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Autore: Ruth Spencer    29/11/2012    6 recensioni
Tesi: -Gli uomini sono portatori sani di problemi per noi donne-.
Prove che avvalorano la tesi:
1-Sam, il mio (ex) fidanzato storico, mi ha imbrogliata tagliando fuori me e le mie amiche dalla squadra di calcio del College.
2-La notte ha portato pessimi consigli a mio fratello Fred e proprio le sue idee malsane hanno causato un pasticcio dopo l’altro nelle ultime settimane.
3-I miei progetti per il raggiungimento della frigidità sono andati in malora per colpa di un paio di occhi verdi e una faccia da schiaffi che devo sorbirmi ventiquattro ore su ventiquattro.
Conclusione deducibile dalla tesi: Sono.nella.merda.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                                 "Vieni Cesario:
                                                                                                 Così infatti sarai chiamato
                                                                                                 Finchè sarai un uomo."
                                                                                                Orsino, (La dodicesima notte, Shakespeare)
 
2.That’s special boy
Tratto Londra centro-Stevenage, seconda classe.
Come mettere in atto un piano suicida.
 
 
 
Mi chiedevo quanto ancora avrei dovuto sopportare quell’orribile e fastidiosissima parrucca scura, dal taglio corto, che mi faceva sembrare un perfetto ragazzo.
Mi grattai il punto all’altezza della nuca che mi prudeva terribilmente e sospirai.
Immaginatevi la mia espressione quando, a casa di Nancy, mi ero guardata allo specchio conciata così.
-Avanti! Non fare quella faccia da condannata a morte!- mi aveva ripreso solenne Nancy, sistemandomi per l’ultima volta il colletto della camicia a quadri.
-Stai scherzando vero?!-  l’avevo aggredita particolarmente nervosa. –Potrei essere scambiata per mio fratello! Mio fratello, capisci?! E la cosa non è affatto gratificante-.
-Smettila di lagnarti. Dici sempre che la monotonia di nausea. Ora hai la tua occasione!-.
Ricordo di averla fulminata con lo sguardo. Ricordo di aver pensato bene di ucciderla una volta sistemata la faccenda con Fred.
A scuola Evelyn avrebbe detto che mi ero rotta una gamba e che sarei tornata entro una decina di giorni.
A mia madre avevo detto che sarei andata a dormire da papà assieme a Fred.
A mio padre avevo detto di stare dalla mamma.
E in tutto questo gran “dire” nessuno, a parte mio fratello, due amiche non molto coscienziose e un parrucchiere pazzo che ci aveva aiutati, sapeva la verità.
In effetti,  avrei dovuto vantare un’indole particolarmente autolesionista per cacciarmi in situazioni del genere.
Mi avevano sottoposto a sedute intensive di psicanalisi, travestimenti vari e parrucche di ogni forma e colore. Poi una volta messi insieme tutti i nostri risparmi, mi avevano caricata sul primo treno che si dirigeva nell’Hertfordshire, da sola, con la mia valigia e una cartina non troppo affidabile.
Ed ora mi ritrovavo a fissare il paesaggio scorrere dal finestrino del treno, con la musica sparata a volume altissimo nelle cuffiette dell’Ipod  e mio malgrado, mi chiedevo quale calamità naturale o ira divina si fosse abbattuta su di me.
Lanciai un’occhiata furtiva al nonnetto seduto di fronte a me.
In quel momento avrei voluto tanto essere al suo posto: una pensione dignitosa, ma modesta, una moglie a cui fare compagnia, forse dei nipoti da viziare.
Zerofratelli rompiscatole di mezzo, zero amiche impiccione, zero problemi.
Proprio allora incrociai lo sguardo ammiccante di una ragazza appiccicata al vetro dello scompartimento.
Mosse le labbra per dirmi qualcosa che io però non afferrai. Mi resi conto quindi di tenere ancora la musica ad un volume improponibile.
Così mi sfilai le cuffiette e le sorrisi incerta.
-Scusa…- tossicchiai tentando di rendere la voce più roca e profonda. –Scusa. Non sentivo-.
Lei arrossì leggermente e si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-Volevo…questo posto è occupato?-. chiese impacciata, indicando il sedile accanto al mio.
-No, tranquilla- replicai cercando di assumere un tono di voce più basso del solito.
La osservai mentre armeggiava con la borsa e sedeva lì vicino.
Mi voltai leggermente e schiacciai il naso sul finestrino del treno dando fine al nostro scambio di sguardi.
Indifferenza. Indifferenza. Indifferenza.
Così forse la smetterà di…
L’unica cosa che ci mancava era dare nell’occhio ancor prima di arrivare al College.
-Che canzone stavi ascoltando?-.
Inorridii. Perchè proprio a me?!
-Help dei Beatles – risposi controvoglia. In effetti era il brano adatto a tutta quella situazione.
-Spendida canzone-.
-Infatti-.
Tornai a fissare le gocce di pioggia che scivolavano lungo il vetro del finestrino, mentre il rumore dello sferragliare del treno mi entrava sin nelle ossa.
-Comunque…piacere, Susan Morrison-.
Io le guardai la mano tesa verso di me, come si guarderebbe un pitone parcheggiato di fronte al pianerottolo di casa.
-Mau…Fred Bayler- farfugliai dopo un attimo di sbigottimento stringendole la mano.
Mi diedi della stupida.
Altri secondi di silenzio. Altri secondi pieni di imbarazzo.
Susan si mosse sul sedile imbottito, a disagio. -Vai alla Bellborough Court?-.
 Sono una femmina, ma non lo vedi? Sparisci prima che mi cacci nei guai!, pensai disperata.
-Si, sono…sono nuovo. Mi hanno ammesso a Giugno- boccheggiai. -Come fai a saperlo?-.
-Oh, ci vado anch’io. Il tratto Londra-Stevenage è poco frequentato, tanto meno dai ragazzi. Perciò ho fatto due più due-.
Annuii tentando di darmi un contegno.
-Sei teso?-.
-Un po’-. Ci pensai su un istante. - Si vede?-.
Emise una risatina frivola.
Povera illusa, pensai io. –Si, ma non ti preoccupare. Ti troverai benone-.
Mi sforzai di sorridere anch’io, ma i muscoli facciali sembravano essersi paralizzati.
 
 
 
Al momento di scendere, persi completamente di vista Susan.
Raccattai la mia valigia malridotta e a forza di gomitate e spintoni riuscii ad uscire dallo scomparto.
Mi fermai un attimo sulla banchina lasciando vagare lo sguardo alla ricerca della ragazza.
Mi sembrò di scorgerla. Così provai a correrle dietro per raggiungerla, ma la moltitudine di gente che ci separava mi impedì di avvicinarmi.
Perfetto, sbuffai.
L’unica persona che avrebbe potuto aiutarmi a trovare la scuola era sparita.
Tirai fuori dalla tasca dei jeans il cellulare ed inviai un messaggio a Nancy per avvertirla di essere arrivata.
Il mio senso di orientamento poteva essere facilmente paragonato a quello di una triglia sottosale.
Sarei stata in grado di perdermi nel cortile di casa, a Londra.
Figuriamoci in una stazione sconosciuta.
Avanzai incerta tra il vociare dei pendolari, trascinandomi dietro la valigia.
Seguii le indicazioni e con mia grande sorpresa trovai rapidamente l’uscita.
In poco tempo era spiovuto. Osservai i pochi sbuffi di nuvole nel cielo ormai sereno. In situazioni normali, avrei ritrovato il sorriso.
In quel momento invece riuscivo solo a pensare a quanto il tempo potesse contrastare con il mio umore nero.
Mi costrinsi ad ignorare il caldo che provavo con l’impermeabile ancora addosso sotto il sole settembrino e mi guardai intorno.
Poco distante si intravedeva l’insegna della fermata dell’autobus.
Attraversai la strada e rimasi in attesa, controllando ogni due minuti l’ora sul display del telefono.
L’autobus doveva essere ripartito da poco quando mi ero avvicinata perché dovetti aspettare una mezz’ora buona prima che tornasse.
Salii in modo sgraziato portandomi dietro maldestramente la pesante valigia e presi posto su uno dei tanti sedili liberi.
Lungo il tragitto pensai ai miei che erano all’insaputa di tutto, al provino di Fred, alle mie amiche, a Sam, a quello stronzo di Sam e soprattutto ai dieci giorni d’inferno che sicuramente avrei trascorso al College. E più ci pensavo più l’ansia mi assaliva.
Sarei voluta scappare, ma sapevo di non potere. Avevo promesso a Fred di aiutarlo, forse sotto tortura o in preda ad uno sprazzo di follia, ma comunque lo avevo fatto, e benchè lo ritenessi un animale da circo male addestrato più che una persona normale, era pur sempre mio fratello.
Mi parve che la mia fermata giungesse troppo presto. Sarei voluta rimanere ancora un po’ lì, immersa nella fitta nebbia di pensieri che mi attutiva i sensi e teneva lontano la preoccupazione.
Invece, in men che non si dica, mi scaricarono su un marciapiede lercio e grigio, con tutti i miei effetti personali e qualche indicazione imprecisa del conducente dell’autobus.
 
 
 
 
Ero già abbastanza lontana quando crollai su un muretto qualsiasi in una stradina di campagna, ansimando per lo sforzo.
Sedetti immobile, ancora sopraffatta dal panico, ad ascoltare i tonfi affannosi del mio cuore.
Cominciavo a temere di essermi persa e non era tutto: il cellulare, come da copione, non prendeva.
Quando però adocchiai un gruppetto di ragazzi con bagagli annessi che passava per quel vialetto dimenticato da Dio, pensai bene di spolverarmi i pantaloni e seguirli.
Perciò, dopo pochi minuti, non so bene come né perché, avvistai Bellborough Court.
 
Bellborough Court  era un insieme di complessi ed edifici vari, in mattoni rossi, tutti uguali tra loro, circondati da un grande cortile alberato.
Da dietro il cancello in ferro battuto, potevo distinguere solo le cucine e la mensa da cui usciva, snodandosi ininterrottamente, senza mai svoltarsi del tutto, un serpente di fumo; e i dormitori, dove proprio ora erano in corso continue scorribande di studenti con pacchi e valigie. Si fermavano a vicenda, si salutavano, chi di nuovo, chi per la prima volta, facendo lo stesso scalpiccio sul selciato.
Restai impalata ad osservarli, finché l’aroma invitante che proveniva dalle cucine mi fece brontolare lo stomaco.
Affrettai il passo, ansiosa di arrivare e di liberarmi dei pesi.
Solo dieci giorni, solo dieci giorni, mi rincuorai ascoltando il rumore ovattato dei miei piedi sull’erba umida.
Trovai la segreteria dell’Istituto e mi ci fiondai dentro.
La signora sulla cinquantina, seduta alla scrivania sollevò il viso per lanciarmi un’occhiata da dietro gli occhiali a mezzaluna.
Stava parlando con un ragazzo dalla bella voce, dal timbro morbido e sicuro di sé che in quel momento mi dava le spalle.
-Ecco gli orari delle tue lezioni-. La segretaria gli consegnò un foglio stampato. –E vedi di non combinare guai quest’anno, Tomlinson-.
Le spalle del ragazzo furono scosse da una sonora risata. – Stia tranquilla, Signora Gradgrind. Sono una persona con la testa ben attaccata al collo-.
-Speriamo solo che la testa non sia piena di segatura- replicò la donna in tono ironico. Poi mi fece cenno di avvicinarmi.
Affiancai Tomlinson che intanto compilava alcuni moduli, davanti alla scrivania della Signora Gradgrind e accennai ad un sorriso.
-Buongiorno. Qual è il tuo nome?-.
Presi un respiro profondo. -Salve. Sono…Fred Bayler-.
Avvertii lo sguardo del ragazzo fisso su di me e temetti quasi che avesse capito che mentivo.
D’altronde non ero mai stata molto brava in fatto di bugie.
-Oh, sei nuovo-.
Era suonato quasi come : “Un pivellino fresco da torturare”.
Annuii timorosa.
Lei mi mostrò alcuni fogli. -Bene, questa è la piantina di tutto l’istituto nel caso dovessi avere problemi e questo è il tuo orario di lezioni. Stai attento a non confonderti: i caratteri sono molto piccoli-.
Mi piazzò sotto il naso alcuni moduli da compilare e una biro nero.
Aspettò che sia io che Tomlinson consegnassimo le scartoffie, poi le inserì in una cartella gialla.
-Ah, sei in stanza proprio con loro!- esclamò d’un tratto dopo aver consultato lo schermo del computer. Indicò leggermente il ragazzo che mi stava affianco. –Allora, mostragli tu i dormitori, per piacere. Io ho ancora un sacco di lavoro da sbrigare-.
-Va bene- rispose lui in tono allegro.
Ricambiai il sorriso gentile che mi aveva rivolto. O almeno ci provai.
Era indubbiamente un bel ragazzo; mi superava di diversi centimetri, aveva i capelli castani con la frangia spostata di lato, naso piccolo e diritto, mascella quadrata. Eh, dimenticavo: due profondi e imperdibili occhi azzurro cielo. Tipico, insomma.
Pensa da ragazzo, Maud.
-Benvenuto a Bellborough Court- mi salutò la Signora Gradgrind, mentre uscivo dalla segreteria.
Trotterellai dietro a Tomlinson per tutto il viale, calciando la ghiaia.
Il ragazzo si fermò proprio davanti ai dormitori. Fece passare un grassone con la sua valigia e mi porse una mano.
-Sono Louis Tomlinson-.
-Fred Bayler- replicai stringendogliela.
Sapevo che di solito i maschi considerano quasi una competizione la stretta di mano, che l’individuo con la presa più forte gode del rispetto della comunità…un po’ come nei documentari sulla natura; in etologia il maschio alpha è il maschio dominante, quello beta ha una posizione subordinata all’interno del branco. E' una gerarchia che si stabilisce nella stagione degli amori quando i maschi di alcune specie di animali si battono per la conquista del territorio e delle femmine.
Ecco, gli uomini in generale sono un po’ come gli animali della savana o della giungla.
Così, grazie a queste brillanti argomentazioni, pensai bene di stritolargli la mano ed evitare epiteti quali “Femminuccia, impotente o finocchio”.
Mollai finalmente la presa con l’aria più innocente del mondo e un sorriso che mi andava da una guancia all’altra.
-Vieni, ti faccio vedere la nostra camera- mi propose lui gentile, massaggiandosi la mano dolorante.
I dormitori maschili si affacciavano su un lunghissimo corridoio intonacato di bianco che contrastava con il legno lucido delle porte.
-La sera il coprifuoco è alle undici, massimo a mezzanotte per i più grandi. Vengono a controllare a quell’ora gli insegnanti. Quindi fatti trovare sempre in stanza-.
Si bloccò di fronte ad una delle tante porte e picchiettò forte.
Quando qualcuno ci aprì, mi ritrovai di fronte un ragazzo non molto alto, con i capelli biondo ossigenato pettinati verso l’alto e l’aspetto simpatico.
Indietreggiò di un passo, permettendoci di entrare.
-Lui è Niall-.
-Niall Horan- precisò il ragazzo con un marcato accento irlandese.
-Piacere-.
La stanza era accogliente e l’aria sapeva di buono, un misto di bucato fresco e lavanda.
I muri erano di un bel pervinca chiaro, e una finestra ampia regalava una vista sul cortile alberato della scuola.
Un grosso armadio bianco di betulla era addossato alla parete di destra e di fronte vi era una scrivania in legno e alcuni scaffali dove campeggiavano mucchi di cd e riviste non proprio puritane.
Immaginai quanti studenti avessero riposto i loro libri e le loro cose su quegli scaffali e di come li avessero dovuti liberare al termine del ciclo.
Al centro della stanza vi erano un letto a castello e due letti singoli: uno di questi era occupato da un altro ragazzo, dai capelli biondo cenere, leggermente mossi e lo sguardo mite.
-Quello è Liam Payne-.
Alzai una mano in segno di saluto.
Mi sorrise di rimando.
Un tipo alto e dalla pelle olivastra era appoggiato al davanzale, fumando una sigaretta.
Si voltò appena, mostrando due occhi nocciola ornati da lunghe ciglia nere e labbra carnose.
-E… Zayn Malik. Lui e Liam sono degli intrusi. In teoria dovrebbero stare nella stanza accanto, ma in pratica vengono sempre a rompere le scatole qui!- scherzò Louis, lanciando un cuscino in faccia a Liam.
Il ragazzo si scostò il cuscino dal viso e si mise a ridere.
Quella scuola era ad alta concentrazione di ragazzi carini, altrimenti non si sarebbe spiegata la presenza di così svariati esemplari in un’unica stanza.
Ed io invece stavo lì per fare la parte del pivello sfigato. Non potevo crederci.
–Bene ragazzi, questo è Fred Bayler- mi presentò Tomlinson.
-Ciao!- esclamò il biondo
-Piacere di conoscerti!- mi salutarono gli altri.
Io mi limitai a sorridere, posando la mia valigia a terra.
-I due singoli li abbiamo già occupati noi. Il letto a castello lo prende sempre Harry. Tu puoi metterti sotto. Va bene?-.
Harry?! Chi era Harry?
Nessuno dei presenti si chiamava Harry ed erano solo due i miei compagni di stanza. Ne dedussi che il quarto doveva ancora arrivare.
-Si, non c’è problema- farfugliai, provocando le risatine sommesse del moro.
Mi mossi imbarazzata tra i bagagli dei miei compagni, pregando Dio di non inciampare e finalmente raggiunsi il mio letto dove poggiai la valigia.
-Da dove vieni, Fred?- chiese Liam incrociando i piedi sul piumino.
-Londra-.
-Cavolo! E come mai sei venuto proprio a Bellborough Court?- si inserì Niall.
-Parli tu che abiti a Mullingar!- osservò Zayn.
-Beh, ma Londra è ben altro. Sai quanti College ci saranno?- ribatté per le rime il biondo.
Louis mi sorrise incoraggiante.
-Me ne hanno parlato bene- risposi evasiva alla domanda iniziale.
Non feci in tempo a sedermi sul mio letto che qualcuno bussò alla porta. Liam andò ad aprire.
In un nanosecondo tutti i ragazzi erano accorsi fuori, chi urlando, chi ridendo.
-Hazza!- sentii esclamare da uno di loro nel trambusto generale. Forse Tomlinson.
Mi sporsi titubante dal mio rifugio.
Di fronte alla porta lasciata aperta, c’era un ragazzo circondato dagli altri quattro.
Era alto, forse un metro e ottanta, dalla pelle chiara. Riccioli color cioccolato dall’aria ribelle gli incorniciavano un paio di liquidi occhi verdi. Un sorriso malandrino gli increspava la bocca rosea e sottile e le pieghe della pelle agli angoli delle labbra formavano due fossette infantili.
Indossava una t-shirt dei Ramones nera a mezze maniche e pantaloni beige sopra un paio di Converse bianche piuttosto consunte.
Quello doveva essere Harry.
-Tre mesi. Che hai combinato in tutto questo tempo?- gli domandò Zayn, battendogli qualche pacca amichevole.
-Niente di che. Ad Holmes Chapel non c’è molto da fare…- fece spallucce il riccio. Aveva una voce roca e profonda, così diversa da quella di Louis.
-Si, si. Come se non ti conoscessimo bene- insinuò maligno Niall.
Tutti e cinque risero ed io continuai a scrutare in disparte il nuovo arrivato, piena di curiosità.
-Qualche avventura passeggera. Nulla di serio-.
-Il nostro sciupa femmine ha mietuto vittime anche quest’estate- celiò Louis, scompigliando i capelli al ragazzo.
-E bravo Harry!- qualcuno commentò in tono allegro.
Proprio allora Harry mi notò.
Si liberò dagli abbracci degli amici e i suoi occhi magnetici si posarono sui miei.
Desiderai di essere invisibile.
Sostenni a malapena il suo sguardo e attesi.
-Harry, questo è Fred Bayler. E’ nuovo- mi presentò Liam.
Il ricciolino si avvicinò e mi porse la mano.
Diamine, quante mani avevo stretto in mezza mattinata.
-Harry Styles-.
-Molto piacere-.
Osservai per un istante la mia mano nella sua molto più grande e calda, prima che lui sciogliesse la stretta e tornasse a guardare gli altri come se nulla fosse.
 
 
 
 
 
La mensa all’ora di pranzo era rumorosa e affollata come mi aspettavo.
Gli studenti chiacchieravano animatamente del più e del meno, e il loro vociare sembrava scandito dal rumore delle posate; ogni tanto si udivano risa sporadiche o urletti sorpresi- che quasi sicuramente provenivano dal tavolo delle cheerleader- nel cicaleccio generale.
Posai il mio vassoio di plastica sul tavolo, imitata dagli altri e mi abbandonai con un tonfo sulla sedia. Harry mi si mise di fronte.
Bisbigliò qualcosa all’orecchio di Zayn ed entrambi ridacchiarono.
Qualcosa mi diceva che l’oggetto del loro divertimento fossi proprio io.
Dovevo sembrare un gay, nella migliore delle ipotesi. E questo non andava certo a mio vantaggio. Non ci sarebbe voluto molto ai ragazzi per capire la mia vera identità.
Assaggiai il pasticcio di patate con l’umore a terra, ascoltando distrattamente il racconto di Liam riguardo una vacanza in Texas.
Un altro giorno così e mi avrebbero smascherato.
Gettai il resto del polpettone nella spazzatura e mi defilai prima che tutto l’istituto uscisse dalla mensa.
L’intero lato sud dell’edificio era una parete curva di doppie finestre a battenti.
Ne aprii una. Entrò una ventata d’aria fresca, ristoratrice, liberatoria.
Sentii alcune voci provenire dal corridoio principale. E subito riconobbi quella di Louis.
-Dov’è finito Fred?-.
-Non lo so- rispose qualcun altro. Forse Liam.
L’eco dei loro passi si faceva sempre più vicino. Non avevano ancora raggiunto la curva del corridoio però. Non potevano vedermi.
-Mi sembra un tipo un po’ strano a dire la verità- si inserì un terzo che non riuscii ad identificare.
-Scommetto che vuole ancora il bacio della buonanotte dalla mamma-. Ne ero sicura: Harry.
Brutto pezzo di…okay, okay. Forse non aveva tutti i torti a prendermi in giro. Dovevo sembrare davvero un caso disperato.
Qualcuno ridacchiò.
-Dai, Harry. Non essere stronzo. Fred è un tipo a posto. Semplicemente è un po’ impacciato-.
Harry rispose qualcosa che non riuscii ad afferrare.
Era già abbastanza quello che avevo sentito.
Attraversai a passo di carica il corridoio deserto, in preda al risentimento.
Corsi per il cortile e raggiunsi i dormitori maschili.
Appena in camera, mi chiusi in bagno e chiamai Nancy al telefono.
Uno, due, tre squilli…
-Pronto?-.
-Non posso farcela- sputai con tutta la sincerità del mondo.
-Maud?! Maud, che succede?- chiese la mia amica allarmata.
-Succede che siamo solamente al pranzo e già non ci resisto più qui dentro!-.
-Maud, calmati-.
 Presi a contare le mattonelle bianche, cercando di mettere in funzione il cervello.
-Stai esagerando-.
-Parliamoci chiaro, Nancy. A chi voglio darla a bere? Giusto un cretino potrebbe credere ciecamente a tutte le balle che vado dicendo-.
-Non puoi tirarti indietro. Fred non te lo perdonerebbe mai-.
-Al diavolo Fred e il suo provino!- imprecai, pestando un piede a terra.
Mi sedetti sulla tazza del gabinetto e incrociai le gambe.
La sentii parlare con qualcun altro vicino a lei.
-Aspetta. Ti passo Evelyn-.
-D’accordo-.
Sperai con tutto il cuore che almeno lei mi appoggiasse.
-Pronto?-. Il suono della sua voce mi calmò all’istante.
-Eve? Che ne pensi?-.
-Ormai ci sei dentro. Devi solo stringere i denti-.
-La fai facile, tu-.
-No, ma avremmo un’idea che potrebbe aiutarti-.
-Quale?- feci curiosa.
-Vedrai. Tu pensa a tenere duro fino a domani-.
Stranamente le sue parole non mi rassicurarono neanche un po’.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ehilà!!!! Come state?
Beh…non so davvero da dove cominciare. E’ un mese che non aggiorno e mi sento veramente in colpa.
In questo periodo non sto facendo altro che scusarmi per i miei ritardi e….ecco, sono davvero dispiaciuta.
Sono indietro anche con le recensioni e perciò colgo l’occasione per assicurare alle autrici che seguo che no, non sono affatto morta e che prima o poi recensirò tutti i capitoli delle vostre storie. Sorry :(
 
Il problema è che non riuscivo proprio a buttarlo giù questo capitolo e ho perfino pensato di sospendere la storia. Ma, ci tengo troppo a questa FF e mi dispiaceva deludervi…così ho deciso che cercherò di sforzarmi di più e di superare questo dannato “blocco dello scrittore”. (Tra l'altro l'ho scritto con la cartina di Londra sottomano xx)
 
By the way, Maud è arrivata finalmente al College e da qui iniziano tutte le sue avventure scapestrate.
Ha conosciuto i ragazzi (!!!!!!) e Susan. Tenetela bene a mente, perché avrà un ruolo molto importante nella trama. (Non ho ancora individuato il suo presta-volto. Provvederò!!)
Non me lo meriterei, ma sono molto curiosa di sapere cosa vi aspettate nei prossimi capitoli, che immaginiate che accada…insomma, prognostici: si accettano anche scommesse!!!!!!!
Ahahah, bene mi sono dilungata anche troppo.
 
Ringrazio tutte le persone che hanno lasciato una recensione ai precedenti capitoli, i 12 splendori che seguono la storia, i 5 che la preferiscono e il fiore solitario che la ricorda ;)
Un grazie di cuore a tutti quelli che mi hanno inserito tra gli autori preferiti (*.*) e ai lettori silenziosi.
Spero che prima o poi, se la storia vi piacerà abbastanza, lascerete una piccola recensioncina.
 
Come al solito, mi farebbe molto piacere conoscere il vostro parere (siete autorizzati a prendermi a male parole)
Un bacio grande, grande
Caty <3
 
Giuro che posterò più in fretta!!!!
 
 
 
  

   
 
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