo appena, ripensando alla nostalgia che aveva avuto negli anni di quell'apprensione materna e di quanto fosse strano adesso riabituarcisi.

C'è differenza fra stare bene e stare meglio, ma sua madre sembra non aver colto quella sfumatura, non indagando oltre.

Alla fine, quella domenica mattina è arrivata.

Prima di uscire da casa per tornare dai suoi, ha ricevuto una telefonata di Elena che, pur senza affrontare esplicitamente la discussione, gli ha ricordato che sono passati tre mesi dalla morte di Michael.

– Più tardi andiamo a... trovarlo. – gli ha annunciato, con voce neutra, senza curarsi di specificare di chi stesse parlando, perché proprio non c'era bisogno.

Per un attimo Andy ha decontestualizzato quelle parole e ha immaginato Michael vivere in un posto fisicamente lontano da casa di Elena, un posto dove effettivamente fosse possibile andare a trovarlo e prendere un caffè insieme.

– Un girasole. – ha mormorato poi.

– Cosa?

– Un girasole. Portagli un girasole da parte mia. A lui piacevano tanto. – ha risposto, riferendosi alla copertina del diario di Michael – Cioè, forse lo sai meglio di me, ma...

– D'accordo, lo farò! – ha risposto Elena, senza dargli il tempo di aggiungere altre spiegazioni a quella richiesta – Prima o poi però dovresti venire anche tu. Se... se ti va, ovviamente. Se te la senti.

Andy ha sorriso al modo in cui Elena si è corretta da sola, quasi avesse avuto paura di osare troppo, mentre invece quella sollecitazione lui la stava un po' aspettando, perlomeno inconsciamente.

È stata la prima volta che l'idea di andare a casa di Michael non gli è sembrata poi così assurda.

Elena, e anche i suoi genitori nonostante non li conosca, sembrano essere bendisposti, e questo non può che renderlo meno titubante in proposito, dandogli quel coraggio di cui avrebbe bisogno per fare i conti con quell'evento così doloroso.

– Dopo la laurea, sì. Credo che potrei farlo.

– A mamma farà piacere, continua a chiedermi di te e...

E di Michael.

Elena non ha continuato quella frase, ma Andy sa che era questo il senso della sua affermazione.

Non può evitare di fare il confronto con la sua famiglia, che sembra essere disposta ad accettarlo solo adesso, dopo anni di silenzio.

Eppure gli va bene così, l'importante per lui è che adesso siano disposti a parlare e quel pranzo, per quanto gli metta ansia, sembra essere l'occasione giusta per ricucire i rapporti. Magari è lui ad essere troppo prevenuto e davvero le cose stanno lentamente cambiando in meglio, in fondo sono due settimane che suo padre è uscito dall'ospedale e che sente i suoi genitori quotidianamente.

Non può andare sempre tutto male.

Michael lo diceva sempre, quando entrambi erano sotto stress per via dello studio o avevano problemi di qualsiasi genere, e ad Andy piaceva lasciarsi cullare da queste parole, spesso seguite da un abbraccio e da un bacio sul collo.

Quando finalmente parcheggia sul vialetto davanti casa, Andy si sente disorientato.

I due anni passati dall'ultima volta che vi è tornato non sono poi molti, ma adesso sembrano un'eternità, un muro di ricordi che lui non possiede, come se una parte della sua vita non sia mai esistita.

Non riesce ad immaginare che effetto gli farebbe essere lì con Michael, magari stringendo la sua mano e presentandolo come il suo compagno alla famiglia.

Quando sua madre gli apre il portoncino di casa, Andy fa fatica ad entrare dentro, a riprendere confidenza con quello che una volta era il suo mondo. Non nota nessun sostanziale cambiamento nell'arredamento del salone, forse qualche quadro spostato, ma nulla di più, niente di davvero diverso a quando ha chiuso l'ultima volta la porta dietro di sé.

David è il primo a fare un passo in avanti per salutarlo, seguito da sua moglie Karen, che si si avvicina con in braccio il figlioletto di due anni, Jack.

– Ciao, Andy, è bello vederti! Jack, tesoro, saluta lo zio Andy, dai! – la donna scosta una ciocca di capelli dal viso del bimbo e lo bacia su una guancia paffuta.

Di lui, Andy ha pochissimi ricordi: era nato poco prima che lui litigasse con la sua famiglia, ed era riuscito a vederlo solo poche volte, ancora nella culla, quando non faceva altro che mangiare e dormire tutto il giorno.

Si sente impacciato quando lo prende in braccio, quasi non avesse mai avuto a che fare con un bambino. Jack invece, nonostante praticamente non lo conosca, è perfettamente a suo agio, contento di ricevere le attenzioni di un nuovo adulto.

Tio. – Jack gli tira i capelli e cerca di afferrargli gli occhiali per gioco.

– Ehi, giovanotto. Sei diventato grande, eh?

Gli sorride e lo coccola un po', facendogli qualche domanda alla quale riceve risposte formulate in un linguaggio tutto strano, che lo fa ridere insieme a tutti gli altri.

Il primo pensiero, mentre lo guarda giocare seduto sul tappeto del pavimento del salotto, è come potrebbero essere le cose se accanto a lui, un giorno, potesse esserci anche Michelle. La cosa lo fa sorridere,e si ritrova a sperare che possa succedere, perché significherebbe che Michael, o quantomeno la sua memoria, è stata veramente accettata.

Salutare suo padre è stata la cosa più difficile, per quanto continui a sforzarsi, Andy non riesce ad essere naturale, temendo che si capisca quanto sia teso e quanto stia fingendo che vada tutto bene.

Il pranzo procede senza alcun intoppo ed Andy continua a chiedersi quando arriverà il momento di affrontare l'argomento che rimandano ormai da settimane, se arriverà o se anche questa volta rinunceranno con un tacito accordo, nella speranza di solidificare il rapporto sulla base di silenzi che cementifichino ogni lite passata.

Sembra che nessuno abbia voglia di parlarne, ogni tanto c'è qualche attimo di silenzio, qualche sguardo che gli fa presagire che forse è arrivato il momento della verità, ma poi non succede nulla.

Inizia a pentirsi di aver sperato davvero che le cose potessero cambiare, la sensazione è quella di aver lasciato ancora una volta che avessero la meglio su di lui.

Jack sembra l'unico a trattarlo con naturalezza, forse perché a tre anni è solo estremamente eccitato dalla presenza di un nuovo adulto a cui mostrare le sue prodezze. Andy gli sorride mentre ascolta i suoi fantasiosi racconti su ciò che fa all'asilo, poi però la sua espressione si incupisce nuovamente quando ripensa al fatto che sia cambiato poco o nulla rispetto a prima.

Solo più tardi, quando il pranzo è finalmente terminato e lui è salito in quella che una volta era la sua stanza, forse nel maldestro tentativo di ristabilire un contatto con quell'ambiente che gli sembra così estraneo, arriva il momento che Andy attendeva da troppo tempo.

– Credo che dovremmo parlarne.

Nel sentire la voce del padre alle sue spalle – non si era accorto che era entrato e che lo stava guardando già da qualche secondo – Andy trattiene un attimo il respiro, come se attendesse una nuova condanna ed un nuovo esilio. Gli verrebbe spontaneo chiedere ironicamente di cosa devono parlare, da dove cominciare, ma Andy non riesce a non sentirsi nervoso e l'ultima cosa di cui ha voglia è fare osservazioni sarcastiche.

Non sa nemmeno come rispondere a quell'osservazione, la tentazione di rovesciargli addosso tutto il suo rancore per l'essere stato praticamente abbandonato e poi costretto a fare il primo passo per la riconciliazione è forte, eppure Andy ripensa a quanto gli ha detto la signora Harris e si morde la lingua.

Poi, improvvisamente, basta guardare un attimo suo padre negli occhi, per accorgersi del fatto che nemmeno lui sa come parlare. E questo fa paura, considerato che è sempre stato in grado di sapere cosa dire o cosa fare al momento giusto, anche sbagliando.

Dev'essere stato orribile. L'incidente, voglio dire. E tutto il resto.

Nemmeno pronuncia il nome di Michael, ma Andy si rende conto – forse per la prima volta – che sta tentando disperatamente di non fare passi falsi.

Adesso sei tu che devi insegnargli a capirti, Andy.

Ancora una volta ricorda le parole della signora Harris, deglutisce e poi risponde.

– Esattamente com'è perdere la persona che si ama.

– Lo so, Andy. Il tuo compagno... lo amavi. – la constatazione è più che ovvia, ma sembra come se l'uomo stia lentamente prendendo coscienza, come se abbia poco a poco fatto i conti con l'omosessualità del figlio e sia riuscito a venirne a capo.

– Già.

– Mi dispiace non averlo capito subito, Andy.

Quelle parole lo fanno definitivamente crollare: sente i suoi occhi riempirsi di lacrime e, letteralmente, crolla fra le braccia di suo padre, dimenticando in un attimo tutto quello che ha passato.

Sa che l'uomo, per carattere, non riuscirà a dirgli nient'altro, ma il fatto che abbia capito, anche se dopo anni, dopo averlo rifiutato nel peggiore dei modi, non può farlo restare ancora impassibile.

– Va... va davvero bene? – chiede, quando riesce a calmarsi quel tanto che basta a non balbettare mentre parla, sottintendendo con quelle parole una richiesta di pace che proprio non riesce a formulare.

Non ricorda di aver mai pianto davanti a lui, forse solo qualche volta, quando era piccolissimo e si era fatto male giocando, la sensazione è quella di essersi spogliato del muro che si è costruito attorno per difendersi ed essere tornato inerme e fragile come una volta.

Come se certe cose, a dirla tutta, non fossero mai cambiate, e lui non fosse tanto diverso dal bambino che piangeva perché si era sbucciato un ginocchio e voleva che qualcuno lo consolasse.

– Sono io che dovrei chiederlo a te, Andy.

– Non lo so. Vorrei solo continuare ad essere me stesso.

Senza che nessuno mi accusi ancora, senza dover lottare ancora, perché sono stanco e ho bisogno di smetterla di difendermi.

Sente di non avere la forza nemmeno per spiegare a suo padre tutto quello che avrebbe voluto dirgli dopo essere stato cacciato di casa, e da parte dell'uomo avverte lo stesso senso di inadeguatezza.

Forse di parole, di altre spiegazioni, non c'è bisogno, forse l'unica risposta è lì, in quell'abbraccio che Andy – pur non ammettendolo mai davvero – ha sempre desiderato.

Chiedere perdono è più difficile che perdonare, diceva la signora Harris, e adesso Andy ne capisce davvero il significato. Suo padre forse non gli chiederà esplicitamente scusa, ma ce la sta mettendo tutta per riparare agli errori che sa di aver commesso.

E, a piccoli passi, Andy sa che presto cominceranno a camminare verso la stessa direzione.

 

***

 

 – Fumi ancora?

Dopo la discussione avuta col padre, Andy ha deciso di andare a rifugiarsi in giardino, dove continua a rimuginare sulle parole dell'uomo, su quel suo strano modo di chiedergli scusa per quello che gli ha fatto e su come le cose stiano rapidamente cambiando.

Si sente talmente destabilizzato – troppe emozioni, per uno come lui, abituato a gestirle e catalogarle minuziosamente una per una – che vorrebbe tornare a casa, ma ha promesso alla madre di rimanere almeno fino al mattino dopo. Non può nemmeno inventarsi un impegno dell'ultimo minuto, quindi deve rassegnarsi a rimanere dai suoi anche se la cosa non lo mette del tutto a suo agio.

La voce di David lo fa sobbalzare un attimo, ma poi Andy abbassa lo sguardo e fa scattare l'accendino, senza rispondere.

Mh. – mugugna, dopo aver fatto il primo tiro.

– Non dovresti. Sei o non sei un medico? – ride David.

– Michael me lo diceva sempre. – replica Andy, come se quella risposta fosse dettata da un riflesso automatico. Michael. Michael è sempre lì, nei suoi pensieri e non riesce a fare a meno di parlarne come se fosse ancora vivo – Ho deciso che smetto dopo la laurea, comunque. O dopo... dopo che questo periodo di merda sarà finito.

Non aggiunge un laconico se finirà ma il senso delle sue parole è quello.

– Ti ricordi quando ti ho beccato a fumare la prima volta e ti ho costretto a lavare i piatti tre settimane di fila al posto mio per non dire nulla a papà?

– Eri uno stronzo. – Andy abbassa nuovamente lo sguardo e ridacchia.

– Mi preoccupavo per i tuoi polmoni! – si difende David, alzando le mani in segno di resa.

– Già. E per cosa ti preoccupavi quando sei andato da Michael a dirgli che era un egoista per non aver fatto coming-out in famiglia?

Può vederlo sgranare gli occhi dalla sorpresa e per un attimo, solo per un lungo attimo, giurerebbe persino che stia provando vergogna per quel gesto.

– Come... come lo sai?

– Lo... lo so e basta. Perché l'hai fatto?

Sono giorni che pensa e ripensa al modo più adatto per formulare quella domanda. Di David, nonostante tutto, si fidava, e l'ha ferito il fatto di aver scoperto che aveva provato ad intromettersi nella vita sua e di Michael.

– Davvero non ti dava fastidio il fatto che non volesse dire di voi alla sua famiglia? – è la risposta tranquilla del fratello.

– Erano affari nostri. Ne abbiamo parlato migliaia di volte, cosa credi? Tu non avevi alcun diritto di andare a parlare con lui.

A ripensarci, Andy ricorda benissimo tutte le volte in cui aveva parlato con Michael dell'eventualità di fare coming out. Qualche volta ne avevano discusso finendo per litigare perché Andy pensava che fosse un rifiuto legato al fatto che Michael non ritenesse la loro storia così importante dal valere il rischio, ma poi, dopo essere stato scacciato dalla sua famiglia, aveva capito a pieno tutte le paure del suo compagno.

– Come potevo chiedergli di parlare dopo quello che era successo a me? Avrei dovuto pretendere che rischiasse di mandare a puttane il rapporto con la sua famiglia?

– Tu l'hai fatto. Ci hai detto la verità e sei stato onesto.

– Bella cosa, a saperlo sarei rimasto in silenzio. – è la replica amara di Andy, che proprio non capisce dove il fratello voglia andare a parare – David, certe cose le fai per te stesso, non per dimostrare qualcosa a qualcuno. Michael mi amava, ma il rapporto con i suoi non era affar mio, e men che meno tuo.

– Mi dispiace. Ho... ho esagerato.

La replica di David lo sorprende, per un attimo pensa che sia un modo repentino per chiudere il discorso, ma guardandolo negli occhi si rende conto che è sincero.

Ha sentito troppe volte le parole mi dispiace, comincia quasi ad esserne stanco, perché ad ognuno di essi corrisponde qualcosa che l'ha fatto stare male, e lui non vuole più aspettare una richiesta di perdono che lenisca ogni ferita.

Semplicemente, vorrebbe non avere più ferite.

– Credevo di farlo per te. Pensavo di poterti aiutare.

– Sono sempre stato il più piccolo, giusto? – sorride amaramente – Quello a cui bisognava insegnare come cavarsela.

– Lo so che ho sbagliato, Andy, lo so da sempre. Però è stato più forte di me, volevo sapere... che tipo fosse. Se fosse la persona giusta per te.

– Non mi sembra tu abbia mai fatto il terzo grado ai fidanzati di nostra sorella.

– Che c'entra? Lei... la sua situazione è diversa.

Andy rinuncia a chiedergli che cosa intenda, se si riferisca al fatto che lui sia omosessuale, o se sia un'affermazione legata al carattere di Eleanor, decisamente più forte e combattiva di loro due messi insieme.

– Sai, quando è morto, nessuno è venuto a chiedermi come stavo, nessuno, solo le nostre due amiche che sapevano di noi. Ed è stato come se non fossi mai esistito nella sua vita. Credo di non aver mai sentito così tanto il peso della solitudine come in quei momenti. – confessa, abbassando lo sguardo, senza che ci sia un particolare collegamento col discorso che stavano facendo.

Per la prima volta gli viene spontaneo confidarsi col fratello, come se sentisse la necessità di dirgli quelle parole.

David non fa in tempo a replicare – e Andy ha l'impressione che nemmeno saprebbe come farlo – perché li raggiunge Eleanor, che li cercava entrambi per chiedere loro se avessero voglia di un the o di un caffè.

Ed è nel momento in cui sono tutti e tre insieme, vicini, che Andy cerca il coraggio di provare a sistemare le cose anche con loro.

– Ecco... probabilmente avevate ragione entrambi. Ho... ho parlato con papà. Sono riuscito a dirgli metà delle cose che volevo, però sembra che le cose siano apposto. – ammette, scandendo bene le parole, come se pronunciarle con lentezza potesse fargli guadagnare tempo – E non so, forse però ho ancora paura.

David ed Eleanor lo guardano incuriositi ed Andy non sa se, adesso che ha la loro attenzione, sia più facile o difficile andare avanti.

– Ho paura che continuiate a pensare che la mia omosessualità sia stata solo una fase, e che adesso che Michael è morto posso tornare normale.

Eleanor gli posa una mano sul braccio e gli sorride con una dolcezza che di solito non le appartiene.

– Non lo pensiamo. Andy, lo so che nessuno di noi l'ha presa bene e che hai sofferto molto, ma adesso le cose sono cambiate.

– E non voglio nemmeno stare qui perché vi faccio pena o perché sapete che sono solo, adesso. – prosegue lui, testardamente.

Nonostante il dolore, ha ancora l'orgoglio a sostenerlo, quell'ostinata convinzione di potercela fare senza chiedere aiuto.

– Non ti viene in mente nemmeno per un attimo che vogliamo starti accanto perché sei nostro fratello? – sorride ancora sua sorella scendendo con la mano fino a stringere la sua.

Andy si stringe nelle spalle, per non ammettere che, in passato, ha davvero pensato che i legami di sangue, per la sua famiglia, non valessero davvero nulla e che l'essere figlio o fratello non lo avrebbe mai riscattato dalla colpa di essere omosessuale.

– Certo che sei il solito testardo! – lo prende bonariamente in giro David.

– Non è questione di essere testardo... o forse. Cioè... non lo so. La verità è che mi è sempre stato difficile credere che potessi tornare ad essere di nuovo parte della famiglia perché avevo paura di illudermi troppo e che alla fine mi sarei solo ferito ancora.

Nemmeno lui sa più se ciò che sta dicendo è giusto o sbagliato, ma la sensazione è quella di non essere più estraneo a quell’ambiente come si è sentito la mattina appena arrivato sul vialetto di casa e che questo lo fa sentire bene, nonostante la paura che si tratti solo di una cosa effimera.

– Faremo del nostro meglio perché non accada, Andy. Te lo prometto. Devi solo fidarti di noi. Di noi e dei nostri genitori. – lo incoraggia David.

Suo fratello sa quanto sia difficile per lui fidarsi di qualcuno, ma stavolta è Andy stesso a sorprendersi quando, a voce bassa, mormora:

Ci proverò, d’accordo.

Forse questa promessa la deve un po’ anche a Michael, pensa Andy, perché è lui che gli ha insegnato che fidarsi degli altri non è necessariamente una debolezza, e che tutti, prima o poi, possono dimostrare di aver meritato davvero una seconda possibilità.



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Stavolta niente sproloqui, credo che il capitolo abbia parlato da sé ^^
Questo è il terzultimo aggiornamento di Stelle Perdute, e un po' mi piange il cuore (anche se allo stesso tempo non vedo l'ora di finire), sapete?
Ho pure l'ansia, perché non so quanto i comportamenti di Andy e famiglia siano coerenti, quindi fatemi sapere ^^
Un grazie immenso a chiunque mi stia leggendo, seguendo, recensendo (e in contemporanea ascolta i miei lamenti su FB). Siete meravigliosi, 
Aika

 

NB se avete tempo, mi farebbe piacere che leggeste "In bocca il sapore della polvere" una one-shot che parla di un amore omosessuale nato fra due ragazzi iraniani, l'ho scritta con tutto il cuore e riflette le difficili condizioni di vita di ragazzi che sono praticamente nostri coetanei, ma ai quali è davvero vietato tutto, persino ascoltare la musica che amano.

   
 
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